L'arte della guerra

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  1. Il Mago che Danza sulla Luna
         
     
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    Lago Kawaguchi, Prefettura di Yamanashi
    1989

    « Ancora. »
    La figura imponente di maestro si stagliava su di lui, un inerme ragazzino disteso sopra l'erba. Sotto la lunga tunica cerimoniale, il petto di Westley si alzava e abbassava ritmicamente, più veloce del normale, furiosamente calciato dalla fatica dell'allenamento. Era quest'ultima il vero nemico da affrontare, lei che silenziosa gli avviluppava i muscoli, rendeva più lenti i movimenti, meno scattante lo sguardo. Takezo al contrario non sembrava sortire alcun effetto da essa: proprio com'era arrivato nel cortile della tenuta di Furude, più di un'ora prima, così se ne sarebbe andato. Se anche fosse stato affaticato, non avrebbe lasciato che si vedesse. Così giapponese. E Westley, malgrado fosse solo un bambino di nove anni, era così occidentale: scalmanato, iperattivo, con la potenziale capacità di distruggere ogni cosa che toccasse. L'aria pacifica del Giappone, ed in particolar modo di quella casa isolata sulle rive del lago, sembrava aver sortito anche sull'animo del piccolo Darling un effetto calmante ma il bambino continuava ad avere l'Ardemonio in sé, sempre sul punto di scoppiare. Furude-san talvolta scherzava chiamandolo Fuji, come il vulcano che potevano vedere dalla tenuta. Riafferrò la spada da kendo che gli era volata via cadendo e balzò ancora una volta in piedi, rimettendosi nella posizione di partenza che Takezo, divenuto suo istruttore personale, gli aveva insegnato la prima volta che si erano conosciuti. Un passo avanti, parata, di lato a destra, attacco, difesa e.. con una pesante sferzata al polso lasciato sguarnito, la spada di Westley cadde ancora una volta a terra. « Ahi! » protestò massaggiandosi la mano, che pure era coperta da guanti imbottiti. Takezo non era mai stato di mano leggera né si era mai risparmiato solo per il trovarsi di fronte un bambino: questo gli era stato chiesto quando era stato assunto, questo diligentemente egli faceva. « Ancora. » ripeté freddo l'uomo, impassibile di fronte al dolore dell'avversario. Aveva avuto modo di vedere Takezo fuori dai panni del maestro, più volte Furude-san aveva condiviso con lui il tè e le vecchie storie del passato e aveva scoperto un lato di lui che non traspariva dagli allenamenti: quello di un uomo gentile e affabile, educato e con un certo carisma. Quando indossava la maschera da kendo, tuttavia, sembrava mutare completamente. Qualcosa che Westley conosceva bene. Raccolse l'arma e si rimise in posizione: avanti, affondo a vuoto, parata, fatica. La spada di Takezo colpì violentemente il casco che schizzò in aria, lasciando il viso attonito di Westley scoperto. « Ancora. » Westley lanciò la spada per terra, togliendosi velocemente i guanti. « NO! BASTA! » Il suo viso era paonazzo di rabbia e delusione; dall'ombra del ciliegio sotto cui era seduto, Furude alzò gli occhi dalle carte che stava leggendo e sorrise bonariamente. « Già ti arrendi, Westley-san? Non dicevi tu di voler diventare un guerriero? » Sì, ma.. Darling abbassò il visino, guardandosi la punta dei piedi preso dall'imbarazzo. Non poteva certo dimenticare tutte le suppliche che aveva fatto al suo tutore perché questi gli permettesse di potersi allenare in una nobile disciplina orientale, malgrado gli ammonimenti di Furude su quanto non fosse corretto, poi, non terminare qualcosa che si è iniziato. Pensaci bene prima di intraprendere un cammino, non sai se troverai mai un sentiero di ritorno: l'unico sentiero certo è quello che imboccherai. Takezo gli arrivò alle spalle, posando una mano sulla spalla del bambino; il primo gesto vagamente simile all'affetto che ricevette da lui. « Perseverare è la chiave del successo. Trai insegnamento dalla sconfitta: non è il più abile in assoluto chi in cento battaglie riporta cento vittorie. » Furude-san sorrise annuendo, guardando negli occhi il maestro e subito dopo Westley. « Sii veloce come il vento, lento come una pianta, aggressivo come il fuoco, immobile come una montagna, inconoscibile come lo Yin, irruento come il tuono. » Trascinando i piedi nell'erba, con un broncio che nascondeva la vergogna del momento, Westley raccolse i guanti, che infilò alle mani, la maschera e la spada di legno. Takezo era già pronto, ancora una volta, in posizione da battaglia.
    « Ancora. »

    [...]


