CAN I HAVE THIS DANCE?

VIRGINIA

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    Malia lo aveva definito come un piano infallibile, a prova di bomba. Roba che dire di no sarebbe stato impossibile, ma anche assurdo. Andres non era molto pratico, in realtà non era pratico per niente, ma nonostante tutto nutriva qualche dubbio sulla buona riuscita di tutto... quello. Avevano provato a convincerlo a cambiarsi, l'amica Grifondoro e anche Hugo, magicamente interessato a tutta la questione, ma non c'era stato verso. Già il solo pensiero di doversi infilare dentro un completo, o anche solo una camicia, faceva mancare l'aria al ragazzo. Se volevano che seguisse i loro consigli avrebbero dovuto mettersi l'anima in pace: o in maglietta e pantaloni della tuta, o niente. Riuscirono almeno a non fargli portare alcun pallone, mazza da battitore, manico di scopa, o qualsiasi altro strumento legato a un qualsiasi sport. Ancora di più: riuscirono a piazzargli in mano un mazzo di fiori arrivato da chissà dove. Fortuna che dietro dietro le quinte di quel teatrino c'erano persone che parevano sapere come girava il mondo, almeno quello femminile, perché se avesse dovuto pensarci Andres da solo... beh, probabilmente non ci avrebbe neppure pensato. Non era stata sua l'idea di invitare una ragazza al ballo, gli era stata caldamente suggerita. Tra lamentele sul suo essere un burbero scimmione, i commenti non richiesti sul suo pensare solo allo sport, alla fine il tedesco aveva acconsentito più per disperazione che per altro. « Tu fidati di noi, andrai alla grande! » L'incitamento era sincero, su quello non c'era dubbio, ma risultava decisamente insufficiente per colmare i dubbi del ragazzo. E se lei gli avesse fatto delle domande? e se lui avesse dovuto risponderle? Non era bravo a improvvisare, con le ragazze poi! Si sentiva a disagio come un elefante in cristalleria. Se poi, dopo tutto quanto, dopo quello slancio di intraprendenza in un ambito che decisamente non era sportivo, lei avesse risposto di no? Avrebbe accettato un due di picche? Probabilmente no. Era quella l'eventualità che lo spaventava. E se poi si fosse venuto a sapere in giro che era stato rifiutato? Cosa avrebbero detto gli altri di lui? Per non parlare del motivo numero uno delle sue titubanze: Dorian. La ragazza che stava per invitare al ballo sapeva essere cotta del suo bro - questo sosteneva Malia -, ma non sapeva cosa lui provasse per lei. E se chiedendole di accompagnarlo al ballo se la fosse presa? Se si fosse arrabbiato? No, no, no. Toglietegli tutto, ma non il suo Swatchbro!
    Era a un passo dal mandare tutto a monte quando la Grifondoro gli lo spinse in avanti facendogli perdere l'equilibrio. Per non cadere, Andres fece quattro passi per mantenere l'equilibrio, ma ormai era finito davanti alla ragazza: Virginia Eyring. Il cuore gli pulsava all'impazzata, l'imbarazzo era palesemente visibile sia sul suo volto che nei suoi gesti, estremamente goffi, e Hugo se la rideva da dietro un muro. Sì, si sentiva benissimo quel disgraziato ridere sotto i baffi. Oh, ma a lui avrebbe pensato più tardi. « Ehm... » Ecco, no. Quello era esattamente quello che non avrebbe dovuto fare. Su una cosa si erano raccomandati i due infami che erano nascosti a origliare: non balbettare. Nessun 'ehm', 'cioè', 'ma il Quidditch...?'. Niente di tutto quello. « Cioè, volevo dire... » Poveri noi. « Ciao Virginia. » Meglio, c'era spazio per recuperare. Un bel respiro. « Io folevo chiederti... » Giustamente, non bastava la sua inesperienza, anche l'accento doveva farti sentire sotto stress. « ...se ti piacerebbe venire al ballo. » Era riuscito a finire la prima parte, più o meno. Si era solo scordato di una parte fondamentale. « Con me. Venire al pallo-ballo! » Verrückt! Verrückt! Prese un altro respiro per evitare di implodere sul posto. « Ti piacerebbe venire al ballo con me? » Habemus papam! Riuscendo a dire correttamente la frase, provata e riprovata nei giorni passati, ad Andres venne anche in mente che quello era il momento per allungare il mazzo di fiori alla ragazza. E a quel punto iniziava la parte difficile, ancora più difficile dell'invitare la Corvonero, ora era tempo di attesa. C'era da aspettare il verdetto: ballo sì o ballo no? Avrebbe accettato oppure avrebbe riso della sua ridicola proposta. Il Grifondoro non sapeva come sarebbe finita, ma quella sarebbe stata l'ultima volta che si piegava a certe cose. Quello sarebbe stato, potenzialmente, il suo primo e ultimo ballo. Sissignore. Pensieri sul futuro a parte, lo scimmione iniziò si portò una mano alla nuca, estremamente imbarazzato e decisamente senza parole. Che fare?! Doveva dire qualcos'altro? Aspettare che lei dicesse qualcosa? SCAPPARE? Aiuto. Qualcuno poteva portarlo via? Stava iniziando a sudare. Hugo? Malia? Una mano?
