Crawling back to you

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    Aula di divinazione, dicembre 2016.
    « Se non fosse per le tette della Branwell... » Si lamentò Albus, i gomiti poggiati sul tavolo e la testa stretta tra le mani. Freddie rise sommessamente, senza ribattere. Suo malgrado. Erano seduti in cerchio a quel tavolo, Malia da un lato, Hugo di fronte, Albus dall'altro e..Abigail seduta sulle sue gambe. Abigail era fatta così, quando stavano assieme, non passava minuto che non provasse a sequestrarselo completamente. Era alquanto gelosa e talvolta possessiva, specie quando nei paraggi vi erano Malia e Betty, ma Fred, in fin dei conti, se lo faceva andar bene comunque. Ci teneva a lei, in fondo, e come lui aveva capito quanto litigarci fosse inutile, lei aveva compreso che distaccarlo dai suoi amici era altrettanto impossibile. Così erano arrivati a questa sorta di tacito compromesso: lei gli avrebbe permesso di avere una vita, e lui le avrebbe concesso di farne parte. E quindi eccola, seduta sulle sue gambe, le braccia poggiate al tavolino in legno con in mezzo quella grossa sfera di cristallo. La Branwell li aveva guardati male per qualche istante, quella mattina, poi aveva scrollato le spalle, con un sorrisino malizioso ad illuminarle il bel viso. Quel giorno avrebbero letto le foglie del tea. L'avevano già fatto in passato, a dirla tutta, ma con Pervinca Branwell come professoressa -ormai l'avevano imparato- era meglio non farsi troppe domande. Ad ognuno dunque era stata fornita una tazza piena di quel liquido ambrato, che Fred aveva ingurgitato molto svogliatamente (sbrodolandosi anche la divisa e ricavandosi le risate del restante gruppetto) sino a che non erano giunti tutti alla seconda fase della lezione: decifrare cosa diavolo quelle informi foglie umidicce ed ormai sventrate stessero a significare. Freddie, all'arte della divinazione, non aveva mai creduto. Non dimostrava scetticismo, e nutriva un gran rispetto verso la signorina Branwell, ma continuava a non crederci comunque. Era sempre stato dell'idea che il destino te lo costruisci con le tue mani, senza nessuna interazione esterna, figuriamoci quella di un qualcosa di inesistente e pressochè indecifrabile come il fato. Ciò nonostante la sua media scolastica faceva cagare, e lui aveva bisogno di seguirla quella lezione e provare anche a prendere un voto che fosse leggermente più alto del solito troll. « Io ci vedo...Che diavolo è? » Domandò Malia, destando la curiosità del rosso. Si scostò appena, ignorando volutamente i grugniti di Abigail, per sbirciare attraverso la tazza dell'amica. « A me non sembra nulla..Ah no forse..No okay, niente. » Trattenne una risata, scambiandosi un'occhiata eloquente con Albus. Sempre i due soliti coglioni, questi Potter-Weasley. Abigail squittì, confusa, ma contrariata a prescindere. « Io ci vedo..Sembra una spada, non saprei » Mormorò Hugo, mostrando il fondo della loro tazza al restante gruppo. Fred rise, poggiando il mento sulla spalla di Abigail e ricavandosi un bacio sulla guancia. « Hugo che mi diventerà un guerriero, emblematico! Ce l'hai già lo scudo? » « Dovrai stare attento a non infilzarti una gamba dopo i primi cinque minuti. » Lo appoggiò Albus, col suo solito fare misto tra lo scettico ed il divertito. Malia sbuffò, buttando gli occhi al cielo ed ammonendoli con il solito 'andiamo ragazzi, lasciatelo stare', ma i due cugini continuarono a sghignazzare. Il Corvonero prese un lungo respiro, guardandosi attorno prima di lanciare uno sguardo inquisitorio dapprima ad Albus, che la sua tazza neanche l'aveva svuotata, e poi a Freddie. Strinse gli occhi, con fare indagatore. « E tu Fred, cosa ci vedi? » Chiese, con tono lontanamente provocatorio. Il rosso smise di ridere, calando lo sguardo e concentrandosi sulla tazza. Piegò la testa di lato, poi si strinse nelle spalle. « Okay non ci capisco nulla. Voi che dite? » Chiese, porgendo la tazza dapprima ad Abigail, per poi farla passare agli altri. Vagò con lo sguardo per la stanza, oltrepassando tutti quei volti sconosciuti come in cerca di qualcosa. O qualcuno. Lì, lontana da tutto e da tutti, gli occhi cerulei calati su un grosso tomo di divinazione ed i capelli corvini raccolti dietro la nuca.. « Oh Freddie caro, ma questo è il gramo. » La vide. « Simbolo di morte. »

    Aula di difesa contro le arti oscure, maggio 2017.
