And if you don't know now you know..we're taking back the crown

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    Alla fine era tornato al lavoro. L'apparenza di normalità, in quei casi, era essenziale, e in fin dei conti lo stesso Percy ne aveva fin troppo bisogno. Dopo tutto quel tempo passato in mezzo a gente sconosciuta, travolto ogni giorno da un nuovo vortice di informazioni, tutto ciò di cui necessitava era ritornare nel suo ambiente, quello in cui stava a proprio agio e poteva permettersi di riflettere con maggior lucidità. C'era poi di mezzo anche il compito che Beatrice gli aveva dato: tenere occhi e orecchie ben aperti. Tuttavia, per la maggiore, quel ritorno era per lui una pausa dall'anormalità che lo aveva travolto. Rimettersi a fare lo schiavetto fu stranamente confortevole, e riuscì a tenergli la mente abbastanza occupato da impedirgli di vagare su considerazione a cui già sapeva di non poter dare risposta. Per il momento aveva scelto l'ignoranza, almeno fino a quando non si sarebbe abituato in pillole a quella nuova natura e al drastico cambio di vita che comportava. Fece dunque ciò che aveva sempre fatto: si buttò a capofitto nel lavoro, sgobbando come un mulo per recuperare il tempo perso e riacquistare terreno su gli altri stagisti ministeriali. L'ultimo compito a lui dedicato fu una full immersion di tre giorno in quel di Hogwarts per conto dell'ufficio che regolamentava l'istruzione. Lo avevano mandato al castello con un permesso per visionare l'archivio della biblioteca e fare il callo su documenti noiosissimi quali il bilancio annuale, i verbali degli esami, quelli dei colloqui per le nuove assunzioni e robe così. Un weekend intero di completa e totale noia, con il solo lato positivo di poter rivedere sua sorella e quei pochi ex compagni con cui aveva un rapporto.
    "Hai sentito della storia del campo da Quidditch?" abbassò gli occhiali sulla punta del naso, scrutando il volto di Ophelia con un'espressione piuttosto divertita nello sguardo ceruleo. "Oh, ti prego, quelle rogne me le sono lasciate alle spalle molto volentieri." Non che quelle appena acquistate siano migliori, chiaro. "No no, questa ti piacerà, la devi proprio sentire." Aveva trillato la bionda, scansando i fogli del gemello per farsi posto sul tavolo e mettercisi a sedere sopra. Nella sua solita parlata a macchinetta gli raccontò della diatriba che aveva coinvolto Fred Weasley e Amunet Carrow riguardo il fatto che il primo non avesse rispettato gli accordi tra Grifondoro e Serpeverde riguardo gli allenamenti delle rispettive squadre. Condì anche il tutto con il gossip spicciolo che sembrava aleggiare attorno alla questione, menzionando infine la problematica del ballo scolastico e il fatto che mezza scuola fosse in attesa di sapere con chi ci sarebbero andati quei due. Il discorso sembrò innescare un domino di pensieri nel cervello dell'ex Serpeverde, facendo muovere i suoi ingranaggi all'impazzata fino a far spuntare un sorrisino sul suo volto. Con aria furbesca si tolse gli occhiali da lettura, appoggiandosi con i gomiti al tavolo per sporgersi meglio verso la sorella e rivolgerle un'occhiata complice. "Ophi, tesoro, ti posso chiedere un piccolo favore?"

