night of the hunter

[estate 2017]

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  1. --black cat
         
     
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    L'aveva pedinato per un'intera settimana prima di realizzare che il giovane a cui stava alle calcagna era straordinariamente abitudinario nei luoghi di sua frequentazione. La prima volta che l'aveva visto, Jolene si era ritrovata a fissarlo da dietro un cassonetto, nel suo corpo di gatto, assolutamente immerso nell'oscurità. Gli si era avvicinato, passando totalmente inosservata, ma le era servito per carpirne l'odore. Le era rimasto impresso, memorizzato nell'archivio mentale di odori e sensazioni che solo la sua forma felina era in grado di farle provare. Ed era proprio per quello che le avevano dato l'incarico, nonostante suo fratello avesse cercato di opporvisi. Aveva incontrato Aleksander Marchand nell'ufficio di suo padre, e l'aveva trovato insolito, vestito di estrosa arroganza, diametralmente opposto a Deimos, che per tutta la durata del colloquio era rimasto accanto alla porta, in un silenzio teatrale, scrutando con minuzia ogni particolare della discussione. In modo da tenere tutto sotto controllo. Aveva visto quel fastidio dipingere il volto dell'uomo, ma la ragazza aveva imparato a conoscere Deimos meglio di ogni altro. La sua non era gelosia, piuttosto paura. Una tattica difensiva che il nuovo capostipite dei Carrow aveva messo in atto dal suo ritorno. In tutti i modi Deimos aveva cercato di tenerla al sicuro, fra le pareti di quel maniero, senza che l'esterno potesse minimamente influire sulla vita di Jolene. L'aveva fatto per mesi dopo il suo ritorno, al punto che Jolene si era sentita quasi in trappola. Lo apprezzava, aveva cercato di capire il perché di una tale strategia. Aveva come la sensazione che Deimos avesse paura di perderla, ancora e questa volta per sempre. Perciò Jolene aveva accettato la cosa, lasciando che a giocare alla guerra o quello che c'era stato in quei mesi di assoluto mutismo, fosse suo fratello. A dirla tutta le era servito, per rimettersi dai lunghi mesi di assenza, per riassaporare la sua forma umana che per lungo tempo aveva sacrificato a quella animale. Perché un gatto nero passa molto più inosservato di una bella ragazza. Aveva abbandonato il manto felino per intere settimane, senza mai trasformarvisi. Le era servito per realizzare quanto facesse ormai parte di sé, quanto fosse inevitabile e necessario. Ed era stata felice quando Marchand, che non le aveva fatto una splendida impressione durante il loro primo incontro, aveva tirato in ballo questa sua abilità. «Sei un'animagus, non è vero?» le aveva domandato, seduto in poltrona con in mano un grosso bicchiere di Bourbon. Jolene aveva annuito, cercando un confronto nel profondo sguardo dell'uomo. «Un gatto nero, per la precisione» aveva tenuto a puntualizzare la ragazza, voltandosi poi verso Deimos, cercando nel suo sguardo la sicurezza che le serviva. «Puoi mostrarmelo?» Jolene si era alzata cercando di nascondere la contentezza, come solo lei riusciva a nascondere i sentimenti e le emozioni, come aveva sempre fatto. E si era trasformata. La pelle alabastrina che rischiarava alla luce fioca delle lampade calde aveva lasciato posto ad un manto nero come la pece, in grado di assorbire qualsiasi fonte luminosa e di nascondersi agli occhi dei curiosi. La fila di denti perlacei sostituita da trenta denti più aguzzi, quattro dei quali appuntiti come spilli lattiginosi. Le era spuntata una coda, che ondeggiava seguendo il sinuoso passo delle piccole e morbide zampe. Ed infine gli occhi, che avevano mantenuto il loro assurdo colore, quell'azzurro che raramente dimentichi, avevano preso la classica forma felina, la pupilla verticale, stretta fino a quasi scomparire in quell'oceano azzurrino. Aveva visto sul volto dell'uomo che avevano accettato come capo un certo compiacimento, e per qualche motivo Jolene aveva iniziato ad averlo a genio.
    Le indicazioni erano semplice: quattro studenti erano fuggiti durante l'attacco a King's Cross. Non avevano fatto molta strada, almeno uno di loro. Rudy Weasley, che la Carrow aveva pensato di trovare in una folta chioma rossa, era invece un ragazzone, era da ben dire, dai capelli scuri e gli occhi celestini, da poter quasi passare per un Carrow. Peccato che la vita l'avesse punito così, affidandolo alle cure di un'altra famiglia, consegnandolo ad un destino diverso. In realtà, Jolene pensava a quanto fosse stato fortunato rispetto a loro. Crescere nella maniera in cui lei era cresciuta non era stato affatto piacevole, né giusto. Né tanto meno lo erano stati i principi secondo i quali era stata allevata, quei principi che aveva messo più volte in discussione ma sui quali poi era ritornata, per abitudine e scarsa propensione alla ribellione. E forse perché le erano stati inculcati così bene, con così tanta convinzione, che aveva iniziato a crederci davvero. Come aveva creduto per anni che il suo luogo fosse nell'ombra, lontana da occhi indiscreti, perché non era degna di essere vista, di essere guardata. Una delle tante vergogne della famiglia Carrow.
    Così si era messa sui suoi passi, nella smaniosa ricerca del giovane, che aveva scoperto essere un valoroso grifondoro. Ma l'obiettivo reale di quella caccia, Marchand gliel'aveva detto, non era il ragazzo. Lui era solo un mezzo, il tramite attraverso il quale arrivare a qualcosa di ben più prezioso. Una pepita d'oro nascosta nella sabbia, un rubino che nuota in un mare di cocci di vetro. Olympia Potter. Il reale compito di Jolene era quello di estrapolare dal ragazzo quante più informazioni possibili riguardo la ragazza. Era una sfida che aveva accettato in tutte le sue titubanze. Jolene fremeva dalla voglia di avere un po' di libertà, e di aiutare la causa, quanto possibile. «Non devi farlo se non vuoi» Deimos aveva cercato di convincerla, ma Jolene era stata irremovibile. «E' il mio piccolo contributo, Deimos. Non posso rimanere qui dentro per il resto della mia vita».