    « Un molliccio è una creatura magica che può assumere le sembianze di ciò che spaventa di più il mago che lo avvicina. Nessuno conosce l'aspetto di un molliccio quando è solo. » La professoressa Holland diede un colpo al piccolo armadietto, che rispose vibrando violentemente. Alcuni studenti arretrarono, spaventati. « So che vi avete già avuto a che fare in passato, ma combattere le proprie paure è importante, sempre. Tra le altre cose, contro un molliccio può essere utile la compagnia perché sentendo timori diversi il mutaforma non sa decidere quale aspetto assumere, ma questa volta...Sarete soli. » Un vocio generale si levò nell'aula: c'era chi si lamentava, sconvolto dalla decisione della professoressa,chi invece era piuttosto eccitato dall'idea. Fred, dal canto suo, si rivelava abbastanza neutrale. Aveva già affrontato una creatura del genere durante alcune lezioni passate, e a quel tempo il molliccio aveva avuto non poche difficoltà ad assumere una forma, prima di uscire allo scoperto. Fred Weasley, in fin dei conti, non aveva paura di nulla. Chissà questa volta, sarebbe di nuovo riuscito a dargli del filo da torcere? « Forza Weasley, richiuditi la porta alle spalle e cominciamo. » Lo incalzò la professoressa, una volta giunto il suo turno. Il rosso annuì, sfilandosi la bacchetta dai pantaloni e, posizionandosi proprio di fronte all'armadio, attese. Passarono diversi minuti, prima che la creatura si palesasse. Le ante dell'armadio si aprirono, e da lì uscì..Roxanne. I lunghi capelli intrecciati le ricadevano sulle spalle, indossava i suoi soliti vestiti: tutto regolare se non fosse stato per il fatto che, Roxanne, era interamente ricoperta di sangue. Enormi squarci slabbrati le ricoprivano il corpo, mentre tutto quel sangue le macchiava i vestiti. Non era una bella visione, quella, ma Fred se lo aspettava. Strinse dunque le dita sulla bacchetta, e schiuse le labbra per pronunciare l'incantesimo, ma qualcosa mutò. La creatura mutò forma, una prima volta, poi una seconda ed una terza. Davanti ai suoi occhi comparvero tutti: Albus, Malia, Hugo, Betty, Olympia, George, Angelina...Tutti coloro che gli stavano a cuore e tutti ricoperti di sangue. Il molliccio gli stava dando del filo da torcere, forse in riscatto alla figuraccia che gli aveva fatto fare qualche anno prima. Deglutì, Freddie, e malgrado quelle visioni gli facessero male, fin troppo male, serrò la mascella. « Ridd- » Ma non terminò la frase. No, non la terminò mai. Il mostro mutò forma di nuovo. Capelli neri, pelle diafana, occhi di ghiaccio. Amunet lo osservò per qualche istante, prima di cadere per terra priva di sensi. Fred spalancò gli occhi, precipitandosi verso di lei. « Weasley che diavolo fai?! » Non ascoltò la professoressa, mentre si chinava sul corpo esanime della ragazza. Aveva cicatrici, graffi e lividi ovunque. L'aveva già vista così in passato, vittima dei soprusi di suo padre. L'aveva abbandonata, ed adesso lui l'aveva uccisa. Il cuore perse qualche battito mentre si calava su di lei, la voce tremante. « Mun? » Avvenne tutto in troppo poco tempo. Le sue dita sfiorarono il viso di lei, e lei spalancò gli occhi. Balzò in piedi, saltandogli addosso. Fred cadde per terra disteso, ed il viso di Amunet gli fu vicino. Era lei, lo era davvero, ma al tempo stesso non lo era affatto. Occhi neri, completamente neri lo fissavano. In quegli occhi: l'inferno. « Weasley la formula! » Stringeva ancora la bacchetta tra le mani, il Grifondoro, ma non ci fece nemmeno caso. Perchè quella non era stata una reazione della creatura dovuta al suo contatto. No, quella faceva parte della sua paura, in ogni sua terrificante sfaccettatura. Le dita di lei affondarono nella sua carne, graffiandolo con le unghie affilate come rasoi. Fred gemette per il dolore, ma rimase immobile. Chiuse gli occhi, completamente soggiogato dalla sua stessa visione, e girò la testa di lato, debole, attendendo il suo destino. Non sarebbe mai riuscito a colpirla. « Riddikulus! »

    Dormitorio maschile grifondoro, maggio 2017.