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    Da che mondo era mondo, la casata Serpeverde difficilmente lasciava impunite le mancanze di rispetto nei confronti dei suoi appartenenti. Gente fiera, quella che portava i colori verde e argento, gente capace di perdonare, ma che non di dimenticare i torti subiti. Torti come piccole gocce d'acqua, che confluivano una ad una fino a creare un fiume in piena che avrebbe scatenato la propria potenza su chi quella pioggia l'aveva cominciata. A Percy piaceva davvero poco che i suoi concasati venissero presi sottogamba, e ancor più era convinto che chiedere scusa a danno fatto fosse tanto utile quanto lavarsi senza sapone. Da ciò che gli era stato raccontato, Weasley aveva acconsentito a concedere a Serpeverde un venerdì in più come scambio a quello che gli aveva sottratto. Un equo tornare sui propri passi. Ma ahimè, non era la praticità il vero problema in quell'equazione. Piuttosto lo era il fatto che evidentemente il nuovo caposcuola rosso-oro si fosse sentito in diritto di infrangere accordi per cui non era stato lui a sudare, e di cui aveva ben tratto beneficio fino a nemmeno un anno prima. Diamine, Weasley, basta voltare le spalle per cinque secondi e già te ne approfitti? Molto male. Ingratitudine nei confronti del duro lavoro altrui, ecco come la vedeva Watson. Un'ingratitudine per giunta scaturita da futili motivi personali che erano finiti per mettere in cattiva luce la compagna che aveva appena preso il suo posto. Un danno di immagine a cui nessuna concessione avrebbe potuto riparare. E, si sa, l'immagine è molto importante per mantenere il polso delle situazioni. Se già a inizio mandato gli studenti avessero visto che potevano approfittarsi del gioco pulito della Carrow passandola praticamente liscia, quanto ci sarebbe voluto prima che qualcuno oltrepassasse nuovamente il segno? E così il giovane Watson si era imbarcato l'ignobile compito di raddrizzare il torto subito in modo che la ragazza ne uscisse con le mani pulite e al contempo la casata potesse rimettere in sesto il proprio orgoglio. Nulla di che: aveva semplicemente chiesto a Ophelia, in qualità di insegnante, di prenotare a suo nome il campo da Quidditch per tutti i venerdì da lì al ballo. In questa maniera, a nessuno veniva davvero tolto nulla: Grifondoro si sarebbe allenata lo stesso, ma di sabato, rinunciando al pomeriggio di uscita. Una vendetta educata, come tutte quelle di Watson: senza distruzioni, ma con il semplice retrogusto di rendere le cose decisamente irritanti al proprio avversario. "Potrebbe scatenare un'altra faida tra casate, lo sai, vero?" aveva detto giustamente sua sorella, trovando risposta in un cenno noncurante della mano del ragazzo. "Potevano pensarci prima. Comunque, a chiunque abbia rimostranze, puoi tranquillamente dire di venire a rivolgersi a me in persona o tramite gufo. Me ne assumo la piena responsabilità. Ma magari, per quando non potrò essere qui a parlarne dal vivo, potrai passare da parte mia il messaggio che se la civile convivenza tra le casate fosse davvero interessata, si avrebbe anche avuta la decenza di rispettare il lavoro altrui, quello che gli era stato lasciato pronto." Detto ciò le aveva sorriso benevolmente, ringraziandola con un bacio sulla fronte e provvedendo a duplicare con la bacchetta il foglio delle prenotazioni firmato dalla sorella. Aveva lasciato a un ritratto dei corridoi il compito di recapitare ad Amunet Carrow un messaggio veloce: l'invito a presentarsi nell'aula di Trasfigurazione appena finito di pranzare. Gli aveva anche chiesto di non dire da chi provenisse il messaggio, e fatto ciò si era incamminato verso l'aula indicata, trovandola appunto vuota. Gli studenti erano ancora impegnati a consumare il proprio pasto in Sala Grande, cosa che a lui dava il tempo di completare la duplicazione di quel foglio oramai ufficiale.
    Quando sentì il cigolio della porta annunciare l'arrivo della Carrow, Percy era già pronto, seduto sulla cattedra con il bel plico di fogli poggiati al suo fianco. Sorrise cordialmente nel vederla, facendole cenno col capo di entrare. "Hai ricevuto il mio invito. Molto bene." disse, piegando appena il capo di lato per esternare quel piccolo compiacimento. "Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho fatta venire qui." Fece una pausa, estraendo la bacchetta dalla fondina e puntandola con un leggero colpetto sulla pila di fogli. Al tocco, questi cominciarono immediatamente a levitare di fronte a loro, vorticando a mezz'aria fino a formare una parola, o meglio, una domanda. 'Prom?' Solo un foglio rimase nelle mani di Percy, quello che lui le porse una volta sceso dalla cattedra e colmata la distanza con lei. "Nessun invito è un vero invito se non si accompagna ad un bel regalo."
