Eppure...

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  1. Ares Carrow
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    L'erbologia è una materia che richiede fra le atre cose attenzione, dedizione ed una cura quasi maniacale verso tutto ciò che si fa. I semi sbocciano e le piante crescono se ricevono la giusta quantità d'acqua e di luce e se il terreno in cui affondano le loro radici è abbastanza ricco di nutrimenti da poterle sostentare, il tutto in una temperatura idonea che, nemmeno a dirlo, varia da tipologia a tipologia di pianta. Sono organismi delicati che crescono in un ambiente dalle variabili estremamente complesse da organizzare a tavolino, eppure se bastasse quello penso che sarebbero poche le persone più abili di me, in questa materia. Non dovrebbe volerci poi molto, in fondo, e una volta date i corretti valori di acqua, umidità dell'aria, luminosità della stessa e di nutrimento della terra la cosa dovrebbe venire da sola. Eppure...
    ...eppure la pianta di Geranio Zannuto che ho piantato nelle serre prima dell'estate non ha per niente l'aspetto sano e rigoglioso che mi aspettavo di vederle sfoggiare. Si muove e cerca di mordermi, ovviamente, ma non ha quel vigore che mi sarei aspettato da lei e questo mi secca alquanto, quasi fosse colpa sua e non mia. Il mio primo istinto è stato quello di estrarla dal terreno e scagliarla contro uno dei vetri della serra, in un impeto di frustrazione, ma non sarebbe di sicuro la cosa più adatta da fare. La voce di un antico insegnante emerge dai libri ad ammonirmi: in che modo questo ti sarebbe utile? mi chiede, e la risposta sarebbe palese agli occhi di chiunque. In nessun modo scagliarla contro la parete di vetro della serra mi sarebbe utile. Rilassante, forse, ma non utile.
    Così evito di farmi prendere dall'istinto e mi siedo di fronte alla pianta, le gambe incrociate sulla terra spoglia e la sacca posata sul mio fianco. Che i pantaloni si sporchino non è rilevante, come non lo è il tempo che dovrò perdere dietro quel Geranio Zannuto perché riprenda salute: quello dovrà essere e quello accadrà, finché avrò il potere di influire sulla cosa. Il quaderno che mi sono portato dietro non pare avere soluzioni, e la calligrafia precisa del me stesso di qualche mese prima descrive i passi eseguiti per piantarla lì e prepararla ai lunghi mesi d'assenza con precisione. Giusta è la distanza dagli arbusti autofertilizzanti e giusta l'acqua che ogni giorni le serre donano alle piante al loro interno. Corretta l'esposizione alla luce e precisa al secondo decimale l'umidità. Perfino il libro di testa su cui mi ero basato condivide quei dati, e lo stesso un secondo libro che mi sono portato per controllo, solo che invece del verde acceso che dovrebbero avere le foglie della mia sfortunata pianta quello che mettono in mostra è un giallo appena appena più vivace di un colore autunnale, e se avvicino le dita alle zanne il morso che cerca di darmi non è di sicuro quello feroce da cui dovrei stare attento.
    - Perché? -
    La domanda è lecita, e la pianta sarebbe sicuramente l'essere vivente migliore cui chiederlo, se solo potesse rispondermi. Hai sete, hai fame, hai freddo? Stringo le labbra, mordicchiandomi un dito nervosamente in un gesto di cui non sono mai riuscito a liberarmi del tutto. Riflettere è una cosa che dovrei essere bravo a fare ma che mi viene con fatica in quel momento. E' corretto imparare dai propri errori, lo so, ma dove cazzo sto sbagliando?
     
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    « Ci alleniamo dopo pranzo? » Sospira sconsolata, Malia, mentre è intenta a mescolare distrattamente la poltiglia indistinta all'interno del proprio piatto. Non ha particolarmente fame, oggi. Non è nemmeno all'apice del suo umore, se proprio deve dirla tutta, ha fatto il suo ingresso nella Sala Grande con enorme ritardo rispetto ai suoi compagni, l'aria scocciata e i pugni chiusi lungo i fianchi, come se da un momento all'altro fosse sul punto di picchiare qualcuno. E improvvisamente le parole di Fred sembrano averla intristita ancora di più, se possibile. Perché, per quanto possano essere numerose le cose che al mondo non sopporta, essere costretta a rifiutare un pomeriggio di Quidditch con i compagni di Grifondoro è forse la cosa che meno riesce a digerire.
    « Non posso » borbotta atona, lo sguardo vitreo perso a guardare la zuppa cadere dal suo cucchiaio dentro al piatto, proprio sotto al suo naso. « Wilde mi ha messa in punizione » sospira, prima di lasciar cadere la posata sul tavolo, senza far troppo caso al clangore che provoca nel contrasto con la ceramica del piatto. Non ha più voglia di mangiare. In punizione? E come hai fatto, a neanche un paio di giorni dall'inizio delle lezioni? Scuote la testa, piano, senza nemmeno alzare lo sguardo per ricercare tra i compagni la fonte di quella domanda. Ha distinto solo una voce femminile, probabilmente qualche posto più in là, e sa per certo che non si tratta dei suoi amici, perché, dopo tutti questi anni, loro sanno già che sa essere capacissima, in certi casi. Certo, quest'anno deve aver sfiorato qualche record, ma niente di troppo fuori dalla norma. Fred infatti si stringe nelle spalle, vagamente dispiaciuto, e torna a strafogarsi di cibo, mentre Olympia, di fronte, non alza nemmeno gli occhi dal piatto, probabilmente senza aver davvero fatto caso alla cosa. Ormai deve essersi anche stancata di emettere quel sospiro deluso, ogni qual volta la mora annuncia i propri insuccessi scolastici. « È successo che è colpa di Hugo » Proprio un bel modo di cominciare le tue giustificazioni. Complimenti, Stone, andiamo bene in fatto di onore. « Noi stavamo... stavamo... studiando. Sì, ecco » una specie. Erano nel bel mezzo della Biblioteca a cantare e ballare, nel tentativo di reinscenare un videoclip particolarmente movimentato di Taylor Swift. The Story of Us, un classico. Erano lì che si dimenavano a destra e a manca con fare teatrale mettendo su quelle espressioni struggenti e colme di dolore, quando... « E niente, a un certo punto uno di noi ha fatto un movimento troppo brusco e sono crollati un paio di scaffali. Solo che il caro Hugie ha fatto in tempo a fuggire, e hanno beccato solo me. » Anche questo, un classico. Ha provato a liberarsi da quei libri che le erano finiti addosso nel modo più rapido possibile, ma non ha fatto in tempo. La bibliotecaria è stata tempestiva, e ha subito contattato il primo professore che le era capitato sotto tiro. Insomma, non c'è stato proprio niente da fare, ed ecco che Malia Stone questo pomeriggio è costretta a trascorrere due ore intere da sola nella Serra numero cinque, a spostare vasi e a pulire per terra. Ovviamente senza l'aiuto della magia, ci mancherebbe. Freddie scuote la testa piano, mentre Olympia se la ride, di fronte a lei, evidentemente immaginando quale poteva essere lo scenario effettivo dell'incidente.