    Sta camminando. Non ha idea di dove si trovi, non ricorda di esser mai stato in quel luogo. Somiglia alla foresta proibita, con quegli alberi dall'aspetto sinistro e i lunghi rami scheletrici, e le foglie secche a far rumore sotto i suoi passi, come di ossa spezzate. E' buio, fin troppo buio, ma non sa perchè riesce comunque a vedere. Cammina, cammina perchè non ha idea di cos'altro possa fare. Cammina come in cerca di qualcosa, qualcuno. E allora li vede. Due figure all'orizzonte, dietro di loro un enorme lago dalle acque scure. Piega la testa di lato, cercando di decifrarne i tratti. Un ragazzo ed una ragazza, a giudicare dalla fisionomia. Lui è più alto e più grosso di lei, mentre lei, al contrario, è esile e dall'aspetto fragile. Si avvicina ulteriormente, appostandosi ad un albero e poggiandovi una mano sulla corteccia. Stanno parlando, i due, seppur non riesca a capirne le parole. Una discussione accesa, a giudicare dal tono delle loro voci. Gli sembra di conoscerle. « E' colpa tua. » Amunet. Alza la testa di scatto. La Carrow è lì, stretta in un completo viola scuro, le braccia a ricaderle attraverso i fianchi. Gli occhi, gelidi ma al tempo stesso carichi di un fuoco che non ha mai visto prima sono puntati sulla figura di spalle della quale non riesce ancora a decifrarne i lineamenti. « Mi hai abbandonata, tu come tutti prima di te. Mi hai lasciata, morta, morta nell'acqua. » La sua voce è strozzata dal dolore, ma al tempo stesso fredda, estremamente fredda. Atona quasi, impersonale. E a quel punto Freddie lo vede. Non ha idea di cosa sia, non riesce neanche a distinguerne la fisionomia. E'..qualcosa. Un mostro, un dio, un'ombra, non saprebbe dirlo. Muta forma continuamente, assumendo sembianze che non è capace di denominare, e cresce, cresce sempre di più dietro di lei. Cresce sino a sovrastarla in altezza, gravando sull'intera scena. Due fari rossi sono l'unica cosa che distingue nel buio della notte. « Amunet allontanati! » Urla, ma la ragazza, lo sconosciuto e l'ombra non sembrano farci caso. Continua a gridare, iniziando a correre verso di loro. Il mostro si fa sempre più vicino, con enormi ali nere pronte ad inglobare ogni cosa. Ad inglobare lei. Quando è ormai a pochi passi dalla scena, un urlo squarcia l'atmosfera. Il suo. « NO! »
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    Ruggisce, ma è inutile. La sagoma sconosciuta, rimasta immobile sino a quel momento, ha agito. Le sue braccia si sono allungate, spingendo Amunet verso dietro, dritta tra le ali del demone. Si getta in avanti allora, Fred, afferrando l'assassino per la felpa. Ed è allora che lo vede: occhi castani, capelli come il fuoco. Sè stesso. Fred Weasley lo sta osservando, sul viso poco illuminato l'ombra di un sorriso maligno. Lo lascia andare, cadendo verso dietro, terrorizzato. Non ha idea di cosa stia succedendo, fin quando un rumore non lo costringe a girarsi: Mun. Sta affondando nelle acque di quel lago, stretta ancora tra le grinfie di quel mostro. Si rialza allora, il fiato corto, e vi si getta anche lui; ma non appena i suoi piedi toccano l'acqua gelida, quella cambia consistenza, tramutandosi in ghiaccio. Vi scivola addosso, sbattendo con il viso. Lei è lì, proprio sotto di lui, gli occhi spalancati che lo fissano, mentre affonda sempre di più. La chiama, urla il suo nome, ma non serve a nulla. E allora batte il primo pugno sul ghiaccio, ma questo non si spezza. Batte il secondo, batte il terzo ed il quarto, fino a che il suo sangue non inizia a mischiarsi con l'acqua che comincia a fuoriuscire dalle crepe che lui stesso sta creando. Poi, all'improvviso, il lago di ghiaccio si spezza in mille pezzi, e lui sprofonda in acqua. La cerca, la cerca con lo sguardo, la cerca rigirandosi su sè stesso mentre nuota, dimenticandosi persino di risalire per prendere fiato. Ma lei non c'è più. "Dead in the water, you left me dead in the water".

