MASTER OF WAND

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  1. The Fugitive
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    Un mago non può essere tale senza la sua bacchetta.
    E' uno degli assunti base della Magia, di quelle cose che vengono spiegate e rispiegate fin dal primo anno di Hogwarts. Un mago non può essere tale senza la sua bacchetta. Può essere molte cose ma non un mago, a prescindere da quanto puro sia il suo sangue e da quanto abile sia nell'utilizzare gli incantesimi: senza una bacchetta, non può considerarsi un mago. Dante non sapeva ancora se essere d'accordo o meno, ma era indubbio che ormai una bacchetta gli servisse. Non vedeva per quale motivo avrebbe dovuto essere il contrario, in fondo: una bacchetta era uno strumento decisamente utile, e averla era decisamente meglio che non averla.
    Sempre che fosse ancora in grado di usarla.
    Non era più così sicuro, nonostante le rassicurazioni di Renton. Erano passati quasi otto anni da quando gli avevano sequestrato la sua, sette dei quali trascorsi in catene, ad Azkaban, e da allora l'uomo che sarebbe diventato Dante Morrigan aveva sentito di essere tutto meno che un mago. Un prigioniero, un reietto, un rifiuto umano, un fuggitivo. Molte cose, ma non un mago. Era stato l'altro, l'uomo che era prima del suo arresto, ad essere stato capace di usare una bacchetta mentre lui...scosse la testa, reagendo al suono di una campana lontana. Non era il momento di lasciarsi andare ai ricordi, quello, o alle riflessioni.
    Erano le tre del mattino, ed era previsto che di lì a cinque minuti bussasse alla porta sul retro del negozio di Olivander, conoscendo così un altro dei membri di quello strano esercito di cui si era ritrovato a far parte. Scivolò fra le ombre, silenzioso come la sua mole non avrebbe fatto neppure sospettare, dirigendosi prima sotto una piccola veranda che si affacciava sulla strada, sistemato in modo da far si che chi vi era appostato potesse controllare entrambi gli ingressi del negozio. Dante era stato lì, sulla strada, fin da prima della mezzanotte e aveva notato quel piccolo cambio di guardia quando era avvenuto. Renton l'aveva avvertito del fatto che Greg potesse essere controllato e lui era stato molto attento: adesso sapeva anche da dove lo facevano. Dilettanti. Uscì dalle ombre tenendo la testa bassa, come intenzionato ad attraversare la strada, ma all'ultimo momento deviò appena accelerando il passo. L'uomo fu veloce a reagire e fece in tempo a estrarre la bacchetta prima che Dante gli chiudesse la mano sul polso. L'altra, quella libera, artigliò la faccia del suo nuovo amico, spingendo di scatto in avanti fino a fargli sbattere con forza la testa contro il muro. L'uomo si accasciò al suolo senza una parola, un filo leggero di sangue che gli scendeva da un orecchio. Dante lo coprì con due pezzi di sacco che qualcuno aveva lasciato lì, in un angolo della verandina, e si diresse verso il retro del negozio. Di lì all'alba ne avrebbe trovati un altro paio e avrebbe aggredito anche loro, tanto per dissimulare un po'.
    Era un lavoro duro pestare quegli stronzi, ma qualcuno doveva pur farlo: metti mai che si sentano troppo al sicuro.
    Bussò una volte, delicatamente, poi una seconda con più energia - Sono Dante - disse quando udì qualcosa muoversi al di là della porta. Alzò il braccio, a mostrare il tatuaggio che la donna gli aveva fatto al rifugio - Mi manda Renton -
     
