It's only the end of the world

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    Slytherin pride

    Group
    Ricercati
    Posts
    2,563
    Reputation
    +2,283
    Location
    the void of metamorphoses

    Status
    Anonymes!
    Non parlavano più. Era diventato una specie di ombra sinistra alle sue spalle, nei suoi sogni. Si faceva vedere sempre meno, eppure la sua presenza era sempre più tangibile. Ci sei riuscita. A farmi male, dico. Perché ancora una volta sono costretto a nascondere qualcosa alle persone che più mi stanno a cuore. Si era sentita in colpa, lo ha fatto e lo fa tutt'ora, ma né allora né mai da quel giorno aveva cercato di avvicinarlo, anzi, se possibile lo aveva evitato. Unico contatto avuto, era stato quel momento in sala grande quando trascinandosi Betty dietro aveva fatto un ultimo disperato quanto impacciato tentativo di riportarli tutti insieme, al punto di partenza. Amunet Carrow, ultima inguaribile romantica, nostalgica creatura aggrappata al passato con tutta se stessa. Forse i modi non erano stati dei migliori, forse se avesse detto loro parole diverse, forse se li avesse in qualche modo preparati, ora, le cose sarebbero andate diversamente. E invece, sospinta dalla disperazione di non sorreggere più tutta quella pressione che sembrava distendersi tra loro in un modo o nell'altro, aveva agito d'impulso, collocando quell'azione nella categoria delle cose più stupide che abbia mai fatto. A dirla tutta, in un certo qual modo era lieta che le cose fossero andate così. Forse, si sarebbero solo rovinato una serata - che a quel punto, in parte sarebbe già stata rovinata da quel rinvangare il passato. Non sarebbe stata in grado di trascorrere un'intera serata normalmente con Freddie, non dopo tutto quello che era successo. Forse avrebbe fatto un timido tentativo nei confronti di Betty e Albus, ma conoscendo il secondo, probabilmente anche con lui sarebbero finiti per litigare. I loro caratteri ben poco malleabili avrebbero gettato benzina sul fuoco. Suppongo che questo ci renda simili, eh? Siamo molto bravi a nasconderci e ferire. Ma evidentemente non abbastanza a sopportarlo. E poi, se lo stesso invito non fosse bastato, c'era tutto ciò che era accaduto da quella sera a Hogsmeade, c'era il chiaro antagonismo che ormai il suo protettore provava nei confronti di Potter. Mai lo aveva visto così contrariato nei confronti di un umano. Di solito per Ryuk gli umani erano o estremamente interessanti, o estremamente noiosi. Lui era passato da interessante a pericoloso nel giro di una manciata di minuti. Una definizione nuova: pericoloso. Non posso prometterti nulla. Ma se ti può consolare, o se te ne importa qualcosa in primo luogo, non ti giudico. Non sapeva spiegarselo, ma si era sentita sollevata, come se un peso le fosse stato tolto dal cuore. Aveva provato l'istinto di respirare, e l'aria le aveva pervaso i polmoni come non succedeva da anni. Quando le aveva rivolto le spalle non lo aveva fermato; era semplicemente rimasta seduta su quella panchina per un tempo che le era sembrato eterno, sovrastata per la prima volta dopo sin troppo tempo dal silenzio. Del suo dio nemmeno l'ombra. Era ricomparso solo molto dopo. Il giorno dopo. Quella notte Mun crollò in un sonno profondo, privo di sogni. Si sarebbe svegliata così riposata se solo un dolore acuto non l'avesse pervasa all'alba del giorno seguente. Allarmata si era svegliata di scatto sentendo una sensazione strana lungo la spina dorsale, come se qualcosa premesse per uscire da lì. Come se qualcosa cercasse di strappare quella lunga scia di cicatrici che le correva lungo la spina dorsale dalla nuca e fino al fondo schiena. Si era svegliata di soprassalto ed era corsa via dalla stanza prima che Maze potesse accorgersi di lei. Era rimasta chiusa nel bagno dei prefetti per ore, cercando di scrollarsi di dosso quelle immagini che erano chiaramente solo nella sua mente, ma che invece sembravano così reali. Melma scura come il carbone appena estratto dalle miniere, scorreva lungo le pareti, la testa le pulsava così tanto da non riuscire a restare in piedi, voci, grida, e quella sensazione, quella dei mostri che vogliono uscire. Era come se qualcosa stesse cercando di uscire via da lei; i mostri sotto il letto, i mostri nell'armadio, tutta quella moltitudine di cose che da piccoli immaginiamo esistano, graffiavano ora contro la sua schiena cercando di uscire. Per un po' pensò di impazzire; forse ad un certo punto è impazzita davvero. Ha perso i sensi, la vista, l'udito, il tatto, il gusto, il fiuto, gli stimoli del dolore, e accasciata a terra è rimasta piangente finché non si era addormentata in posizione fetale sul pavimento. Da quel giorno le allucinazioni hanno assunto sempre forme diverse. Getti di sangue sotto la doccia, perdita della vista, perdita dell'udito, a volte semplici presagi, volti privi di connotati umani. Per lo più la lasciava in pace, non le parlava, non la disturbava, poi quando le ricordava che ci fosse ancora, lo faceva con tutte le sue forze. Era spaventata Mun, seppur cercasse in tutti i modi di non darlo a vedere. Seguiva la solita quotidianità, perché non poteva fare altro. Un paio di volte ha persino pensato di bruciare quel maledetto diario, farla finita. Ma che le piacesse o meno, un'ancora ben salda al mondo ce l'aveva ancora. Ares. Non appena lo aveva