    « Tanto per sapere, quanti punti ci hai fatto perdere, Stone? »
    Si stringe nelle spalle, prima di alzarsi all'impiedi. « Mah... un tre o quattro. Non disperare, Wynne, abbiamo sempre il tuo faccino d'angelo che ci aiuterà a vincere la Coppa quest'anno » rivolge al ragazzo un sorriso gentile, prima di raccogliere la giacca dalla panca e voltare loro le spalle.

    I punti, alla fine, erano quindici. L'idea di aver creato problemi alla sua casata, o di essere stata in qualche modo poco utile, non la sfiora nemmeno. I fondo, per i membri della casata di Godric, una stronzata come quella della Coppa delle Casate non è davvero considerata seriamente, eccetto che da qualche singolo, magari troppo fissato. Il resto di loro hanno semplicemente voglia di divertirsi, e lo spirito di squadra e di fratellanza tra i rosso-oro è tale da non potersi sgualcire solo di fronte all'errore di qualcuno. Certo, l'idea di arrivare primi è sempre allettante, ma sono troppo amanti del divertimento, dell'adrenalina e del godersi i piaceri del momento, per preoccuparsi di quello che riserva per loro il futuro - specie se si tratta di una stupidaggine tale come una raccolta di punti fittizi. Per cosa, poi, un trofeo da tenere in Sala Comune per un anno? Hanno sempre trovato altre priorità.
    Come ad esempio il Quidditch. Le prudono le mani ancora, se pensa al fatto che in questo momento la squadra si sta riunendo al Campo per allenarsi un po', e lei è lì davanti alla serra di Wilde pronta a trascorrere due ore intere a sgobbare. Maledetta Taylor Swift e maledette le sue canzoni così travolgenti.
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    Quando nota la porta già aperta della serra, aggrotta la fronte, incuriosita all'idea di trovarci dentro il professore. Probabilmente si è recato qui apposta per spiegarle nello specifico cosa c'è da fare, eppure sembrava stato abbastanza chiaro nelle sue indicazioni questa mattina. Lei, per lo meno, aveva compreso esattamente quali vasi e quali piante spostare e, insomma, lo sporco riesce a vederlo tranquillamente da sé. Quando però si affaccia un poco con il corpo, oltre la porta, vede che all'interno non c'è Wilde, bensì un Serpeverde con una dubbia espressione in viso che sta davanti a una piantina. Lo riconosce facilmente: è Ares Carrow, quell'ex famoso di Olympia. « Perché? » Spalanca gli occhi, Malia, quando lo sente parlare, e lo vede rivolgersi alla pianta che ha di fronte. Non può essersi rivolto a lei, è certa che non si sia ancora accorto della sua presenza. Le labbra si schiudono leggermente in un'espressione sorpresa, mentre compie qualche passo in avanti, cominciando ad avanzare all'interno della serra, quasi con discrezione. Come se non volesse interrompere un momento intimo. L'ha sempre trovato uno un po' strano, il giovane Carrow, ma non fino a questo punto, certo.
    « Stai...? » un interrogativo che le muore sulla bocca, mentre si ferma al centro dello spazio, a un paio di metri da lui, a studiare un po' sorpresa la situazione. « Stai parlando con una pianta » e questa volta la sua voce non ha più quel tono di domanda, ma la sua è un'affermazione certa e specifica. Ares Carrow sta dialogando con un vegetale. Ne è sicura, l'ha appena visto con i suoi occhi e non è mai stata una che si immagina le cose. Piega la testa di lato, leggermente incuriosita dalla cosa, un sorriso divertito che spunta sulle labbra mentre sposta lo sguardo dal ragazzo alla piantina che ha di fronte. « Perché parli con una pianta? » le sembra dunque lecito domandare, giusto per cultura personale. Magari il compagno ha da fornirle qualche spiegazione che sia più logica e razionale di quanto lei possa immaginarsi - magari quello che l'ha scoperto fare ha un gran senso, ed è solo lei a non esserne a conoscenza. Che sia una nuova strana pratica di rilassamento giapponese? O un modo per incoraggiare la pianta a crescere?
    Si stringe nelle spalle, avvicinandosi. « Non importa, comunque » dice, una volta raggiunto il bancone e recuperati gli spessi guanti neri che - si spera - le renderanno il lavoro meno faticoso, o che, per lo meno, le eviteranno di sporcarsi le mani. Ma d'altronde si conosce, impacciata e poco ordinata com'è, farà in modo di uscire da quella serra sporca di terra dalla testa ai piedi. « Devo... sistemare roba in giro, tipo. Mi dispiace interrompere la tua... meditazione? Giardinaggio? Cioè, sì, insomma, quello che era. Però te ne devi andare » dice con semplicità, prima di raggiungere l'altra parte della serra e prendere un vaso piccolo tra le mani. Procediamo per gradi. Lancia un'occhiata quasi preoccupata ad un gruppo di vasi enormi poco più in là, alti più o meno fino al suo bacino. Attraversa di nuovo la serra con il vaso tra le mani, per poi depositarlo in un angolo pulito da una parte. Lo sguardo cade nuovamente sul Serpeverde, che nel frattempo non si è mosso e la guarda. « Cioè puoi anche restare se vuoi. Fai come ti pare, va'. Devo solo... farò un po' di rumore. Se hai bisogno di pace e silenzio e insomma quelle robe lì, non ti conviene restare ecco » osserva con semplicità, un po' ansimante, stringendosi nelle spalle e soffiando via dal viso una sottile ciocca di capelli che era ricaduta in avanti.
