Still the first time

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  1. AresCarrow
         
     
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    Rivedere Beatrix per la scuola mi ha fatto uno strano effetto, opposto al mattino in cui ci hanno detto che se ne era andata eppure simile, in una qualche maniera.
    Sono passati mesi e mesi eppure una mattina in Sala Grande lei era lì, semplicemente, come se non se ne fosse mai andata, con il solito sguardo strafottente e il sorriso malizioso di sempre, dettagli conosciuti che pure sembrano avere adesso una sfumatura diversa. Mi incuriosisce questa sua assenza, un po' come mi ha sempre incuriosito tutto in lei. Avere a che fare con lei è come stare seduti sul bordo di una scogliera ad osservare il feroce turbinio delle acqua sottostanti: non puoi evitare di guardarle, affascinato, pur sapendo che abbandonarsi a quelle correnti avrebbe come solo risultato l'essere macinato dagli scogli che, nascosti dalla spuma, attendono pazienti appena sotto la superficie.
    Sarebbe saggio lasciarla perdere e continuare lungo il mio sentiero.
    La gente che mi osserva tende di solito a rivestire la mia calma e la mia profonda educazione con un velo di tenerezza, di debolezza quasi, ma tanta passività non è in realtà l'attesa di un momento che, ciclicamente, tende a tornare. Mio padre mi ha cresciuto in modo che tutto in me, dalla mia mente al mio fisico, fosse costruito per ragionare intorno all'istante in cui qualsiasi maschera di dialogo cade e le finzioni finiscono, rendendo infine necessario lo scontro. E' l'attesa di quel momento, di quei pochi minuti in cui si giocano il tutto e il niente, il cardine attorno a cui ruota tutto il mio essere.
    Prima vengono i sorrisi, poi le bugie. Per ultime le pallottole.
    Non sono mai stato bravo in nessuna delle prime due cose, e anche con le armi da fuoco avrei molto da migliorare, ma il concetto è quello e LEI lo ha capito da subito. Non ho mai dovuto dirle di niente, di questo.

    CITAZIONE
    Stanotte, dopo il coprifuoco. Là dove ci siamo visti la prima volta.

    A.

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    Mun non sarebbe contenta di sapere del biglietto che ho lasciato a Beatrix oggi, in biblioteca, ma Mun è raramente contenta di quello che faccio quando non si tratta di lei. C'è questo modo di proteggerci che ci accomuna da tutta la vita e che ha costellato la nostra vita di piccoli sbagli, talvolta, ma di cui pure ci è impossibile fare a meno. per questo non le ho detto niente, ne oggi ne allora. Perché io, al suo posto, sarei profondamente contrario.
    Buffa l'ipocrisia, vero?
    Il grosso pugnale ruota agile delle mie dita mentre, sovrappensiero, passeggio per la Sala Trofei. E' un oggetto da esposizione che ho tirato fuori dal fodero di un'armatura vicino all'ingresso e il fatto che sia poco afflato e mal bilanciato non diminuisce di nulla il conforto che ne traggo. Lo faccio volteggiare fra le dita, abile al punto da strapparmi una punta di superbia da solo, prima di andare a posarlo dove l'ho preso.
    Immagino che non tarderà molto ad arrivare.
    Le prime notti ad Hogwarts non riuscivo a dormire bene, ricordo. Non era la paura di un ambiente nuovo a tenermi sveglio, e nemmeno in quei primi giorni pativo in alcuna maniera l'ansia delle lezioni. No, era la distanza da Amunet a crearmi disagio. Non erano mai state molte le notti che avevamo passato separati da più di un muro, fino a quel momento, mentre adesso era semplicemente irraggiungibile, chiusa nei dormitori femminili in cui io non avevo modo di mettere piede. Era l'idea di non poter arrivare a toccarla nemmeno volendo a turbarmi, a farmi sentire davvero solo per la prima volta nella mia breve vita di undicenne. Era stato i quelle notti, scivolando fuori dal mio letto e lungo i corridoi del castello, che avevo imparato a conoscere la scuola per quello che era. Giravo per le sue enormi stanze al buio, cercando di fare meno rumore possibile e di evitare la ronda di professori e caposcuola, alla scoperta degli angoli più affascinanti che mi riuscisse di trovare. Avevo raggiunto le cucine così, e scoperto il modo in cui potersi procurare del cibo in piena notte, e in poche settimane mi ero fatto un'idea precisa di dove fossero le Sale Comuni delle altre casate.
    E poi avevo scoperto la Sala Trofei, con la sua storia, le armature, le foto...
    Ero andato lì molte volte, le notti in cui non riuscivo a dormire, silenzioso come un gatto alla ricerca di un rifugio, solo per scoprire che non ero stato tanto discreto quanto avevo creduto, in almeno un'occasione. Beatrix era una bambina, poco più bassa di me, dai lunghi capelli biondi e con gli occhi azzurri, enormi, che sembravano cogliere qualsiasi cosa. E mi aveva seguito, fino a lì, dalla sala Comune oppure per caso ci si era trovata come me, nello stesso momento. Non lo so, non mi ha mai raccontato quella parte della storia.
    Anche adesso è molto silenziosa nell'aprire la porta, e non l'avrei sentita arrivare se non fossi stato in ascolto. Sorrido, mio malgrado, e mi volto verso l'ombra che avanza nel buio.
    E' sempre stata lei, quella stronza.
     
