one way or another

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    Ares Carrow. L'ha scritto in quella sua scrittura minuta e così maschile che ricordava ancora fin troppo bene, da non lasciarle alcun dubbio che sia effettivamente il ragazzo il proprietario di quel libro di Pozioni. L'ha trovato per caso, appoggiato in solitaria su uno dei tavoli più appartati della biblioteca. Quelli dove è solita rifugiarsi lei, sperando di trovarvi lì la pace necessaria per non essere disturbata da nessuno. Anche quando deve fare tutt'altro che studiare. E quel giorno si ritrova lì per completare il suo saggio per Trasfigurazioni, eppure il suo occhio non riesce a non cadere su quel libro che rimane lì, a pochi centimetri da lei. Il disordine la disturba e perciò non può far altro che guardarlo e guardarlo ancora, fin quando non si decide ad alzare il viso per l'ultima volta e fissarlo, intensamente. Sa benissimo che quella è una sua fissa sciocca, ma persino le cose fuori posto riescono ad irritarla, cambiandole drasticamente l'umore. E quel libro sta riuscendo benissimo nell'impresa. E allora, mentre lo fissa con forza, quasi fosse un esperimento nucleare quello che si sta svolgendo sotto i suoi occhi smeraldini, si alza e si trascina verso di esso. Lo prende tra le dita e lo apre. Ed è allora che lo vede. Quel nome, scritto in corsivo, nero su bianco e le sembra quasi un segno del destino. Lei si è andata a sedere proprio nell'unico tavolo in cui c'era un libro dove non doveva stare. Lasciato lì, per caso, dal ragazzo con cui ormai non si parlava più da anni. Prova imbarazzo nello sfogliare quelle pagine indurite, perché si immagina le impronta delle dita di lui sotto quelle di lei. Perché quel libro appartiene proprio a lui, lui che le sorride imbarazzato ogni volta che la incrocia per i corridoi. In quel momento capisce di aver bisogno di un contatto, di quel confronto che non ha mai avuto con Ares. Non fino a quel momento. E non può far altro che prendere il libro, metterlo nella sua tracolla, insieme al suo libro di Trasfigurazione e il saggio che sta bellamente mandando al diavolo perché non ha più la giusta concentrazione e si precipita fuori dalla porta, facendo più rumore del previsto, tanto da risvegliare la dolce bibliotecaria che sonnecchia svogliatamente sopra il bancone. "Silenzio!" La intima, mentre l'ultima ciocca dei suoi capelli ramati è già oltre la soglia. E lei non si volta nemmeno, perché ha bisogno di uscire a prendere un po' di aria. Perché tutto, improvvisamente, è diventato opprimente. Tutto è diventato così pesante, come lo è quel libro dentro la borsa. Non è mai stata fiera di come si è comportata con Ares. Chi lo potrebbe essere quando si comporta da veri stronzi? Lui le era stato dietro, era stato conciliante, aveva sopportato ogni sua stranezza, facendosele andare bene. Non aveva mai capito, Olympia, se lo facesse per puro spirito sportivo, di fronte all'impresa impossibile che era sempre parsa a tutti l'uscire con la figlia di Potter o perché, in fondo, lei a
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    lui piaceva sul serio. Eppure, alla fine, l'aveva allontanato, come faceva con tutti. Gli aveva semplicemente voltato le spalle e si era allontanata, così come era arrivata nell'incrociare la stessa via di lui. Semplice e veloce come mandare giù una di quelle pillole giornaliere, che al tempo erano decisamente più pesanti di quelle che prende attualmente. Perciò no, non era mai stata felice di come l'aveva trattato, non dopo quello che aveva provato a fare per lei. Ma lei è sempre stata un'anima difficile da salvare. E anche Ares, alla fine, sembrava averlo capito.
    Attraversa il possente portone di Hogwarts a grandi falcate, decisa a dirigersi fuori dalle sue mura, verso le Serre di Erbologia, lì dove tutti sanno che può essere trovata quasi sempre la sua folta criniera rossa. Il posto che più l'aiuta a non pensare, tra i fumi dell'erballegra che tiene nascosta proprio lì, sotto un asse del pavimento piuttosto instabile, e qualche sana ora di cura delle piante - dopo aver ottenuto il lasciapassare del professor Wilde. E con la coda dell'occhio lo vede, lì, seduto sul muretto, tra un arco e un altro. Rallenta, rallenta fin quando i suoi passi non si arrestano e nella sua mente frullano i punti interrogativi. Prova a parlarci? Riprende a camminare, fingendo di non averlo visto?