pensato, non appena aveva pensato di lasciar perdere, la sua mano si era intrecciata a quella della ragazza, quasi a ricordarle che non poteva lasciarlo. E immaginava che anche in quello, il suo dio poteva giocare una qualche parte. « Devi lasciarmi in pace! » Gli aveva detto in fine esasperata ad un certo punto, dopo essersi chiusa alle spalle la porta della propria stanza a chiave, per assicurarsi che nessuno interrompesse quella conversazione a cuore aperto. « Sto facendo il mio lavoro. Te ne ho consegnato uno la settimana scorsa. In anticipo, oltretutto. » Oh, lo aveva fatto Mun, sperando di poter riacquistare la sua benevolenza. E infatti, qualcosa era cambiato, ma lui continuava a ringhiare lì alle sue spalle, continuava a vorticare lontano dal suo campo visivo. « Sei in debito di uno. » Cosa? « Cosa vorresti dire? » « Le tue azioni hanno conseguenze. Me ne avete rubato uno. Questo perché tu capisca cosa succede quando non mi ascolti. » « Ti abbiamo rubato uno? » Scoppia a ridere. Tutto quel casino per un'anima? « E' un'anima che vuoi, Ryuk? Mi stai facendo impazzire perché ne vuoi un altro? » Lui ride. Certo che ride. Ryuk ride sempre. Si precipita a prendere il quaderno pronta a consegnargliene un'altra. Farebbe qualunque cosa pur di farlo smettere. « Non ne voglio un'altra. Voglio quella. » Mun è confusa. Davvero confusa. « Quindi fammi capire: tu mi stai dando il tormento, perché pensi che io e qualcun'altro ti abbiamo rubato un'anima. Io. Senza una bacchetta. Evidentemente con ampie conoscenze del tuo mondo e di come si ruba un'anima. Devo averle apprese attraverso un qualche tutorial su come si rubano le anime; errore mio. » « Non fare la spiritosa. Ti avevo avvertita. » Di cosa! Sta letteralmente impazzendo. « Se vuoi pareggiare i conti, hai solo una cosa da fare. Consegnamelo. » « Chi! » « Non fare la stupida. Lo sai. » L'unica persona che si è affacciata su quel mondo. Ryuk sta cercando di pareggiare i conti. L'unico modo in cui due persone possono mantenere un segreto è se una delle due è morta. « Troppo tardi. Lo sai. » Si era accertata che nessuno di loro potesse essere toccato da quel maledetto diario. Erano stati i primi nomi che aveva scritto ripetutamente, affinché ne diventassero immuni. Freddie, Ares, Albus, Betty, Deimos, Jolene. Tutti i loro nomi comparivano ben quattro volte su una pagina intera, scritti sempre in maniera diversa, sempre in maniera sbagliata. Il Death Note non poteva ucciderli, nemmeno se lei avesse voluto. E non voleva. « Arriverà un momento in cui morire sarà piuttosto facile. Nessuno se ne accorgerà. Nessuno lo saprà. E noi saremmo pari, mia bambina. Fino ad allora.. » Scomparve nel nulla sotto i suoi stessi occhi, lasciando aleggiare nell'aria le tracce del fumo nero che si portava appresso, prima che anche quelle scomparissero. Fino ad allora cosa?
    Mun doveva essere un passo avanti a tutti. Era prerogativa della sua vita non lasciarsi prendere alla sprovvista. Fino a quel momento pensava di avere un vantaggio sul suo dio, pensava di poterlo finalmente piegare al suo volere, e invece, non aveva fatto altro che giocare con il fuoco. E ora si trovava di nuovo al punto di partenza. Doveva capire cosa avesse fatto quell'idiota per far arrabbiare e spaventare così tanto Ryuk. Perché era chiaro che, se il suo dio interveniva per la prima volta sulla scelta delle vittime, era perché si era messo sulla difensiva. Me ne avete rubato uno. Albus Potter, il ladro di anime. E niente, fa già ridere così. Questa era l'ultima cosa che si aspettava di sentire. A tratti Ryuk le era sembrato disperato durante quella sera. Il modo in cui era rimasto nascosto tra gli alberi, ringhiando come un animale spaventato e minacciato. Quando le allucinazioni si erano attenuate, in seguito a quella loro conversazione a cuore aperto, per qualche giorno era rimasta in disparte cercando di osservarlo. Cercando di captare qualcosa di diverso in lui. Ma Potter era la persona più comune che avesse visto. Abitudinario, svogliato. Girava sempre da solo o in compagnia delle solite persone. I suoi cugini, Freddie in particolar modo, dalla cui vista aveva provato a sfuggire il più possibile, qualche ragazzetta qua e là e niente di più. Per lo più scompariva alla vista di tutti quando meno se lo aspettava, per poi ricomparire altrettanto dal nulla con le cuffiette nelle orecchie e l'aria persa di chi ha la testa tra le nuvole. Nessun comportamento insolito. Niente che potesse destare alcun sospetto. Annoiata, quasi più del suo stesso dio, di quel modo di agire, alla fine, aveva deciso semplicemente di sorprenderlo in un momento in cui era da solo e particolarmente distratto, allungandogli sul tavolo alla fine della lezione di Storia della Magia un bigliettino in cui aveva segnato poche parole. Si può dire che glielo aveva gettato sotto il naso, mentre lasciava l'aula, quasi come se fosse un ladro che non voleva essere sorpreso a rubare in una gioielleria. Aula di Pozioni. Stasera alle 23. La ronda nei sotterranei toccava a lei e la vicinanza con la sala comune non avrebbe dato loro grandi problemi. Avrebbe potuto parlargli anche direttamente lì, in sala comune, ma temeva che qualche curioso o animale notturno potesse sorprenderli parlare e captare qualche parola di troppo. Non poteva rischiare di condividere quelle cose con altre persone, a maggior ragione ora.