    Due settimane scarse non sarebbero certo bastate per conoscere il castello di Hogwarts. Quelle mura millenarie nascondevano molto più di ciò che facevano vedere e la magia faceva il resto: scale che cambiavano disposizione, passaggi segreti, tutto sembrava stato studiato a tavolino per disorientare chiunque ci vivesse. Per giorni aveva incrociato frotte di studenti oramai abituati, dopo anni, alle stravaganze del castello che pareva animato da vita propria. Quanto a Westley, si sentì può volte come un ragazzino vittima di bullismo, come non si era mai sentito: il bullo era il castello. Lontano anni luce dall'Accademia di Mahoutokoro, un'imponente pagoda incantata circondata da ettari ed ettari di foresta, in quello Hogwarts non era poi così diversa. Non gli dispiaceva affatto l'imprevedibilità della scuola di magia, era come se in qualche modo quel vuoto invogliasse la segretezza, come se fosse naturale per chiunque vi abitasse avere degli scheletri nell'armadio, tanto positivo per lui quanto negative erano le restrizioni magiche che lo vincolavano al castello. Un prezzo che tuttavia era disposto a pagare, fosse anche solo per la ventata di novità e avventura che l'edificio stesso gli ispirava. Aveva vissuto così tante missioni e, in incognito per esse, così tante vite che gli sembrava così strano doverne svolgere una tanto semplice: essere sé stesso - il sé stesso che l'Inquisizione conosceva, perlomeno. Nella più completa tranquillità, dunque, si concesse Settembre come mese di assestamento e, ancor più, di esplorazione. Ogni mattina si svegliava all'alba, più per scomoda abitudine che per precisa scelta di vita, e ad ogni mattina lasciava gli alloggi che il preside Kingsley gli aveva concesso - poco lontano dall'aula di Trasfigurazione - per cercare di capire meglio il luogo che avrebbe dovuto chiamare casa in quella nuova vita. Imparò presto piccoli trucchi noti a tutti: che basta sedersi al tavolo della Sala Grande perché il cibo appaia magicamente; che tutti i quadri di Hogwarts sono collegati e i loro abitanti sono tra gli esseri meglio informati che abbia mai conosciuto, ma soprattutto ben disposti a parlare se ripagati con le giuste attenzioni; imparò soprattutto che gli sarebbero serviti altri sette anni per imparare davvero qualcosa. Come ogni mattina, nella più completa solitudine mangiò qualcosa al tavolo degli insegnanti della Sala Grande, era affascinato da quel luogo che all'alba riluceva di una luce tenue grazie al soffitto incantato; quando si alzò, terminato il pasto, vide posate e stoviglie sparire ancora una volta, magicamente. « Perché non ci ho mai pensato, a casa? » Aveva passato buona parte della precedente mattinata a passeggiare per l'intricato dedalo dei sotterranei, rischiando non poche volte di perdersi, e davvero sarebbe successo se non avesse avuto l'accortezza di imparare con precisione chirurgica il percorso. Decise quindi di cambiare completamente aria e scoprire qualcosa di più dei piani alti del castello. Fu così che i passi lo portarono al settimo piano: imparò l'ubicazione della torre di Divinazione - anche facendo mente locale, non ricordò chi tenesse la cattedra né se avesse conosciuto quel collega al banchetto di inizio anno - e qualche corridoio dopo, della torre di Grifondoro. Un ritratto sigillava l'entrata e la guardiana era una signora vestita con un abito barocco rosa confetto, capì immediatamente che doveva essere la famosa Signora Grassa.
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    Solo dopo un ultimo giro di perlustrazione si sentì soddisfatto e optò per concludere il giro visite, il sole si era oramai levato e non sarebbe passato molto prima che gli studenti iniziassero ad uscire a fiumi dalle loro sale comuni, pronti a razziare le dispense della scuola. Fu nella via di ritorno, imboccando l'ennesimo corridoio, che si trovò di fronte una porta insolita, molto diversa da tutte le altre: più alta, più larga, circondata da bizzarri intarsi in pietra. La tipica porta che attirerebbe l'attenzione di chiunque, figurarsi ad un novellino del castello come Darling! Sbirciare oltre l'uscio gli sembrò la cosa più naturale del mondo: ciò che si trovò di fronte fu inaspettato, in pieno stile Hogwarts. La porta nascondeva una grandissima sala, sulle pareti in fila numerosissime armature di foggia orientale, alternate alle quali vi erano supporti per armi, occupati da decine di spade. Non serviva avere una profonda conoscenza della scuola di Hogwarts per capire che, probabilmente, un'armeria piena di lame del periodo Tokugawa non doveva essere la normalità, nemmeno per i canoni di stramberia di quel luogo. Al centro della sala, un ragazzo stringeva tra le dita una katana e la muoveva con una maestria che non ci si aspetterebbe da uno della sua età - uno studente, a occhio e croce. Impressionante, ma migliorabile. « Raddrizzala. - esordì l'uomo, indicando la lama che il moro teneva leggermente inclinata. - ..eviterai che al tuo avversario basti un solo fendente per disarmarti. O mozzarti una mano. » Cos'avrebbe dovuto fare un professore in quel caso: rimproverarlo? ammonirlo? togliergli punti? Sì, aveva da poco scoperto l'esistenza di un sistema a punti, totalmente alieno a lui. Optò per non considerarsi ancora un professore, tanto più che non aveva ancora bevuto né caffè né whiskey: la giornata, insomma, non poteva dirsi iniziata veramente. Era probabile che lo spadaccino avesse visto Westley Darling al tavolo dei professori durante il banchetto, nel quale era stato presentato il nuovo corpo docenti: lui doveva sapere chi fosse Darling, ma Darling non aveva idea di chi fosse lui. Alzò le mani, in segno di pace: « Devo essermi perso, cazzo se è grande questo posto. » Non ho intenzione di punirti, continua a giocare al samurai, ragazzo. Ci sono passato anch'io.
     
