All i speak is static screams

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    Ci cade dentro senza nemmeno accorgersene. Basta un attimo soltanto, le ginocchia crollano e lei si ritrova ad affondare nel letto. Incosciente. Perché non è più lì, è già da un'altra parte. E' caduta nella tana del Bianconiglio. Ma non è il Paese delle Meraviglie quello che si ritrova di fronte. E' caos. E' paura. E' morte. Prima di aprire gli occhi, già avverte quella sensazione, quella sensazione funerea che ormai ha imparato a conoscere e a gestire, non avendone più paura. E' quella plumbea emozione che ormai l'accompagna sempre quando scivola in una delle sue premonizioni. E come Cassandra, la sacerdotessa consacrata al Dio Apollo, Olympia cammina al fianco della morte. Perché è questo che è diventata la rossa: l'amara e silenziosa confidente di sorella Morte. Quando qualcosa di grosso sta per accadere, quella strana amica le sussurra all'orecchio, affinché possa essere preparata. Ma a quello non può esserlo. A quello che si rispecchia nei suoi occhi smeraldini non potrebbe essere mai preparata. Le urla strazianti sono la cosa che la colpiscono d'impatto, mentre si avventura per la strada principale di quel paesino che conosce fin troppo bene. I suoi piedi incontrano corpi morenti da cui sgorga sangue fresco. Abbassa gli occhi e incontra le profonde cicatrici che dilaniano i volti dei ragazzi che sorpassa alzando i piedi. Poco lontano una madre piange sopra il corpo di quello che Olympia presume essere suo figlio. Urla, con la voce rotta e arrochita dal tono fin troppo alto. Continua a piangere a dirotto, mentre si stringe il corpo morto al petto. Nella posizione in cui una madre allatta il proprio figlio neonato. Le si stringe lo stomaco ed è costretta a piegarsi in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia, sentendo un conato di vomito risalirle la gola. L'odore di morte si infiltra nelle sue narici e sembra non volerla lasciare andare, mentre prova a respirare a fondo, provata da tutto ciò che la circonda. Prova a regolare il battito cardiaco, tenendolo sotto controllo con dei profondi e lunghi respiri. L'unica cosa che vorrebbe fare è uscire da tutto questo, ma non può, perché non ha ancora visto tutto. Si sente gli occhi umidi e sa benissimo che sta piangendo, ma deve rialzarli, perché la visione non la lascerà andare fin quando non avrà visto. Così lo fa, li alza nuovamente e li punta sulla pila di corpi che ha di fronte. Sembra quasi una torre, tanti sono i cadaveri che vi sono ammassati. Una torre come quelle del castello che si vede in lontananza. Una mano cerca di afferrarle la caviglia, mentre cammina spedita e lei inciampa, ricadendo in avanti. Le mani riescono ad attutirle la caduta, sbucciandosi sulle pietre perfettamente modellate che compongono la strada. E' la prima volta che una visione riesce ad interferire con lei. "Aiutami" urla l'uomo che ha tentato di richiamare la sua attenzione. La voce graffiata dal dolore che sta provando. "Uccidimi. Abbi pietà di me." Lei si volta a guardarlo dopo qualche istante e muore così, di fronte ai suoi occhi, senza che lei possa fare nulla. Senza che lei possa provare ad alleviare le sue sofferenze. E allora fa leva sulla strada ormai irrigata dal sangue di tutte le persone morte che ha intorno e si rialza, per continuare. Intorno a lei la devastazione. Un uomo, dal viso coperto da un drappo rosso, continua a lanciare bottiglie incendiate verso il ponte che divide il villaggio dal resto del mondo. Una delle bottiglie si abbatte sulla pila di cadaveri e comincia a prendere fuoco tutto. Una pira di fuoco umana. Lei, impotente e soltanto spettatrice di quei sussurri, non può far altro che crollare a terra, prendersi la testa tra le mani, affondando le dita nelle radici dei capelli e schiudere le labbra. L'urlo doloroso penetra l'aria soffocante. Il rimbombo di quell'urlo trafigge il villaggio, lasciandolo cadere in un silenzio religioso. Non c'è più alcun lamento, nessun rumore di morte. Ora è la visione che diventa spettatrice inerme della disperazione di Olympia. Fin quando l'urlo non la squarcia, di netto e la visione viene inghiottita da un'esplosione bianca.