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    er bacchetta


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    Che periodo di merda.
    Quelle quattro, semplici, banalissime parole erano diventate il suo mantra. E gli pesavano da morire. Non era abituato a sentirsi così, non era abituato a star male o ad essere triste.. ma come avrebbe potuto mantenere il proverbiale sorriso che tutti a Diagon Alley avevano imparato a conoscere, in quei vent'anni? Non era solo la situazione con Rocket a tormentarlo, non era solo il ballo di Hogwarts che si avvicinava e che avrebbe sancito tra di loro la resa dei conti. Era tutto l'insieme: l'aver trovato Hogsmeade sbarrata dagli Inquisitori del Ministero della Magia, le ronde che pattugliavano la strada maestra del Distretto Magico e loro, le continue ispezioni in bottega. Da che erano iniziate, con una visita al mese da parte di un inquisitore qualunque, si erano fatte sempre più frequenti; nell'ultima settimana, addirittura tre volte. L'iter era sempre lo stesso: un giro tra gli scaffali delle bacchette, un'occhiata al registro e ai libri contabili, uno sguardo nel retrobottega e nel laboratorio, a cui si accedeva da una stretta scala a chiocciola nascosta sul retro. Tutto si era sempre rivelato in ordine: i registri delle entrate erano impeccabili come sempre, le forniture perfettamente ordinate nel magazzino e l'inventario aggiornato. Gli inquisitori, nei due anni in cui Greagoir Olivander aveva tradito la patria, non avevano mai trovato nulla di sospetto eppure continuavano ad avvicendarsi alla sua porta, uno scagnozzo del regime dopo l'altro. Come se fiutassero qualcosa, come se sapessero ma semplicemente non trovassero le prove. Greg non poteva far altro che lasciarli fare, accoglierli col sorriso che ormai sempre con maggiori difficoltà riusciva a tenere su, rispondere ad ogni loro domanda ed esaudire ogni loro richiesta. Come un cagnolino. Perché questo si sentiva, alla mercé del Ministero della Magia, nient'altro che un cane addestrato a riportare l'osso. Per il bene della sua famiglia, continuò a tacere e a riportarlo quell'osso maledetto, ogni singola volta.

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    Si stropicciò gli occhi stanchi, aprendo con uno scatto un orologio da taschino che aveva l'abitudine di tenere sempre sul bancone dell'emporio. Due e cinquantasette del mattino. Avrebbe preferito di gran lunga starsene a letto, non avrebbe dormito ugualmente ma almeno sarebbe stato comodo. Invece, immerso nel buio e nel silenzio dell'emporio di famiglia, aspettava. Tamburellò con le dita sul legno massiccio del bancone, appollaiato sopra un alto sgabello, trattenendo a stento un lungo sbadiglio. Era questo che faceva, ogni volta che un messaggio criptato gli arrivava da parte di chissà chi, da chissà dove: aspettava. Era l'unica cosa che poteva fare, erano le clausole che aveva accettato quando aveva deciso di aiutare la Ribellione, non come membro effettivo ma come.. consulente? Benefattore? Non sapeva neppure come definirsi. "Codardo" sarebbe potuta essere un'adeguata definizione, secondo molti, dal momento che agli occhi del mondo l'emporio degli Olivander era aperto a tutti. Tutti, ministero compreso. Anzi, soprattutto al ministero. Non aveva mai mancato una consegna, ogni volta che dai piani alti del regime arrivava un ordine.. la pena, in caso contrario, sarebbe stata amara per tutti. Abbassò gli occhi un'altra volta. Tre e quattro minuti. Si alzò stanco dallo sgabello, riponendo l'orologio in tasca, e superò le tende spesse che separavano la bottega dal retro. Un debole bussare anticipò il suo arrivo, seguito da un secondo più vigoroso. Quindi, una voce: « Sono Dante. » Con un occhio allo spioncino, controllò l'esterno: non riuscì a vedere bene a chi appartenesse la voce ma quel tatuaggio era tutto ciò di cui aveva bisogno. La sua parola d'ordine. Aprì velocemente il chiavistello e la porta, lasciandolo entrare. « Mi manda Renton. » Annuì, richiudendo la porta il più silenziosamente possibile una volta che l'uomo fu al sicuro dentro le mura degli Olivander. « Sì, mi hanno avvisato. » Buttò uno sguardo verso di lui, era la prima volta che aveva modo di incontrarlo. Aveva il classico aspetto che ci si aspetterebbe pensando ad un ribelle, alto come una montagna e ugualmente possente, sguardo duro e una folta barba. Qualcuno che non vorresti vedere incazzato, sostanzialmente. Contrastava in tutto e per tutto con la figura del fabbricante di bacchette, l'ultimo che ti aspetteresti di vedere tra le fila ribelli. Era troppo.. perfettino, per crederci. « Vieni. » lo superò percorrendo il corridoio per arrivare alla parte anteriore della bottega. Durante il tragitto, recuperò da un piccolo mobile una bacchetta. Semplice, anonima, senza molti dei fronzoli decoratici di cui i bacchettari amavano far sfoggio nelle loro creazioni d'artigianato. Olivander iniziò ad agitare la bacchetta lungo il corridoio e, una volta arrivato alla bottega, per tutta l'aria, mormorando qualche Muffliato. Continuò dunque a camminare lungo la porta a vetri e le diverse vetrine, oscurandone magicamente i vetri e solo allora accese un gruppo di candele. « Accomodati pure. Hai bisogno di qualcosa? Da bere, da mangiare..? » gli domandò senza neanche guardarlo, continuando ad incantare il negozio il più velocemente possibile. Solo quando ebbe finito, gli si rivolse nuovamente: « ..oltre che di una bacchetta, suppongo. » Posò la propria sul bancone, accennando un sorriso stanco. Non che fosse veramente la propria: la sua vera bacchetta, un bellissimo esemplare in biancospino e crine di unicorno, era stato costretto a malincuore a denunciarla al Ministero. Qualunque magia avesse compiuto, loro l'avrebbero saputo: un po' sospetto un Muffliato alle tre di notte, non è vero signor Olivander? « E.. sì, scusami, io sono Greg. » allungò la mano verso di lui. Greg, solo Greg, perché stavano insieme su una barca pronta ad affondare e col rischio di finire con l'acqua alla gola, a chi diavolo importa delle formalità?
     