     
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    « Amunet Carrow. » La ragazza trasalisce, assorta com'è nei propri pensieri. Ryuk ha deciso di adottare una politica ferrea di fastidi perenni alternati a momenti di silenzi stampa a cui la ragazza non è abituata. E' questo ciò che siamo diventati io e te, Ryuk? Non erano mai stati amici, questo la Carrow lo sapeva; aveva momenti in cui non avrebbe desiderato altro se non liberarsi della sua presenza. Altre volte tuttavia, Mun sentiva come se avesse bisogno di lui. La sua presenza le era di conforto. In fin dei conti, se su una cosa il suo dio della morte aveva ragione, allora era proprio il fatto che lui c'era sempre stato. In quale modo, per quali ragioni, con quali interessi, era una cosa che Amunet cercava ancora di comprendere. « Ti aspettano nell'aula di Trasfigurazione. » « Chi. » Non è una domanda. E' chiaramente un imperativo. Vuole sapere chi la attende. E' paranoica, sulla difensiva, soprattutto con tutto gli ultimi risvolti nel castello. Hogwarts sembra essersi gettata nel caos primordiale, e nessuno, davvero nessuno aveva intenzione di fermare quel caos. Era come se Edmund Kingsley si fosse dimenticato di loro, del loro primordiale diritto a una vita dignitosa. Ecco, c'era chi si lamentava del fatto che fosse rimasto chiuso all'interno di una scuola per più di un anno senza avere la possibilità di vedere la propria famiglia. La Carrow invece, si lamentava, del diritto inalienabile d'onore e rispetto reciproco, che quella scuola per così tanti secoli ha perpetrato nei propri alluni. Ultimamente, episodi di bullismo erano all'ordine del giorno. Risse in corridoio, pestate collettive e non da ultima quella maledetta bacheca che spogliava ciascuno di loro dei più reconditi segreti che custodissero. Quell'exposé poteva essere di gradimento di qualche sciocco, ma Mun trovava il tutto di cattivo gusto. Forse perché nella sua intimità preferiva una bella bugia che una verità cruda. Forse perché lei, non avrebbe mai voluto sapere tutta la verità, né su se stessa, né sugli altri. « La giustizia. » La Carrow inarca le sopracciglia con fare sospettoso prima di scoppiare a ridere nel vedersi scomparire l'insolito pomposo cavaliere dal quadro. « Non ci andare. » Ah quindi adesso parli. Sono contenta di vederti nuovamente, Ryuk. Ultimamente Ryuk sembra comparire solo quando si sente minacciato. Sin da quella sera di qualche settimana fa in biblioteca, Ryuk è più paranoico della propria protetta. Vede mostri ovunque. Cerca di instillarle sospetto nei confronti di chiunque, a volte persino del fratello, della compagna di stanza. Prova a metterla contro persino alle persone più innocenti che calpestino le pietre millenarie del castello. « E questo perché.. » Parla a bassa voce guardandosi attorno per accertarsi che non ci sia nessuno a guardarla. Decide quindi di imboccare un corridoio che conduce verso un'ala del castello molto meno frequentata, un percorso alternativo che è conosciuto da meno persone, attraverso il quale arriverà comunque di fronte all'aula di Trasfigurazione. Vuole approfittarsene di quella botta di convivialità che le offre Ryuk, per cercare di strappargli qualche informazione in più. « Perché hai l'abitudine di immischiarti con le persone meno adatte alla tua posizione. » Da quando in qua ti preoccupi del mio rango? vorrebbe chiedergli, ma ha il sospetto che non si riferisca a quella posizione lì. Alla sua appartenenza a una delle famiglie più nobili del Mondo Magico. Si riferisce a qualcos'altro. Qual è la mia posizione, Ryuk. Andiamo. Parla! « Cosa c'è dietro quella porta, Ryuk? » Qualcosa che ti mette sulla difensiva chiaramente. Non risponde. Ryuk non cederebbe nemmeno di un passo nei confronti della sua protetta, questo le darebbe il potere, e seppur, Ryuk sappia di non potersi permettere certi lussi, tanto quando Mun non se ne può permettere altri, tenta di mantenere la sua posizione di superiorità mostrandosi apertamente indisposto ad aiutarla in alcun modo. Vorrà dire che lo scoprirò da sola. E non appena apre la porta dell'aula, il dio della morte scompare in una nuvola di fumo dal suo fianco, lasciandola da sola in compagnia dell'ultima persona che si aspetterebbe di trovare lì dentro. Percival Watson, ex caposcuola Serpeverde, ex una serie infinita di titoli scolastici, presidente di questo e quell'altro club, cocco di