where is the love

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    Disinteressata. Mi sento così, in questi ultimi mesi.
    La situazione è singolare, sebbene decisamente interessante. Nuova, mettiamola così. Non è decisamente il mio genere di cose, però ho imparato a non giudicare un libro dalla copertina, e chissà che qualcuno di interessante qui si possa incontrare per davvero.
    Ho fatto alcune conoscenze intriganti negli ultimi mesi, alcune delle quali sono state portate avanti per qualche settimana di piacevole compagnia, e altre invece sono terminate prima del normale – che poi non esiste un "normale", per me, che sono stata solo con una persona nella mia vita. E vabbè, meglio non parlarne.
    Non è che io sia diventata una facile. Non funziona così, le persone non sono bianche o nere. Piuttosto, credo nell'essere schietti. Credo nella verità, nel non perdere tempo, nel dirsi chiaramente quello che si pensa. E non so come sia possibile che dall'enorme quantità di merda che mi è crollata addosso dopo l'episodio alla festa dei Serpeverde con Nate Douglas, sia emerso qualcosa di prezioso e utile come la vaghezza di una lezione di vita, che recita «non dare troppa importanza alle relazioni con gli uomini, che tanto non ne vale la pena». Si tratta di una consapevolezza nuova, che ha le tinte dell'assolutismo e del pregiudizio ma che invece cerco di applicare in maniera moderata. Ovvio: esistono le eccezioni. Ma al momento non mi interessa trovarle. Non voglio innamorarmi per poi finire un'altra volta col cuore a pezzi. L'amore è impegnativo, e per lo più doloroso, e so che è bello mentre va avanti ma preferisco metterlo da parte. Forse non ci credo più tanto. Forse al posto dell'amore come questo sentimento profondo ed eterno, ora c'è una sorta di consapevolezza che le persone si piacciono per un po', finché è interessante, finché c'è mistero. E poi tutto finisce, perché le cose funzionano così, e hai bisogno di altro. E va bene. Non c'è da fidarsi troppo di chi ti dice che durerà, che ti ama, che vuole stare con te. Non c'è da fidarsi perché stanno mentendo, e questo è tutto.
    In posti come questi, poi, di sicuro non trovi l'amore, se pure lo stessi cercando (povero illuso). Mi passo una mano tra i capelli mentre entro nel locale. Alla mia destra Malia saluta qualcuno che individua tra la folla. Gli andiamo incontro, scambiamo due chiacchiere, sorrido ed annuisco. Sono sempre un po' assente, di questi tempi. Riesco a non darne l'idea, e così faccio domande, esprimo opinioni. Si finisce a ballare, non mi piace, non mi è mai piaciuto, ma riesco a disinibirmi il giusto da ondeggiare ed alzare le braccia ogni tanto, con le dita tra i capelli e lo sguardo verso il basso. Ancheggio con dolcezza, non mi piace questa musica, ma tant'è. Forse era meglio se restavo a casa, stasera. Potrei andare via, ma mi dispiacerebbe per Malia. Resto, ovvio che resto, magari alla fine riesco a divertirmi.
    La serata procede rapida, Malia continua a portarmi da bere, non sono sicura di cosa si tratti, sembra buono, non è vero, fa schifo, ma lo bevo lo stesso. Bevo fino ad intontirmi, che sembra essere così divertente, così necessario, ultimamente. Bevo e mi compaiono sprazzi di lui, ma poi continuo fino a quando il mio cervello non è neanche capace di ricordare come si chiami, in realtà. Mi fa male la testa, dico a Malia che vado a prendere un po' d'aria, mi faccio strada tra la gente. Riesco ad arrivare fuori e mi viene da vomitare. Se potessi lo eviterei, davvero, sto per tornare dentro, ma è già troppo tardi, e succede che sbocco su uno sconosciuto. Scuoto la testa, mi passo il dorso della mano sulla bocca, mormoro una scusa che forse suonava più come un "buongiorno" che uno "scusa", sembrano parole così simili però. Non mi accorgo di cosa mi dica il tipo, forse anche lui come me è ridotto troppo male per rendersi conto dell'accaduto. C'è ancora troppo chiasso, le tempie mi pulsano e la testa gira forte, mentre non ho percezione del mio corpo e mi sento sbandare. Ma da quando sono così, poi? Non ricordo di essere mai stata così ubriaca prima.
    Trovo un posto appartato, ho camminato seguendo la parete del locale con la mano, mi sembra più tranquillo, il rumore è più ovattato. Mi siedo per terra, appoggio la testa al muro e chiudo gli occhi. Con la lingua mi bagno le labbra secche, e anche deglutire sembra un gesto rumoroso che mi rimbomba nelle orecchie. Inizio a ridacchiare tra me e me, troppo messa male per rendermi conto che non ci sia niente da ridere, e abbastanza da prendere la situazione con leggerezza. Una sagoma alta mi si staglia accanto.
    «So che cosa stai pensando.»
     