    Alle ventitré in punto, dopo aver eseguito la ronda nei sotterranei, Amunet Carrow si presentò all'appuntamento come gli aveva chiesto nel biglietto. A dirla tutta non era certa nemmeno se si sarebbe presentato, soprattutto in seguito agli ultimi sviluppi, che non dovevano averlo certo reso più disponibile nei suoi confronti. Vederlo lì la portò a tirare un sospiro di sollievo. Non sapeva a dirla tutta in quali altre circostanze parlare di una questione tanto spinosa, senza temere che qualcuno di indesiderato potesse origliare. « Grazie di esserti presentato. » Disse quindi, non appena si richiuse la porta alle spalle, incrociando le braccia al petto. Si appoggiò contro la cattedra, cercando di eludere per una manciata di secondi il suo sguardo. Vergogna. Imbarazzo. « Mi dispiace per l'altro giorno. » In Sala Grande, per un momento, Mun non ci ha più visto. « Ho esagerato. » Un'ammissione di colpa che non vedrete fare poi molto spesso a Mun. « Immagino che per un secondo.. ho sperato.. sì, che noi tutti potessimo tornare a essere.. » Sorrise amaramente, rendendosi conto di quanto sciocca suonasse ora quella cosa. Loro quattro, amici. Lei e Fred, amici. « Lascia stare, non era di questo che volevo parlarti. » A quel punto corruga la fronte, chiaramente combattuta su come iniziare quel discorso. Potrebbe parlare per ore, cercando di arrivare a un punto, ma l'ultima volta non è andata poi così bene. Così, decide di andare per l'approccio dritto per dritto.
    tumblr_inline_opt27d7gBs1rifr4k_250
    « Devo chiederti una cosa, e per favore, devi cercare di essere sincero con me. » Il tono calmo, eppure chiaramente colmo di apprensione. Una Carrow intimorita è una cosa oltremondo difficile da immaginare e ancora più difficile da gestire. Un animaletto messo all'angolo, costretto con le spalle al muro. Lui non lo può sapere, ma questa creatura, non è poi così facile da spaventare. Ha imparato ad avere paura di ben poche cose; con una creatura come Ryuk al seguito, tutto il resto risulta di gran lunga meno intimidatorio. Eppure, un Ryuk a sua volta spaventato, sulla difensiva la spaventa. Soprattutto perché ora non è lì. « Che cos'hai fatto l'altra sera Albus? » Stringe i denti cercando il suo sguardo. « Spiegamelo! » Per favore. « Cosa sai di preciso? » A a quel punto rincara la dose, stringendo i pugni. « Come fai a sapere di Lui? » Cerca di fargli capire quanto quelle domande siano serie. Non è un gioco, non è più una questione di ripicche e farsi male a vicenda. Questa è una cosa seria. Se oggi Ryuk le chiede la sua anima, chi seguirà? Vorrà le anime di chiunque si avvicini a lei? Cosa succederà quando la paranoia lo avrà portato al prossimo livello? Perché era chiaro, che di questo passo, questo era solo l'inizio. Le Logge sono in fermento. Le aveva detto una volta, senza tuttavia spiegarle cosa intendesse, e Mun, dal canto suo, disinteressata a quei tempi alle sue farneticazioni, non gli aveva chiesto niente. Superficiale, forse ancora innocente. Per molto tempo, Mun non aveva cercato di indagare in alcun modo sulla creatura che stringeva tra i propri artigli la sua stessa vita. Non lo aveva fatto per riconoscenza, forse per disinteresse, forse perché in realtà aveva paura di cosa vi avrebbe scoperto. Era stata ubbidiente, una brava bambina, ma era bastato così poco perché non lo fosse più. « Che cosa gli hai fatto? »