    [...] Si sveglia di soprassalto, liberandosi delle coperte con un gesto secco. Si guarda attorno, terrorizzato. Il respiro è affannato ed il cuore batte così forte da fargli male. Del mostro, di Amunet e di sè stesso neanche l'ombra. Si passa una mano sul viso, riscoprendosi completamente bagnato. Come nel sogno. Sudore, si dice, negando a sè stesso l'evidenza: lacrime. Lacrime su lacrime come mai ne ha versate in vita sua.


    L'ha lasciata parlare, senza ribattere ad una sola parola. L'ha lasciata parlare, stanco di combattere, stanco di riprendere le armi e provare a colpirla. Non vuole farle male, non di nuovo, non ancora. Tregua, vuole una tregua, chiede soltanto questo. Vederla a quel modo lo ferisce. Sentire quel tono di voce malinconico, rassegnato, gli fa male al cuore. Come sono arrivati a questo? Cosa sono adesso? Non lo sa. E non saperlo lo rende nervoso. E' nervoso Freddie, come lo è sempre di fronte a ciò che non riesce a sovrastare. Come lo è sempre di fronte a ciò che non riesce a combattere. Lui, Mun, non sarà mai capace di colpirla. Come quell'ormai lontano Maggio, sotto le grinfie di quella creatura con le sue stesse sembianze, Fred distoglie lo sguardo, tremante. "C'è qualcosa tra noi, Fred Weasley, non lo negherò. E questo, ciò che è appena successo, mi è piaciuto. E' stato bello. Molto bello." E Mun ha ragione. Sì, è stato bello, molto bello. Sì lo voleva, lo voleva da fin troppo tempo. E sì, ha fatto male. Ha fatto male perchè col senno di poi, con ancora il battito cardiaco agitato ed il respiro da poco riacquistato, ogni cosa ritorna a galla. Scemata l'adrenalina, assopito il desiderio e la passione, Fred Weasley abbandona l'uomo e torna ad essere il ragazzo. Il ragazzino pieno di sbagli, di dubbi e di pentimenti. Il ragazzino che è riuscito ad ottenere ciò che ha desiderato per così tanto tempo e che, adesso, non ha idea di come gestirlo. "E non è romantico che hai pensato a me mentre..Magari avevi una ragazza e tu.. pensavi..Che senso ha?" Non lo sa. Non ne ha idea. Vorrebbe alzarsi da quella panca ed urlarle contro. Vorrebbe sbattere i pugni contro il muro e sputarle contro tutta la verità. Che sì l'ha pensata, l'ha pensata per tutto quel tempo e diamine, non ha senso. Non ha senso perchè è stato lui a lasciarla. Non ha senso perchè stato lui a voltarle le spalle. Lui a spingerla tra le braccia di quell'ombra in quel mare di ghiaccio. Rabbrividisce. "Ora, hai solo paura che qualcun altro possa accorgersi di me e possa farmi provare le stesse cose. Ma sappiamo entrambi che a te non piace la persona che sono diventata, tanto quanto a me non piace la persona che tu sei diventata." La verità? Sì. Non ci riesce. Per quanto si sforzi di farlo proprio non riesce a pensarla tra le braccia di un altro. La prospettiva che lei possa amare qualcun'altro gli stritola il cuore sino a sventrarlo in mille parti differenti. Ma quello è un qualcosa che non può combattere e contro il quale, per quanto ci speri, non si può opporre. Amunet gli è scivolata dalle mani ormai da fin troppo tempo. "Hai avuto due anni per venire a riprendermi. Due anni in cui sono rimasta nel mio piccolo, insignificante mondo, cercando di trovare un equilibrio." Perchè non l'ha fatto? Perchè non è andato a riprendersela? Perchè non l'ha cercata dopo quell'incidente in aula di DCAO, dopo quel sogno? Perchè l'ha vista in lontananza, e ciò gli è bastato. L'ha vista stare bene, si è fermato alle apparenze, e per quanto crudele possa sembrare, ciò gli è bastato. Ma adesso non gli basta più. « Vuoi sapere cosa provo? » Quelle parole sgusciano in quel silenzio durato fin troppo. « Non lo so. » Serra la mascella, stringendo i pugni. « So solo che per due anni ti ho abbandonata, e per due anni ho continuato a pensarti. So che non riesco a pensare a te assieme a qualcun altro che non sia io, non riesco a pensare a te che ami qualcun altro, che ti concedi a qualcun'altro. Ti ho presa per dimostrarmi