    Salutarlo cordialmente, per poi continuare come sempre?
    No, alla fine opta per l'opzione che più le ha messo ansia nel periodo subito dopo averlo lasciato: affrontarlo. E ora ha anche una scusa piuttosto convincente per farlo, tanto da farla sembrare una vera motivazione del perché gli si sta avvicinando, a passo misurato, con il suo solito sorriso ad illuminarle il volto. Prende un grosso respiro. «Ciao Ares.» E riesce ad articolare almeno quelle due parole, mentre gli ultimi raggi solari buoni illuminano il cortile. E ora? Che si fa? Si parte subito con la messinscena, talmente elaborata ed organizzata, da far capire subito che è una pietosissima scusa? Rimane così, impalata di fronte a lui, fin quando non si dà una scrollata, zittendo quella fastidiosa voce che continua a punzecchiarle la testa. Affonda la mano dentro la borsa e ne tira fuori il libro dalla copertina perfetta, quasi da farlo passare come mai usato. «Credo questo sia tuo» spiega, mentre glielo porge. Deduzione brillante, dato che ha scritto il proprio nome sotto il titolo della prima pagina. Cerchiamo di renderla più fantasiosa questa storiella? «L'ho trovato in biblioteca.» Oh, così va decisamente meglio sì. Continua così. L'ironia con cui la pungola quella voce è fastidiosa di solito, ma in quel momento sembra essere anche peggio. «Lo hai dimenticato lì, indifeso e alla mercé di chiunque volesse abusarne, e ho pensato bene di riconsegnarlo al suo legittimo proprietario.» Ahhh, mi domandavo quando l'avresti sparata la cazzata. Ed eccola qua, stupida io a pensare che avresti abbandonato il tuo modus operandi per una volta. Vorrebbe risponderle ad alta voce, come fa di solito, ma ha imparato a controllarsi in pubblico e a controllare quell'impulso che la fa risultare ancora più pazza di quello che è. «Sì, insomma, era anche una scusa per parlare.» Disarmante e imbarazzante sincerità come suo solito. «E ora stiamo parlando.» Sorride, ma non sembra essere troppo convincente. «E comincia ad essere imbarazzante se continui a farmi blaterare da sola.» Benissimo.
     
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  2. AresCarrow
         
     
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    La pietra è calda sotto le mie gambe, e i raggi di sole che obliqui colpiscono la colonna cui sono poggiato donano a quell'angolo di cortile un calore che si farà sempre più raro con il passare dei giorni, sparendo poi del tutto nel giro di qualche settimana. La Scozia è un posto estremamente affascinante ma il clima, che pure dona a prati e foreste un verde brillante secondo solo a quello irlandese, è praticamente uno schifo. Dai primi di Ottobre fino ad Aprile inoltrato il cielo è perennemente coperto di grigio, e la pioggia cede quasi sempre il posto alla neve già ai primi di Dicembre solo per sparire poi ben oltre la metà di Febbraio. Sono quattro mesi di buio completo, quelli che ci attendono, interrotti solo dalle settimane di vacanze natalizie e, forse, da un uso accorto della Stanza delle Necessità. Ricordo che un paio di anni fa Peter Frenstone, di Corvonero, era riuscito ad evocare là dentro una spiaggia caraibica talmente accurata che, oltre ad un insolito numero di abbronzature sospette, aveva finito con il portare a scuola otto casi di Febbre Dengue che erano stati abbastanza difficili da spiegare ai genitori dei ragazzi.
    Inutile a dirsi, i Corvonero riuscivano ad essere noiosi anche quando c'erano di mezzo acque cristalline, una spiaggia bianca come farina e un sacco di costumi da bagno.
    Alzo la testa, quindi, a godermi quegli ultimi raggi di sole mentre rifletto su come sia possibile richiamare qualcosa di adatto nella Stanza senza però rischiare una lunga e dolorosa degenza al San Mungo. Avete mai provato a cercare quali sono gli effetti della Dengue? Fatelo se volete ringraziare la divinità che pregate per vivere in un clima troppo freddo per quelle zanzare. Magari è meglio provare con qualcosa di più mite, ma senza esagerare. La costa spagnola, forse, o le colline italiane. Il massimo che si rischia così è di svenire per l'eccesso di vino rosso...