     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Ricercati
    Posts
    1,867
    Reputation
    +2,294

    Status
    Anonymes!

    Tic. Tic. Tic. Tic. Assordante. Così leggero, forse quasi impercettibile. Il ticchettio dell'orologio nello studio del consulente gli stava letteralmente martellando il cervello, mentre il piede di Albus batteva freneticamente a terra a tradire nervosismo. Ce lo avevano mandato subito, non appena avevano visto che quella mattina non si era presentato a lezione. Per una volta buona, stava male sul serio. Gli strascichi di quel malessere che lo aveva assalito la sera precedente sembravano non essere svaniti, non del tutto. Era stanco, era spompato, come se lo avessero messo dentro una lavatrice e tirato fuori tre ore dopo. "Era vivido, come se fosse vero." Tic. Tic. Tic. Tic. Non lo stava guardando negli occhi. Teneva le mani sudaticce strette in grembo, a martoriarsi nascoste dalla tasca centrale della felpa logora. "Il tuo sogno?" Annuì. "E' la prima volta che ti capita?" Scosse la testa, la fronte aggrottata, quasi stesse cercando di scansare del tutto quell'ipotesi. Non capisce. "No è...è strano. E' come se ci fosse sempre stato. Un po' come quando vedi una persona in fondo alla strada camminare verso di te: prima non la metti nemmeno a fuoco, è solo una sagoma scomposta, poi man mano che si fa più vicina cominci a scorgerne ogni tratto e poi.." Tic. Tic. Tic. Tic. "..poi..?" Tic. Tic. Tic. Tic. "..poi l'impatto." Zzz. Zzz. Zzz. Serrò le palpebre, inclinando appena il capo come infastidito dal rumore della matita sul foglio di carta. "Cosa hai visto, di preciso?" Tic. Tic. Tic. Tic. Morse l'interno del labbro inferiore, numerose volte, incontrollato. "Non lo so." fu come un sussurro, un'ammissione di colpa. "Prova a spiegarlo a parole tue." Il piede di Albus cominciò a tamburellare più forte. Non sapeva per quale ragione quel sogno lo avesse turbato così tanto. Era familiare, come se lo avesse già fatto tante altre volte ma non lo avesse mai davvero realizzato a se stesso. Quella volta, però, era stato diverso. Non sapeva nemmeno se potesse definirlo un incubo: non aveva avuto paura. No, non era quello il sentimento. Era strano, e forse in minima parte comprendeva un po' di paura, ma appunto..solo in minima parte. "Era..era come un grosso tunnel. Quasi una fogna. Cioè, è la cosa che più gli si avvicina visivamente, ma non si tratta di quello..so che non si tratta di quello. C'era un odore nauseabondo che non saprei davvero ricondurre a nulla di conosciuto. Non ho mai sentito un odore del genere. E proveniva da questa..questa melma." il ritmo del suo piede aumentò ulteriormente. Le mani si tormentavano frenetiche nella tasca. "Nera come il petrolio. Ed era ovunque, si appiccicava ad ogni cosa..quasi avesse vita propria." fece una pausa "Io..era come se non fossi lì. C'ero, ma non fisicamente. O meglio..era come se.." Tic. Tic. Tic. Tic. Zzz. Zzz. Zzz. "Come se..?" Tic. Tic. Tic. Tic. "..come se..come se stesse avvenendo dentro di me." Zzz. Zzz. Zzz. Sospirò, prendendosi i capelli tra le dita e accasciandosi un po' su se stesso. "Senti ancora la nausea?" Mugolò in assenso, accartocciandosi ulteriormente sul proprio stomaco. Tic. Tic. Tic. Tic. Zzz. Zzz. Zzz. Tic. Tic. Tic. Tic. Un martello. Ecco cosa gli sembrava di avere in testa. Ogni rumore era insopportabile. Persino la luce più bassa, ai suoi occhi, era troppo forte. Prendete il peggiore dei doposbronza e moltiplicatelo per mille: ecco come si sentiva Albus. Tic. Tic. Tic. Tic. Fu un gesto repentino. Fece scattare la mano sulla scrivania dell'uomo, afferrando l'orologio da tavolo e buttandolo violentemente a terra. Il fragore di vetri rotti fu l'innesco, e un secondo dopo, Albus era riverso sul cestino più prossimo. Un altro conato. L'ennesimo.