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    Non è facile abituarsi alla vita in mezzo a degli adolescenti. Fortunatamente, o sfortunatamente per lei, ha Beatrix con sé, nella sua testa, che ogni tanto dispensa sapienza che Maze mai avrebbe creduto che la ragazzina possedesse. "Non è perché tu sei un demone e pensi di conoscere tutto che allora io divento matematicamente una deficiente su tutti i fronti." Maze aggrotta la fronte, mentre accavalla le gambe scoperte sotto il tavolo e si porta l'indice tra le labbra. E' relativamente sola in quell'ala della biblioteca. Sceglie sempre quella zona più in disparte, tra due scaffali di libri e la finestra, per poter parlare con se stessa senza essere creduta pazza. «Dici che non è così? Ti è mai importato altra oltre l'aprire le gambe e lo spendere il denaro dei tuoi genitori in vestiti e borse?» Domanda e per un attimo, sente che gli ingranaggi della parte del cervello in cui è rintanata Beatrix si mettono in moto, come a voler cercare qualcosa d'intelligente da dire. "Anche a te piacciono certe cose." «Mi piacciono perché piacciono a te.» Perché, seppur non voglia ammetterlo nemmeno a se stessa, non essendo riuscita nel compito di schiacciare completamente la volontà di Beatrix, lei e quella ragazza sono ormai un tutt'uno. Due anime in un corpo solo. E quello che piace ad una influenza l'altra, quello che detesta Maze da fastidio anche a Beatrix, ciò che ama Beatrix comincia a piacere anche a Maze. Un unicum indissolubile, se visto dal suo punto di vista. Sente che sta per dire qualcosa, ma poi si blocca di scatto. Allora Maze è costretta ad alzare lo sguardo dal libro che sta fingendo di leggere - non sa nemmeno se sia quello di Incantesimi o Erbologia, tanta è la noia che ha provato soltanto nell'aprirlo - e incontra gli occhi di un giovane che ha incontrato spesso, ma con il quale non ha mai parlato. Occhi chiari, capigliatura scura, pelle diafana. Si morde un labbro, sorridendo maliziosa, mentre sente, per l'ennesima volta, l'ondata di emozioni che arrivano dall'angolo di Beatrix. Lei lo conosce. E sono strane le emozioni che prova. Rimorso, desiderio, rabbia, passione, tristezza. Una punta di infatuazione. Non dice una parola, mentre lui le scivola accanto, quasi come se non l'avesse vista. Eppure lo fa, perché la sua mano si intrufola sul tavolo, nell'ultimo attimo buono, prima di sorpassare la figura di Beatrix. E vi lascia sopra un biglietto di pergamena. "Non leggerlo. Non sono cose che ti riguardano." L'ammonisce la voce di Beatrix e Maze non può far altro che sorridere maligna, mentre le dita, ticchettando, si avvicinano al biglietto, lo toccano, per poi srotolarlo senza alcuna pietà. «Se non lo leggono i miei occhi, come farai a sapere cosa ti ha scritto?» Pungente, le indirizza quelle parole, mentre le parole, scritte in una tipica calligrafia maschile, ma estremamente elegante, appaiono sotto i suoi occhi. «Stanotte, dopo il coprifuoco. Là dove ci siamo visti la prima volta. A.» Legge, per poi accartocciare il tutto in una pallina deforme. «Mh, mi devi raccontare qualcosa, tesoro? Hai fatto la birichina con A La pizzica lì, sul vivo delle sue emozioni, sapendo di farle del male. Soddisfatta nel procurargliene. "Si chiama Ares." Attende, Maze, che prosegua nel suo racconto. "E forse è successo qualcosa." «Posso vedere tutti i tuoi ricordi, perlomeno quelli non fallati, lo sai sì?» "Lo so." «Ottimo. Quindi? Me lo dici tu o devo cercarmelo da sola dov'è che andiamo questa sera dopo il coprifuoco?»
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    Sala dei Trofei. E' lì che si sono incontrati Beatrix ed Ares la prima volta. Lui l'aveva seguito, da brava stalker quale è sempre stata. Decisamente annoiata e particolarmente insonne, aveva trovato curioso che il bel Serpeverde sgusciasse fuori dalla Sala Comune - lì dove lei se ne stava in attesa di riprendere sonno, o in attesa del suo ragazzetto di turno - quasi ogni notte. E quella notte l'aveva seguito, finendo dentro la stanza nel quale si intrufola Maze con passo aggraziato, senza fare alcun rumore. Si chiude la porta alle spalle, come a lanciare un silente monito a colui che l'ha invitata lì. Da qui non puoi scappare. Beatrix non ricorda per filo e per segno cosa è successo con quell'Ares Carrow che Maze si ritrova di fronte, avanzando nel buio, con passo fermo e sicuro. Ha deciso che quel vestitino chiaro, candido, sarebbe stato più che perfetto per sembrare la solita santa che vuol far credere di essere. I piedi, scalzi, si muovono sopra la fredda pietra e ad ogni passo un brivido di freddo le percorre la schiena. Ma forse è anche l'atmosfera sulla quale ruota quell'incontro che la fa rabbrividire. D'eccitazione. «Sono ancora il tuo piccolo segreto, stellina?» Gli dice, mentre rimane nell'ombra, osservandosi intorno. Beatrix riconosce ogni angolo di quella stanza, Maze li conosce uno ad uno per la prima volta in quel momento e i suoi occhi, come attratti dalle cose umane che sono più affini al suo animo da demone, si puntano sul pugnale in acciaio, abbandonato nelle vicinanze di un trofeo di qualche torneo internazionale di Quidditch vinto dalla scuola. In punta di piedi si avvicina al tavolo e lo prende tra le dita. Ne saggia il peso, passandolo da una mano all'altra. «Non cambi mai, sempre il solito misterioso a cui piace nascondere i propri trofei» commenta e si avvicina a lui, sorridendo con quel suo solito sorriso ambiguo, che vuole dirti tutto e al contempo non dice assolutamente niente. Così da lasciare una variegata scelta tra la quale scegliere al suo interlocutore. "Che vuoi fare con il coltello? Non vorrai ammazzarlo?" E se anche fosse? Provi anche rabbia nei suoi confronti, lo sento, appagherei la tua vendetta. Dovresti essermi riconoscente. Ti ha usata, esistevi soltanto nell'ombra di una stanza e mai nella sua parte illuminata. "Non voglio che muoia. L'hai detto anche tu, ero una ragazza sciocca e viziata. E lui..lui era soltanto un ragazzo." Già, è soltanto un ragazzo. E per me significa meno di zero. «Ma certi trofei hanno il diritto di essere esposti.» Lascia che la punta del pugnale si appoggi alla base del proprio collo, scendendo giù, tra i seni, abbassando di qualche centimetro la stoffa del vestito, fin quando non passa oltre, lasciando che l'orlo torni al suo posto. Si lascia carezzare dalla lama fredda come a fargli capire che è lei il trofeo di cui parla e non perde mai il contatto con i suoi occhi perché quei laghi chiari non possono seguire la lama per osservare ciò che bramano. Ciò di cui non ha mai tenuto troppo conto. «Lo reclamano a gran voce.» Sussurra, avvicinandosi di qualche passo. Ruota il polso e il pugnale si appoggia al petto di lui, mentre lei si morde il labbro inferiore, divertita dalla piega che sta prendendo quella conversazione. «Perché mi hai voluto incontrare?» Gli domanda, mentre la punta della lama scorre verso il suo braccio e i suoi piedi cominciano a muoversi in tondo, intorno a lui. «Cosa vuoi da me?» Le è sempre piaciuto torturare le anime all'Inferno e sulla terra non ha mai avuto una vera e propria vittima da tormentare. Ma in quell'attimo capisce che Ares Carrow è il giusto sfogo per ognuno di quei desideri che il suo spirito reclama. Ares è la sua anima da torturare.
     