    Apro gli occhi che avevo socchiuso, puntando lo sguardo in direzione del saluto che mi è appena arrivato addosso come una doccia fredda. Non devo nemmeno mettere a fuoco la rossa figura che mi osserva da poco lontano per sapere di chi si tratta: riconoscerei quella voce fra mille. Il dubbio che mi sale fin sul volto riguarda solo quello che può volere lei da me, lì, così vicino. Ho sempre pensato che fosse un tacito accordo quello di tenere fra noi una sorta di spazio neutro, una distanza che tenesse entrambi al sicuro dalle rivendicazioni dell'altro, e ho sempre rispettato la sua decisione di avere il giusto spazio. Mi sistemo leggermente sul muretto, prima di risponderle - Ciao Olympia - e non sono nemmeno sicuro di quanto mi faccia piacere, averla lì così, all'improvviso. Non l'ho mai odiata per la decisione di porre fine alla nostra breve storia, non fosse altro motivo che era sempre stato palese che non avrebbe potuto funzionare davvero.
    - Ah, grazie... - mormoro mentre prendo il libro dalle sue mani, controllando che il nome sia proprio il mio. Che io mi sia potuto dimenticare un volume del genere in biblioteca è fuori discussione, ma mentre lo appoggio lì accanto non devo fare nemmeno troppi sforzi per capire come ci sia arrivato, laggiù. Siamo solo in due a poter entrare nella mia stanza, io e il mio strambo compagno, e così come sono sicuro di aver sistemato quel volume insieme agli altri, nel mio baule, lo sono anche del fatto che nessuno abbia scassinato la porta solo per rubarmi un libro di pozioni. Al mio rientro dovrò spiegargli due cose sul rispetto della privacy.
    Cerco di sorriderle, mentre con la mano vado a grattarmi la nuca - Sì, è che...non me lo aspettavo - e quello deve essere già abbastanza chiaro per entrambi, anche senza scivolare nell'ovvio. Davvero? "Non me lo aspettavo"? - E sai che non sono molto...loquace... - e nemmeno sveglio, a giudicare dalla prestazione del momento. Scaccio con violenza quei pensieri dalla mente, cercando di isolare la vocina critica che continua a blaterare proprio lì, dietro l'orecchio destro.
    Inventati qualcosa, adesso!
    - Beh, grazie di avermi salvato il libro, innanzitutto. Credo che sarebbe mancato molto, ai suoi compagni - ecco, così va meglio. Non proprio brillante, ma di sciuro meglio - E mi fa piacere che tu...insomma, come stai? -
     
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    - Ciao Olympia - Olympia è sempre stata una creatura piuttosto empatica. Si è domandata spesso se tutto quel "riuscire a capire le emozioni" fosse un altro dei regalini ereditati dalla sua vera natura. Perché è una cosa che le viene piuttosto naturale e che, in tutta sincerità, non apprezza più di tanto. Sa benissimo che vuol dire cercare di nascondere i propri sentimenti, lei è sempre la prima a farlo, e l'entrare subito in contatto con quelli altrui le è sempre parso un'invasione della loro privacy. Per questo non le sfugge il disagio che invade il viso di Ares nel salutarla e distoglie immediatamente lo sguardo. Perché è tanto brava nell'immedesimarsi nelle sensazioni altrui quanto non lo è nel gestirle, mettendo chi ha di fronte a proprio agio, quando lei è la prima a non esserlo. Che bruttissima idea. Bruttissima davvero. Una delle peggiori che hai avuto nell'ultimo periodo. Well done, Olympia! Abbassa gli occhi sul libro che passa dalle proprie mani a quelle di lui e rimane in silenzio, mentre il suo ringraziarla la fa sentire ancora più cretina. E' stato sempre strano tra loro, una volta lasciati. In silenzio, senza nemmeno riparlarsi, si sono scivolati tra le dita, allontanandosi l'uno dall'altra per prendere strade diverse. Olympia spesso si è domandata cos'è che l'avesse spinta ad aprirsi con lui e mentre lo guarda di sottecchi, imbarazzati nel riparlarsi veramente dopo anni, capisce che è quello il motivo. L'estrema somiglianza dei loro caratteri. Se l'avesse