    Si era ritrovata a vagare di tetto in tetto, atterrando sui piccoli cuscinetti scuri della zampe ad ogni salto, mantenendo l'equilibrio del piccolo corpo nero grazie alla coda. Aveva aspettato il momento propizio, lasciato che il suo istinto le desse via libera. Era lui a guidare i suoi gesti, e nel corso degli anni aveva raramente sbagliato. Perciò vi si era affidata completamente, ciecamente. E aveva fatto bene.
    Con la coda dell'occhio vide il ragazzo camminare, incappucciato come al solito, verso l'ingresso di un locale dall'insegna luminosa. Jolene non c'era mai stata in quel posto, in
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    realtà Jolene era stata davvero raramente in luoghi di ritrovo come quello. Era possibile sentire la musica pompare al di là delle pareti e quasi invadere la stradina sulla quale spuntava il locale. Assurdo. Come il mondo stesse giungendo ad una fine e la gente continuasse a trovare il modo per divertirsi. Le sembrava di aver saltato una parte importante della sua vita, rimanere in disparte, celata nell'oscurità, le aveva precluso un'infinita scelta di possibilità. Eppure non si era lasciata trovare impreparata.
    Fece capolino dal buio di uno dei vicoletti scarsamente illuminati. Il corpo magro fasciato in uno strettissimo abito rosso, come il fuoco. Come il peccato. I lunghi capelli corvini ricadevano in morbide balze lungo la schiena, lasciando intravedere la pelle diafana. Fra le clavicole sporgenti, un minuscolo ciondolo, cimelio di sua madre dal quale non si era mai separata. Bella da togliere il fiato, Jolene passò fra le persone in fila seguita dagli sguardi indiscreti dei presenti. Paradossale, che una come lei sia cresciuta lontana da quella gente, che sia stata invisibile per tutta la sua vita. Lasciò cadere, quasi le scivolassero addosso, i grotteschi complimenti che qualche audace individuo le regala. Basta uno sguardo per far loro mordere la lingua. Gli occhi di Jolene sanno cose che agli altri sfuggono. Jolene potrebbe passare per una sedicenne, così come potrebbe perfettamente sembrare una venticinquenne. Nella sua unicità è uno straordinario camaleonte. Jolene si portò verso l'ingresso, ignorando assolutamente la fila, consapevole che nessuno avrebbe osato opporvisi.
    Gli occhi scrutavano la folla, fissi, alla ricerca di quella figura che per notti intere aveva aspettato rimanendo fedelmente in attesa. E le parve di vederlo, al di là delle grosse tende nere, dove la musica si mescola allo straordinario gioco di luci. Una volta dentro le sembrò quasi dover reimparare a respirare. Un'assordante calca in armonico movimento, corpi mescolati fra loro, sul beat di una musica che non ha mai avuto il piacere di ascoltare. Chiuse gli occhi, per un breve attimo, lasciandosi trasportare dal momento. Il silenzio tombale che l'aveva accompagnata per anni come una fedele ancella, sparisce nel battito di un secondo. Riapre gli occhi ed è immersa, mente e corpo. In apnea.
    Gli occhi si distraggono un istante, ma poi ritrovano il giovane grifondoro, seduto al bancone del bar, come se la musica attorno non esistesse. Scrollò le spalle, alla ricerca di una concentrazione mai davvero persa. E come un predatore, che si muove silenzioso fra l'erba alta, Jolene camminava oscillando fra la folla, accorgendosi di non appartenervi, provando quasi repulsione. Non è questo il tuo posto. Giunse finalmente al riparo, dalle mani e dagli sguardi, dai corpi amalgamati e ubriachi di musica. «Cosa prendi?» riuscì a distinguere le poche parole dette dal barman non appena si sedette, di fianco alla preda. «Quello che ha preso lui» rispose la ragazza, indicandogli il ragazzo che ancora non si era calato il cappuccio. «Non mi sembra che questo posto ti piaccia molto» disse avvicinandosi a lui, nella speranza di non venire ignorata. Ebbra degli sguardi raccolti in quella traversata, le sembrò quasi impossibile. «Com'è che uno come te, si ritrova in un posto come questo?»


    Edited by conundrüm - 29/11/2017, 22:48
     
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