IT ALL FELL DOWN

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    "Ti ho mai chiesto un favore, Lèo?" Sospirò, il cugino, passandosi una mano tra i capelli e mordicchiandosi il labbro con fare incerto. Ci stava pensando, era sul punto di vacillare, Albus lo conosceva abbastanza bene da sapere quando fosse sul punto di cedere. "Ti prego. Mi conosci. Non te lo avrei chiesto se non fosse stata una cosa davvero importante. E prima che tu me lo chieda: no, non è una cosa mandrilla, lo giuro. Per quelle ho altri posti." Anche se ormai nessuno sembra essere più tanto segreto, evidentemente. Alla fine, Leò aveva ceduto, un po' perché era incapace di dire di no, e un po' perché le argomentazioni di Albus e il suo tono supplichevole lo avevano convinto abbastanza da portarselo appresso lungo tutto il tragitto che li divideva dalla sala comune dei tassi. Erano sgattaiolati via dalla sala grande piuttosto presto, prima che i grandi stormi cominciassero a dirigersi verso i rispettivi dormitori. Albus si era fatto piccolo piccolo, guardandosi intorno con aria circospetto ad ogni passo che compiva più vicino alla meta. Lo sapeva, se lo sentiva dentro che quella cosa non avrebbe fatto altro che gettare benzina sul fuoco delle malelingue: qualcuno lo avrebbe visto e avrebbe mandato dritto dritto un messaggio a chiunque gestisse quell'infame bacheca di notizie travisate. "Albus Potter si dirige circospetto verso la sala comune dei Tassorosso. Ma da chi? Da Betty o da Zura?" Cazzo, con una cosa del genere avrebbero di che parlare per anni. Il punto era che al Serpeverde davvero interessava poco o niente dei gossip nei suoi confronti. Era parte del gioco, e vi era abituato sin da quando era venuto al mondo. Un Potter sa di nascere con i riflettori puntati addosso. Ogni passo della crescita di Albus e dei suoi fratelli aveva dato da mangiare a una sfilza di giornalisti di seconda mano, quelli che lui non stentava a definire come imbrattacarte. Un giorno era la gita al lago, quello dopo i primi dentini, quello dopo ancora l'inizio della scuola e così via in un circolo infinito. Per non parlare di quando era stato sbattuto al riformatorio: lì sì che si era pienamente conquistato la prima pagina di ogni rivista nazionale. Insomma: Albus ormai era giunto a patti con la consapevolezza che, in ogni caso, gli affari suoi sarebbero sempre stati in parte di dominio pubblico. Non era dunque stato il messaggio in sé a turbarlo, ma il modo in cui era stato redatto. C'era quasi una vena di cattiveria dietro quelle parole, una specifica volontà di ritrarlo come una persona completamente diversa da quella che era in realtà. Che il pezzo dedicato a lui fosse poi andato a braccetto con quello riferito a Mun, beh, secondo lui anche quella non era una coincidenza. Non più di qualche giorno addietro la Caposcuola Serpeverde aveva invitato al ballo il vecchio quartetto, attirandosi delle ovvie risposte negative. Quella di Betty, tuttavia, aveva un'insolita concomitanza con ciò che era stato scritto sulla bacheca. "Ti auguro davvero di divertirti al ballo e per restare in tema di pettegolezzi puoi smetterla di sgattaiolare da un letto all'altro cercando di non farti vedere. Tutto il castello sa che te ne vai in giro con quella espressione finta afflitta, come se portassi il peso del mondo sulle tue spalle. Sei solamente un banale cliché e nemmeno tanto riuscito." Quelle parole avevano rimbombato nella sua testa per tutta la testa, e anche in quel momento, percorrendo quei corridoi deserti, se le sentiva risuonare come un eco infinito, costringendolo a stringere i pugni e serrare la mascella, accelerando il passo.