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  2. AresCarrow
         
     
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    Delle innumerevoli forme e filosofie che l’arte bellica ha creato nel corso della storia umana, la più pura è indubbiamente quella del Bushido, la fin troppo celebre Via della Spada dei samurai. Quella dell’Arte della Guerra nipponica è infatti un percorso di Onore, Disciplina e Autocontrollo in cui mi sono sempre riconosciuto molto più che in qualsiasi forma di infiammata esaltazione del sangue e della violenza in cui mio padre ha voluto mettermi a stretto contatto. Non ci sono sentimenti nel Bushido, né rabbia o risentimento o piacere. C’è solo una ferrea volontà di perfezione e di vittoria che spinge il guerriero a liberarsi dell’ingombrante peso del proprio IO per trasformare sé stesso nell’arma da usare e l’arma che ha in mano in una parte di sé stesso.
    È la forma più simile alla meditazione cui un uomo può ambire tenendo un’arma in mano.
    Impugno la katana come mi è stato insegnato da bambino, deciso e delicato insieme. Rispettoso, perché anche se non credo che la spada che tengo fra le mani abbia mai spillato il sangue di un solo uomo dal giorno in cui è uscita dalla forgia fino ad oggi questo non la rende di sicuro incapace di farlo. Mi è stato insegnato che di tutte le armi create dall’uomo le spade sono le più pure, quelle il cui unico scopo è quello di uccidere altri esseri umani, e quella loro purezza assassina è degna del rispetto che si riserva a tutto ciò che è puro nell’assoluzione del proprio compito. Non si può cucinare con una spada come si fa con un coltello, ne andarci a caccia come è possibile fare con un arco, una freccia o un fucile. No, una spada ha un solo scopo e quella che sto impugnano non fa alcuna eccezione: che non abbia ancora avuto occasione di farlo è un dettaglio privo di importanza.
    Socchiudo gli occhi e cerco di scacciare i pensieri che assillano la mia mente mentre con sicurezza crescente eseguo quei movimenti che ho ripetuto fino a farmene venire la nausea. Non ho mai creduto a chi mi diceva che un giorno sarei stato capace di trovare la pace in quella costante ripetizione eppure, mentre mi muovo sempre più velocemente nella ripetizione del dojo di Osaka in cui ho avuto l’onore di allenarmi una volta, parecchi anni fa, sento le preoccupazioni che scivolano via lungo le braccia e le gambe, spinte dal sudore che inizia a stillare dai pori. La preoccupazione per Mun, che a tratti sento distante da me per la prima volta da quando siamo venuti al mondo, la presenza di Olympia e le sue scelte, che non capisco ne condivido, e quella Malia il cui sguardo mi ossessiona degno del nome che porta. Più mi muovo e più quei pensieri si allontanano, assumendo una nuova proporzione e una nuova posizione nella galassia del mio io.
    La voce che sento all’improvviso mi fa mettere un piede in fallo, obbligandomi a fermarmi. Mi volto verso la porta, la spada ancora in mano. Non mi sono accorto che qualcuno l’abbia aperta, ne ho avuto alcuna percezione dello sguardo di quell’estraneo su di me. Inutile dire che la cosa mi contraria non poco. Fisso l’uomo per qualche istante, prima di raddrizzare leggermente la spada. E’ uno dei nuovi professori, ricordo il suo volto dalla presentazione al banchetto di qualche sera fa, ma non sono ancora sicuro di quale sia la maniera migliore di comportarmi con lui e quindi il silenzio continua a sembrarmi la scelta migliore. Certo è che aveva ragione e la posizione della lama, che pure mi sembrava perfetta fino a pochi istanti fa, appare ora perfino migliore.
    Onore, autodisciplina e dettaglio.
    Pare palese che il concentrarmi sulle prime due mi abbia reso decisamente ottuso alla seconda.
    Mi rilasso e abbasso la lama. Rifiutare una correzione solo perché urta il proprio orgoglio è la scelta dello stupido, oltre che del superbo, e per quanto sia poco incline ai rapporti amichevoli il sorriso che mi rivolge ha un che di piacevole - Temo sia enorme, per chi non lo conosce. E…cangiante – lui le aveva odiate quelle scale, il suo primo anno ad Hogwarts. Il che rende a suo modo inevitabile una certa punta di curiosità - Posso dedurre che quindi lei non ha studiato qui? -
     
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  3. Il Mago che Danza sulla Luna
         