     
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  3. AresCarrow
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    Ormai dovrebbe essere palese che avere della privacy in questa cosa è impossibile. Perfino lì, in una delle serre più sperdute di una delle materie meno amate, in un'ora in cui tutti dovrebbero essere a divertirsi al campo o a studiare nelle proprie Sale Comuni...tack...una porta che si apre e una voce alle mie spalle « Stai...? » alzo appena la testa, ma ancora non mi volto. La voce danza per un attimo lì, al limite fra il riconoscimento e la sorpresa, prima di sfondare una porta comunque già aperta « Stai parlando con una pianta » e non è nemmeno una domanda, la sua, ma un'affermazione. Apro le labbra e sospiro, abbassando di nuovo lo sguardo sui libri che tengo aperti intorno a me. Il quaderno dondola per un attimo, in bilico sulla gamba incrociata, prima che io lo blocchi con la punta della piuma. Non solo è impossibile avere privacy in quella scuola, ma ormai è palese che quale che sia il momento sarà sempre la persona meno opportuna a piombare sul luogo. Stringo le labbra e gioco per un secondo con una delle foglie del geranio zannuto.
    Mi fa piacere l'idea di trovarmi da solo con Malia in un luogo appartato? Sì, ovvio che sì. Insomma, guardatela voi che potete, mentre io resto con la testa bassa sui miei libri. E' ovvio che mi faccia piacere. Quello che non mi fa piacere è che mi arrivi alle spalle mentre sto riflettendo ad alta voce, sporco di terra e in quello che Amuneth chiamerebbe "uno dei tuoi momenti da disadattato". Ecco, quello non mi fa piacere. E' come partire da un livello di meno tre per arrivare in scalata fino in cima alla torre di divinazione. Non il massimo della gioia, insomma.
    E posso già sentire la risata di Mun quando glielo racconterò...
    - Sì - le dico infine, perché tanto peggio di così non può andare. Non mi volto ancora, ovviamente, perché se me la trovassi davanti mi andrebbe un po' in pappa il cervello e qui abbiamo bisogno di chiamare a raccolta i pochi neuroni in grado di gestire una situazione sociale che ancora non sono impegnati a chiacchierare con una pianta. Che situazione di... - Ci siamo conosciuti l'anno scorso e sono passato a trovarla. Un po' mi mancava. L'ho chiamata Giuggiula - aggiungo, così per scherzo, ma il silenzio che ne segue mi fa capire ancora che devo aver sbagliato tono. Non sono molto bravo, in quello, così mi giro ad osservarla da sopra una spalla e abbozzo un cenno del capo - Scherzavo, riflettevo solo ad alta voce - le dico, proprio mentre quel « Non importa, comunque » mi piomba fra le scapole come una coltellata.
    Ovvio, non le importa.
    Stupidi e arroganti Grifondoro.
    Mi giro di nuovo verso la mia pianta con lo stesso umore che deve aver avuto il lupo di fronte all'uva - cazzo, Malia di sicuro però non è averba - e riprendo a cercare una soluzione al mio problema impellente. La salute del geranio. Ecco, su quella dovrei concentrarmi, e ci riesco pure per qualche momento prima che lei parli ancora - "Devo"...? - ripeto, inarcando un sopracciglio. Nemmeno a farle notare che ero lì prima di lei e che di sicuro non sono lì per piacere, che probabilmente sarebbe anche un discorso inutile, ma qui nemmeno ci stiamo impegnando con un "per favore" di base. Mi volto verso di lei. Cosa sono io, un cane? La fisso dal basso, annuendo poi al resto del discorso. Non il massimo, ma già meglio - Lascia stare, sto solo cercando di... - esalo un respiro, tornando a fissare il geranio. La soluzione deve essere lì, da qualche parte, ma di sicuro non salta all'occhio come dovrebbe. Faccio ondeggiare la piuma fra le dita, nel rumore che Malia fa alle mie spalle. Probabilmente potrei ignorare un'intera banda di paese, se volessi, ma non riesco a far finta che lei non sia lì e non c'entra niente il rumore che fa. E' lei, e basta. E questo non aiuta ne la mia salute mentale, ne quella fisica del Geranio - Senti...un po' meno, magari? Questo affare doveva essere parte del mio recupero di Erbologia ma mi sta morendo fra le mani, e sto cercando di capire il perché... -
     
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    « Ci siamo conosciuti l'anno scorso e sono passato a trovarla. Un po' mi mancava. L'ho chiamata Giuggiula. » Inarca le sopracciglia, un po' incerta. Vorrebbe ridere, ed è di certo la cosa che più sarebbe appropriata di fronte ad un'affermazione del genere, che di norma interpreterebbe come una battuta sarcastica; però il suo tono, tanto calmo e piatto, la confonde. Deve trattenersi dallo sbuffare a ridere perché si ritrova a pensare che magari lui dice davvero, in fin dei conti non lo conosce, potrebbe sul serio essere schizzato e parlare con le piante e dar loro nomi. E ridergli in faccia in questo modo non sarebbe per niente carino. Così si limita a stringersi nelle spalle, un po' a disagio, mentre comincia a sistemare quei vasi che saranno i compagni della sua serata. E poi ecco che lui conferma la sua teoria: stava solo scherzando e lei, come una stupida, ha cercato di far passare la cosa come normale, assumendo un'espressione tranquilla e comprensiva di fronte alla sua presunta confessione di dialogare con un'amica pianta dal nome Giuggiola. Che figura da idiota.