     
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    Al ballo mancava sempre meno, e lei ormai aveva perso le speranze. Da qualche parte nella sua testa, si stava risvegliando l'eroina di una tragedia shakespeariana dei giorni nostri, pronta a dare il via ad un monologo infinito su quanto fosse inutile, di questi tempi, sperare. Perché, superfluo dirlo, era stata proprio la speranza, quella gran figlia di buona mamma, a metterla nella situazione in cui si trovava: a pochissimo tempo dal ballo, e senza nessun cavaliere. E se quella non era una tragedia, allora non avrebbe saputo dire cosa lo fosse. E qualcuno metta via i bambini che muoiono di fame, per piacere, perché non è assolutamente il momento. La giovane corvonero era perfettamente consapevole del fatto che esistessero problemi più grandi di un ballo, ma ad essere franca non gliene importava minimamente dal momento che i suoi sogni di gloria di adolescente erano stati così barbaramente infranti. Le sembrava quasi di sentirli che cadevano in mille pezzi ai suoi piedi. E poteva essere un discorso superficiale, ma al ballo ci teneva, e sapeva anche con chi di preciso volesse andarci. Peccato che quel qualcuno avesse dimostrato di pensarla diversamente. E no, non gliel'aveva chiesto, ma nemmeno lui l'aveva mai fatto e non è che gli fossero mancate le occasioni. C'era da dire che la sua disillusione fosse stata piuttosto graduale: non si era persa d'animo subito. Aveva aspettato, rifiutato un compagno di casa, aspettato, rifiutato un suo compagno di casa, ancora atteso, rifiutato gentilmente un altro tipo, e... e lui nulla. Nel frattempo, il grande orologio della vita scorreva; la gente trovava accompagnatrici e cavalieri. E lei, da grande idiota che ormai riconosceva di essere, se ne stava con le mani in mano. Ad aspettare il miracolo. La discesa della manna dal cielo. Il tramonto a est. Insomma, un qualcosa che - a quel punto lo riconosceva nonostante non le facesse propriamente piacere - aveva sempre meno probabilità di accadere. Diciamo pure, anzi, che poteva dire non sarebbe più accaduto. E lei non ci voleva andare al ballo da sola. Non era giusto. Davvero: stava cominciando a ponderare l'eventualità di darsi per malata, di ammalarsi davvero, e di non presentarcisi neanche a quell'evento del demonio perché andarci senza cavaliere sarebbe stato terribile per lei. E, a quel punto della fiera, invitare qualcuno era davvero fuori discussione perché da un lato avrebbe significato ammettere la propria sconfitta di cui prima, e sinceramente non ci teneva affatto; dall'altro voleva dire affidarsi alla sorte perché aveva come la netta sensazione che le persone divertenti fossero già state prese. Un po' come quando arrivi tardi ai saldi e la tua taglia non c'è, dunque devi accontentarti o di una tenda nella quale entreresti almeno una decina di volte, oppure di un vestito che ti entrerebbe sul naso. Lei, poi, non era tipo da accontentarsi, generalmente, e di sicuro non aveva intenzione di passare un'intera serata a cercare di trovare un motivo per cui aveva scelto un determinato sconosciuto. Soprattutto perché, e questo lo sapeva anche se era un caso disperato, non sarebbe riuscita a trovarlo.