    Se l'era cavata per miracolo. Forse perché ormai il consulente era convinto di avere a che fare con un caso clinico..e Albus non sapeva più che scuse accampare per dargli torto. Pazzo ci si sentiva sul serio, ora come ora. Gli avevano dato qualche giorno di riposo, giorni in cui rimase chiuso in camera propria. Dormiva la maggior parte del tempo, mangiava poco o nulla, vomitava in continuazione. Aveva la febbre altissima, e l'infermiera aveva imputato il tutto a una qualche intossicazione alimentare che doveva aver preso sabato sera ad Hogsmeade. I sintomi più o meno sono quelli, aveva detto. E forse aveva ragione. Quanto meno a livello fisico aveva senso. Ma psicologicamente.. No, da quel punto di vista c'era qualcosa di troppo strano persino per lui, abituato a convivere ormai da sempre con la propria stranezza intrinseca. Non vedeva come un'intossicazione alimentare potesse acuire tutte le belle diagnosi che psicologi e consulenti gli avevano fatto nel tempo. Così aveva deciso di lasciar perdere. E' un'intossicazione alimentare e io sto avendo un'altra delle mie crisi. Capitava. Quella volta era capitato tutto insieme. Una coincidenza sfortunata.
    Così era tornato alla normalità. Il malessere aveva cominciato a sbiadire gradualmente, così come quello stranissimo sogno. Ogni giorno vomitava di meno, ogni giorno si sentiva meglio, riacquistava forze. E poi il nulla, la quotidianità: la scuola, i compiti, la famiglia, gli amici. Come se nulla fosse mai successo..e al tempo stesso come se tutto fosse improvvisamente diverso. Una sensazione, nulla più, attanagliata da qualche parte nell'angolo più remoto della sua testa. Era come entrare in casa propria dopo tanto tempo: tutto si trova esattamente dove è sempre stato, ma non tutto tutto. Potrebbe essere un soprammobile nuovo come un granello di polvere, o magari un qualche componente spostato. Guardi l'immagine e in teoria ti sembra tutto a posto, però sei certo che qualcosa sia cambiato. E allora guardi ancora di più, la fissi, ti scervelli, ma non riesci a trovare nulla. L'immagine di insieme ti confonde, gli oggetti singoli disperdono. Diventa quasi un'ossessione: non vuoi nemmeno ammetterlo a te stesso, perché sai che con ogni probabilità è una tua semplice fissazione e dipende dal fatto che sei stato lontano a lungo da doverti abituare nuovamente a vedere quel posto come familiare. Così cerchi di fartelo andare bene, di convincerti che sia una stupidaggine. Eppure, ogni volta che ci passi, la sensazione ritorna. Tutto è diverso..anche se tutto è uguale.
    tumblr_inline_oyd6p6BJbw1r0bpra_400
    Ricevere il biglietto di Amunet era stato un episodio decisamente inaspettato. Aula di Pozioni. Stasera alle 23. Non appena lo aveva dispiegato aveva fatto per alzarsi e chiederle spiegazioni, ma lei si era prontamente dileguata dall'aula tra il fiume di studenti, e ben presto l'aveva persa di vista. Non si erano più parlati da quella sera ad Hogsmeade, non da soli. Il che era piuttosto normale, sebbene Albus non avesse di certo dimenticato le parole che si erano rivolti. Insomma: non sono esattamente cose semplici da ignorare. Lo aveva fatto, almeno in apparenza, ma dentro di sé continuava a pensarci e a credere che gli mancasse qualcosa..che ci fosse qualcosa di fuori posto. E forse fu proprio quella sensazione a spingerlo a presentarsi all'orario prestabilito nel luogo prestabilito. "Grazie di esserti presentato." Non disse nulla. Si chiuse semplicemente la porta alle spalle, inoltrandosi tra le file di banchi per mettersi a sedere sopra uno di questi, quello di fronte alla cattedra alla quale lei era appoggiata. "Mi dispiace per l'altro giorno. Ho esagerato. Immagino che per un secondo.. ho sperato.. sì, che noi tutti potessimo tornare a essere..Lascia stare, non era di questo che volevo parlarti." Non sapeva per quale ragione, ma lo sospettava. Forse la sua logica lo aveva convinto del fatto che lo avesse convocato per mettere in chiaro la situazione in Sala Grande, ma un'altra parte di lui sapeva benissimo che una cosa del genere lei non l'avrebbe mai fatta..non con lui almeno. "Devo chiederti una cosa, e per favore, devi cercare di essere sincero con me." Corrugò la fronte, incrociando le braccia al petto. "Che cos'hai fatto l'altra sera Albus? Spiegamelo! Cosa sai di preciso? Come fai a sapere di Lui? Che cosa gli hai fatto?" Confusione. Completa confusione. A quelle domande, i suoi occhi si erano riempiti di interrogativi che nemmeno lui sapeva come formulare o in cosa consistessero. Semplicemente non capiva di cosa Mun stesse parlando. "Lui chi?" fu la sua prima reazione, senza nemmeno pensarci. Si sentiva come se la Serpeverde lo stesse accusando di qualcosa che non aveva mai fatto, un crimine abietto compiuto da qualcun altro e per il quale era stato in qualche maniera incastrato. "Mun, scusa, ma davvero non capisco di cosa tu stia parlando. O di cosa mi stia accusando di preciso." Sottolineò quella parola con un tono leggermente irritato, cercando tuttavia di scansarlo con un cenno del capo. Rimase per qualche istante in silenzio, le ciglia aggrottate sopra lo sguardo fisso su un punto indefinito, come perso nel vuoto. Ripercorse i propri giorni alla ricerca di storture, di qualcosa di diverso che avrebbe potuto essere oggetto di preoccupazione per la sua interlocutrice..ma non trovò nulla. A quella constatazione tra sé e sé, dunque, si scosse, riportando lo sguardo alla ragazza con una punta di confusione mista quasi ad offesa. "Io non fatto nulla a nessuno..non lo farei mai. Come ti viene in mente?" Il suo tono era calmo nel proferire quelle frasi, sebbene tradisse quanto il tutto lo lasciasse perplesso e, appunto, un po' offeso. Offeso e titubante al contempo, perché magari non si era reso conto di una propria azione scorretta. Non che ce ne fossero poche, nella sua lista, ma quanto meno si era preso le responsabilità di tutte.
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Slytherin pride

    Group
    Ricercati
    Posts
    2,563
    Reputation
    +2,283
    Location
    the void of metamorphoses