    I'm watching.
    I'm waiting.
    I'm aching.
    Suffocating.
    I'm breathing.
    I'm speaking.
    Can you hear me?



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    Urla risvegliandosi. Urla forte e per fortuna non c'è Malia in stanza. Deve essere stata incosciente per più di una manciata di minuti, come invece fa di solito. Ha il fiato corto, mentre si gira nel letto per guardare l'orario sull'orologio che ha sul comodino. Sì, è stata via per circa mezz'ora e la cena è cominciata e probabilmente quasi finita. Non si sistema nemmeno, non fa caso al fatto che ha gli occhi rossi e vitrei, non fa caso al fatto che il poco rimmel che aveva sulle ciglia è colato, lasciandole delle righe nere lungo le guance. Non considera niente. Balza soltanto giù dal letto e esce di corsa dalla Sala Comune. E' l'istinto a guidarla, mentre scende le scale. E' come attirata da lui, le sue cellule sembrano rispondere al richiamo di lui, sembrano sapere con esattezza dove si trova e infatti lo vede, sulla scala di fronte, intento a risalire verso la Torre di Grifondoro. «Rudy, Rudy» lo chiama, stando ben poco attenta al tono di voce. «Aspettami in cima alle scale.» Gli urla, tanto da far girare verso di lei tutti gli studenti presenti. «Beh che avete da guardare?» Alza le spalle, piuttosto infastidita, mentre si volta e comincia a percorrere al contrario la scala sulla quale si trova. Va controcorrente, sbattendo di qua e di là i ragazzini che stanno scendendo. Non si cura nemmeno di quanto possa apparire pazza, in fondo quello è soltanto dare un'ampia prova delle loro teorie infallibili. La figlia pazza di Potter. Già, non è mai stato più vero di quel momento, mentre si fa strada non chiedendo permesso a nessuno, come invece è sempre solita fare. In quel momento è tutt'altro che gentile e dai modi educati. Arriva in cima, si avvicina a Rudy con ampie falcate, lo prende per mano e lo trascina lungo il corridoio. «Vieni con me.» Non ammette discussioni, il tono è tagliente ed autoritario. Si trovano già al settimo piano, per sua fortuna e non è la prima volta che usa quella stanza, quindi ricorda anche con esattezza dove si trova. La porta si presenta di fronte a loro appena imboccano il corridoio sul quale sbocca e senza alcun dubbio, abbassa la maniglia e lo costringe ad entrare, prima di chiudersi la porta dietro le spalle. La stanza delle Necessità. Lì dove nessuno li può trovare e lì dove può parlare con lui senza che qualche orecchio indiscreto sia all'ascolto. Lei aveva necessità di un posto sicuro e tranquillo e di fronte a loro si apre una foresta incantata. Si inoltra tra i boschi senza dire una parola, mentre la vicinanza con la natura ha subito un effetto alleviante sui suoi nervi. Il silenzio tra loro comincia a farsi pesante, soprattutto quando si ritrovano nella piccola radura idilliaca. Sono immersi in un locus amoenus e Olympia si accorge soltanto in quel momento di quanto sia tutto sbagliato. Si sente gli occhi umidi e per questo comincia a passeggiare, distruggendosi le mani, in preda al nervosismo. «Io...» comincia, dopo qualche altro attimo di attesa. «Scusami, devo esserti sembrata una pazza.» Guarda il cielo azzurrino che si è formato sopra di loro e sospira, prendendo un grosso respiro. «Mi dispiace se avevi qualche programma per la serata..» si scusa, abbassando lo sguardo, mentre continua a girare in tondo come un'ape impazzita. «Ma avevo bisogno di te.» Appoggia una mano sulla corteccia dell'albero più vicino e inspira a fondo, prima di puntare gli occhi verso di lui, per la prima volta. Fa un mezzo sorriso. «Ho bisogno di te, del tuo aiuto» prosegue cercando di intuire quale sia il modo migliore per parlargli di tutto. Perché lui, fondamentalmente, non sa nulla. Niente di quell'estate, niente dei Ribelli. Non è certa che sappia della sua natura, né tanto meno dei suoi doni. Quando l'ha ritrovato in quel vicolo di Londra, cruciato e dolorante, non è stata a spiegargli come avesse fatto a trovarlo. Non troppo in dettaglio perlomeno. Così ora lo guarda e non sa nemmeno bene da dove