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  3. The Fugitive
         
     
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    Era dalla prima infanzia che non tornava in quel negozio, e nell'esserci di nuovo Dante non poté che chiedersene il motivo. Mosse qualche passo verso l'interno, gettando suo malgrado una lunga occhiata intorno a sé. La maggior parte dei maghi tenevano la stessa bacchetta per tutta la vita e Dante era pronto a scommettere che ben pochi di essi erano tornavano lì dentro prima che fossero passati anni, e solo per accompagnare figli e nipoti ad essere scelti a loro volta da una delle bacchette che riempivano l'ambiente. Era un peccato perché c'era qualcosa in quello spazio, ordinato e creativo al tempo stesso, capace di trasmettere qualcosa al suo animo di mago e se fino a poco prima il bisogno di trovare una bacchetta non era stato che il frutto di un pensiero razionale - lo stesso che lo avrebbe spinto a comprare un martello di fronte ad un chiodo da piantare - adesso le dita avevano inizato a prudergli di quella che all'improvviso era diventata una vera e propria necessità. Ruotò leggermente su se stesso. Raramente si era sentito nudo come in quel momento.
    Dante annuì, per poi seguirlo. Qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di dire riguardo alla meraviglia e all'impellenza che aveva appena provato gli si era comunque letta in volto, ormai - Una tazza di the, grazie - gli rispose una volta che il giovane Olivande ebbe finito il suo giro di incantesimi protettivi. Dante si era fermato vicino ad un angolo della stanza, le braccia rilassate lungo i fianchi, ad aspettare che l'uomo facesse quel che doveva. Non pareva preoccupato, e se da un lato questo dipendeva dal fatto che Renton si fidava di lui, dall'altro era frutto della consapevolezza che se fosse stata una trappola non avrebbe comunque avuto modo di scappare, ormai. Al massimo, si disse, di estrarre la vecchia colt che teneva alla cintura, sulla schiena, e piantargli un colpo in fronte. Un sorriso gli piegò le labbra, increspandole appena - Oltre che di una bacchetta - annuì. No, non credeva potesse essere un traditore. E poi il ragazzo già gli piaceva, un po'.
    - Dante - ricambiò con un cenno del capo, restando poi lì a fissarlo per un attimo. Il silenzio della notte era profondo, e a tratti si poteva sentire il vecchio palazzo scricchiolare sotto il suo stesso peso. Azkaban aveva fatto più o meno lo stesso suono, quando le stagioni iniziavano a cambiare. Aveva odiato quel gemere della prigione quasi quanto quello dei prigionieri. Quasi quanto il suo - C'era un tizio fuori. Sapevi di essere controllato? - gli chiese dopo qualche altro istante, indicando con un cenno del capo verso l'esterno, vago - Non sarà un porblema per un po', ma potrebbero farti qualche domanda domani mattina. In caso...beh, scusami. Farò in modo di dargli una traccia da seguire, andando via - aggiunse con una stretta di spalle. Poi, riprendendo a guardarsi intorno - E' davvero tanto che non ne impugno una... -
     