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  3. AresCarrow
         
     
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    Il rumore della serratura è un piccolo scatto, leggero, e so che la chiave è svanita da qualche parte all'interno delle sue tasche. Non leggo nessuna minaccia in quel gesto, quanto piuttosto un lieve desiderio di intimità. Sono state molte le ore che abbiamo passato lì nel corso degli anni, o in posti affini a quello, e tante le occasioni in cui abbiamo rischiato di essere scoperti. Indietreggio verso la finestra della Stanza mentre lei avanza, un'ombra sempre più definita fra quelle che la circondano via via che procede, fino a sfiorare con la schiena il davanzale interno della vetrata. La spessa tenda di tela ondeggia nel venire toccata, un movimento che riporta alla mia memoria la notte in cui appena dodicenni siamo corsi a rifugiarci proprio lì dietro per non venire scoperti dall'allora professore di divinazione, in turno, stretti uno all'altro, i volti arrossati dall'emozioni e le mani premute sulle bocche nel tentativo disperato di non ridere.
    «Sono ancora il tuo piccolo segreto, stellina?»
    Non sono passati che pochi anni da allora, eppure sembra una vita. Carezzo distrattamente la tenda per fermarla, mentre il mio indietreggiare la obbliga a venire avanti per farsi vedere, illuminata ora dalla luce della luna. E' una figura in bianco e nero sotto quella luce, con qualche sprazzo di colore a sottolinearne i dettagli più importanti. Mi fermo con lo sguardo sul trofeo che tiene in mano, lo stesso pugnale con cui giocavo io fino a poco fa, e riesco a trovarlo strano solo fino ad un certo punto: le sono sempre piaciute le cose pericolose - Dipende...io sono ancora il tuo? - le domando tornando a guardarle il volto. C'è un lampo per un secondo, qualcosa che non conosco e non riconosco, ma non posso che dare la colpa ai mesi di assenza e alla lontananza. Forse dovrei darci più importanza, ma non sono in grado di farlo in quel momento. Me ne pentirò, quello è sicuro, ma sono state molte le occasioni che ci hanno fatto pentire poi di quegli incontri, no? Eppure siamo entrambi qui, ancora una volta.
    - Un vero gentiluomo non parla mai delle proprie conquiste - le rispondo con un mezzo sorriso, con una frase che ho già pronunciato molte volte. Era diventato un mantra, quasi, o una gag fra di loro. Solo che a Beatrix non aveva mai dato fastidio che quei loro incontri rimanessero una cosa loro, un segreto di cui non parlare con nessuno, mentre adesso sembrava quasi accusare lui di essere il solo fautore di quella decisione - Preferisci mi aggiunga al gruppo di ragazzi che si scambiano pareri sulle tue grazie? - le domando piegando leggermente la testa. Inutile dire che non sono mai stato geloso di quei racconti e di quelle concessioni, e se anche in un paio di occasione potrei essermi sentito un po' infastidito dai termini più volgari di quei racconti ho sempre fatto in modo che tale irritazione arrivasse ai diretti interessati mascherata sotto qualche scusa più stupida.
    Solo loro due sanno davvero perché, per esempio, Xavier Smithson si è preso un pugno sul naso al quarto anno, dietro le serre: certe definizioni avrebbe dovuto tenersele per sua sorella.
    «Lo reclamano a gran voce.»
    - Allora entra con me in Sala Grande, domani mattina, e baciami di fronte a tutti - scrollo le spalle. Un'altra cosa di cui si è molto parlato, ma che non è mai stata fatta. Perderebbe molto del suo fascino, tolto dal segreto, e il senso del loro rapporto non è mai stato solo quello, no? Scivolo in avanti, silenzioso sul pavimento lucido, mentre lei mi pone la domanda più stupida che possa farmi. Quella più stupida e, al contempo, quella cui meno di tutte posso rispondere.
    La mia mano sinistra si chiude intorno a quella che lei tiene sull'impugnatura del coltello, allargandole appena il braccio, mentre la destra si va a infilare fra i suoi capelli, sulla nuca. Stringo appena per spingerle la testa all'indietro e cercarne le labbra con le mie. La bacio, e finisco un attimo dopo con il pinzarle leggermente il labbro inferiore fra i denti, in un morso leggero. Mordimi - Perché avevo voglia di vederti, per che altro? -
     