    « Oh » dice soltanto allora, grattandosi una guancia, senza sapere effettivamente come riparare alla propria gaffe. Non che sia colpa sua, in fin dei conti. Diciamoci la verità, chi è si mette a parlare con una pianta come se niente fosse, nel bel mezzo di una serra pubblica? Di certo non è lei quella ad aver fatto una figuraccia, si ripete. Decide semplicemente di ignorarlo, considerato che ha deciso di rimanere lì con lei, a riempire di sguardi dolci la propria piantina: non ha decisamente tempo per fare conversazione. Deve finire questo dannato lavoro il più in fretta possibile, così potrà tornare velocemente nella sua camera e forse farà anche in tempo per fare un paio di giri con gli altri al campo di Quidditch. Il campionato, quest'anno, non è stato sospeso, e lei deve essere in forma appositamente per quello. Non ha intenzione di lasciare che i Serpeverde - e, appunto, anche Carrow - le soffino la Coppa dalle mani. Comincia a spostare i vasi da una parte all'altra sempre più velocemente e, sebbene la fine sembri ancora tutto fuorché vicina, è quasi soddisfatta di se stessa per il ritmo che è riuscita a prendere. Arriva anche ad infilare un vaso dentro l'altro, per fare prima, e, anche se con enorme sforzo, è capace di trasportare anche quelli nell'angolo prestabilito da Wilde.
    « Senti...un po' meno, magari? Questo affare doveva essere parte del mio recupero di Erbologia ma mi sta morendo fra le mani, e sto cercando di capire il perché... » È intenta a depositare rumorosamente - forse troppo rumorosamente - un enorme vaso di terracotta sul pavimento, quando le lamentele di Carrow le giungono alle orecchie. Aggrotta le sopracciglia, lievemente infastidita dal suo commento, prima di voltarsi nella sua direzione. E lui è ancora lì, tranquillamente accomodato in mezzo alla terra con la propria pianta davanti ed un libro in grembo. E tutto ciò le fa un po' ridere, a essere onesta, ma si costringe a mantenere un'espressione seria.
    « Senti » comincia lei, puntando con fermezza gli occhi sulla sua figura, prima di sistemarsi i capelli sulla fronte alla bell'e meglio con il dorso della mano.
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    « Non ho tutta questa voglia di fare rumore, io. A essere onesti, non ho proprio voglia di essere qui e basta. Ma siccome sono costretta, e siccome ho davvero poco tempo per fare questo lavoro, non ho davvero tempo per mettermi a farlo in punta di piedi. Non te la prendere, nulla di personale davvero, ma voglio solo sbrigarmi » si stringe nelle spalle e attraversa di nuovo la serra a grandi falcate, prima di raggiungere il mucchio di vasi grandi ancora da trasportare. Si volta nella sua direzione, prima di prenderne tra le mani uno e cominciare di nuovo la sua piccola processione. « Se proprio vuoi, ad esempio, potresti darmi una mano. Così sarei più veloce a fare tutto e ti lascerei in pace più rapidamente. Sai come funziona, no, lavoro di squadra. » Complimenti a Malia Stone che prova a fare la piccola Tom Sawyer della situazione. Però, a essere onesti, un paio di altre mani le sarebbero utili eccome, e in questo momento si ritrova davvero a maledire Hugo per essere scappato così, lasciandola in balia di una punizione tanto dura. Wilde sembra proprio buono e caro, l'amicone della situazione, ma con queste cose non scherza proprio. Si adopera dunque a trascinare l'ennesimo vaso, fermandosi un attimo a metà della stanza, per riposare. Lo sguardo ricade nuovamente sul ragazzo e sulla sua piantina, l'espressione che si ammorbidisce leggermente nel notare il suo evidente abbattimento per la questione. Sospira, senza sapere cosa dire per essere d'aiuto. « Hai provato a... non so... innaffiarla? » si ritrova a dire, stupidamente prima di ascoltare le sue stesse parole e scuotere la testa per l'idiozia appena detta. « Io... non sono particolarmente brava con l'Erbologia, in realtà » ammette, facendo spallucce. Non sono particolarmente brava in niente, a essere sinceri. A parte il Quidditch, ovvio. « Però non saprei... Olympia è bravissima in queste cose, ci sa fare un sacco con le piante. Sono tipo il suo elemento, o qualcosa del genere. Magari chiedi a lei. O se vuoi posso chiedere io per te, se non ti va. E sì, insomma, ti faccio sapere che mi dice. »
     
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  5. AresCarrow
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    Grifondoro...
    Non sono tanto stupido da credere che uno stereotipo corrisponda per forza al vero e che quindi tutti i rappresentanti della casata rosso-oro siano tanto stupidi quanto coraggiosi, ma per un momento il dubbio mi viene, almeno sull'esemplare in questione << Oh >> mi ha risposto Malia, e crederla un poco più sciocca di quanto non pensassi fino a poco fa è di sicuro più lusinghiero dell'unica alternativa che mi viene in mente. Perché se non è tanto scema lei da credermi capace di adottare una pianta, darle un nomee sentirne la mancanza quell'unica sillaba lasciata cadere al suolo significa che mi crede tanto pazzo - o almeno disadattato - da farlo davvero.
    Non è un bel pensiero, quello di sapersi visto con simili occhi proprio da lei.
    Scuoto appena la testa, restando concentrato su quello che sto cercando di fare. O almeno cercando di restare concentrato su quello che sto cercando di fare, in una catena di tentativi frustrati e mal riusciti. Perché ai miei occhi è palese che non sono concentrato e che non sto facendo assolutamente nulla di produttivo, in quel momento. Socchiudo gli occhi e cerco di scacciare dalla testa tutto quello che non c'entra con il problema in questione, ordinando dietro le palpebre abbassate gli elementi che ho in mano e le possibili soluzioni, provate o non ancora tentate, cercando di trarre dai pezzi spasi di quel puzzle un risultato che sia anche solo lontanamente accettabile. E sono appena riuscito ad ignorare il rumore che Malia sta facendo - a ignorare perfino la sua voce - quando mi rendo conto che non è il profumo del geranio quello su cui mi sono sintonizzato. Strana cosa, i profumi, Penseresti che sia impossibile notare il profumo che indossa una persona in mezzo all'odore della terra e a quello di umido che circonda una tale concentrazione di piante, eppure posso quasi riconoscere la marca che Malia si è spruzzata quella mattina. Il nome mi sfugge, ma la conosco, e la mia mente ha smesso di ragionare sul problema per cercare invece di trovare una soluzione a quel nuovo e interessante quesito. Dove ho già sentito quel profumo?