     
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    Doveva essere una situazione paradossale per entrambi, glielo lesse negli occhi. Non aveva di certo messo in conto di poter essere interrotto nel suo momento personale da qualcuno, men che meno da un professore. Westley, poi, era quasi sicuro che il possesso di armi nei confini della scuola fosse severamente punito. Ciò nonostante, per la forma mentis con cui era cresciuto e per gli ambienti nei quali era stato educato, paradossalmente quella sala fuori dal tempo e dallo spazio rappresentava la cosa più vicina a casa che avesse visto da tempo. Non sembrava neppure essersi accorto della presenza di un estraneo alle sue spalle ma come dargli torto? Per vent'anni era stato pagato per arrivare alle spalle delle persone senza che se ne accorgessero. Prima che al talento, attribuì all'esperienza quella capacità. « Molto bene. » mormorò annuendo, soddisfatto dalla correzione del ragazzo. Ecco, quella era la posizione perfetta, capace di unire la difesa e l'offesa in un equilibrio fine. L'intrusione, tuttavia, portò necessariamente alla fine dell'allenamento. Almeno temporaneamente. L'allenamento non ha mai fine. « Temo sia enorme, per chi non lo conosce. E… cangiante. » Cangiante. Quell'aggettivo lasciò un piacevole gusto nelle orecchie del mago, aggiunto ad un non-so-ché di intrigante. Un edificio cangiante che sembrava dotato di vita propria, mutevole: lo sentì improvvisamente affine. Come se Hogwarts fosse sempre stato un luogo predestinato. Ironico anche solo pensarlo, dopo aver apertamente sfidato il Fato anni prima ingaggiando con esso una battaglia che non era neppure sicuro di poter combattere. Era cresciuto con la convinzione che il destino esiste e muove i fili degli uomini come marionette ma una volontà incrollabile, talvolta, è capace di spezzare quei fili e sconfiggere il Fato. Eppure qualcosa l'aveva condotto là e tutto tra quei muri puzzava di destino. Sto perdendo, ah? « Posso dedurre che quindi lei non ha studiato qui? » Anche un cieco avrebbe potuto notare la differenza tra un figlio di Hogwarts e uno straniero: molti suoi colleghi, una volta tornati al castello dopo anni, avevano chi più chi meno negli occhi un vago sentore di nostalgia cullata da ricordi preziosi; Westley aveva solo curiosità, come uno stupido turista. Di Hogwarts non era ancora riuscito ad assaporare la magia. « Deduci bene, signor..? » mosse una mano verso il ragazzo. Presentati, prego. Tra le istruzioni che gli erano state date, c'era quella di chiamare gli studenti "Signore" e "Signorina" - perché il rispetto e il decoro della scuola viene prima di tutto - e con un certo impegno avrebbe anche potuto provarci. Ma sapeva sarebbe durato molto poco. Il lavoro al Ministero lo aveva costretto al rigido rispetto delle regole, e con esse delle etichette, ma in un parco giochi del genere com'è possibile rimanere rigidi? I dettagli della missione erano stati chiari: sii te stesso. E Westley Darling, dopo vent'anni, ne aveva piene le palle delle regole fini a sé stesse. Si avvicinò lentamente ad una delle armature che sorvegliavano la sala e la fronteggiò a testa alta, da pari a pari. « Da dove vengo io, di queste ce n'erano a valanghe. » Voltò il viso verso il giovane e intercettò la sua espressione: curiosità o perplessità? « La Nobile e Venerata Accademia di Mahoutokoro, pensa te.. » recitò con una lieve cadenza sarcastica, alzando appena gli occhi al cielo. Un'espressione davvero eloquente: come se la cantano e se la suonano i giapponesi, pochi altri. Vero era che Mahoutokoro poteva vantare tra i suoi studenti altissime personalità della magia orientale, nessun'altra scuola avrebbe potuto superarla in prestigio. Qualcosa che, da quanto aveva capito, ha in comune con la scuola di Hogwarts. Superò l'armatura e due passi e affiancò la rastrelliera su cui erano adagiate diverse spade. Ne prese una tra le mani, soppesandola: era vera, non una squallida riproduzione. Quella katana era dannatamente vera. « E io posso dedurre che Hogwarts non abbia un'armeria? C'è qualcosa che devo sapere su questa stanza? » In una fluidità di ruoli, l'insegnante diventò allievo camminando in una terra che gli era sconosciuta. Aveva bisogno di una guida - e chi non ne ha bisogno? Qualcosa gli suggerì che anche il giovane serpeverde avesse bisogno di essere guidato, come tanti anni prima ne aveva avuto bisogno lui.
     