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    - Dipende...io sono ancora il tuo? - Scrolla la testa, Maze, mentre comincia a provare piacere nel parlare con quel ragazzino. Quindi è così? Anche lui era il tuo piccolo segreto scabroso? "All'inizio sì.." Quei mentali puntini di sospensione la fanno rabbrividire. Soprattutto perché in tutta onestà non è così impressionata dal ragazzo che ha di fronte. Deve avere qualche dota nascosta di cui ancora non sono a conoscenza, dico bene? L'eco di una risata invade i pensieri di Beatrix, che decide di non risponderle. Decide di rimanere in silenzio, lasciando pieno controllo di manovra allo spirito della demone. E questa sorride al ragazzo, che si crede tanto furbo da provare a rivoltare la situazione, impugnandone il coltello. «Sono altri gli scheletri che ora dormono silenziosi nel mio armadio.» Sei passato di moda tesoro, come il verde e i pantaloni a vita alta che andavano tanto l'anno scorso. La voce è pacata e soffice, nel dire quella verità, perlomeno per Maze, assoluta. Beatrix forse non è d'accordo sull'uso delle parole, ma dovrà esserlo sull'effetto finale che esse hanno. Perché in fondo, da quello che è riuscita a vedere, grazie ai ricordi che non sono rimasti vittima del poco afflusso di ossigeno al cervello, post mortem, sa benissimo che Beatrix alla fine aveva cominciato a reputare importanti quegli incontri segreti. Ares era sempre stato il suo segreto, è vero, ma probabilmente quello più prezioso, all'interno del ventaglio di possibilità che si era sempre data. Beatrix non aveva mai sentito l'amore sulla sua pelle e probabilmente Ares era quello che glielo aveva donato, senza nemmeno saperlo. Non gli aveva detto niente, come avrebbe potuto? Sapeva benissimo cosa pensava in merito il ragazzo e allora era rimasta, nel buio, ad aspettarlo in silenzio che le sue mani si ricongiungessero con quelle di lui. Alla luce, invece, non facevano altro che ignorarsi perché è così che doveva andare. Amanti solo nella penombra. Sei stata davvero una stupida, lo sai? Beatrix non risponde, perché non c'è alcuna risposta valida che possa dare per sembrarlo un po' di meno. Per apparire meno sciocca nell'essersi fatta calpestare volutamente. E' una fortuna che ti sia capitata io sai? "Ma sì infatti, è proprio bellissimo non aver più alcun controllo del mio corpo." Scherza pure piccolina, ma mi ringrazierai quando finalmente sarai tu a calpestare il suo cuore. E con quei nuovi tacchi dodici di Prada. Sorridono, insieme. E' una sorellanza strana la loro, che va consolidandosi sempre di più, seppur entrambe preferirebbero rimanere completamente distaccate, l'una dall'altra. Ma ahimè, non è una cosa fattibile. - Un vero gentiluomo non parla mai delle proprie conquiste. Preferisci mi aggiunga al gruppo di ragazzi che si scambiano pareri sulle tue grazie?- Sbatte le ciglia, divinamente angelica, mentre si ritrova di fronte a lui, con soltanto il pugnale a separarli. «Se è per lasciare il giustificato feedback positivo, certo, perché no?» Maze, di certo, non ha alcun tabù, specie quando si parla di sesso. Per lei è un vanto che le persone parlino di quanto sia brava in certi ambiti, che continuino a farlo non è una vergogna. "Non si usa parlare apertamente di certe cose, tra gli umani. E'...sconveniente e poco elegante." Sogghigna.
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    Costruirsi una bella facciata di convenienza è una cosa che non ha mai destato la sua curiosità, specie con i ragazzini. Ma capisce che sia importante mantenere un certo livello, quanto più simile possibile al modus operandi di Beatrix, per cercare di non essere scoperta. «Un vero gentiluomo, d'altro canto, saprebbe riconoscere il valore di certe conquiste e saprebbe rendere loro onore, adeguatamente.» Gli gira intorno, lentamente, mentre dà voce al suo pensiero. Ares Carrow non è assolutamente un gentiluomo. Non dopo ciò che gli ha visto fare nei ricordi di Beatrix. E il ripensare a certe immagini stuzzica la sua mente perversa, mentre Beatrix vorrebbe solo dare sfogo a quel conato di vomito immaginario che prova. - Allora entra con me in Sala Grande, domani mattina, e baciami di fronte a tutti - Scrolla i capelli all'indietro, seguendo il suo esempio, mentre si lascia andare ad una risata vivace. Poi, quando è di nuovo di fronte a lui, scuote la testa, con una smorfia furba ad incresparle le labbra. «No, no» scandisce le due parole, modulando le labbra lentamente, quasi a volere che quelle due sillabe vengono recepite bene dalla mente di lui. «Non sopravvalutarti tesoro. Non ne sei assolutamente degno.» Non più. E in tutta risposta, lui decide di dare sfoggio di quelle abilità che ha visto nella mente della ragazza che la ospita nel suo corpo. La prende e lei lo lascia fare. La mano si allarga e il coltello cade a terra, con un rumore secco, mentre le loro labbra si toccano. "Non baciarlo. Non..non puoi farlo." Rimane interdetta nel sentirla parlare nella propria testa. Sei gelosa? Vuole te, non me. Il corpo è il tuo. Sono certa che vorrebbe anche me, se mi potesse vedere veramente, ma non è questo il punto. Beatrix non risponde, piuttosto piccata, mentre Ares morde il suo labbro, con più dolcezza di quanto Maze si sarebbe aspettata. - Perché avevo voglia di vederti, per che altro? - L'ombra di una risata mentre i denti si allacciano al suo labbro inferiore e lo mordono, non con la stessa delicatezza che ci ha messo lui. Qualche goccia di sangue fuoriesce dalla sua carne e lei si stacca con una risata divertita. Il sangue la eccita come poche altre cose al mondo, eppure si è trattenuta dal leccare via quelle stille rossastre. «Quanta fretta, stellina. Manco da mesi e la prima e l'unica cosa che vuoi da me è ciò che ti posso offrire aprendo le gambe? Proprio un vero gentiluomo Lo canzona, con schiettezza, mentre scivola con elegenza verso la sedia che si trova sotto la finestra illuminata dai raggi lunari. Si siede sopra, accavallando le gambe, mentre lo guarda. La tenda, quella tenda, le carezza le gambe nude con una dolcezza inaudita, tanto da farle il solletico. «Che hai fatto questi mesi, Ares?» Lo chiama per nome, per la prima volta. «Quante ragazze hai portato in questa stanzetta buia durante la mia assenza?» Una domanda diretta che è accompagnato da un intenso sguardo fisso. «Quante di loro hai sfiorato pensando a me "Ma che cazzo dici?" Zitta, non è un gioco per bambini questo. Sorride, affabile, mentre gioca con le dita. «Sappi che la risposta nessuna non è contemplata.»