    Sospiro, voltandomi per la prima volta verso di lei con il busto, seduto per metà fra lei e la pianta - E quindi il fatto che io fossi qui a studiare non ha alcuna importanza e dovrei semplicemente accettare il rumore e...non so, rassegnarmi al fatto che quando arrivi tu con i tuoi bisogni i miei spariscano? - le chiedo, ma sto bene attento a farlo senza mostrare alcun tipo di astio o rabbia, un po' perché voglio evitare di fare la figura del bruto ai suoi occhi - dopo, ricordiamo, averci fatto quella del pazzo - e un po' perché quell'impressione di egocentrismo che ha appena dato ha appena stride nettamente con l'immagine, forse un pochino idealizzata, che ho sempre avuto di lei.
    Sono curioso, e la curiosità sempre stata una delle cose che faccio più fatica a nascondere.
    Mi alzo in piedi, nonostante tutto, e afferro un vaso dall'angolo in cui è posato per andare a posarlo sopra gli altri che lei ha già iniziato ad ammucchiare. Non lo faccio per lei, e nemmeno per liberarmene prima, ma mi muovo sovrappensiero nel tentativo di scuotermi di dosso quel torpore mentale che mi impedisce di vedere la soluzione. Ho bisogno di muovermi per pensare più liberamente - Nemmeno io, pare. Meno di quanto pensassi di sicuro - le rispondo, lasciando il commento sull'innaffiarla là dove sta. Non reagisco nemmeno al nome di Olympia, non subito almeno, anche se innesca qualcosa. Olympia...non le parlo davvero da quando ci siamo lasciati, e a dire il vero non ci siamo parlati nemmeno in quell'occasione. Abbiamo preso strade diverse, io e lei, senza quasi che ce ne accorgessimo e adesso c'è quell'imbarazzo che segue sempre in non sapere cosa dirsi, fra me e lei. Non credo andrò mai a disturbarla per una pianta, non dopo tutto questo tempo, ma non è solo quello cui sto pensando. Prendo un altro vaso, me lo passo da una mano all'altra e poi annuisco. Ecco dove l'ho già sentito- E' di Olympia il profumo che indossi, vero? O almeno lo usava anche lei, un tempo - annuisco, sorridendo un poco mio malgrado. Perfino io ho i miei bei ricordi cui attingere, quando serve - Saresti gentile, ma non voglio disturbarla per una cosa simile. E'...frustrante, temo, ma devo riuscire a risolverlo -
     
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    « E quindi il fatto che io fossi qui a studiare non ha alcuna importanza e dovrei semplicemente accettare il rumore e...non so, rassegnarmi al fatto che quando arrivi tu con i tuoi bisogni i miei spariscano? » Le parole del ragazzo, pronunciate in quel modo quasi indifferente ed atono, la costringono ad arrestarsi quasi all'improvviso, al centro della serra, un vaso tra le mani e l'aria interdetta. E per quanto lui sembri volerla giudicare, nonostante tutto, ciò che dice è abbastanza per farle venire voglia di sotterrarsi insieme a tutte le piantine di Wilde. Purtroppo è così, Malia, a volte fa le cose e non ci pensa, parla senza nemmeno accendere il cervello; e ci sono momenti, come questo ad esempio, in cui è particolarmente stressata o arrabbiata per qualche motivo, che si ritrova a dimenticare perfino le buone maniere e le regole base del quieto vivere. Dà la colpa alla tensione, al fatto che probabilmente non farà in tempo a raggiungere i suoi compagni di squadra per l'allenamento e, sì, un po' anche alla sua testa di cazzo fondamentalmente. Tuttavia, a discapito di quello che si può pensare di lei, le dispiace quando finisce per comportarsi in questo modo, anche con persone che magari non conosce poi così bene.
    « Scusa, è che... » si ritrova a sospirare, imbarazzata, tirando leggermente la testa all'indietro. « Non mi piacciono particolarmente le punizioni. E lo so che magari neanche tu sei qui per divertimento, ma volevo solo fare in fretta. Ma hai ragione, cercherò di essere più silenziosa » gli concede infine, riconoscendo le sue ragioni, e si stringe nelle spalle. Non le piace l'idea di fare la figura di quella egoista, che pensa solo e soltanto a se stessa senza considerare le esigenze altrui. Se queste cose capitano, nella sua vita, sono sempre dovute a pura e semplice distrazione, e non fatte per negligenza. Vorrebbe quasi dirgli qualcos'altro, spiegarsi meglio e fargli capire che è stata tanto dura solo per colpa della punizione e dello stress, ma siccome le parole la fregano sempre, in ogni situazione, decide piuttosto di far parlare le proprie azioni, in modo tale che siano queste a completare le scuse che vuole rivolgergli. Così comincia a muoversi con più cautela fra i vasi, attenta a non sbattervi contro e a posarli con delicatezza sul pavimento, in modo da minimizzare il più possibile i rumori che può avvertire. Ciò nonostante, il ragazzo decide in ogni caso di alzarsi all'impiedi e di raggiungerla, cominciando anche lui a raccogliere qualche vaso da terra e seguire il suo stesso percorso, per aiutarla. Lo guarda muoversi, mentre si passa una mano tra i capelli, un po' sorpresa e forse anche imbarazzata dalla cosa. « Grazie... Non c'è davvero bisogno, stavo... scherzando, ecco. Posso farcela anche da sola » prova a dire, ma le sue parole sembrano essere inutili, quindi si limita a stringersi nelle spalle ed accettare l'aiuto del compagno.
    Per quanto possa essere stata dura e forse un po' menefreghista nei confronti del suo problema, in fondo un po' le dispiace, se ci pensa. Lo sguardo ricade per caso sulla piantina, poco più in là, mentre è impegnata a trasportare l'ennesimo vaso dalla parte opposta della serra. « Dai, non te la prendere troppo per questa cosa. Io sono negata in Erbologia e sono andata avanti cinque anni di fila senza troppi problemi. Non sarà una piantina a farti fallire ai M.A.G.O. » ridacchia leggermente mentre gli passa accanto, con fare abbastanza disinvolto. Eh già, il povero Wilde ci aveva provato, a inculcarle quella materia, in tutti i modi: aveva minacciato di bocciarla ed era dovuta intervenire pure la povera Olympia, la quale, nemmeno con il suo aiuto divino era stata capace di renderla idonea alla coltivazione di anche solo una piantina di asfodelo. Non è certa del motivo, ma Erbologia e Pozioni sono sempre state, ai suoi occhi, qualcosa di impossibile; materie tanto organizzate e metodiche, che richiedono pazienza e cura, sono esattamente l'opposto di tutto ciò che la Stone riesce a tirar fuori, anche quando si applica al massimo delle sue potenzialità.