tre quarti dei professori di Hogwarts - quelli seri quanto meno - il compagno indesiderabile per eccellenza, e un gran punto di riferimento per la nuova principessa dai capelli corvini dei Serpeverde. « Hai ricevuto il mio invito. Molto bene. » E' confusa. Davvero confusa. Si sta chiedendo con non poca insistenza, cosa ci fa Percival Watson ancora a scuola. « Avresti dovuto avvisarmi del tuo arrivo. » Inizia quindi, senza dimenticare le buone maniere. Amunet era pur sempre una Carrow, e in quanto tale sapeva come comportarsi con i suoi stessi pari. « Ti meriti un'accoglienza diversa. » Si appoggia contro il primo banco, davanti a lui, incrociando le braccia al petto. Nemmeno l'ombra di Ryuk. Che cos'ha Percival Watson di tanto speciale da intimidire un dio della morte? Oltre a essere una iena, ovviamente. Cercando di prenderla sul ridere, non si stupisce che Watson possa fare paura persino a un dio della morte. In cuor suo, sa che quel ragazzo ribalterebbe il sotto, se solo lo volesse. Non c'è niente che quel ragazzo avesse desiderato, e che negli anni non si fosse avverato. E questo la portava ancora una volta a chiedersi, cosa desiderasse da lei e come l'avrebbe ottenuto. « Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho fatta venire qui. » Decisamente sì. Resta quindi lì in quella posizione, attendendo con una certa curiosità la mossa dell'ex Caposcuola. In tutta risposta lui, lasciò volteggiare di fronte a lei una serie di fogli che andarono a ricomporre in pochi istanti una semplice domanda. Mi stai chiedendo di andare al ballo con te? Watson!
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    Scoppia in una risata leggermente nervosa, mentre abbassa lo sguardo cercando di nascondere quella leggera sorpresa mista a un pizzico di imbarazzo. Una richiesta del genere non potrebbe che suscitare una simile reazione. E come ciliegina sulla torta, il foglio che le porge. Mun scorre la tabella velocemente, prima di alzare lo sguardo interrogativo in direzione del ragazzo. « Cosa..? » « Nessun invito è un vero invito se non si accompagna ad un bel regalo. » « Questo campo non ti dà pace nemmeno fuori, eh? » Quando in realtà vorrebbe semplicemente dire: Oh, Percy Watson, tu si che sai conquistare una ragazza. Non le sfugge tuttavia il leggero cambiamento nel portamento del ragazzo. Che sia chiaro. Amunet Carrow non è cieca, e l'unico motivo per il quale non ha mai manifestato alcun tipo di interesse nei suoi confronti, oltre ai normali apprezzamenti che si fanno per un qualunque bel ragazzo, è perché Watson si è sempre reso irraggiungibile. E così assottiglia lo sguardo appena, nel piegare il foglio riponendola nella tasca del suo elegante tailleur. « E così, la prima volta che inviti una ragazza al ballo, è quando al ballo non ci puoi più andare. » Sottinteso cosa volesse intendere. Non è certo un'accusa, e tanto meno una frase detta con un moto di offesa. Tutto il contrario; è intrigata da quali interessi possano aver attirato l'attenzione di Percy Watson nei confronti di quel ballo. « Sono lusingata. E' un onore essere la prima dama di Percival Watson. » E dicendo ciò fa un'elegante riverenza di fronte a lui. Fa una leggera pausa tempo in cui su quel suo volto candido si distende un sorriso malizioso. « Qualunque cosa abbia stuzzicato il tuo interesse per questa serata, ti sei guadagnato il tuo biglietto di entrata. » E insieme ci siamo guadagnati un'entrata in grande stile. Due generazioni a confronto, il passaggio dello scettro. « Sì; verrò al ballo con me. » Asserisce quindi con un tono più formale, tipico delle gentil donzelle poste di fronte a un rituale particolarmente inflazionato. « A una condizione.. » Disse quindi, sfilandosi la spilla dorata per districarsi nel difficile compito di appenderla alla giacca di lui. Difficile, perché certo, Percy Watson sapeva fare pur sempre un certo effetto. Non quello del batticuore, delle farfalle nello stomaco. No, chiaramente la chimica tra Mun e Percy era di un'altra natura. Affinità intellettiva. « Deve rimanere il nostro piccolo segreto. » E dicendo ciò, accarezzò per un ultima volta la propria spilla. Un gesto simbolico, per quello che aveva fatto ancora una volta per la loro casata. Resti sempre il mio Caposcuola, Percy Watson, e questa è la dichiarazione più sincera che io possa farti.



     
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