    Status
    Anonymes!
    La cosa più disturbante era il fatto che per la prima volta Ryuk era sceso in campo in prima persona. Minacciato, spaventato a sua volta da qualcosa che sembrava prescindere da lui. Sei in debito di uno. Entrambi erano in debito di uno e Mun non sapeva nemmeno cosa ciò significasse di precisa, cosa comportasse di preciso, ma il fatto che per la prima volta Ryuk avesse deciso al posto suo una vittima, comportava qualcosa di sproporzionato rispetto al suo ruolo di semplice osservatore. Quando si era presentato al suo cospetto per la prima volta, aveva dipinto il suo ruolo in modo ben diverso. Non avrebbe mai interferito nel ruolo di Mun; questo ciò che le aveva detto. Doveva esserci un motivo più che fondato affinché il suo dio della morte cambiasse così drasticamente idea. Come faccio ad appartenere al tuo mondo se mi chiudi fuori? La verità è che Mun conosceva sin troppo bene la risposta: lei non voleva appartenere, e di conseguenza veniva chiusa fuori, perché restava un elemento imprevedibile, poco fedele. La sua libertà di scegliere chi, come e dove, era paradossalmente la sua più grande gabbia. La sua forma di schiavitù si ricollegava allo stesso diritto di vita e di morte che il suo dio aveva su di lei. « Lui chi? » Sospira Mun, già spazientita. Ha bisogno di una risposta, una tangibile, qualcosa che la aiuto a disinnescare la bomba che Ryuk le ha messo per le mani, a quanto pare per colpa di Albus. L'analogia della sua vita nelle ultime settimane è simile al giocare a un gioco da tavola senza conoscere le regole. Così la faceva sentire Ryuk, e a volte era certa lo facesse non perché lui a sua volta vivesse secondo costrizione di altri, ma perché provava gusto nel vederla struggersi nella sua stessa miseria. « Mun, scusa, ma davvero non capisco di cosa tu stia parlando. O di cosa mi stia accusando di preciso. » E quando non si ha strumenti per affrontare ciò che si ha davanti, si diventa negligenti, a tratti disperati, colmi di insicurezze. Si compiono errori. Mun ne ha compiuti tanti, non solo nella sua vita altra, ma anche tra i suoi compagni, nell'approccio col prossimo. La Carrow sempre così minuziosa a restare nell'ombra, a non far mai parlare di sé, intenta sempre a condurre i suoi affari in sordina e con una regolarità quasi maniacale, era crollata, un po' in preda alla nostalgia, un po' in preda a sentimenti di cui non sapeva come liberarsene, un po' semplicemente perché, per quanto il suo dio della morte cercasse di spingerla sempre di più verso il fondo, Mun si dimenava, se lo scrollava perennemente di dosso, lottando alle grinfie di un mondo a cui volente o nolente aveva accettato di spontanea volontà di appartenere. « Non mi stai ascoltando, Potter! » Il tono, seppur non particolarmente pronunciato, è duro e secco. In un certo qual modo autoritario. « Io non fatto nulla a nessuno..non lo farei mai. Come ti viene in mente? » Arriverà un momento in cui morire sarà piuttosto facile. Nessuno se ne accorgerà. Nessuno lo saprà. E noi saremmo pari, mia bambina. Fino ad allora.. Fino ad allora avrebbe dovuto sopportare. Questo l'ultimo messaggio del suo padrone, prima di lasciarla indifesa in preda alla sua punizione. Il giovane Potter dal canto suo, sembrava saperne di quell'affare tanto quanto lui. Non l'ha mai reputato un abile bugiardo, e Mun aveva un certo talento nel leggere le persone, forse perché a forza di osservarle a distanza senza mai entrarci in contatto, si tende a osservare minuzie del comportamento umano che tradiscono con più facilità. Non c'è nulla in quegli occhi che possano tradire una qualche forma di effettivo coinvolgimento. Se Albus ha fatto arrabbiare il suo dio per qualunque ragione, probabilmente non lo sa. Ed è la cosa peggiore, perché nessuno dei due ha alcun vantaggio. Scuote la testa e sospira chiudendo per un secondo gli occhi, cercando di tenere a bada la sua impazienza. « Ok, ok.. ti credo. » Dice di scatto mettendo le mani avanti. « E non ti sto accusando di niente. » Abbassa per un attimo lo sguardo. Pensa Mun, pensa. Non ha certo sprecato trenta giorni della sua vita, per metterlo in salvo, solo per poi macchiarsi direttamente le mani di sangue per fare un favore a un'entità che chiaramente voleva tutto tranne che il suo bene. Prende a camminare attorno alla cattedra; i pugni stretti per cercare di stemperare la tensione che chiaramente si sente nel corpo. Paura. Quella è pura paura. Paura persino di chiudere gli occhi per andare a dormire. « Dico solo che forse.. » No. Non può dire niente. E' questo il gran problema. Si morde l'interno della bocca mentre torna a sedersi di fronte a lui sulla cattedra. Abbandona le scarpe e si porta le ginocchia al petto, cercando di smussare almeno così il nervosismo generale. Non è facile condurre un dialogo, quando il flusso stesso delle parole muore prima ancora di esser state emesse. « Facciamo in modo diverso.. » Una leggera pausa, tempo in cui gli occhi di ghiaccio si canalizzano sulle varie credenze colme di pozioni e ingredienti, attrezzatura per la preparazione delle pozioni. « Hai osservato qualcosa di diverso, qualcosa di strano dopo quella sera? Qualunque cosa.. » Nella sua testa quella domanda suona già stupida oltre che strana. A parti inverse, Mun si sarebbe messa a ridere, prima di tutto perché anche se ci fosse stato qualcosa di strano, di certo non sarebbe mai andata a dirlo ad Albus Potter, e poi perché quell'insistenza è snervante persino alle sue orecchie, figuriamoci alle orecchie di un estraneo. Mun è molto gelosa della propria privacy, quindi non può fare a meno di trattare con quella degli altri alla stessa maniera, non chiedendo mai niente, non intromettendosi mai, non pretendendo mai alcunché di privato o personale. Scuote la testa, rendendosi conto di non migliorare affatto la situazione. Sospira e si dirige verso una delle librerie ammassate alla parente. Vi scorre i titoli con attenzione, corrugando la fronte in cerca di una concentrazione e una pazienza che ha da tempo perso. Hanno già un canale di comunicazione. L'unica cosa tangibile che le viene in mente in quel momento. Due titoli le saltano all'occhio: il loro manuale di pozioni e il grande manuale di Istituzioni di Erbologia. Lascia cadere il primo su un banco di fianco, aprendo il secondo con una certa foga. Ne scorre l'indice degli effetti delle piante contenuto alla fine del libro alquanto spazientita, per poi raggiungere la pagina che potrebbe fare al caso suo. Mandragola. La grossa radice a fittone della mandragora, assume spesso una forma antropomorfa (che ricordano un piccolo corpo umano). Da essa si estrae una sostanza narcotica (alcaloide simile all’atropina) e velenosa, dall’odore nauseabondo che provoca allucinazioni, nausea e vertigini. Bingo! E a quel punto torna da lui, afferrando i due volumoni, aprendo il manuale di erbologia alla pagina a lei utile.
    tumblr_om8vqmVl4n1qeey9xo6_250
    « Te lo chiedo perché io qualcosa di diverso l'ho visto. » E a quel punto l'unghia smaltata gli indica il trafiletto riguardante le radici di Mandragola e più precisamente scorre il pezzo sulla sostanza narcotica. « Mi hanno dato questo.. in quantità spropositate. » A volte troppo perché potessero non spaventarla davvero. Persino Mun, che sembrava non voler battere ciglio davanti a niente, che interiorizzava tutto quasi per paura che paradossalmente mostrarsi impaurita fosse più pericoloso della sensazione stessa, non aveva potuto fare a meno di tremare. Tanto. Troppo. « Ed è perché di questa.. » E dicendo ciò apre il secondo manuale di fronte ai suoi occhi. Una coppia identica a quella che Mun e Albus avevano, solo molto più logora che gli viene aperta alla stessa pagina che insieme avevano studiato non più lontano di qualche settimana prima insieme a Hogsmeade. Distillato della pace. « ..non dovevo parlare. » Indietreggia appena scuotendo la testa. « Però vedi è strano.. » Continua col fiato corto. Chiaramente impaurita che qualunque cosa lei dica possa essere troppo. Impaurita che quelle possano essere le sue ultime parole. « Assecondami ok? » Uno sguardo eloquente prima di continuare. « Noi abbiamo parlato solo di scuola, di compiti.. tu mi hai chiesto solo un chiarimento sui miei appunti. Se il chiarimento fosse stato troppo chiaro.. sarebbero successe determinate cose. Cose che non sono accadute. » Oddio è tutto così stupido. « Però qualcosa deve essere successo capisci? Perché io sono sotto l'effetto di questo.. » E le sottile dita tornano a picchettare sul libro di erbologia. « Ed è per forza per via di quegli appunti, di quella sera. Perché non ne ho parlato con nessun altro, e non lascio che nessuno li veda.. e a meno che non ne hai parlato tu.. » Sospira affondo, chiudendo per un attimo gli occhi. « Devo capire che cos'è successo.. prima che diventi.. ansia. Troppa ansia. » Soffro spesso di ansia. E a volte è troppa. Sai quando qualcosa è troppo, davvero troppo? Quando sai di non poter reggere ancora.. Ci sono cose che proprio non sopporto. L'ansia è una di queste. Non volevo.. ma a volte per farlo smettere, devi avvelenarti un po'.