    « E' di Olympia il profumo che indossi, vero? O almeno lo usava anche lei, un tempo. » Queste parole la fanno arrestare, quasi all'improvviso, per poi voltarsi nella sua direzione. Inarca le sopracciglia, stupita da tanta attenzione ai dettagli, oppure da tanta... non saprebbe esattamente come definirla, ecco. Da tanta memoria. Non ha mai considerato Ares e Olympia come una bella coppia: ma dal suo canto, non aveva nemmeno mai avuto modo di trascorrere del tempo con loro per sperimentare la cosa. In ogni caso, una cosa era sempre stata certa, e cioè che si erano voluti bene, ma bene davvero. A discapito di come siano andate a finire le cose, tra loro due, Malia resta sicura dell'affetto che continua a legarli - o almeno, se lo era fino ad oggi per quanto riguardava Olympia, queste sue ultime parole le hanno dato la conferma anche su Carrow.
    Lo guarda e si ritrova a stringersi le spalle, lievemente imbarazzata dalla situazione, senza sapere effettivamente come rispondere alla sua domanda tanto schietta quanto, effettivamente, semplice. Non c'è nulla di male nel chiedere di un profumo, è vero, ma sono tutti i pensieri sottintesi che la lasciano interdetta per un paio di istanti. « Sì, è il suo profumo. Gliel'ho fregato stamattina » risponde in modo spicciolo, una leggera risatina che serve ad allentare la tensione. « Ma se ti dà fastidio sentirlo perché riporta alla mente... che so, ricordi dolorosi, posso sempre rotolarmi un po' in mezzo alla terra e vedere se cambio odore. Wilde non ne sarebbe felicissimo, però » scherza divertita, prima di depositare un altro vaso accanto al nuovo mucchio, che nel frattempo, tra una parola e l'altra, cresce sempre di più. « O forse non ce ne sarà bisogno » si ritrova a dire, pulendosi le mani dal terriccio, per poi sventolarsi leggermente sul collo. « Alla fine di questa punizione sarò sudata come un maiale e quindi addio profumo delizioso alla vaniglia » ride, scuotendo leggermente la testa. A proposito, vorrebbe controllare in questo momento com'è la situazione, ma accidenti, lui se ne sta proprio fermo lì a guardarla e non è proprio socialmente accettabile farsi notare mentre si annusa un'ascella. Decisamente poco femminile.
    « Saresti gentile, ma non voglio disturbarla per una cosa simile. E'...frustrante, temo, ma devo riuscire a risolverlo »
    Si stringe nelle spalle, a quelle parole, annuendo piano. « Come preferisci, a me non costa nulla. Ma in ogni caso, davvero, non ti preoccupare. Cioè, è di Wilde che stiamo parlando. Quello è già un miracolo se sta in piedi lui, figuriamoci se ti farà storie per una stupida piantina, te l'ho detto! » Malia Stone, sesto anno, Grifondoro. Specializzata nell'arte del consolare i compagni in difficoltà.
     
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  7. AresCarrow
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    Per un attimo ho la certezza di essere in procinto di ricevere una sberla.
    Malia si volta perplessa, mi guarda come se stesse cercando di realizzare ciò che ho detto e lì, in quell'esitazione, nasce in me la convinzione che quando avrà capito il significato della mia frase un po' contorta la sua mano partirà dritta verso la mia faccia. Non che sia un problema, il colpo in sé, anche perché posso immaginare che non sarà una sberla tanto difficile da schivare e che comunque, anche se mi prendesse, sicuramente non entrerebbe nemmeno nella top ten dei colpi più forti che ho ricevuto, però sarebbe abbastanza duro per il morale. La mia storia con Malia Stone che termina con un colpo al viso proprio nel momento in cui ho finalmente l'occasione di parlarle faccia a faccia, senza nessuno che ci disturbi.
    Di sicuro un finale degno di entrare nella classifica delle peggiori dieci prime impressioni di sempre.
    Ma un istante dopo lei si scioglie, arrivando perfino a mostrare un po' di dispiacere nello scusarsi, e io non so bene come comportarmi. Non sono abituato a persone che iniziano una frase con la parola "scusa". Dalle mie parti ci è stato insegnato che scusarsi è un segno di debolezza, e il mondo che ho visto fuori da casa Carrow ha ampiamente dimostrato quella teoria. Nessuno si scusa nemmeno di fronte agli errori più palesi se non è obbligato a farlo.
    Credo sia questo il momento in cui Malia smette di essere speciale per l'idea che ho di lei e inizia ad esserlo per qualcosa che ha fatto davvero, davanti ai miei occhi.
    La fisso in volto, incerto, e per qualche momento penso che starò lì silenzioso e che ricomincerò a studiare, semplicemente soddisfatto per quello che ho ottenuto. Poi mi scuoto, scrollo le spalle e riprendo ad aiutarla - Non fa nulla. Comunque non stavo ottenendo nulla, e un po' di pausa mi farà bene - magari distraendomi e dando il tempo al mio subconscio di elaborare il problema una soluzione salterà fuori da sola. E' una magra speranza, ma è pur sempre qualcosa. Afferro uno dei vasi più pesanti, con spirito da vero gentiluomo, e lo porto verso l'angolo della serra - Non pensavo dessero già punizioni, comunque. La scuola è iniziata da...quanto? Quattro giorni? - le domando incuriosito. Credo che quello sia una specie di record, ancor più strano agli occhi di uno che, come me, in punizione non ci è mai finito.
    - So che puoi farcela da sola - annuisco, continuando tutta via a darle una mano, seppur con calma. Fatico sempre un po' a cogliere l'essenza di quel concetto: in che modo il fatto che trovi carino darle una mano fa intendere che la credo incapace di farcela da sola? - E non me la sto prendendo sul personale, è che... - stringo le labbra, dondolando appena la testa alla ricerca di una risposta che non sono sicuro di saperle dare. Quanto strano può sembrare, a parole? - E' come una sfida...intellettuale, diciamo. E' un problema, un indovinello, e trovarne la soluzione è...interessante. Capire, è interessante - ok, l'ho detto, e ripetuto ad alta voce suona perfino peggio di quanto non fosse nella mia testa. Se fossi stato zitto, mi dico, sarebbe stato meglio.