cominciare. Parte dalla cosa più semplice, quella più immediata e urgente. «Io devo trovare una cosa.» Più di una, a dire il vero, ma il discorso non cambia. Parlare per metafore, dicendo ma allo stesso non dicendo nulla comincia ad innervosirla. «Devo capire dove si trova perché sì, chiaramente non so nemmeno bene dove sia nascosta, mica posso essere tanto fortunata, quello mai! E una volta fatto questo, che non è nemmeno la parte più difficile, devo capire come prenderla e qui arriverà il bello.» Chiaro no? «E la devo trovare nel minor tempo possibile. C'è una scadenza e io non so che fare, ho visto cose, so delle cose, insomma, è una grande responsabilità, c'è chi ha fiducia in me affinché trovi questa cosa perché è importante, davvero, per tutti.» E' un fiume in piena che spara cose che vogliono dire tutto ma che effettivamente non gli dicono nulla. Si porta una mano ai capelli, lasciando capire al moro quanto effettivamente sia provata. Da tutto. «Io non credo di farcela. Sono pochi i giorni che ho a disposizione e non so nemmeno da dove cominciare. E ho paura.» Tanta.


    Edited by survivor` - 6/10/2017, 14:12
     
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    Aria di guerra. La sente. Sono tante le cose che percepisce da un po' di tempo a questa parte. Troppe. Tutto sta cambiando, e non in bene. Lui sta cambiando. Sente cose che non vorrebbe sentire, vede cose che non dovrebbe vedere. E' uno strano processo di trasformazione quello. Non ne ha ancora parlato con nessuno, anche se dovrebbe. Non riesce ad accettare tutto questo da solo, seppur lui ormai, solo non lo è più. Voci, voci su voci si affollano nella sua testa. Non lo fanno dormire, non lo fanno pensare. E' tutto strano, troppo strano. Vede la vita in un modo diverso. Percepisce odori, colori e rumori in maniera completamente differente. E così come ormai capisce la concezione di vita, in ogni sua sfaccettatura e qualità, Rudy ha una consapevolezza ben più dettagliata della morte. Perchè vita e morte camminano assieme, lo hanno sempre fatto, sin dall'alba dei tempi. E allora torniamo al punto di partenza: c'è aria di guerra. Le voci scalpitano contro le pareti della sua mente, sente le loro preoccupazioni, le loro paure, la loro rabbia. Non sa cosa stia succedendo, non sa cosa succederà, ma qualcosa si muove. Le ha viste, qualche tempo prima. Due figure stanziate in una camera familiare. Una cascata di capelli rossi e, dall'altro lato, un manto scuro come la notte. Le ha sentite parlare, seppur troppo confuso per capire i loro discorsi. Succede sempre così, da qualche mese a questa parte: le voci sopraggiungono e lui non ha idea di come contrastarle. Rimane allora lì, bloccandosi da qualsiasi cosa stesse facendo, soggiogato da quello scherzo della natura. La sua natura. E anche quel pomeriggio di quel fine estate che sembra ormai lontano, Rudy era rimasto lì, immobilizzato ad ascoltare le loro voci. Erano lì ma non erano effettivamente lì. Inspiegabile, è vero, ma aveva imparato in quei pochi mesi che tutto ciò che lo riguardasse era diventato inspiegabile. Non si era più trasformato dopo quella prima volta. Quella prima volta che l'aveva visto tornare a casa Weasley-Granger con un orribile squarcio sul costato e l'aria di chi aveva fatto la guerra. Una guerra che avrebbe dovuto combattere, volente o nolente, e alla quale tutti loro si stavano preparando. Era una sensazione incontrollabile, un'irrequietezza mai avuta prima. Che Rudolph Black sia sempre stato un tipo non particolarmente rilassato, questo è risaputo, ma mai come allora. Nervoso, incline all'ira e perennemente arrabbiato. In quei giorni aveva fatto di tutto per evitare chiunque. Il crucio l'aveva segnato, ma la trasformazione...Quella gli aveva dato il colpo di grazia. Si era rinchiuso dunque, il Grifondoro, barricato nella sua stanza dove a stento accettava che il suo compagno vi entrasse. Aveva paura, forse per la prima volta in vita sua aveva paura. Di cosa sarebbe successo di lì a poco, di cosa avrebbe potuto fare, di come le cose sarebbero cambiate. Troppo