     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Ricercati
    Posts
    1,867
    Reputation
    +2,294

    Status
    Anonymes!

    aAg42ms
    "Hai osservato qualcosa di diverso, qualcosa di strano dopo quella sera? Qualunque cosa.." Un'intossicazione alimentare che sembro aver preso solo io chissà come. Ma era davvero qualcosa di strano? Di certo ne aveva tutti i tratti. Se da una parte Albus aveva voluto credere a quella storia per il semplice fatto di non avere altre spiegazioni logicamente plausibile, dall'altra, una parte di sé sapeva con sicurezza che c'era qualcosa di diverso che sfuggiva alla sua comprensione. Ancora non riusciva a togliersi dalla testa quelle macchie scure come il petrolio che avevano chiazzato il suo vomito. Non aveva mai visto nulla del genere, ne' in un'intossicazione alimentare, ne' in una semplice sbornia. Eppure, alla loro vista, il Serpeverde aveva automaticamente tirato lo scarico, quasi volesse far finta di non averle mai viste. E poi c'era stato quel sogno. Quello stesso petrolio che viaggiava denso in angusti e umidi tunnel, aggrappandosi ad ogni superficie, contaminando ciò che poteva come nella tremenda paura di essere lavato via. Quello era stato il primo sogno. Il secondo, di simile ambientazione, aveva mostrato acqua, tanta acqua, così tanta da farlo sentire come se stesse annegando. Le stesse cose avevano abitato il suo sonno per giorni, e poi erano scomparse nel nulla con la stessa velocità con cui erano apparse. L'ennesima delle mie stranezze. "Te lo chiedo perché io qualcosa di diverso l'ho visto." Aggrottò la fronte, lasciandole spazio e tempo per parlare. Stava cominciando a diventare strano, quel loro modo di comunicare. La Carrow infatti ripropose la stessa tecnica di quella sera ad Hogsmeade, le stesse metafore, la stessa macchinosità. Non sapeva più, Albus, se si trattasse di uno scherzo architettato per giocare con la sua testa, o se davvero vi fosse qualcosa di più importante di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Qualcosa in lui propendeva per la seconda opzione, e cominciava a far insinuare sotto la sua pelle uno strato di angosciante preoccupazione. Cosa hai fatto Carrow? Cosa non mi stai dicendo? "Mi hanno dato questo.. in quantità spropositate." Mandragola. Effetti narcotizzanti. "Ed è perché di questa.." Distillato della Pace. "..non dovevo parlare. Però vedi è strano.." Sollevò le sopracciglia con aria interrogativa. Cosa non lo è, ormai? "Assecondami ok?" Mosse il polso con fare eloquente, annuendo, come a invitarla a proseguire. "Noi abbiamo parlato solo di scuola, di compiti.. tu mi hai chiesto solo un chiarimento sui miei appunti. Se il chiarimento fosse stato troppo chiaro.. sarebbero successe determinate cose. Cose che non sono accadute. Però qualcosa deve essere successo capisci? Perché io sono sotto l'effetto di questo..Ed è per forza per via di quegli appunti, di quella sera. Perché non ne ho parlato con nessun altro, e non lascio che nessuno li veda.. e a meno che non ne hai parlato tu..Devo capire che cos'è successo.. prima che diventi.. ansia. Troppa ansia." Sospirò, pensieroso, cominciando dalle cose semplici. "No, non ne ho parlato con nessuno." Ho pensato di farlo. Forse volevo farlo. E non so se non l'ho fatto perché ad alta voce non avrebbe avuto alcun senso, o se perché in fin dei conti non volevo davvero farlo. Scansò quel dubbio con un cenno del capo, ritenendolo poco utile ai fini di quella conversazione. Le ragioni del perché non avesse detto nulla a Fred ancora gli sfuggivano, ma per certo sapeva di non voler esporre il cugino a un qualcosa che di per sé non sembrava altro che una supposizione, ma che avrebbe comunque potuto ferirlo. Ci avrebbe pensato in un secondo momento, a quale fosse la cosa giusta da fare. Per il momento, l'unica era aspettare. Tirò dunque un altro sospiro, rimuginando sui giorni che avevano seguito il loro incontro. Parlare dei suoi problemi, delle sue stupide crisi, era una cosa che lo aveva sempre fatto sentire a disagio, tanto meno quando doveva farlo con una persona con cui aveva un rapporto pari a poco più di zero. Si passò dunque una mano sul visto, stancamente, e poi tra i capelli, mordendo con forza il labbro inferiore mentre cercava di razionare le parole. "Non so se sono la persona giusta per dire cosa sia diverso o strano rispetto al solito." si ritrovò a dire, sull'orlo di un'amara risata autoironica. "Per qualche giorno, dopo quella sera, ho fatto sogni strani.." fu la prima cosa che disse, un po' controvoglia, quasi stesse mandando giù il boccone di un cibo che non gli piaceva affatto. Con lo sguardo fisso in un punto a vuoto, poi, cominciò a elencare sulle dita di una mano. "Fotofobia, iperacusia, febbre, vomito, sonnolenza.." si interruppe, alzando poi lo sguardo su Mun. Non so, bastano? Prese un altro sospiro, mandando giù quel malloppo di cose. "L'ho trovato un mix un po' strano per un'intossicazione alimentare, ma non escludo nulla, dato che..beh, lo sai..la mia testa non ha mai funzionato in maniera prettamente convenzionale." Un eufemismo. Ma la somatizzazione del proprio disturbo depressivo era un qualcosa che lo psicologo non aveva trovato poi così fuori da ogni logica. Ed era per questo motivo che si sentiva a disagio a parlarne con Mun, perché la sua razionalità gli diceva che di questo si trattava: di un caso clinico in fase di degenerazione. Gliel'avevano detto fin da quando era bambino, che per lui sarebbe solo potuta andare peggio. Si poteva provare ad arginarlo, a tenerlo tranquillo, ma la malattia ci sarebbe sempre stata, e non c'era farmaco al mondo che potesse davvero guarirla. Ma forse il peggio di quel disturbo non era nemmeno l'impossibilità di guarire, quanto piuttosto il fatto che spiegarlo a parole era un'eventualità di difficile riuscita. 'Sei depresso perché x e y sono avvenuti' era il modo in cui la gente normale vedeva quella cosa. Un modo sbagliato. 'Sei depresso perché il problema non sta all'esterno, ma è nella tua testa, e questo è ciò che la maggior parte delle volte fa da causa scatenante ai problemi esterni' era invece un ragionamento che in pochi sembravano afferrare o anche solo in grado di sfiorare. E allora non ti rimane altro che tenertelo per te, far finta di nulla, e aspettare che la crisi passi. Così, almeno, Albus aveva sempre fatto. E questo era ciò che avrebbe dovuto dire a Mun: non ti puoi fidare di quello che io sento e percepisco, perché un dottore ha scritto su un foglio che la mia mente è capace di accartocciarsi su se stessa e distorcere la realtà in un terribile incubo. Però lui quelle cose non le voleva dire, perché erano troppo personali. Con lo sguardo basso, dunque, si ritrovò a sussurrare una domanda. "Hai presente l'incantesimo Dismundo?" fece una pausa, cercando di razionalizzare il proprio discorso, di parlare senza davvero confidarsi, di ingannare se stesso. "Ogni tanto, a intervalli irregolari, mi ritrovo sotto un simile effetto." un'altra pausa. Deglutii. "Non è reale, non è pratico, non è materiale. E' una sensazione. Può durare un'ora, può durare una settimana, o può durare anche un mese. Quella sera..è successo. Di punto in bianco, per quattro giorni consecutivi." Aggrottò la fronte, cercando le parole migliore per spiegarsi ulteriormente. "Questa volta, però, era più intenso..no..era semplicemente diverso, e sì, anche più intenso. Però mi hanno detto che è normale che mi succeda..con il passare del tempo." Una goccia dopo l'altra, fino a quando la mente di Albus non sarebbe riuscita a crearsi da sola l'oceano in cui annegare definitivamente. "Quindi non so, in fin dei conti, se qualcosa di strano ci sia sul serio, o esista solo qui dentro." e dicendo quelle ultime parole si picchiettò l'indice sulla fronte, guardandola fissa negli occhi con un velo di sofferenza nello sguardo. Io penso di stare impazzendo, più velocemente di quando avessi calcolato.
     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    Slytherin pride