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  4. AresCarrow
         
     
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    - Carrow -
    Pronuncio il nome della mia famiglia, il mio nome, senza esitazione. Un professore avrebbe tutto il diritto di punirmi per essere lì in quel momento, con un arma in mano, ma non c'è ne pentimento ne vergogna sul mio volto per quanto sarebbe forse più saggio che ce ne fosse. Appoggio la punta della spada sul tatami posato sul pavimento e resto lì, a reggerne lo sguardo. Non c'è nulla sul mio volto perché non provo nulla nel mio animo, se non una vaga curiosità. L'uomo, che pure si muove leggero e con un sorriso allegro sul volto, emana un senso di autorità che è impossibile ignorare.
    No, non di autorità. Di autorevolezza.
    Non me ne rendo subito conto ma, nel guardarlo mentre si muove per la Stanza delle Necessità, ho raddrizzato la schiena e alzato il mento in una posa che seppur rilassata appare più marziale di quanto non mi sia abituale. C'è una differenza sostanziale fra un professore e un maestro, nel senso autentico del termine, e per quanto sia presto per dirlo ho il sospetto di trovarmi di fronte ad un esemplare del secondo tipo. Le sue parole successive non fanno che confermarmi quello che vedo già nei suoi gesti, o che forse desidero di vedere, e una parte di me freme nel trovarmi di fronte nuovamente con qualcuno che ha passato parte della sua vita immerso in una cultura di cui io ho potuto abbeverarmi solo per interposta persona. Sono stati molti gli insegnanti di arte bellica che ho incontrato sul mio cammino, ma con nessuno ho trovato la pace come in quello che ho maldestramente riprodotto intorno a me. Vittoria e soddisfazioni, forse, ma mai pace.
    - Mahoutokoro - ripeto con una punta di ammirazione. E' un posto, quello, che ha il sapore della leggenda. Mahoutokoro. Perfino il nome basta ad evocare storie di onore e nobiltà - So che sono molto severi nei criteri di ammissione e che pochissimi occidentali sono riusciti ad accedervi... - non riesco a trattenermi. Mio padre non mi avrebbe mai permesso di allontanarmi tanto, ne forse sarei mai stato pronto ad un distacco tale dalla cultura che è mia di nascita, ma mi è impossibile non trovare affascinante l'idea di un tale distacco.
    - Hogwarts non ha un'armeria - gli confermo, accompagnando quelle parole con un cenno del capo. Muovo un passo, a recuperare il fodero della katana per poi riporvela, con cura - Questa è la Stanza delle Necessità. E' una stanza mutevole, in grado di cambiare a seconda dei bisogni chi la apre. Ci vuole un po' di pratica per farla funzionare a dovere ma in linea di massima basta pensare a quello che si vuole per avere...questo - e gli indico la stanza intorno a me. Poi, con curiosità più pungente - Mahoutokoro non ha un luogo simile? -
     
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  5. Il Mago che Danza sulla Luna
         