    Riprendo a muovermi per la serra, senza tornare a guardarla.
    Mi ci vuole qualche momento prima di alzare lo sguardo, e quando lo faccio mi rendo conto di sorridere. A lei e al ricordo dell'Olympia che mi baciava non lontano da lì, sul retro della serra numero nove. Erano stati dolci, quei baci, affettuosi e sensuali senza mai essere volgari. Erano stati baci bellissimi, fra i migliori che avessi mai ricevuto - No, mi piace quel profumo - e non c'è dolore nei ricordi che porta alla mente, anzi - Mi è sempre piaciuto molto - aggiungo, e il sorriso si può solo allargare, poi, nel sentire la sua insensata proposta. Anche quella è dolce, a modo suo - Ma sarei tentato di dirti di sì solo per vedere la scena, sappilo - ridacchio. Chissà se lo farebbe davvero.
    E' ancora sorridendo che mi avvicino ad una delle piante, che si è appena mossa. La guardo distrattamente, sentendo qualcosa che inizia muoversi fra i miei pensieri. Quella pianta, e Malia che gli chiede se l'ha innaffiata. Sono due pensieri simili, ma ancora staccati, lontani dal capire. Li lascio correre, tornando verso una Malia sudata, spettinata e dalle mani sporche di terra. Bellissima - Non è Wilde, te l'ho detto. Sono io - e pazienza se finirò sfottuto in tutta la torre Grifondoro, se stasera sceglierà di prendermi in giro per quella stranezza. Non mi aspetto che capisca davvero, ma una parte di me ci spera un pochino - Lui un giorno finiremo per interrarlo, come le sue piante, e a qualcuno toccherà innaffiarlo. Olympia magari. Credo che Wilde ne sarebbe contento - aggiungo e mi allontano, la testa più leggera - Che hai fatto per finire in punizione, comunque? -
     
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    « Non pensavo dessero già punizioni, comunque. La scuola è iniziata da...quanto? Quattro giorni? » A quell'affermazione si ritrova, quasi in automatico, a sollevare gli occhi al cielo, quasi con fare esasperato. Ecco he ci risiamo. Non ce l'ha con Ares, non ce l'ha in effetti con nessuno in particolare, forse più con questa continua voglia della gente di rimarcare la rapidità con cui è riuscita a racimolare una condanna da parte di un professore. E per quanto sia ben consapevole che non si tratti di qualcosa di cui andare propriamente fieri, sta già cominciando a pensare che a questo punto, considerato che chiunque incontra pare aver voglia di rimarcare la cosa, tanto vale vantarsene, di essere stata quella ad aprire la stagione di punizioni al castello. Si stringe nelle spalle, mentre resta ferma a guardarlo trasportare un vaso che pare particolarmente pesante, per poi rivolgergli un breve sorriso di gratitudine.
    « Da qualcuno dovevano pur iniziare, no? » scherza con leggerezza, prima di sospirare. « E sì, lo so che probabilmente è un record mai sfiorato da nessuno ma davvero, non c'è bisogno che tu mi faccia i complimenti o ti congratuli. Sono una persona normalissima come tutti gli altri » mentre parla mette su un'aria un po' da diva, il naso all'insù e gli occhi leggermente socchiusi, per poi spostarsi i capelli dietro la spalla con un gesto un po' teatrale. Se la situazione è questa, tanto vale prendersi in giro da sola.
    A grandi falcate raggiunge nuovamente l'altra parte della serra, prende un altro vaso tra le mani per poi trasportarlo verso il nuovo mucchio. Con l'aiuto del ragazzo, la mansione è diventata più rapida da portare a termine, e forse anche più piacevole. Ha sempre odiato il silenzio totale, lei, e scambiare quattro chiacchiere mentre si dà da fare rende tutto meno antipatico. Mentre prosegue verso i vasi, camminandogli accanto a passo quasi lento, lo ascolta parlare. « E' come una sfida...intellettuale, diciamo. E' un problema, un indovinello, e trovarne la soluzione è...interessante. Capire, è interessante. » Aggrotta le sopracciglia. Deve essere onesta, non riesce a immedesimarsi a pieno nel suo ragionamento, ma in qualche modo può capire quello che pensa. Il fatto è che per lei la scuola è pur sempre scuola, non sa vederla come una sfida personale, un modo per migliorare le proprie abilità in un determinato campo, specie se questo è qualcosa di noioso come l'Erbologia. Ma lei, in fin dei conti, sa di sentirsi un po' così, quando si parla di Quidditch, o di Duelli; certo, quelle non saranno mai sfide intellettuali come può esserlo prendersi cura al meglio di una pianta, ma immagina che il sentimento di frustrazione nel non riuscire a portare a termine qualcosa a cui si tiene davvero sia molto simile. A lei non piace per niente fallire, o dover chiedere aiuto, se si tratta di materie che le interessano davvero, e in cui vuole eccellere, e quindi, anche se in una certa misura, può riuscire a capire il ragionamento del ragazzo.
    « Sì, penso di capire che intendi » risponde, annuendo piano, prima di accovacciarsi per depositare l'ennesimo vaso per terra. Poi si volta nella sua direzione. « Come quando ti alleni a Quidditch; che ci provi tante volte, a tirare la pluffa dentro agli anelli, fino a che non ci riesci. E di certo non può farlo qualcun altro per te » dice, un po' sovrappensiero, accorgendosi solo mentre parla che forse il suo paragone non calza propriamente a pennello, ma beh, è convinta che Ares sia comunque capace di capire ciò che vuole dire lei.
    « No, mi piace quel profumo. Mi è sempre piaciuto molto » Annuisce piano, Malia, mentre si morde leggermente il labbro inferiore. Non sa esattamente cosa rispondere a quest'asserzione, e quindi si limita a serrare le labbra e a guardarlo, per qualche istante.Olympia in un momento del genere avrebbe senza dubbio saputo come rispondere, lei a essere sincera si trova un po' in imbarazzo. Non è mai una bella situazione quando ci si ritrova nella stessa stanza con l'ex della propria migliore amica; lo si vorrebbe odiare per solidarietà, eppure non si ha mai ricevuto in concreto nessun torto dalla persona in questione.