conosciuta prima, se avesse conosciuto l'Olympia prima dell'incidente, non era certa che sarebbe piaciuta ad Ares, così come, con ogni probabilità, a lei non sarebbe piaciuto lui. Troppi livelli differenti a separarli. Ma con quella nuova percezione del mondo, Olympia si era ritrovata nei modi di fare di Ares. Il parlare poco, lo stare vicino senza mai toccarsi veramente, lo sfiorarsi con riluttanza di lei a cui lui aveva dato un nuovo significato, pian piano nei mesi, il non costringersi a fare cose che nessuno dei due avrebbe mai fatto e che non aveva assolutamente voglia di fare. Era un rapporto strano. Con il senno di poi, dopo aver vissuto un'esperienza tanto intensa con Willem e con quella che vive giorno dopo giorno con Rudy, non è certa che quella con Ares si possa chiamare propriamente storia. Erano più due amici che apprezzavano particolarmente la compagnia dell'altro. Qualcosa più di amici, ma decisamente lontana dalla definizione comune che tutti danno alla parola fidanzati. Ares e Olympia stavano insieme, letteralmente, ma non troppo metaforicamente. Parlavano, fino a quando hanno smesso di farlo. - Sì, è che...non me lo aspettavo. E sai che non sono molto...loquace...- Annuisce sorridendo Olympia, mentre ricorda quanto poco loquaci fossero entrambi, ai tempi. Lui, in questo, non sembra essere cambiato. «E' sempre stata una delle tue doti migliori» risponde la rossa, rimanendo a distanza, mentre gli ultimi raggi solari le carezzano sbarazzini il viso, andando ad illuminarle i capelli, mettendo in risalto i filamenti dorati intrappolati in quel mare rosso. - Beh, grazie di avermi salvato il libro, innanzitutto. Credo che sarebbe mancato molto, ai suoi compagni - Piega la testa di lato, come a fargli intendere che quello non era poi un gran gesto. «Non avrei sopportato di saperli tutti così infelici» ribatte con una risatina nervosa. Altro punto a favore del ragazzo: il metodo e l'ordine che rifletteva all'esterno ciò che doveva esserci al suo interno. E' una cosa che trovava confortante, l'avere vicino qualcuno di così ordinato e pulito in netto contrasto con il suo essere sporca e fatta a pezzi. - E mi fa piacere che tu...insomma, come stai? - Come sta? L'aria che tira ormai da un anno a questa parte non aiuta di certo i suoi nervi fragili. Ma sta nettamente meglio di come stava quando era ancora solita parlare con Ares. «Bene» risponde molto eloquentemente. «Molto meglio E' un'informazione che lui non le ha richiesto ma che lei si sente di dargli, come a volersi scusare per i tempi in cui la risposta a quella domanda era soltanto una. Male. Si passa distratta una mano tra i capelli, per liberarsi delle ciocche che le ricadono davanti al volto. «Tu invece come stai?» Domanda. E quando Olympia solitamente fa questa domanda è perché le interessa davvero la risposta. Non la fa tanto per fare, solo per riempire quel silenzio con domande di circostanza di cui non ascolterà il proseguimento. Non è una di quelle persone che nascondono il viso dietro certe maschere. E' sinceramente interessata. «Devo svelarti un segreto.» riprende, come se le fosse stato chiesto qualcosa che effettivamente non le è stato assolutamente chiesto. «Quest'anno avevo scommesso sulla tua possibile ascesa come Caposcuola Serpeverde. Sembravi il candidato ideale, in contrapposizione con i temperamenti degli altri Caposcuola.» Aggiunge, con un'espressione divertita sul volto. «Il cognome comunque l'avevo centrato in pieno.» E a dirla tutta, credo di essermi sbagliata. Amunet mi sembra già decisamente a suo agio con la sua nuova carica.
     
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  4. AresCarrow
         
     
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    «E' sempre stata una delle tue doti migliori»
    In che modo puoi rispondere ad una persona che ti dice che il fatto di saper restare in silenzio è una delle tue qualità migliori?