     
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    « Carrow. » ripeté il professore, buttando un'occhiata sulla figura austera del giovane. Era un Carrow, membro della celebre dinastia: avevano fatto la storia, nel bene e nel male. Non era mai stato pratico di storia magica inglese, fino al momento in cui ormai diciassettenne era tornato in suolo britannico per diventare, ironia della sorte, membro del gruppo di spionaggio di un paese che non era nemmeno il suo. Non veramente, a dispetto di ciò che il certificato di nascita di Westley Darling asseriva. Fu durante l'addestramento a cui il corpo speciale W.A.N.D. lo sottopose che si imbatté nel nome dei Carrow. Amycus e Alecto Carrow. Erano stati tra i protagonisti di un capitolo buio della storia della comunità magica inglese e, se ricordava bene, della stessa Hogwarts. Se le voci sui due fratelli erano vere e se il giovane Serpeverde, qualunque fosse il grado di parentela - ed era sicuro fossero parenti - avesse ereditato anche solo un pizzico del loro estro, non sarebbe stato male tenere gli occhi puntati sul giovane. Se ne stava là, al centro della stanza, rigido e impalato come un soldato e fu inevitabile per il mago rivedere sé stesso, in una certa misura. Non era mai stato tanto ligio al dovere e alla disciplina da imporre a sé stesso un assetto marziale, eppure quello era l'aggettivo che avrebbe potuto descrivere meglio la sua intera vita. Marziale. Fredda e dura come il ferro e altrettanto mutevole, se sottoposta ai giusti stimoli. Altrettanto simile fu la reazione di Carrow al solo sentir nominare l'accademia di Mahoutokoro: aveva dieci anni quando la pergamena di ammissione arrivò alle sue piccole mani e una folle esplosione di sogni gli colorò il cervello. Li lesse tutti negli occhi di Ares. « So che sono molto severi nei criteri di ammissione e che pochissimi occidentali sono riusciti ad accedervi.... » Per chi non fosse abituato all'austera e rigida disciplina giapponese, i metodi didattici di Mahoutokoro avrebbero potuto sembrare quasi dittatoriali; di certo fu quello che pensò lo stesso Westley, bambino con l'Occidente nelle vene e una certa predisposizione al caos. Egli era caos. Ma per un ragazzo abituato a tirare di spada nella solitudine dell'intimità, rifletté, i metodi di Mahoutokoro non potevano che essere un pregio. « Sono molto severi in tutto ciò che fanno, paradossalmente l'ammissione è la parte più semplice. » Era impossibile spiegare, così su due piedi, un mondo diametralmente opposto. Il Serpeverde sembrava talmente interessato che il professore non se la sentì neppure di stroncare in modo brusco un filo di ricordi che lo riportò indietro, ai suoi undici anni. « Una delle cose che mi ha sorpreso di più di Hogwarts sono le casate: sia per i pochi numeri che per non creare inutili rivalità, non veniva fatto alcuno smistamento in Giappone.. » La competizione tra studenti non era mai stata vista di buon occhio all'accademia giapponese, perché il vero avversario da superare è sempre sé stessi. « Era più un percorso di.. crescita individuale, immersi in una collettività. Al nostro ingresso in Accademia ci venne data come divisa una veste incantata: non solo riusciva ad adattarsi alla corporatura dello studente ma, col passare degli anni e con la maturazione, essa cambiava colore. Le matricole iniziavano con una veste rosa ciliegio, il fiore più puro e più bello. » Alzò le spalle, lasciandosi scivolare addosso quel momento di puro romanticismo.
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    « Ironico: qui in Occidente è il bianco il colore della purezza. Quando le vesti di Mahoutokoro diventano bianche, significa che lo studente ha commesso un errore.. e non un errore qualunque. Magia oscura, violazione dello Statuto di Segretezza.. non puoi farla franca. Diventi bianco? Sei nella merda. » Lanciò a Carrow uno sguardo eloquente. Sbagliare è umano ma non sempre la vita ti concede una seconda opportunità. Ma il Giappone era lontano e a Hogwarts, se lo sentiva nelle ossa, tirava tutt'altra aria. Edmund Kingsley non gli aveva dato l'impressione di avere il rigido e folle codice d'onore del preside dell'Accademia. L'aria a Hogwarts era ambigua: si respirava libertà ma tutto lasciava intendere che la libertà avesse lasciato da un pezzo quelle mura. L'unica nota positiva rimasta a Hogwarts era la magia. « Questa è la Stanza delle Necessità. E' una stanza mutevole, in grado di cambiare a seconda dei bisogni chi la apre. Ci vuole un po' di pratica per farla funzionare a dovere ma in linea di massima basta pensare a quello che si vuole per avere...questo. » Una stanza magica? Tutto aveva urlato "magia" da quando aveva oltrepassato la grande porta della Stanza ma, seppure in vita sua ne avesse visto di ogni, la prodigiosa magia di quel luogo lo lasciò piacevolmente stupito. Alzò all'altezza del viso la spada che ancora stringeva tra le dita e, con un unico e sapiente movimento, la sguainò. « Questa è opera della Stanza? Cazzo! » La Trasfigurazione era una materia eccezionale e chi meglio di lui avrebbe potuto saperlo? Ma traeva forza dalla magia dell'uomo, catalizzata da una bacchetta magica. Quella lama era invece era stata plasmata dai desideri di un semplice ragazzo, grazie ad una magia antichissima di cui quelle pareti e solo quelle erano impregnate. Non era il fatto in sé a sorprenderlo, ma il come: andava oltre ogni sua conoscenza di Trasfigurazione e perfino di Alchimia egli avesse. Folle, ma nel più bello dei sensi. « Mahoutokoro non ha un luogo simile? » Come se la reazione di Darling, per quanto non esagerata, non fosse stata abbastanza eloquente. Si concesse altri due secondi per lasciare che la luce della stanza si riflettesse sulla lama lucidissima e con essa gli occhi glaciali dell'uomo, prima di rifoderarla. « Mahoutokoro ha i suoi segreti ma, in linea di massima, è.. come la vedi! O quasi. Ma non credo avrebbero mai accettato una stanza del genere, i maghi giapponesi e la Trasfigurazione hanno un rapporto controverso. Questioni culturali. » Gli aveva lasciato la pulce nell'orecchio, che avrebbe potuto approfondire in futuro se avesse voluto. Anche perché.. « E io, guarda un po', vi insegnerò proprio Trasfigurazione! » Sogghignò appena, divertito. Controverso era il suo secondo nome.
     