    Fu uno strano trambusto a distoglierla dai suoi pensieri. E una persona che per poco non la travolse. Ebbe la prontezza di riflessi - per una volta - di spostarsi dalla sua traiettoria e si portò una mano al cuore - che ci poteva fare se era melodrammatica? - mentre le sue sinapsi facevano il loro lavoro e le permettevano di identificare la persona con la quale non si era scontrata per tanto così. Si trattava di un ragazzo - e fin qua era stato facile - e, a ben guardare, uno che aveva visto anche altre volte. Andres, si chiamava, ed era... beh, praticamente il brother from another mother di Dorian. Il bro. Fece quasi per salutarlo e chiedergli se stesse bene e, una volta ottenuta la risposta, salutarlo e continuare a camminare verso la sua metà cioè il letto di rose dove disperarsi per la situazione precedentemente illustrata, ma lui la sorprese. Le rivolse la parola. Il che non era scandaloso di per sé - in fondo non le risultava fosse muto o qualcosa di simile - ma era comunque inusuale. Cioè, qualche volta si salutavano, capitava sicuramente di incrociarsi, ma c'era lo stesso qualcosa di strano nell'aria. Ecco: lui sembrava stranamente a disagio. Come se stesse per correre la maratona di New York nudo, più o meno.
    «Ehilà!» Alzò una mano per ricambiare il saluto e abbozzò un sorriso. Non aveva ancora idea del perché sembrasse così tanto a disagio, ma magari quella di sembrare tranquilla poteva essere una buona idea per cominciare ad ovviare al problema. Nel senso: qualsiasi fosse il motivo per cui era così visibilmente agitato, agitarsi a sua volta non avrebbe portato ad una soluzione. Fece quasi per chiedergli come andava ed intavolare una simpatica quanto casuale conversazione, ma lui decise di sorprenderla. Nel vero senso della parola. Ora capiva il perché. O meglio: lo capì quando sentì la parola ballo. Sì, quel ballo. L'evento del demonio per il quale lei ancora non aveva un cavaliere. "Oh, ma a quanto pare gli astri si stanno allinenando a mio favore" non poté fare a meno di pensare mentre il sorriso diventava molto più sornione.
    « Ti piacerebbe venire al ballo con me? »
    Questa la domanda fatidica che, dopo tanto penare, le aveva fatto il grifondoro. Porgendole, tra l'altro, un mazzo di fiori. Ora: probabilmente, se non si fosse trattato proprio di lui allora avrebbe gentilmente declinato, ma aveva diverse ottime ragioni per accettare il mazzo che le porgeva, così come l'invito dell'adolescente. In primo luogo, era stato l'unico a presentarsi con dei fiori, il che era di per sé un gesto apprezzabile e molto, molto carino; secondo poi le sarebbe enormemente dispiaciuto dirgli di no, considerata tutta la fatica che aveva fatto. Non doveva essere facile invitare qualcuno - e su questo punto in particolare aveva tutta la sua comprensione - specialmente quando la scadenza era così vicina. Lo considerava, inoltre, un tipo particolare ma sicuramente affidabile, uno che insomma non si sarebbe fatto strane idee se avesse accettato di accompagnarlo. Dovevano solo andare a quel ballo e patire assieme, cercando di rendersi la serata più sopportabile a vicenda. In più era il migliore amico di quello scemo e, per quanto detestasse doverlo fare, Gin decise che quella fosse anche un'ottima mossa tattica. Qualcosa del tipo: "guarda che una mossa ogni tanto puoi anche dartela perché non sarò sempre qui ad aspettare" senza però scadere in una ripicca di quelle squallide. Aveva un cuore troppo delicato per mettersi a macchinare qualcosa di effettivamente cattivo.
    E così fece. Sorrise, prese il mazzo di fiori, e annuì.
    «Certo, Andres» accompagnò le parole con un altro mezzo sorriso « ti accompagno con piacere. E grazie mille di avermi invitata.»
    Sperava che il suo interlocutore si sentisse un po' più a proprio agio, adesso che il peggio era passato. Per entrambi.
     
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