    Edited by survivor` - 7/10/2017, 19:31
     
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  5. AresCarrow
         
     
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    Quelle che fino a un attimo fa erano solo delle campane attutite dalla distanza si sono appena trasformate in un vero e proprio segnale di allarme che partendo dalla nuca mi trilla in mezzo alle tempie e l'unica cosa che la mia mente riesce a pensare è che non è lei, che non può esserlo. Non so bene cosa sia ma è qualcosa che esula il discorso che mi sta facendo, o almeno voglio convincermi che lo sia, che il mio sospetto non sia solo il frutto di un animo ferito. Perché le sento, quelle parole, e me le sento affondare in maniera dolorosa nel petto, proprio là dove più volte mi ero risvegliato con i segni delle unghie di lei. Non ci saranno segni domani mattina, lo so, eppure il bruciore lo percepisco comunque in maniera quasi fisica e non è affatto piacevole - Perché è maleducato, volgare e profondamente irrispettoso - non esito in quella risposta, neppure al pensiero di avergliele già ripetute spesso in altre occasioni. Non sono mai stato una persona capace di far uscire racconti pittoreschi da un qualsiasi momento di passione, e c redo sia sempre stato quello uno dei motivi per cui non siamo mai riusciti a trovare un modo per far uscire la nostra relazione dall'ombra di quegli incontri fugaci: esporla agli sguardi degli altri membri del Clavis avrebbe significato sentirsi obbligato a parlare di lei, di tutta lei, e non è mai stata una cosa che ero pronto a fare.
    Ho sempre protetto quei momenti come i gioielli preziosi che sono, e l'idea che pur conoscendomi lei abbia dato al mio silenzio l'interpretazione esattamente opposta mi da un rapido senso di vertigine.
    Non è lei! mi urla qualcosa dentro mentre indietreggio, e finalmente decido di darle retta.
    Non sono le sue parole, e nemmeno il modo in cui mi spingono dentro, pungendomi. Mi passo un dito sul labbro inferiore, lentamente, e me lo alzo davanti agli occhi. Una piccola striscia di sangue spicca, nera nella penombra che offusca l'ambiente. Me lo pulisco con un lieve colpo di lingua mentre mi chino a recuperare l'arma che, con quello, è al terzo passaggio di mano. No, è qualcosa nel muoversi, nella postura, nel modo in cui mi ha baciato. Forse non è lei, ma di sicuro è quasi lei. Quasi perfetta, e forse qualcosa di più fuori da lì, ma all'interno di quella stanza...Polisucco? mi chiedo Delusione? mi rispondo.
    Può un orgoglio ferito far scivolare tanto a fondo i sospetti di una persona?
    Ruoto il busto e lancio il coltello in lontananza, nel buio. Rotea un paio di volte fendendo l'aria, prima di infilarsi fin quasi al manico nel legno di uno scaffale. Beatrix non è mai stata timida o remissiva, ma l'arroganza che emana è di una sfumatura nuova, così priva di qualsiasi forma di insicurezza com'è. Non mi sono ancora mosso, ne lo faccio adesso. resto in piedi a guardarla da lì, dal punto in cui l'ha raggiunta il mio bacio, e sento una punta di perplessità aggiungersi al sospetto nel mio sguardo - Io non voglio quello che hai fra le gambe - le faccio notare, e per un attimo ho il sospetto che non capisca. Che non ricordi nulla delle serate passate lì dove lei è seduta adesso, due voci che parlavano nel buio, o delle notti in cui non erano altro che il calore di un fianco poggiato a quello dell'altro. E' di quello che non avrei mai voluto dover parlare al Clavis, se mai lo avessero scoperto, seppure ci sarebbe stato molto da raccontare su come il loro rapporto di bambini si era evoluto, nel tempo. Non del sesso, del suo sapore, dello sbattersi contro i muri o in terra o delle mani premute sulle labbra per non urlare...eppure ho l'impressione che non lo ricordi, o che non ci abbia pensato. Anche quello è un affondo, e dei più dolorosi - E non porterei mai nessuno qui - aggiungo con altrettanta fermezza, perché anche di quello sono sicuro.
    Quel posto è un rifugio, non un'alcova.
    Esito solo un istante, prima di continuare - Ma ne ho sfiorate molte, pensando a te - e anche quella è la verità. Non mi piace mentire, non lo faccio mai se non sono costretto, e in più una volta a lei ho promesso sincerità e trasparenza. Mi stringo nelle spalle, mentre mi passo una mano sul mento - Come abbiamo sempre fatto. "Finché possiamo resistere", no? - ci cito, in quello che era un gioco fra me e lei. Finché potevamo resistere a tenere il segreto, finché potevamo resistere a vederci uno con altri, finché potevamo resistere nel darci piacere - Qual era la parola, Beatrix? Qual è? - quella che nell'intimità fermava i loro giochi. Quella che fuori avrebbe azzerato la distanza.
     