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  6. AresCarrow
         
     
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    Annuisco una volta, senza molto altro da dire.
    L'idea che una scuola possa essere davvero "difficile" non mi turba ma anzi, mi stimola: ai miei occhi Hogwarts è sempre stato più simile ad un villaggio in cui vivere e costruire una comunità che un ambiente in cui si possa davvero affinare se stessi fino a giungere alla versione migliore che possiamo sperare di dare al mondo. Io per primo, nonostante l'autodisciplina non mi manchi, non sono esente da un gran numero di distrazioni, di vizi, di pessime abitudine che seppur soddisfacenti sono decisamente un ostacolo su una via già abbastanza irta di per sé. Hogwarts non ha alcuna selezione all'interno e questa, forse più di qualsiasi questione di sangue, è la sua più grande pecca ai miei occhi.
    Ne seguo i movimenti per la stanza, ascoltandone incantato il racconto. Il mondo che mi descrive è un luogo molto più severo e introspettivo di quello in cui sono immerso io, e a suo modo decisamente più affascinante. Mi chiedo per un attimo se sarei disposto a lasciare tutto quello che ho qui, i lati negativi ma anche quelli positivi - Mun, il Clavis, i piaceri di Hogsmaede e tutti gli affetti che ho saputo costruirmi in questi anni a scuola - per una vita di educazione quasi monastica come quella che mi sta descrivendo adesso il professore. Probabilmente no, mi dice un moto di onestà intellettuale, ma quasi certamente mi ci sarei trovato bene se avessi iniziato lì. Forse la stanza che mi circonda, insieme al fatto di trovarmi lì quando gran parte del castello è ancora immerso nel sonno, indica quanto io abbia cercato di costruirmi proprio quel "percorso di crescita individuale" da lui appena descritto - E in che genere di...merda...si finisce se si commette un errore simili, Signore? - quel titolo mi esce naturale dalle labbra, quasi ignorato, mentre pongo il quesito che più mi turba. L'idea che non siano gli esami o l'abilità nello sfuggire ai controlli a segnalare il percorso di maturazione, ma la maturazione effettiva di ciascuno è a suo modo incantevole ma sicuramente richiede una trasparenza a quel proposito che non credo funzionerebbe nel Regno Unito. Forse è per quello che per gli occidentali è tanto difficile. Avere un senso del pudore diverso dagli orientali non vuole dire che non ci sia alcun senso del pudore da tenere in conto - E come fa la veste a...saperlo? Se non fosse possibile imbrogliarla non ci sarebbero maghi oscuri in giappone - fatta al legge, ricercato l'inganno. Mi è impossibile non cercare di trovare una falla, quando mi trovo davanti un muro.
    E non c'è cosa che non voglio sapere di quella scuola che sento raccontarmi di prima mano per la prima volta in vita mia.
    Ciò nonostante mi sfugge una breve risata alla sua reazione. A volte siamo talmente immersi nella realtà di questo luogo da dimenticarci di quanto possa essere speciale, nei suoi dettagli più insoliti - Hogwarts non è mai come la si vede. E'...le piace cambiare, Signore. In linea di massima è una scuola cui piace cambiare da sola - aggiungo con una stretta di spalle. Le scale, i corridoi, il contenuto dei quadri...alla lunga ci si abituava e si metteva di farci davvero caso - Ai giapponesi non piace le cose cambino? - gli domanda, prima di sgranare leggermente gli occhi. Il nuovo professore si trasfigurazione, Cazzo! - Io...mi scusi. Non sospettavo - il modo migliore per finire in punizione più in fretta di Malia Stone.
     
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  7. Il Mago che Danza sulla Luna
         
     
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    Tutta quella situazione, in un certo qual modo, faceva ridere la parte più ribelle e fuori controllo di Westley Darling. Oltre a fargli notare, in maniera tutt'altro che carina, il passare del tempo: ecco cos'era diventato, un adulto che racconta storie ai ragazzi! Uno di quelli che da ragazzo si divertiva a prendere in giro. Era diventato un professore. Da brividi. Tuttavia, quel Carrow sembrava avere davvero lo spirito del discepolo, prima ancora dell'alunno - solo una leggerissima sfumatura divideva, agli occhi di Darling, le due figure - e questo non fece che aumentare la naturale simpatia nei confronti del Serpeverde. Avrebbe odiato parlare ad un ragazzo disinteressato e quel Carrow non lo sembrava affatto. Vi leggeva in lui una concentrazione e una disciplina che di gran lunga superavano quelle che lo stesso Westley aveva avuto alla sua età, circondato da giapponesi efficienti come macchine di fabbrica. « E in che genere di...merda...si finisce se si commette un errore simili, Signore? E come fa la veste a...saperlo? Se non fosse possibile imbrogliarla non ci sarebbero maghi oscuri in Giappone. » Assottigliò lo sguardo, divertito dalla svolta che aveva preso la conversazione. Di tutte le domande che il giovane Ares gli avrebbe potuto fare, aveva scelto quella. Si può eludere una sorveglianza magica? E se no, che rischi corro? Un argomento molto interessante, su questo Darling non poteva dir nulla: anche lui, per interesse personale, aveva sempre ammirato i metodi di elusione di qualunque sorveglianza. Anche per quello aveva scelto il mestiere della spia, l'elusione per eccellenza. « Come fa questa Stanza a sapere ciò che desideri? » gli rispose, lasciandogli un interessante spunto di riflessione. La magia opera in modi che a volte neppure comprendiamo affondando le radici in terre antichissime. « Stai pensando ad un trasferimento e hai paura che quei rompipalle giapponesi si accorgano di qualche scheletro nell'armadio? » si concesse, nonostante l'aspetto burbero, un piccolo ghigno di sincero divertimento. « Tranquillo, non ti giudicherò. Ne abbiamo tutti. Cimiteri interi, nascosti nel cassetto. » Le ossa nascoste di quell'uomo dalla doppia faccia avrebbero potuto garantirgli un volo in prima classe verso la cella più buia di Azkaban, per il semplice fatto di aver tradito il Regime e il Ministro in persona. Ma in quel gioco delle maschere, Darling faceva la parte del cattivo, il cagnolino incazzato della Ministra, e come tale tutti gli scheletri erano stati sotterrati a dovere. « Hogwarts non è mai come la si vede. E'...le piace cambiare, Signore. In linea di massima è una scuola cui piace cambiare da sola. » E questo gli piaceva particolarmente, sentiva il castello come un'anima affine. Si sentiva capito da Hogwarts, qualcosa che solo a ripeterlo ad alta voce avrebbe potuto farlo sembrare un pazzo. « Ai giapponesi non piace le cose cambino? » Scosse la testa, il professore. « I giapponesi odiano che le cose cambino. Va contro il loro senso dell'onore, in parte, perché qualcosa che muta è qualcosa di incoerente. Non è leale. E in parte perché.. sono molto superstiziosi. Tu ci credi alla possessione degli spiriti? Magari un giorno te ne parlerò.. » ...se vorrai continuare ad ascoltarmi. Tuttavia non continuò il racconto, distratto alle scuse del Serpeverde. « Perché ti scusi? Non hai fatto nulla di male.. salvo forse infrangere una decina di regole maneggiando un'arma bianca proibita dalle leggi ministeriali. » Fece spallucce. « Rilassati, se avessi voluto sporgere rapporto l'avrei già fatto. Non mi interessa. Sai cosa mi interessa invece? Scoprire come mai un giovanotto che ha tra le mani una Stanza capace di realizzare letteralmente ogni desiderio, la usi per allenarsi in un'arte antica e.. lontana. » Si fermò ritto di fronte allo studente, con entrambe le mani posare sull'elsa della katana sfruttata come un bastone.
     