giovane per sopportare così tanto, troppo immaturo per combatterlo con lucidità. E poi c'era lei. Il punto di luce in quel mare di tenebra. La soluzione in mezzo a quel labirinto di indistricabili problemi. Tra tutti, seppur ci avesse provato, seppur avesse avuto paura di perdere il controllo e farle del male, Rudy non era riuscito ad ignorarla. In quelle settimane Olympia era entrata a far parte della sua vita ancor più di prima -se possibile- diventando una costante alla quale il piccolo Black non avrebbe mai potuto rinunciare. Lo aiutava a sorridere, lo aiutava a dimenticare, a credere di avere ancora qualcosa per cui combattere in quel mondo che sembrava divertirsi a togliergli tutto.

    «Rudy, Rudy! Aspettami in cima alle scale. » La sua voce lo fa trasalire, costringendolo a girarsi di scatto. Stava risalendo verso la sua camera, dopo una divertentissima giornata trascorsa a impiantare mandragore assieme a quel pazzo di Wilde. La voce di Olympia è squillante, ben diversa dal suo solito tono pacato di sempre. L'ha già sentita così una volta, qualche tempo fa, quando dentro quello studio di Harry entrambi avevano litigato, scatenando una tempesta di parole che in fondo forse, nessuno dei due, avrebbe mai voluto. La guarda confuso, la fronte corrugata ed entrambe le sopracciglia corrucciate. Sono giorni che gli sfugge. Giorni che prova a parlarle, a starle vicino, ma in un modo o nell'altro lei gli scivola sempre dalle mani. E' nervosa, lo sente, e non ha bisogno dell'istinto animale per capirlo. Cammina velocemente, non curandosi di tutti i ragazzini che va ad urtare, fin quando non gli giunge di fronte, afferrandogli una mano con forza. «Vieni con me.» « Olympia cosa.. » Cerca di bofonchiare, ma la piccola Potter se lo trascina dietro senza accettare alcuna replica. Non l'ha mai vista così agitata. Percepisce il suo battito cardiaco accelerato attraverso quel contatto, e per qualche istante la sua agitazione sembra sgusciargli sotto pelle, appartenendogli. Oltrepassano i corridoi, fin quando non giungono di fronte alla porta magica della stanza delle necessità. Olympia lo costringe ad entrare e lui rimane lì, le mani adesso infilate tra le tasche. E' un bosco quello che si palesa davanti ai suoi occhi. Un luogo a prima vista tranquillo, immerso nella natura più verde. Rudy ha sempre avuto un ottimo rapporto con la natura, un legame non indifferente, ed ora tutto sembra avere più senso. Alza lo sguardo verso la ragazza, che ha preso a camminare nervosamente lasciandolo indietro, e decide di seguirla. Fiuta nell'aria la sua agitazione. Deve ancora fare i conti con l'empatia, ma è sicuro che con lei, proprio con lei, ci sia qualcosa che va ben oltre la semplice natura animale -che di semplice, a dirla tutta, non ha proprio nulla-. La capisce perchè vuole capirla. La capisce perchè è Olympia, la sua Olympia. Sta male, ed il fatto di non sapere come aiutarla fa star male anche lui. E allora la sofferenza di lei diventa automaticamente la sofferenza di lui. «Io...Scusami, devo esserti sembrata una pazza.» Scuote la testa, mentre un sorriso sincero gli si staglia sul volto barbuto. « Oh smettila di dirlo. » Odia quando lei stessa si giudica in una tal maniera. « E comunque, se anche lo fossi, sei la pazza più carina che io conosca. » Cerca di sdrammatizzare, seppur sia sicuro che non servirà pressochè a nulla. E infatti la rossa inizia a girargli attorno senza mai fermarsi, e dopo le prime due giravolte su sè stesso, il Grifondoro decide di rimanere fermo e lasciare che sia lei a vorticargli attorno. La sua agitazione lo rende più irrequieto del normale, dei capogiri ed un malditesta lancinante potrebbero portare a delle orribili conseguenze. «Mi dispiace se avevi qualche programma per la serata..Ma avevo bisogno di te.» Un sorriso si palesa sul volto del ragazzo, mentre prova ad avvicinarsi a lei. «Ho bisogno di te, del tuo aiuto» Annuisce, piantando i suoi occhi di tenebra in quelli chiari di lei, mentre cerca di cogliere qualcosa dal suo sguardo. Paura, ansia, agitazione è tutto ciò che riceve.