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    - Perché è maleducato, volgare e profondamente irrispettoso - Maze inarca le sopracciglia, decisamente colpita dalle intenzioni che riesce a leggere tra le righe di quella frase. Però, hai scelto proprio un signorino a modo, devo concedertelo! Hai sentito? Raccontare di quanto sei brava a letto è profondamente irrispettoso, ma scoparsele tutte, persino la tua miglior amica, non lo è. Sono impressionata! L'eco dei pensieri di Maze rimbomba nella testa, senza ottenere una vera risposta dall'altra parte. Rimane in silenzio, Trixie, perché non sa come controbattere a quella che sembra essere una constatazione piuttosto reale dei fatti, che non lascia spazio ad inutili tentativi di obiezione. Perché Beatrix lo sa, sa benissimo che è vero, ogni singola parola di Maze è vera. Ma è anche vero che lei aveva lasciato intendere che tutto quello le andasse bene. Finché sarebbe riuscita a sopportarlo. E seppur non riuscisse a farlo ormai da tempo, aveva continuato imperterrita ad andare avanti, a testa alta, mentre l'oggetto della sua infatuazione continuava a girarsi mezzo castello, come continuava a fare pure lei, in tutta risposta. E questa testardaggine è probabilmente la cosa che per la quale Maze riesce ad apprezzare la ragazza così tanto. E' stata stupida, gliel'ha sempre tenuto a precisare, ma comunque una donna forte, risoluta nel non farsi vedere debole, nel non farsi soppesare come mancante. Probabilmente è per questo che la demone cerca di vendicare il suo orgoglio. Non lo ammette, nemmeno a se stessa, ma ormai ha cominciato a tenere, vagamente a Beatrix. E' inevitabile e sarebbe improbabile il contrario. - Io non voglio quello che hai fra le gambe - Maze finge di rimanere interdetta, inclinando la testa per esprimere la confusione che le alberga fintamente in volto. «Ah no? E perché mai volevi vedermi allora? Per parlare del più e del meno? Ti sei forse preoccupato di chiedermi dove sono stata per tutti questi mesi, prima di saltarmi addosso?» Io non credo. Gli domanda, completamente padrona del tono della sua voce. Né troppo squillante, né troppo apatico. Una frequenza nel mezzo, che dovrebbe far trasparire tutta la sua totale sicurezza nel muoversi in quella situazione insidiosa. "Sai, Maze? Potrebbe capire che non sono io. Sono sempre stata una stronza, ma quando con lui ero.." Debole. Sì lo so, l'ho visto. Ti lasciavi scivolare tutto addosso, sperando di ottenere qualcosa in più. Ma tesoro, questa è una nuova versione di te, migliorata, potenziata. Hai me ora! E la sensazione di non essere più effettivamente sole le fa stare bene, contemporaneamente. Provano una sorta di strano piacere nel sentirsi finalmente parte di qualcosa. Non più anime sole, ma anime congiunte per uno scopo, una missione comune.
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    - E non porterei mai nessuno qui. Ma ne ho sfiorate molte, pensando a te - La sincerità. Un atteggiamento al quale Maze non è stata assolutamente abituata all'Inferno. Lì il mentire e farlo spudoratamente, in faccia, è all'ordine del giorno. Ma forse, sotto quel punto di vista, gli umani sanno essere meno barbari. Perché non è la prima volta che si ritrova a fronteggiare un inaspettato momento di candida e pura verità, detta con sconcertante sincerità. Ares si dimostra genuino nel raccontarle quell'agrodolce verità. Ne ha toccate molte, pensando a te. Dovresti esserne orgogliosa. Sei comunque riuscita a lasciare il segno. Commenta Maze, ma Beatrix è un misto di emozioni che la demone riesce a decifrare con fatica. C'è felicità, ma è contrapposta alla totale delusione. C'è speranza e dall'altra parte rabbia. Allora anche Maze si confonde, per qualche istante. Perché non capisce quell'uragano che la minaccia, rimanendo lungo i confini del suo essere. Dovrebbe essere felice, felice nel sentire che l'ha pensata, che l'ha ricordata. Eppure è arrabbiata perché, comunque, qualcun'altra c'è stata. Alza lo sguardo, per incontrare quello in penombra di lui. Il sopracciglio si incurva, quasi lo stesse tirando un filo, dall'alto. «E' stato appagante perlomeno? Il pensiero che fossi io e non loro è riuscito a scaldarti di più?» "Per quanto lo vorrai ancora spremere?Ti piace torturarlo?" Trixie le domanda incuriosita, mentre osserva il ragazzo attraverso gli occhi azzurri che ormai comanda Maze. Non hai nemmeno idea di quanto mi sia mancato farlo. E' emozionante tornare a schiacciare un'anima. "Sembra confuso, quasi addolorato.." Commenta nuovamente la ragazza, andando a riempire di orgoglio l'animo di Maze. "Sei brava in quello che fai. Molto." Piega la testa, Maze, sorridendo esternamente, ma rivolgendolo a Trixie. - Come abbiamo sempre fatto. "Finché possiamo resistere", no? - Finché lei non ce l'ha più fatta, vorrai dire. - Qual era la parola, Beatrix? Qual è? - Lascia dondolare la gamba accavallata, mentre appoggia entrambi i gomiti alla poltroncina. «Mazikeen» lo corregge con fermezza. Non più Beatrix. «Preferisco Mazikeen. Non sono più la persona di un tempo Siamo cambiate, ci siamo evolute, insieme. "Vuole sapere la parola. Non ti crede." Inconveniente che Maze non aveva valutato, ma con il quale non si cruccia più di tanto. Perché la parola la conosce bene. L'ha ascoltata tra i ricordi di Trixie, tra quelle fumose immagini di due ragazzini che giocavano a fare i grandi, sussurrandosi segreti, baciandosi attraverso la tenda, sfiorandosi e trattenendo il fiato nel farlo. «Petriolo Risponde soltanto, lasciando vagare il proprio sguardo verso la finestra dalla quale entra la fioca luce lunare. Petrolio. La scelta era stata piuttosto bizzarra, ma loro si conoscevano da quando avevano 12 anni, erano cresciuti insieme e ognuno aveva portato con sé un po' del proprio bagaglio. E in quello di Beatrix c'era un libro. La gabbianella e il gatto. Un libro per bambini che sua madre leggeva spesso a lei e sua sorella Gwen, prima di metterle a dormire. Si era vergognata un po' nel proporre una parola del genere, era diventata ancora più rossa nel raccontare il perché di quella scelta. Ma ora non prova imbarazzo. Non più. «Ma alla fine, forse, ce le siamo sporcate un po' entrambi le ali, non credi?» Domanda, tornando a guardarlo, con un'espressione più calma ad addolcirle i lineamenti del suo volto. «Entrambi siamo rimasti bloccati nel petrolio e ora abbiamo le anime sporche. Nere. Vischiose Arriva a quella conclusione ad alta voce, lasciando che la propria mente corra senza pensarci troppo. «Mi stai forse suggerendo di usarla nuovamente, ora? Per bloccare tutto questo, alzarmene e andarmene?» Chiede, spostando la testa di lato, come incuriosita dall'osservarlo da quella nuova angolazione. Un sorriso trapela beffardo sulle sue labbra. «E' un'opzione alla quale avevo sinceramente pensato, se devo essere del tutto onesta con te. Ma la curiosità ha sempre fatto da padrona in me, mi conosci
     