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  8. AresCarrow
         
     
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    Rispondere ad una domanda con un'altra domanda è uno di quegli atteggiamenti che, seppure maleducato secondo i canoni occidentali, denota una certa predisposizione all'insegnamento. Me ne rendo conto consciamente solo in parte mentre lo osservo, consapevole però di quanto mi piaccia il principio secondo cui, se posso trovare da solo una risposta, è giusto che io lo faccia. Adagiarsi è una delle cose più pericolose che possa accadere ad un uomo, o almeno così mi piace pensare. Voglio crederlo, o nulla di ciò che faccio avrebbe un senso - Non credo ne sarei in grado, ormai. Casa mia è questa - e io sono questo, ma non lo dico. Mi limito a scuotere leggermente la testa, in seno di diniego, mentre rifletto su come sarebbe lasciare tutto davvero e andare in Giappone, lontano, e ricominciare da capo. Senza la mia famiglia, senza i miei amici, senza i miei legami. Solo. Ha un certo fascino, come cosa, devo ammetterlo ma non credo potrei mai lasciare tutto. Non potrei lasciare Mun - Ma forse mi sarebbe piaciuto iniziare là - aggiungo.
    Un nuovo inizio, una nuova speranza.
    Non parlo degli scheletri dell'armadio che posso o non posso avere, per il semplice motivo che di lui non fido, non ancora. Mi muovo, andando a riporre la katana nel posto da cui l'ho presa, ma continuo a tenerlo sotto controllo nel farlo. Il suo atteggiamento mi sorprende sotto molti punti di vista, non lo capisco, e come tutti gli esseri umani ho la tendenza a temere ciò che non capisco. E' una reazione istantanea, animale, corretta sotto molti punti di vista: la definizione di essere umano sta però nel non lasciarsi trascinare da questa paura e, di fronte a qualcosa che temiamo, di capirla. Sono di nuovo le parole di mio padre a rieccheggiarmi nella mente, pronunciate in uno dei suoi rari momenti di amorevole premura - Non sono sicuro che una società che teme di mutare possa piacermi davvero - ammetto mentre osservo la spada appesa al suo supporto. Stringo le spalle nel voltarmi verso di lui, come se la sola idea del Ministero e delle sue leggi non avesse alcuna importanza - Questa spada non può comunque uscire da qui - gli dico, anche se non ne sono davvero sicuro. Non ci ho mai provato, proprio per via di quelle leggi che lui ha appena citato.
    Mi fermo, con le gambe larghe quanto le spalle e le mani unite dietro la schiena. Posso non fidarmi di lui, ma è chiaro che emana un'autorevolezza che raramente ho incontrato in uno degli altri insegnanti - E' un caso. A volte è una katana, altre una spada, o un arco, o... - scrollo le spalle. Il concetto dovrebbe essergli chiaro. Il punto è che Westley pare davvero intenzionato a capire su di me almeno quanto io a comprendere di lui, e la cosa mi piace. Odio chi si ferma alle apparenze. Devo riflettere qualche istante per poter mettere in parole quello che penso riguardo al mio bisogno di venire fino a lì, ad intervalli regolari e quando so di poterci restare da solo, e anche quando lo faccio non sono sicuro di aver detto davvero quello che dovevo. Sono strane, le parole - La sensazione di lavorare su me stesso mi aiuta a mettere in ordine i pensieri, a riflettere meglio e a farmi sentire davvero occupato. Potrei andare a correre, o allenarmi a quidditch, o a nuotare...ogni tanto lo faccio...ma questo mi è più...congeniale. Più simile al modo in cui sono stato cresciuto -
     
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