    OgMENHE
    « Che succede? » Domanda, il tono di voce lievemente apprensivo. Non sa cosa le sia successo. Non sa perchè in quei giorni gli sia sembrata così diversa ed oggi è un'Olympia completamente priva di qualsiasi controllo quella che gli si è palesata di fronte. «Io devo trovare una cosa. Devo capire dove si trova perché sì, chiaramente non so nemmeno bene dove sia nascosta, mica posso essere tanto fortunata, quello mai! E una volta fatto questo, che non è nemmeno la parte più difficile, devo capire come prenderla e qui arriverà il bello. E la devo trovare nel minor tempo possibile. C'è una scadenza e io non so che fare, ho visto cose, so delle cose, insomma, è una grande responsabilità, c'è chi ha fiducia in me affinché trovi questa cosa perché è importante, davvero, per tutti. » La ascolta in religioso silenzio, l'espressione lievemente confusa. La sua mente inizia a collegare. Le voci, le visioni, le armi, la guerra. Ad un tratto tutto sembra trovare una risposta: Olympia fa parte di quella guerra. Della loro guerra. Beatrice deve averla arruolata. Combatterà assieme a loro in quella crociata che non ha idea nè dove porterà, nè quali conseguenze avrà su tutti loro. Ma Olympia è lì, eroina in quella storia, la loro storia, e gli sta chiedendo aiuto. «Io non credo di farcela. Sono pochi i giorni che ho a disposizione e non so nemmeno da dove cominciare. E ho paura.» Lo so. C'è stato un tempo in cui Rudy non aveva idea di cosa fosse la paura. Un tempo in cui non gliene fregava nulla. Forte, coraggioso a dismisura e..immaturo. Ma adesso lo sa. Sa cos'è, l'ha provata, e non può più ignorarla. Si avvicina dunque a lei, poggiandole entrambe le mani sul viso ed inchiodandola con lo sguardo. « Lo so. » Sorride « Anch'io ho paura, saremmo degli sciocchi a non averne. » Ammette, guardandola. E' arrivato il momento di smetterla di fingere. « Ma devi mantenere la calma, okay? Guardami Olympia: ci sono io. Abbiamo tutti fiducia in te, ho fiducia in te, e so che puoi farcela. Devi solo crederci anche tu » Si avvicina ulteriormente, per guardarla meglio. Il contatto della sua pelle sotto le proprie dita gli infonde sicurezza: tutto ad un tratto sembra dimenticare ogni cosa. « Quì dentro ci siamo solo io e te, nessuno a giudicarci, nessuno a spiarci. Troveremo ciò che ci serve, assieme. Non sei sola okay? Se cadremo, cadremo assieme, e ci aiuteremo a vicenda a rialzarci. Mal comune mezzo gaudio no? » Una frase che ultimamente sembra calzargli addosso a pennello. Ridacchia appena, cercando di sdrammatizzare. Esita qualche altro istante, fin troppo vicino alle sue labbra, prima di scostarsi. « Prendila come l'ennesima sfida da portare al termine assieme a me, ricordi ancora quel gioco?- Sorride -Allora, hai qualche idea su dove potrebbero essere noi sappiamo cosa? Pensi che Morgenstern ne sappia qualcosa? In fondo è il professore di incantesimi, potremmo partire da questo..Lo sai, tra noi due quella intelligente sei tu. Io posso aiutarti con l'istinto. »
     
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