che sei ancora mia. Non ti ho detto nulla del bagno dei prefetti per paura che mi sfuggissi, di nuovo. E non l'avrei accettato perchè ti volevo, ti voglio, ho continuato a volerti pur non avendo il diritto di farlo. Quindi sì, quello che è successo nelle docce...Ho fatto l'amore con te per illudermi ,per pochi attimi, che tu mi appartenessi ancora. Ma non è così. » Si passa una mano fra i capelli. « Ti ho lasciata andare per due anni, ti ho tolto tutto. Albus, Betty, me. Sono stato una merda, ma ciò non significa che io non ti abbia desiderata. Ogni giorno. Ogni fottuto minuto della mia fottutissima vita. Ti volevo indietro, ti ho voluta indietro sin dal primo istante in cui ti ho mollata. » "Non è romantico dirmi che non riesci a lasciarmi andare quando chiaramente sei stato bravissimo a farlo negli ultimi due anni." « Vuoi la verità? Sono stato un coglione. Sono stato un coglione a credere di riuscire a dimenticarti, a credere di esser capace di sostituirti. Non ci sono mai riuscito, con nessuna. Persino con Abigail, Dio, quanto l'ho fatta soffrire. Lei lo sapeva, sapeva di te, e ti odiava per questo. Ti odiava perchè tu dalla mia testa non ci sei mai uscita. » Non ha idea del perchè le stia dicendo tutto questo. Se ne pentirà forse, Fred l'orgoglioso. Fred il ragazzino incapace di far pace col cervello. Fred, il frizzante Fred, sempre così sfuggente,sempre così effimero, incapace da afferrare. « E non è nemmeno colpa tua, no. E' colpa mia. E' colpa mia se ti ho mollata quando avevi più bisogno di me, colpa mia se ho avuto una fottutissima paura di ciò che ci spettava. Colpa mia per averti lasciata andare nonostante ti amassi anch'io. » Si alza di scatto, mentre in quel fiume di parole, non si accorge neanche di averlo detto. Perchè Fred ha amato Amunet. L'ha sempre amata. Si è illuso del contrario, forse continuerà ad illudersi, ma così è e nulla potrà mai cambiarlo. Freddie Weasley ama la sua Amunet Carrow. « Non mi merito i colori della mia Casata. Perchè sono scappato. Sono scappato da ciò che più amavo e al tempo stesso mi faceva più paura di qualsiasi altra cosa: tu. Sei la mia più grande paura, ti ho vista. Ti ho vista tante, troppe volte. Tu che muori, io che non riesco a salvarti. Tu che mi sfuggi, tramutandoti in altro. »
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    "Ma sappiamo entrambi che a te non piace la persona che sono diventata, tanto quanto a me non piace la persona che tu sei diventata." Si avvicina a lei, cercando il suo sguardo, quasi implorante. E' stanco di combattere, stanco di rispondere, è stanco di tutto. Si inginocchia per terra, stringendo le sue mani tra le proprie. « Sei diversa. Lo pensavo, l'ho creduto, ora lo so. Cosa sei diventata? Perchè? Cosa ti è successo in questi due anni? Ti ho sognata una volta, e...e.. » La sagoma sconosciuta, rimasta immobile sino a quel momento, ha agito. Le sue braccia si sono allungate, spingendo Amunet verso dietro, dritta tra le ali del demone. « Nelle braccia di quale mostro ti ho spinta? » Si getta in avanti allora, Fred, afferrando l'assassino per la felpa. Ed è allora che lo vede: occhi castani, capelli come il fuoco. Sè stesso. Sospira, scuotendo la testa per rialzarsi. Un pazzo, ecco cos'è diventato. Un pazzo con degli incubi da drogato. Con ogni probabilità Amunet gli riderà in faccia, e lui avrà sprecato l'ultima occasione di una tregua. Fanculo Fred. Fanculo le tue pippe mentali del cazzo. Fanculo il tuo orgoglio. Fanculo tutto. « Lascia stare. » Fa un gesto con la mano, girandosi per andare a poggiarsi con le mani su di un lavandino poco distante. Apre il rubinetto, e per qualche istante non vede acqua scorrere. Sangue. E allora batte il primo pugno sul ghiaccio, ma questo non si spezza. Batte il secondo, batte il terzo ed il quarto, fino a che il suo sangue non inizia a mischiarsi con l'acqua che comincia a fuoriuscire dalle crepe che lui stesso sta creando. Lo richiude, alzando