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  2. AresCarrow
         
     
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    L'idea è stata di Mun, e come ogni cosa cui dimostra di tenere più di un minimo ho finito per dargliela vinta.
    E' sempre stato così, fin da quando eravamo bambini e rinunciavo ad un angolo della coperta che avremmo dovuto condividere perché lei non avesse da patire il freddo. I giocattoli più belli, il latte più caldo, la metà con la glassa dell'ultima fetta di torta al cioccolato rimasta in cucina, posata su quel ripiano alto in cui i domestici erano convinti non potessimo arrivare. Amuneth in fondo è sempre stata quella più affamata di vita e di esperienze, dei due, mentre è stato chiaro fin da subito chi fosse quello più portato alla frugalità e alla riflessione. Vedere lei soddisfatta era già i tre quarti di quanto avessi bisogno io nella vita, e tanto mi bastava per affrontare tutto il resto. Buffo vero? A ragionare con il senno di poi su tutto quello che è successo nel corso degli anni ci sarebbe molto da dire a riguardo ma il fatto è che ne io ne Mun ne parliamo mai, ne fra di noi ne con nessun altro. A che pro, poi? Gli altri non capirebbero comunque.
    - Ti ho chiesto un analcolico e un mojito, non i tuoi stupidi commenti - rispondo con calma al barista, un tipo dal pizzetto a strisce e i capelli rasati solo da un lato. Il suo aspetto caotico e disordinato mi infastidisce già ad una prima occhiata ma per quanto possa passare sopra all'estetica del caos che deve per forza albergare in un luogo del genere quello che fatico a fare è il sopportare la mancanza di professionalità. La mia pazienza, già messa alla prova dalla musica alta e dal premere continuo delle persone che mi stanno accanto nella calca di fronte al bancone, può tranquillamente fare a meno delle stupide battute riguardo l'essere astemia di mia sorella. Gli sorrido tuttavia, nonostante provi solo il desiderio di sbattergli la testa contro il legno del banco, proprio perché Mun mi sta guardando da qualche passo di distanza e non voglio che si renda conto di quanto quell'ambiente mi stia pensando, soprattutto da quando mi sono reso conto che tanto Nate quanto Malia sono presenti nel locale. E' rilassata e sembra divertirsi, per quanto lei possa sembrare divertita, e non voglio essere io a rovinarle la serata - Il barista mi ha chiesto se potevo dargli il tuo indirizzo in modo da poterti contattare: gli ho spiegato che hai un fratello geloso e che davvero non era un caso - mento al suo sguardo incuriosito quando torno da lei con i cocktail, pur sapendo che lei non mi crederà mai. Non ha comunque importanza - Esco a prendere una boccata d'aria - le sussurro all'orecchio per sovrastare la musica, quando un po' di gente si avvicina a noi per chiacchierare. Troppo, decisamente troppo per me. Nate che scherza con Mun, Malia che balla in giro, Tallulah che flirta con una manica di ragazzotti che l'hanno seguita sui divanetti...solo l'aria fresca della sera mi permette di recuperare un po' di quella calma zen che mi permette di andare avanti giorno dopo giorno.
    E' così che si fa, no? Un passo alla volta.
    Sorseggio dal mio bicchiere, leggermente scostato dalla calca che affolla lo spazio vicino all'ingresso. Gente che beve, gente che fuma, gente mezza nuda che cerca di ricomporsi. Sono giovane, lo so, dovrei apprezzare quel genere di cose, lasciarmene coinvolgere eppure c'è qualcosa che mi tiene lontano dall'animo spensierato di quei comportamenti. Non mi pesa guardarli da lì, anzi, è come se poggiato a quel muro, a bere e osservare, avessi trovato il mio posto in quella strana giostra. Due uomini si baciano appena più giù, lungo il vicolo, attirando la mia curiosità, e poco dopo una ragazza passa correndo su una scarpa sola. Gialla. Chissà dov'è finita la sua gemella.
    - Ehi! -
    Mi volto, giusto in tempo per vedere Azura Jackson allontanarsi da un ragazzo che la osserva schifato. Lei si piega, vomita ancora un po', si scusa e fa per rientrare. Il ragazzo si muove, come a volerla afferrare, esita e poi perde l'equilibrio, spintonato di lato dal colpo leggero di una spalla dritta nella schiena. La mia spalla - Scusa, colpa mia - lo guardo per un attimo, rubo un sorso dal bicchiere e torno da dove sono venuto, seguendola per qualche passo. Non ho bisogno di chiedermi perché sono intervenuto, perché la risposta è palese almeno per me. Se non lo avessi fatto lui l'avrebbe afferrata, e la violenza immotivata su una ragazza, specie se ubriaca, va oltre il concetto di bene o male. E' assurdo, ridicolo e disonorevole. Sarebbe finita peggio di così.
    Finisco il mio drink mentre mi avvicino alla mia compagna di scuola, seduta adesso in terra a cercare di riprendersi. La osservo per qualche momento, prima di tirare fuori dalla tasca un fazzoletto e porgerglielo - Si, penso sia facile da intuire - pietosa. E' ridotta in uno stato pietoso - Tieni, pulisciti. Hai...qui, sul lato della bocca -
     
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1 replies since 13/9/2017, 15:54   57 views
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