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    E d'altra parte, nonostante l'estrema riservatezza della rossa circa certe questioni, Malia non crede che lei e Ares si siano lasciati in un modo brusco o eccessivamente tremendo; certo, una rottura non è mai qualcosa di piacevole, ed è sempre seguita da quel classico imbarazzo del non sapere come comportarsi l'uno con l'altra, ma Malia in ogni caso suppone di non dover odiare per forza il giovane Carrow.Così fa finta di niente, e torna a dedicarsi ai propri vasi, pur sempre un po' sovrappensiero. « Ma sarei tentato di dirti di sì solo per vedere la scena, sappilo. » Per tutta risposta gli rivolge un sorriso, divertito, e scuote leggermente la testa. Ridacchia anche alla battuta su Wilde, fermandosi un attimo al centro della serra, per poi sospirare alla sua ultima richiesta. « Che hai fatto per finire in punizione, comunque? »
    Si passa una mano a riordinare i capelli, un po' distrattamente, prima di prendere un altro, lungo, sospiro. « Ho fatto cadere un paio di scaffali in Biblioteca. Forse ho fatto anche un po' troppo di rumore ma... Niente di che, davvero. È che in questo regime del terrore anche una cosa minuscola come questa è punibile con la pena peggiore » scherza, anche se un fondo di verità c'è in ogni caso. Se qualche anno fa avesse fatto lo stesso, probabilmente le avrebbero tolto un paio di punti, certo, ma niente di così grave. Di sicuro non sarebbe stata costretta a trascorrere un pomeriggio a fare i lavori forzati così. Si stringe nelle spalle, con fare rassegnato. « Ma così va il mondo, dopo tutto. Tu scommetto che in punizione non ci sei mai finito, vero? Ma che dico, non devi aver mai preso neanche un voto sotto alla E, tu. »
     
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  9. AresCarrow
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    Temo di essere rimasto immobile per qualche istante di troppo a fissarla.
    Ogni tanto mi succede, quando non sono sicuro del vero significato di quello che ho davanti, e se anche so per certo che è ironica nel parlare di complimenti quello che mi sto chiedendo è se davvero sia convinta di essere una persona normalissima, come tutti gli altri, se ne sia profondamente e intimamente convinta. Non conosco molte persone che affronterebbero un simile primato con tanta leggerezza, con la voglia di scherzarci sopra perfino, e se anche mi rendo conto che le mie rade frequentazioni rappresentino un campione decisamente parziale del mondo sono abbastanza sicuro che la maggior parte degli strumenti affronterebbe quel compito ringhiando insulti o maledicendo una sfortuna che ai miei occhi non esiste. Così la fisso, con lo sguardo di chi non sia del tutto sicuro di quello che sta ascoltando e le labbra piegate nell'ombra del sorriso tipico di chi ne mostra molto pochi, al mondo. Forse è quello che mi salva dal sembrare eccessivamente inquietante.
    O, almeno, spero che sia così.
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    - Esattamente, qualcosa del genere - le dico invece, spostando ancora un vaso mentre una parte della mia mente continua a lavorare ad un livello decisamente diverso. Penso, rifletto, macino e mentre parlo con lei vado avanti, fluido, lasciando macerare tutti gli elementi di un problema nella speranza che salti fuori qualcosa. Ci sono quasi. So di esserci quasi, eppure... - Perché poi sai che quando sarai in partita e dovrai...non so...essere migliore del cacciatore di Serpeverde - e qui il sorriso di amplia un pochino, con un briciolo di malizia, quasi a pregustare il momento in cui lui e la Stone si vedranno proprio in quel ruolo su un campo da Quidditch - ...perché sai che poi quando servirà davvero non ci sarà nessuno che potrà aiutarti. E comunque se ti da una mano qualcuno non c'è la stessa soddisfazione, no? - aggiungo con più serenità dopo un istante, lasciando che il cameratismo corra un po' per la sua strada. Un minimo di fedeltà alla bandiera è inevitabile, immagino, ma nonostante quello non sono mai riuscito più di tanto a trovarli interessanti quelli scontri. Nella mia testa un avversario è solo qualcuno da superare in abilità per migliorare e per crescere ancora, e in quello non c'è fazione, non c'è altra fedeltà che a se stessi.
    Il vantaggio è che, proprio per quello, nella mia testa non c'è spazio per odi o rancori che non siano strettamente necessari. Li trovo noiosi.
    Scuoto appena la testa mentre mi avvicino a dei cespugli fioriti, dall'altra parte della serra. Dubito che due scaffali che crollano al suono possano fare solo "un pochino di rumore" e comunque una serra da sistemare mi sembra una punizione abbastanza leggera, soprattutto se fatta così, senza nessuno a controllarla. Non dico nulla, però, perché dubito che lei stia parlando seriamente e comunque c'è un certo fascino nel modo in cui cerca di minimizzare la cosa con una risata. Mi volto a gettarle un'occhiata da sopra la spalla - In realtà sì...hai presente il recinto degli ippogrifi? Hai mai notato com'è verniciato bene? - una stretta di spalle, mentre mi volto di nuovo a guardare i fiori che ho davanti. Parlo con calma, sovrappensiero - Merito mio, di quella volta che ho cercato di cavalcarne uno e...oh, una volta ho dovuto seminare mandragola per tutta la serra numero tre, un'intera domenica, e al secondo anno ho passato quasi due giorni a pulire la guferia. Tutta. Senza bacchetta - ci tengo a sottolineare, e provateci voi a pulire un luogo in cui decine di uccelli continuano a defecare allegramente, in continuazione, senza alcun rispetto per il vostro lavoro. Voglio vedere se non li odiereste anche voi, alla fine, quei fottutissimi pennuti. Stacco due fiori gialli dal cespuglio, cercandone poi uno rosso, più grosso e colorato, da piazzarci nel mezzo. Sì, dovrebbero andare - ma hai ragione, non ho mai preso un voto sotto la E - convengo però tornando da lei. Qualche passo, fino a fermarmi di fronte a lei - Comunque nessuno dovrebbe battere un record senza avere un premio, o delle congratulazioni e...beh, congratulazioni - le dico nel porgerle i tre fiori.
    Un pensiero così.
    Volante.
     
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8 replies since 11/9/2017, 13:56   103 views
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