il capo per guardarsi allo specchio. Per qualche secondo, il Fred Weasley del suo sogno ricambia il suo sguardo attraverso il vetro, con quel ghigno diabolico stampato sul viso. E allora scatta, Fred, mentre la rabbia esplode dentro di lui ed assieme a quella il vetro di quello specchio. Si infrange sotto il suo pugno, sferrato con una violenza inaudita. Il suo alterego va in frantumi, precipitando sul pavimento. Lo osserva immobile, in bilico tra sensazioni che nemmeno lui conosce, quando una fitta alla mano destra lo riporta alla realtà. Ha alcune schegge di vetro nel pugno insanguinato. Se lo stringe con l'altra mano, cercando di estrarne una scheggia e mordendosi il labbro inferiore per evitare un gemito di dolore. « Senti, mi dispiace, per tutto. Per averti fatto male, per non averti detto del bagno dei prefetti, per essere arrivati a questo punto. Tu ormai hai la tua vita, io ho la mia. Ciò che abbiamo fatto..E' stato bello, ma forse hai ragione: soltanto un momento. Sono stanco di litigare: prenditi il campo nei giorni prestabiliti, stipuliamo una convivenza, per chi ci circonda, per le nostre casate. » Una pausa, mentre si guarda attorno in cerca di qualche benda. « Non per noi, che forse una possibilità non riusciremo ad averla mai più. Il nostro tempo sembra esser passato, per quanto possa far male. » La cerca, la cerca con lo sguardo, la cerca rigirandosi su sè stesso mentre nuota, dimenticandosi persino di risalire per prendere fiato. Ma lei non c'è più. "Dead in the water, you left me dead in the water".


    Edited by boys don't cry - 7/10/2017, 21:19
     
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    Slytherin pride

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    « Vuoi sapere cosa provo? Non lo so. » Freddie interrompe quel soffocate silenzio, lasciando che tra i pensieri di questa Carrow si insinuino altri dubbi. Per due anni ho continuato a pensarti. Mun indietreggia. Quelle parole non riuscirà a cancellarle. Sono lì, non più ad aleggiare in modo sottinteso tra loro. Tangibili, vere come non mai. « ..quello che è successo nelle docce...Ho fatto l'amore con te per illudermi, per pochi attimi, che tu mi appartenessi ancora. Ma non è così. » Lei scuote la testa, cerca invece di illudersi che tutto ciò non lo stia dicendo a voce alta. Perché Mun non vuole che le cose cambino, non vuole illudersi, non vuole affezionarsi di nuovo. Ha fatto un patto con se stessa, ha promesso a se stessa di rimanere forte, di forgiarsi di continuo e rafforzarsi basandosi unicamente su se stessa. Perché in fin dei conti, nasciamo soli, e moriamo soli, e tutto ciò che c'è in mezzo e solo una triste terribile bugia che ci raccontiamo per navigare nel terrificante mare che è la vita. « Non puoi farmi questo.. » Il suo è un sussurro. Un'implicita preghiera. Smettila. Noi non abbiamo fatto l'amore. Noi non esistiamo. Non esiste alcun noi. « Ti ho lasciata andare per due anni, ti ho tolto tutto. Albus, Betty, me. Sono stato una merda, ma ciò non significa che io non ti abbia desiderata. Ogni giorno. Ogni fottuto minuto della mia fottutissima vita. Ti volevo indietro, ti ho voluta indietro sin dal primo istante in cui ti ho mollata. » Non è abbastanza. Mun lo sa. Freddie ha scagliato la pietra e ora sta cercando di nascondere la mano. Come un bambino che dopo aver fatto un errore, cerca di rimediare. Ma non si può rimediare a tutto. A Ryuk non c'è rimedio. E nemmeno alla morte di Abby. Non c'è rimedio ad alcune scelte. Tu hai scelto di non amarmi. E io ho scelto di accettarlo. Mun dal canto suo non aveva combattuto per lui. Non aveva cercato di farlo ricredere. Si è semplicemente appiattita su quelle poche parole. Ha lasciato che scandissero la sua vita. « Vuoi la verità? Sono stato un coglione. Sono stato un coglione a credere di riuscire a dimenticarti, a credere di esser capace di sostituirti. Non ci sono mai riuscito, con nessuna. Persino con Abigail, Dio, quanto