    Group
    Ricercati
    Posts
    2,563
    Reputation
    +2,283
    Location
    the void of metamorphoses

    Status
    Anonymes!
    « No, non ne ho parlato con nessuno. » Abbassò la testa la Carrow, persino alquanto mortificata. Una parte di sé ci aveva quasi sperato; sperava di aver riposto male la sua fiducia. Aveva sperato che Potter si fosse messo a cantare come un uccellino a primavera, iniziando a spargere la voce e ipotesi sul conto della Carrow. D'altronde, quella discussione che aveva avuto con Hugo Weasley non più lontano di un paio di giorni prima, un po' glielo aveva fatto sospettare. Albus, aveva capito, quanto meno a livello inconscio, che qualunque cosa fosse successa al suo aguzzino, aveva a che fare con lei. Se ne avesse parlato con Hugo, forse lui sarebbe stato in grado di trarre conseguenze tutte sue sul punto. E non sarebbe stato nemmeno poi tanto lontano dalla verità. Hugo Weasley era sveglio, sin troppo sveglio per il suo stesso bene; aveva un fiuto che riusciva a farle paura a tratti. Annuì tuttavia, piuttosto convinta che dicesse il vero. Molte cose si potevano dire su Potter, tranne che non fosse sincero. E quindi attese, incrociando le braccia al petto. « Non so se sono la persona giusta per dire cosa sia diverso o strano rispetto al solito. Per qualche giorno, dopo quella sera, ho fatto sogni strani.. Fotofobia, iperacusia, febbre, vomito, sonnolenza.. L'ho trovato un mix un po' strano per un'intossicazione alimentare, ma non escludo nulla, dato che..beh, lo sai..la mia testa non ha mai funzionato in maniera prettamente convenzionale. » Sollevò un sopracciglio con fare scettica. Intossicazione alimentare. E' questa la spiegazione più logica a cui sei arrivato. Certo che lo era; d'altronde, era chiaro che lui non avesse il minimo fiuto per quelle cose. Ryuk le aveva più di una volta detto ce ne fossero altri, ma se ce ne erano, e Mun non ne era a conoscenza, Albus Potter non era uno di loro. Eppure, la concomitanza di quelle azioni, tutte conseguenti l'una all'altra, la furia del suo dio della morte, il suo patire le pene dell'inferno per una cosa tutto sommato irrilevanti ai fini del suo lavoro era una coincidenza piuttosto strana. Come hai fatto a rubargli un anima, Potter? Perché è chiaro che lo ha fatto. Ryuk non ha mai avuto interesse nel chiederle apertamente di far fuori qualcuno con così tanta insistenza, al punto tale da costringerla con le maniere forti. « Hai presente l'incantesimo Dismundo? » La Carrow annuisce, e a quel punto sa che alla fine quel canale comunicativo funziona in fin dei conti. Lo intima a continuare, mentre sposta lo sguardo nell'ambiente con un certo disinteresse. « Ogni tanto, a intervalli irregolari, mi ritrovo sotto un simile effetto. Non è reale, non è pratico, non è materiale. E' una sensazione. Può durare un'ora, può durare una settimana, o può durare anche un mese. Quella sera..è successo. Di punto in bianco, per quattro giorni consecutivi. Questa volta, però, era più intenso..no..era semplicemente diverso, e sì, anche più intenso. Però mi hanno detto che è normale che mi succeda..con il passare del tempo. » Quelle ultime parole la portano a corrugare la fronte. Chi te l'ha detto? Evidentemente uno di quei geni alla Doc che a lei raccontavano invece di soffrire di una specie di alienazione che comportava questo e quell'altro effetto. Doc le aveva chiesto d'altronde all'inizio dell'anno, se avesse qualcuno con cui sfogarsi, quasi come se tutti i suoi problemi fossero frutto della sua mancanza di coetanei a cui rapportarsi. Gli amici, Mun, a quanto pare ce li aveva. Aveva legato molto con Nathan Douglas e tendeva ad aprirsi di più col prossimo, ma aveva davvero cambiato qualcosa? Chiaramente no. Perché il problema non è quello. Il problema è diverso. E non dipende nemmeno da me. « Quindi non so, in fin dei conti, se qualcosa di strano ci sia sul serio, o esista solo qui dentro. »
    tumblr_osnih6PvTE1wtr753o1_r3_250
    Non riuscì a fare a meno di sorridere, mentre un sorriso tutto fuorché lieto si dipinse per un solo istante sulle sue labbra. « Tu pensi di essere malato? » Quella cosa ha davvero meno senso di tutte. Non gli da mica torto; probabilmente è la spiegazione più logica, o quella che sembra conciliare meglio una qualche forma di razionalità. Di certo le sue confessioni, se così possono essere definite non l'hanno aiutata a capire nulla che possa aiutarla. E' ovvio che non sa niente, altrimenti non si sputanerebbe deliberatamente di fronte all'ultima persona di fronte alla quale vorrebbe sputtanarsi. E questo messaggio lo ha già ampiamente espresso in un passato incontro. « Fidati, di tutte le cose ridicole che ho sentito in questi giorni, questa è la più ridicola. » E ne ha sentite di cose ridicole. « Non è una coincidenza. La tua intossicazione e.. » Vorrebbe chiamare per nome ciò che le sta accadendo, ma ovviamente si sente la lingua frenata. « ..il resto. C'è troppa contingenza. » Sbuffa innervosita. Ancora una volta non è arrivata a nessuna risoluzione. Ed è ancora più in alto mare di prima, e in tanto sulle teste di entrambi e su chissà quante persone, vige una spada di Damocle. Bene ma non benissimo. Ed è allora, mentre resta in silenzio a braccia incrociate a fissare il libro di pozioni, che un piccolo barlume sembra illuminare il suo sguardo. « Sceglierò di darti il beneficio del dubbio. » Pausa. « Perfetto. Sei sotto una specie di Dismundo che nessuno ti ha lanciato. Quindi, sei matto da legare e non avrai problemi a fare qualcosa che esiste solo lì dentro. » Disse indicando la sua testa con un leggero cenno del mento. Si stringe nelle spalle con fare disinteressato. E a quel punto afferra la propria tracolla incantata da cui tira fuori, il dannato. Ricominciamo da dove siamo partiti. Il libro. Il suo. Quello che si è scambiato con Albus prima dell'inizio della scuola. Se quella situazione era iniziata da lì, potevano forse capirla soltanto riproducendola. « Presumo che tu abbia perso questo l'altra sera. » Perché quella sera, glielo aveva indirettamente restituito, lasciandolo lì, e Mun, un po' per paura, un po' per nostalgia, lo aveva raccolto e conservato assieme a quello di Albus, nuovo di zecca. Glielo restituisce con uno sguardo eloquente. « Risolvi il puzzle. Ma questa volta fallo sul serio. E quando avrai finito, vieni a pormi le domande giuste. » Come l'altra sera a Hogsmeade. Se non può controllarlo, se non può scacciarlo, se non vuole nemmeno fare il suo gioco, può quanto meno combatterlo. Materialmente, finché sarà in possesso del Death Note, il suo dio sarà legato a lei tanto quanto lei è legato al suo dio. Vivono in simbiosi. Lui ha bisogno di lei, per ucciderlo - per uccidere il ladro di anime - altrimenti lo avrebbe già fatto. Deve essere lei, altrimenti se ne sarebbe già occupato da sé. Il casino lo ha fatto lei, e quindi deve rendergli conto. Ma Mun, non farà un solo passo prima di aver capito perché, e se il suo dio non vuole darle le risposte che cerca, sarà Potter stesso a dargliele. « Se hai paura di chiedere, non lo sapremo mai - io non saprò niente, e tu non saprai mai se sei matto o meno. » Facile. Dubita fortemente che la curiosità di cosa gli accada non gli sia mai balenata nella testa, e così fa leva su quello. Capire, è insito nell'animo umano. Comprendere è qualcosa di cui tutti vanno matti; abbiamo bisogno di darci una spiegazione a tutto per vivere meglio con noi stessi. « In cambio farò una ricerca sul tuo Dismundo. Una cosa seria; non ti racconterò le balle di Doc. » Scuote la testa spostando lo sguardo sul libro di pozioni che gli ha restituito. « Quasi quasi spero che tu abbia ragione e questo Dismundo sia solo un Dismundo e basta. Il CIM sarebbe comunque un posto migliore di questo. » Ma sa che non è così. E sa anche che non è Hogwarts il problema, tanto meno le persone che lo popolano. Il problema è lei, quello che ha fatto, quello che è successo in seguito alle sue azioni. Suo padre non è morto per un Dismundo. Tutte quelle persone, morte a un orario ben specifico, e maniere dettagliatamente specificate, non erano frutto di un Dismundo. Un leggero sorriso amaro imperla le sue labbra, prima di picchettare una sequenza ben precisa sulla copertina cartonata del libro che ora lui tiene tra le mani. S.O.S. Non è uno scherzo. « Risolvi il puzzle. » E' quindi l'unica cosa che gli dice prima di girare i tacchi e uscire dall'aula di Pozioni, pronta a tornare in sala comune.


     
    .
4 replies since 2/10/2017, 18:19   132 views
  Share  
.