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    er bacchetta


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    « E una tazza di the sia. » concordò il giovane fabbricante di bacchette annuendo piano. Riappropriatosi della bacchetta non tracciata, con un ghirigoro tracciato nell'aria appellò da una stanza sul retro una teiera e un vassoio che atterrò delicatamente sul grande bancone davanti a loro; su di esso, due tazze e un piattino ricolmo di dolcetti assortiti. « Serviti pure, non fare complimenti. » Lasciò quindi che Dante si abituasse a quella breve parentesi senza pensieri, in una vita che - così pensò Greagoir - non doveva offrigliene poi molti, e si dedicò alla preparazione della bevanza. Un Aguamenti che riempì di acqua limpida la teiera, la quale ancora levitava sopra le loro teste, un piccolo fuoco fatuo sotto sotto di essa e l'attesa a condire il tutto. Rialzò i grandi occhi azzurri sul fuggiasco solo quando la sua voce profonda riempì nuovamente il negozio. « C'era un tizio fuori. Sapevi di essere controllato? » Olivander sospirò, stropicciandosi gli occhi stanchi. « Non sarà un problema per un po', ma potrebbero farti qualche domanda domani mattina. In caso...beh, scusami. Farò in modo di dargli una traccia da seguire, andando via. » Gli rivolse un sorriso tirato. Era quello ormai il mondo in cui vivevano, una realtà vissuta col fiato del ministero sul collo, in cui è necessario misurare ogni singola azione per evitare che la reazione possa far male, far male davvero. « Tranquillo, il Ministero ci ha tenuto a farmelo notare. Ormai sono anni che ricevo ispezioni, prima erano rare.. ora stiamo arrivando all'incontro settimanale. Visto? Ho sempre dei pasticcini pronti! » la buttò sul ridere, ma entrambi sapevano che da ridere non c'era assolutamente nulla. « Però.. se davvero povessi creare un po' di confusione là fuori te ne sarei grato. Sono tempi difficili per tutti.» chi più chi meno. Ma nonostante la vita di Greagoir Olivander potesse sembrare perfetta, nonostante sicuramente non potesse vantare le stesse difficoltà di Dante nell'arrivare al giorno successivo, neanche il biondo riusciva a dormire sereno la notte. Un fischio rumoroso li avvertì che il loro the era pronto: il piccolo fuoco fatuo si dissolse magicamente e la teiera, lentamente, planò davanti agli occhi dei due maghi per versare piano il liquido nelle due tazze. Dante sembrava assorto, perdendosi con gli occhi oltre la sagoma del bacchettaro, là dove erano stipate decine e decine di piccole scatoline allungate. Per ognuna di esse, un mago o una strega. « E' davvero tanto che non ne impugno una... » Dal suo sguardo, Greagoir capì come l'emporio non fosse nuovo per lui: vi lesse una scintilla di nostalgia. « Era nostra, la tua vecchia bacchetta? Ti manca vero? » Appoggiò il viso sul pugno chiuso della mano, affondando il naso nel primo sorso di the bollente. Per un inglese, non c'era niente di meglio per scaldare il cuore in tempi bui. « Io credo che sia un po' come il primo, grande amore: ne potrai avere altri e saranno altrettanto grandi.. ma non saranno loro. Questa? » poggiò la tazza e tra le dita prese la bacchetta non tracciata. « Faggio, piuma di fenice, 10 pollici, rigida. Buona, per carità.. ottima anzi! Ma.. capisci? Non è lei! » Si tastò la tasca dei pantaloni ed estrasse una seconda bacchetta, una di cui perfino un profano come Dante avrebbe potuto riconoscere la differenza. La bacchetta di Greg era più lunga, di un legno chiarissimo, decorata lungo la lunghezza con motivi che ricordavano delle radici affondate nel terreno. « Biancospino e anima di crine di unicorno, 14 pollici, sibilante. » Un lampo di orgoglio e amore investì gli occhi del ragazzo, prima di riporla nuovamente in tasca. « L'ho dovuta censire al ministero, me l'hanno tracciata. Come ti dicevo, non fanno molto per nascondere il loro fiato sul collo. » Il resto, Dante avrebbe potuto certamente comprenderlo da solo unendo i tasselli. Avrebbe compreso, tuttavia, ciò che un bacchettaro potesse provare in una situazione come quella? Forse no. « Non ti posso ridare quelle sensazioni, ma ti prometto il meglio che posso offrirti. » Un nuovo amore. « Com'era la tua vecchia bacchetta e come l'hai persa? Parlamene un po'. » Una bacchetta dice molto della persona che ha scelto e questo voleva saggiare Olivander: che tipo di mago fosse quel Dante, che tipo di bacchetta avrebbe potuto fargli incontrare in quell'improvvisato appuntamento al buio.
     