l'ho fatta soffrire. Lei lo sapeva, sapeva di te, e ti odiava per questo. Ti odiava perchè tu dalla mia testa non ci sei mai uscita. E non è nemmeno colpa tua, no. E' colpa mia. E' colpa mia se ti ho mollata quando avevi più bisogno di me, colpa mia se ho avuto una fottutissima paura di ciò che ci spettava. Colpa mia per averti lasciata andare nonostante ti amassi anch'io. » Quel discorso la fa infuriare. La obbliga a indietreggiare ulteriormente. Gli occhi si tingono di una pattina lucina. Non sta piangendo, ma le lacrime sono lì lì, pronte a sgorgare. Fred la amava; Fred l'amava e l'ha lasciata andare lo stesso. Che amore era mai il suo? Che amore era quello di Mun? Quale sentimento macchiato dall'infamia condividevano. « Non hai il diritto di dirmi tutto questo, Fred. Non ora. » E' troppo tardi. E' troppo tardi per rimediare a quanto sia accaduto. E per quanto il passato si possa cancellare, la verità è che ci sono determinate cose che semplicemente non si posso aggiustare. Fred e Mun sono rotti, disfunzionali, semplicemente incompatibili. « Non mi merito i colori della mia Casata. Perchè sono scappato. Sono scappato da ciò che più amavo e al tempo stesso mi faceva più paura di qualsiasi altra cosa: tu. Sei la mia più grande paura, ti ho vista. Ti ho vista tante, troppe volte. Tu che muori, io che non riesco a salvarti. Tu che mi sfuggi, tramutandoti in altro. » Quelle parole fanno male, la spaventano, le gelano il sangue nelle vene, e così quando lui si avvicina, lei evita il suo sguardo. Guarda altrove, cercando un appiglio sul pavimento. Un'espressione che spazia dal terrore al dolore. Tu che muori, io che non riesco a salvarti. Tu che mi sfuggi, tramutandoti in altro. Rabbrividisce appena, prima di deglutire, scuotendo la testa. « Sei diversa. Lo pensavo, l'ho creduto, ora lo so. Cosa sei diventata? Perchè? Cosa ti è successo in questi due anni? Ti ho sognata una volta, e...e.. » Le mani di lui si stringono a quelle di lei mentre s'inginocchia di fronte a lei. Una lacrima solitaria scorre sulla sua guancia, mentre intreccia le dita a quelle di lui. Un dolore atroce l'attanaglia tutto insieme. Fa male, Freddie. Lo capisci? Fa male rinunciare a te. « Nelle braccia di quale mostro ti ho spinta? » Scaccia le lacrime rivolgendo lo sguardo verso le alte finestre dello spogliatoio che illuminano ormai a malapena l'ambiente deserto. L'ho scelto da sola, il mio destino. Tu non c'entri niente. Quella la consapevolezza ultima di quel momento, mentre lui si rialza in piedi. E tu non vuoi metterti contro questo destino. Io non voglio che tu lo faccia. E' mio. Solo mio. Improvvisamente qualcosa di nuovo compare nell'animo di Mun. Ryuk le fa paura, lo odia, non si fida di lui, ma non vuole che qualcuno la separi da lui. Paradossale, ma vero. Ryuk è mio. E io sono sua. Un rapporto di dipendenza quasi inconsapevole. Il seme della follia è già lì, pronto a germogliare. « Freddie.. io.. » Non sa cosa dire. E' in difficoltà, e lo è anche lui. Perché non puoi semplicemente lasciar perdere. Perché non puoi fare per una volta ciò che ti chiedo. « Lascia stare. »
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    La spaventa la scena che segue, tanto da sussultare non appena il suo pugno colpisce lo specchio con violenza. Quella furia è colpa sua. Stai cambiando sotto i miei occhi. Pur restando lontana, tu stai cambiando. Cosa sarebbe successo se Amunet avesse deciso di avvicinarsi ulteriormente? Tutto ciò che toccava moriva. La Carrow era ormai passata dall'altra parte. "Sei scesa molto più in profondità di altri." le aveva detto Ryuk più di una volta. "..eppure sei rimasta più in superficie di molti." Cosa significasse non lo ha mai capito. Forse non ha mai nemmeno voluto saperlo. Tutto ciò che il suo dio della morte le dicesse, era a volte davvero sconvolgente. « Non puoi fare così, Freddie! » Dice di scatto con un tono chiaramente autoritario. Si precipita verso di lui, obbligandolo