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  7. AresCarrow
         
     
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    Penso fosse inevitabile accadesse, ma eccoci infine al punto in cui la osservo e non so più come risponderle. Non sono mai stato tanto bravo con le parole quanto con i fatti, e Beatrix questo dovrebbe saperlo, e proprio per quello non ho la minima idea di come comportarmi quando sono proprio i fatti a tradirmi e incepparsi, facendosi da chiaro messaggio delle mie intenzioni a contorto significato tanto facile da fraintendere. Sbatto le palpebre, consapevole di come la confusione mi sia emersa sul volto a quell’accusa, senza però alcuna intenzione di ricacciarla da dove è venuta. Non le ho mai mentito, non una volta dal giorno in cui l’ho conosciuta, e non intendo farlo adesso. Nemmeno per omissione.
    - Ti ho baciata perché mi sei mancata - scandisco, in una verità che speravo non occorresse mai specificare. Eppure è in quelle domande che vedo una rottura che non capisco, che non mi aspettavo di trovare, e nell’interpretazione che dà di ciò che ha davanti, di ciò che pensavo fosse ovvio, noto una distanza che non ho mai provato con lei. Mi ferisce, un poco, ed è un’altra di quelle cose che non mi importa che mi salga al volto. L’ho sempre lasciata libera di seguire i suoi bisogni e i suoi desideri, bene attento a non stringerle intorno alla gola nessun guinzaglio di gelosia che potesse strangolare il nostro rapporto, il nostro giardino segreto, e sebbene fosse una libertà di cui ho sempre goduto ampiamente a mia volta si trattava di una libertà che aveva un senso solo perché poi quel giardino esisteva, sacro e intonso.
    Perché sapevo che nonostante il sesso nessuna era come lei, per me, e nessuno come me per lei.
    E’ una sicurezza che però ora vacilla, proprio lì dove è più doloroso che lo faccia, e ho all’improvviso il dubbio che per lei sia sempre stato qualcosa di diverso, che nonostante le parole sussurrate nel buio per lei non sia stato ciò che è stato per me - E no, non lo è stato. Per niente - perché forse sono troppo ingenuo per capirlo, troppo distante dai miei stessi sentimenti, ma ho il sospetto che il senso del mancarsi fosse proprio quello: che nulla è più che un semplice, stupido palliativo.
    Raddrizzo la schiena a quel pensiero, il taglio della mascella all’improvviso più deciso mentre ripeto il suo nome, scandendolo lentamente - Beatrix - ribadisco - Ho sempre odiato i soprannomi - soprattutto con un nome come il suo, tanto bello e poetico. Suppongo sia un’altra di quelle cose che non lo ho mai detto, quanto mi piaccia il suo nome. Quanto sia intenso, per me, che pure ora mi scopro essere semplicemente indegno.
    Incrocio le braccia al petto, poggiandomi con una spalla allo scaffale alla mia sinistra. La luce che proviene dalla finestra mi taglia ora il viso in due, illuminandomene solo una parte, eppure non tolgo lo sguardo da lei, dal suo viso più che dalla sua figura. Perfino quella parola pare avere adesso un significato diverso, fra le sue labbra, quasi deriso. C’era stata una notte, in quella stessa stanza, in cui le avevo detto che sarebbe bastato che pronunciasse quella parola una volta sola, fuori da lì, perché quel gioco smettesse e diventasse…cosa? Qualcosa di più serio? Una relazione? Non ne sono sicuro adesso più di quanto lo fossi allora, ma credo che se lei lo avesse fatto io sarei stato contento di fare almeno un tentativo, di provarci, eppure Beatrix ha sempre preferito la libertà a quella scelta, una decisione che ho vigliaccamente scelto di rispettare, sempre, e che ora me l’ha trasformata in una mezza sconosciuta capace di stravolgere tutto ciò che abbiamo vissuto - No - le dico - Non sono l’oggetto della tua curiosità, e se davvero devo spiegarti perché sono qui credo non abbia nemmeno senso farlo. La chiave della porta, per cortesia - allungo la mano dal buio verso di lei, con il palmo rivolto verso l’alto - Petrolio, Beatrix. Stavolta è per me che è troppo -