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  5. The Fugitive
         
     
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    Thè caldo e pasticcini, scampoli di una vita tanto normale da portarlo quasi sull’orlo della commozione.
    Dante ne prese uno dal vassoio e se lo tenne in bilico fra due dita per qualche momento, ad osservarlo, prima di portarselo alle labbra, quasi avesse fatto fatica a ricordarsi cosa fosse e a cosa servisse. Lo masticò lentamente e deglutì, a godersi a pieno il sapore di quell’unico boccone di ricordi che si era concesso. Quando era ragazzo aveva odiato quei momenti di pura e semplice banalità, quasi li incolpasse di attentare all’eccezionalità e alla ribellione cui ambiva per sé stesso, ma adesso che aveva avuto abbastanza di entrambe - e che aveva pagato per esse il prezzo più salato possibile - riusciva a cogliere nel semplice gesto di bere una tazza di the in compagnia un valore che prima non aveva mai saputo vedere.
    Quanto era stato stupido, quel ragazzo.
    - Non c’è problema - gli rispose con una stretta di spalle, e se anche non disse a parole che l’avrebbe fatto anche con un certo gusto il fabbricante di bacchette non avrebbe dovuto fare troppa fatica a capire che, in fondo, così era. Prese la tazza dalle mani di Olivander e la tenne così, stretta fra i palmi e senza ancora berne un solo sorso. Nonostante apparisse rilassato continuava a guardarsi intorno, attento, come se temesse un qualche tipo di aggressione o stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare. Forse era un po’ di entrambe le cose. Forse semplicemente aveva paura dell’effetto che i ricordi potevano avere su di lui.
    - Sì - disse infine, tornando a posare lo sguardo su Greg. Sì, aveva comprato lì la sua bacchetta e sì, gli mancava. Dante non si era reso conto di quanto gli fosse mancata finché non aveva capito - non aveva capito davvero - che avrebbe potuto impugnarne una di nuovo. Era stato un po’ come rinascere - Perché la prima è quella con cui abbiamo imparato, no? Fa parte della nostra identità - annuì poi lentamente, mentre una fitta di dolore gli attraversava il petto alla vista della prima bacchetta di Greg. Era strano come, talvolta, fossero le cose che meno si aspettava a suscitare in lui quelle sensazioni, tanto acute quanto improvvise.
    Nascose il volto nella tazza, prendendosi il tempo di riflettere per un paio di sorsi prima di rispondere - Legno di quercia e cuore in tendine di drago. Meravigliosa - disse infine, il volto alto verso il soffitto - A undici anni la sola idea di poter imparare ad usare un oggetto simile mi sembrava semplicemente inconcepibile. Era…troppo - una scrollata di spalle - Ma immagino sia sempre così. Con la prima bacchetta e il primo amore - aggiunse per agganciarsi alla sua metafora. Era adatta, lì dentro, se non forse per il fatto la sua bacchetta non l’aveva mai tradito. Il suo amore, invece…scosse la testa, lasciando da parte Morgan Zabini e la sua storia con lei. Un nuovo sorso di thé, e altri momenti di riflessione - Non l’ho persa - disse infine - Mi è stata tolta. Spezzata, credo, o comunque dimenticata sul fondo di qualche baule. E’ stata…credo sia stata la prima vittima di ciò che ci ha portato infine a questa guerra, sette…no, ormai otto anni fa. Ho passato quasi tutto questo tempo ad Azkaban - confessò infine, osservando la possibile reazione sul volto del ragazzo. Probabilmente era perfino più giovane di quanto non apparisse alla luce arancione delle candele - Come mai aiuti i ribelli? -
     
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4 replies since 8/10/2017, 13:31   88 views
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