a farle vedere la ferita. Storce il naso alla vista del sangue, ma nonostante ciò, deglutisce e lo obbliga a sedersi. Non provare nemmeno a protestare, altrimenti ti becchi anche uno schiaffo. « Non puoi dirmi queste cose. Non puoi comportarti in questo modo. » Scuote la testa accarezzandogli appena la guancia. « Non è giusto, capisci? » Non era giusto per nessuno dei due. « Questa è la mia vita. Adesso è questo.. è così. » Gli getta uno sguardo eloquente sollevando le sopracciglia. « E tu non c'entri niente. Ognuno ha le sue. Ognuno affronta le proprie difficoltà a modo suo. Questo è il mio. Accettalo e lascia perdere. La ragazza che tu pensi di aver amato non esiste più. »

    « Senti, mi dispiace, per tutto. Per averti fatto male, per non averti detto del bagno dei prefetti, per essere arrivati a questo punto. Tu ormai hai la tua vita, io ho la mia. Ciò che abbiamo fatto..E' stato bello, ma forse hai ragione: soltanto un momento. Sono stanco di litigare: prenditi il campo nei giorni prestabiliti, stipuliamo una convivenza, per chi ci circonda, per le nostre casate. » Mentre Fred parla, Mun estrae da un mobiletto sotto il lavandino un kit magico di pronto soccorso. Ce ne è uno un po' sparso ovunque per la scuola. Lo appoggia sulla panca, e si inginocchia di fronte a lui, attirando la mano a sé. Senza chiedergli il permesso, senza pensare a quanto quel gesto possa essere paradossale rispetto alle parole che gli rivolge. Mun lo conosce e sa che quelle ferite da sé non le medicherebbe mai. Per quanto sfaticato non si recherebbe mai in infermeria per farsi togliere quelle schegge. E così, con una pinzetta contenuta all'interno del kit, le estrae una ad una, prima di versarci sopra qualche goccia di quella pozione rigenerante. Non lo avverte neanche del fatto che brucerà. Fa tutto quasi sovrappensiero, perché a dirla tutta vorrebbe finire il più in fretta possibile. « Non per noi, che forse una possibilità non riusciremo ad averla mai più. Il nostro tempo sembra esser passato, per quanto possa far male. » Annuisce, mentre con estrema cura, inizia a fasciargli la mano. C'è qualcosa di estremamente affettuoso nel compiere quei gesti; il modo in cui liscia le fasce attorno alle sue nocche, accarezzandone il tessuto con cura. Si morde il labbro ripensando a tutte le sue ultime parole. Già. E' meglio così. Quanto il lavoro è ultimato, rigetta nella scatola di metallo le pinzette, le fasce avanzate e la boccetta di pozione, richiudendola, e riponendola da dove l'ha presa in silenzio, silenziosa come lo è sempre stata, Mun. « Cambia le bende una volta al giorno. » Gli dice quindi dopo un silenzio che sembra durare un milione di anni. Fa leva sulle sue ginocchia per rialzarsi e gli rivolge un mezzo sorriso colmo di rassegnazione. « Grazie per i vestiti. Te li farò riavere il prima possibile. » Dice quindi indietreggiando di pochi passi. Avrebbe così tante cose da dirgli, ma se le tiene per sé. Preferisce lasciar cadere quell'argomento prima di litigare di nuovo. Ci sono silenzi che valgono più di mille parole, e questo è uno di quelli. Fa un cenno verso la porta, prima di abbassare lo sguardo corrugando le sopracciglia. « Io.. » Imbarazzo. Silenzio. Sconforto. Scuote la testa sbuffando leggermente, prima che un sorriso riaffiori sulle sue labbra. « ..è meglio che vada. » Indietreggia ulteriormente, ancora combattuta, ma alla fine, trova il coraggio di rivolgergli un ultimo sguardo. Fa male, ma devi lasciarmi andare. E io devo lasciar andare te. Dobbiamo darci la possibilità. Altrove. Diversamente. Non ha funzionato. Bugie. Così tante bugie. Così tante paure. La paura ha aperto uno squarcio tra loro, una voragine senza fine, che scende giù in profondità. « Ciao Freddie. » Con quelle parole, gira i tacchi ed esce dagli spogliatoi. Le manca il respiro, ma non si ferma. Non si ferma nemmeno per un momento a guardarsi indietro.


     
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