    La fisso in viso cercando di capire quanto sia una presa in giro e quanto invece sia sincera, in bilico fra l'idea di aver appena ricevuto un'aspra critica e quella di essere appena stato carezzato da un complimento piuttosto velato. Ho sempre amato il tempo trascorso ad ascoltarla, o semplicemente a guardarla, vittima a mia volta di un magnetismo che sembra catturare tutti coloro che hanno a che fare con lei. Olympia possiede quel genere di bellezza in cui il risultato è superiore alla somma delle singole parti: tutto appare bello, in lei, affascinante e ben proporzionato, ma è qualcosa che traspare dai suoi gesti e dalle sue espressioni a dare un valore aggiunto a tutto il resto, come ad illuminarla dall'interno, e se da un lato sono sempre stato felice di avere ricevuto in dono la capacità di saper ammirare ciò che ho di fronte, da un lato ho sempre maledetto l'incapacità di dirle ciò che vedevo quando me la trovavo di fronte. Ciò che vedo ancora, sotto un certo punto di vista.
    Credo che parte del problema fra noi fosse anche quello: ho sempre amato il tempo trascorso con lei più di quanto amassi lei.
    Annuisco una volta, senza sapere bene cosa dire. Avrei preferito sapere con un po' di anticipo che me la sarei trovata di fronte, così da prepararmi qualche pensiero coerente da poter mettere in parole, ma parte del suo fascino è sempre stato proprio nell'assoluta spontaneità con cui sembra affrontare tutto ciò che la circonda. Così posso solo alzare una mano a grattarmi una guancia, pensieroso, e lasciare che l'educazione prenda il controllo quanto basta da fare uscire un - Mi fa piacere - che non suona nemmeno lontanamente sincero quanto è in realtà. Sono davvero contento di sapere che sta meglio di quanto non stesse quando stavamo insieme, magari perfino che abbia trovato una persona con cui far scattare quella scintilla che era sempre mancata nella nostra relazione. Non solo troppo diversi, ma assurdamente incomprensibili uno all'altro - Bene anche io, suppongo - annuisco invece, laconico, molto meno incisivo di quanto vorrei essere. Non ho nulla di cui lamentarmi, ma allo stesso tempo non riesco ad affermare con assoluta sicurezza di stare bene: c'è inquietudine in me, come se mi mancasse qualcosa, e per quanto mi obblighi a portare più pazienza possibile mi è difficile godere allo stesso tempo della tranquillità che mi circonda.
    Credo di aver capito, in definitiva, che nonostante le apparenze non sono un tipo fatto per l'assenza di sfide.
    Distolgo lo sguardo da lei, per la prima volta da quando è iniziata quella conversazione, per lasciarlo vagare intorno a noi. Il prato che scende verso le serre ha assunto una sfumatura color smeraldo nella luce dal tardo pomeriggio, e i riflessi che colpiscono le finestre del castello sono lame dorate che paiono tagliarlo in strisce irregolari. Di tanto in tanto uno dei loro compagni passa, più o meno lontano, e lancia un'occhiata nella loro direzione - Amunet è molto più adatta di me come Caposcuola - dico nel tornare ad osservarla, pur sapendo che entrambi conosciamo la verità: se anche non fosse stata davvero lei la più adatta dei due un semplice desiderio di Mun sarebbe bastato a farmi tirare indietro. Non ci sarebbe stata spilla capace di valere la sua felicità - E molto più portata a interagire con il prossimo, temo. Non so quanto sopporterei di essere...com'era?...guida e sostegno? - una scrollata di spalle. Sto molto meglio da solo che in compagnia, e fare il Caposcuola porta inevitabilmente ad essere posti sotto un riflettore ogni singola ora del giorno. Non fosse per altro, Mun sarebbe più adatta di me anche solo per quello.
    Un filo di vento si alza dal Lago Nero, spingendo un piccolo gruppo di foglie lungo il prato e dando iconica forma alla mia incapacità di continuare a parlare. Getto un'occhiata in direzione del sentiero, giù, verso le serre che non fatico immaginare essere la sua destinazione - Tieni ancora dell'erballegra nascosta laggiù? - le domando. Non ho più molta voglia di stare lì, sotto gli occhi di chiunque passi, con gli sguardi di mezzo castello a pesare su una situazione già colma di disagio di suo. Non temo i pettegolezzi per me, ma faccio fatica a non credere che lei preferirebbe evitare di venirmi associata in un momento simile, e in ogni modo il silenzio ha bisogno di pace per diventare comunione e non baratro - Credi di poterne condividere, un poco? -
     
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3 replies since 17/9/2017, 21:33   85 views
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