    Edited by AresCarrow - 23/10/2017, 12:06
     
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    - Ti ho baciata perché mi sei mancata - Oh ma davvero? Hai sentito sciocchina? Gli sei mancata, è per questo che ti ha baciato. Non perché sperava di usare questa poltrona in modi differenti. Quanto sono stata maligna a pensare male. Sono proprio un diavolo, sembrerebbe. Beatrix, nel suo angolino di cervello, sospira. "Ti prego, smettila." Di fare cosa esattamente? "Quello che stai facendo. Torturarlo come fosse un giocattolino. Non ha importanza, non vale la pena. E' successo una vita fa." E questo vuol dire che dovresti lasciar perdere, lasciandogli l'ultima parola? Maze non la capisce la sua ospite. Ci sono volte dove riesce perfettamente a ritrovarsi nei suoi pensieri, appoggiandoli in tutto. E poi ci sono momenti come quello in cui non riesce a vedere la differenza tra Beatrix e una stupida qualunque, disposta a farsi passare sopra da chiunque. Sono momenti come quello che riescono ad infastidire lo spirito della demone, tanto da indisporla e costringerla a fare il contrario di ciò che le viene richiesto. Momenti nei quali un sì diventa improvvisamente un no, un no diventa un sì e un forse è già un no annunciato. Per questo non demorde, Mazikeen, mentre guarda con aria di sfida il signorino d'alta società che ha di fronte. Volevi giocare con me tesoro. Eccomi, cosa vuoi di più di una bella sfida aperta? E' questo che sembra fiammeggiare negli occhi della bionda. Fiamme che crescono d'intensità quando sente le sue parole successive. - Beatrix. Ho sempre odiato i soprannomi - Stringe gli occhi, Maze, tanto da far comparire delle crepe leggere intorno ad essi. Sbatte un paio di volte le ciglia, sorridendo di fronte a quella presa di posizione che lei ritiene essere, essenzialmente, stupida. Non si arrabbia, ma tiene a freno i propri istinti primordiali, serrando appena la presa sul bracciolo della poltrona. Dio, ma come hai fatto a sopportarlo per tutto questo tempo? Chiede ad una Trixie che però non le risponde. Preferisce osservare la regola del silenzio per non assecondare l'ascesa della rabbia della demone. «Oh no, stellina, ti ho forse dato l'impressione che mi interessi ciò che tu odi?» Distende le labbra, lasciando dondolare la gamba accavallata a mezz'aria. Lo guarda con quell'espressione tipica che assumono le ragazze di fronte alla vista di un cucciolo di cane o di gatto. E' intenerita, stranamente. «Se è così, ti prego di scusarmi. Proverò a spiegarmi meglio. Mazikeen è il mio nome. Non un soprannome, non una cosa che puoi scegliere deliberatamente di ignorare o fartela andare a genio. E' così.» E farai bene a ricordartelo. Punto. Fine di ogni discussione. Non vi possono essere riguardo il suo nome, forse la cosa più preziosa che Maze abbia mai avuto nella sua lunga e tormentata esistenza. Stare a discutere su di esso le sembra una grande mancanza di rispetto, non che di eleganza. "E' confuso." Così volevo che fosse. E confuso lo sembra davvero, non tanto quanto però dice a parole. Oh, a parole sembra davvero essere deciso. - No. Non sono l’oggetto della tua curiosità, e se davvero devo spiegarti perché sono qui credo non abbia nemmeno senso farlo. La chiave della porta, per cortesia. Petrolio, Beatrix. Stavolta è per me che è troppo - Gli angoli delle labbra si piegano verso il basso, in un broncio davvero triste. Che peccato, non vuole più giocare. Chissà perché. Ma a Mazikeen piace tanto giocare, anche quando si ritrova a farlo da sola. Forse è quello il momento che preferisce: esasperare le persone, portandole ad attraversare i loro limiti, le loro barriere proibite. Cosa che è riuscita a fare con Ares, che non ne vuole più sapere. Con un sorriso congeniale, si alza dalla poltrona. Gli si avvicina, stando sulle punte dei piedi. «Facile andarsene quando non si sa come rispondere.» La miglior tattica per non aver le mani macchiate di sangue, dopotutto, è la fuga. Alza una mano e la poggia sulla sua guancia. Che peccato, sembravi avere qualcosa d'interessante. Mi sbagliavo. Vi sono sfumature di delusione nel suo sguardo, che si fa sempre più vicino, per poi inclinarsi di lato. «Non hai nemmeno idea di quanto sarà troppo quando si arriverà al mio troppo.» Sussurra, sfiorandogli l'orecchio con le labbra. Poi scivola di lato, con un sorriso sarcastico a coprirle le labbra, avviandosi verso la porta. Fa scattare la chiave nella serratura, aprendola in un schiocco secco. «La chiave è sempre stata qui. Non sei mai stato costretto a rimanere.» Gli dice prima di avviarsi oltre, silenziosa com'è arrivata. Avendo così l'ultima parola, la cosa più importante.
     
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