    Poco prima che Lèo pronunciasse la parola d'ordine, Albus si era tappato le orecchie per correttezza, stappandole poi al segnale del cugino e seguendolo oltre il varco aperto. Una volta dentro, ritrovandosi nella sala comune deserta, tirò un sospiro di sollievo, sorridendo al cugino con un che di liberatorio, come se avessero appena compiuto un'impresa impossibile. "Grazie davvero Lèo." disse, poggiandogli una mano sulla spalla "A buon rendere."
    Inoltrarsi nel dormitorio femminile, tuttavia, non fu così semplice, dato che le scale che lo dividevano dall'area neutrale erano state incantate affinché si trasformassero in uno scivolo ogni qualvolta un ragazzo cercasse di mettervi piede. Ma si sa: la tenacia tutto può. E la tenacia, oltre che la fretta, era tutto ciò che Albus aveva a disposizione. Così, richiamando a sé tutte le proprie forze, si attaccò con entrambi i palmi al corrimano, issandosi spinta dopo spinta fino in cima a quelle scale. Lo stato in cui ci arrivò, tuttavia, non fu dei migliori. Sudato, rosso in viso, col fiato corto e i palmi delle mani escoriati da quel continuo attrito. Noncurante li strofinò sui jeans, andando dritto verso quella che sapeva essere la stanza di Betty. Ruotò il pomello. Aperta. D'altronde chiuderla non aveva davvero alcun senso. Nel dormitorio femminile di Tassorosso, poi, figuriamoci!
    Non avrebbe saputo dire quanto a lungo attese seduto sul letto della ragazza a fissare il vuoto. Seppe solo che trascorse quel tempo a pensare, a sentirsi stupido per ciò che stava pensando, e al contempo a rimuginare sul fatto che non vi fosse davvero altra spiegazione. Per un istante aveva persino pensato che potesse essere stato Hugo a vuotare il sacco, magari involontariamente: Tallulah poteva averlo sentito ed essere andata a dire quelle cose in giro, ingigantendole più del dovuto - si sa, d'altronde, che sua cugina non è in grado di tenersi due ceci in bocca. Ma anche quello non era possibile: Hugo sapeva davvero poco o nulla di quelle cose, e di certo l'ultima persona a cui le avrebbe dette era proprio sua sorella. Solo tramite Fred avrebbe potuto saperle, ma lui aveva già abbastanza rogne di suo, e per giunta non avrebbe mai detto a qualcuno i fatti di Albus senza chiedere prima il consenso dell'interessato. Rimaneva solo Betty: aveva le informazioni - lei stessa lo aveva detto in sala grande di fronte a lui, Mun e Fred - e soprattutto aveva il movente, cosa che nessun'altro dei considerati aveva. E sul serio, Albus stava tentando con tutte le sue forze di trovare scuse affinché quell'ipotesi fosse falsa: lui Betty la conosceva, la amava persino, e sapeva più di chiunque altro che non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Ma in fin dei conti, la Betty che conosci tu è quella di due anni fa. Questa, per quanto ne sai, potrebbe essere una completa estranea. Tu sei cambiato, in due anni. Perché lei non dovrebbe averlo fatto? Una vocina in fondo alla sua testa, tanto piccola quanto seducente. La voce del dubbio, del sospetto e della diffidenza. Ma soprattutto la voce dell'alibi, della scusante. Perché convincersi che la fautrice di quel biglietto fosse lei lo legittimava implicitamente nel continuare ad allontanarsi.
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    I suoi pensieri vennero interrotti dal suono cigolante del pomello che ruotava, aprendo la porta e facendo filtrare la luce del corridoio tanto quanto il chiacchiericcio che proveniva dalla sala comune. Quando incontrò lo sguardo di Betty sollevò il mento in silenzio, fissandola con un'espressione apatica in volto e facendole cenno di chiudersi la porta alle spalle. Una volta fatto, si alzò dal letto, lasciando che qualche istante di interminabile silenzio si insinuasse tra loro. E' giusto, no? Che anche tu ti chieda qualcosa. Io l'ho fatto per ore intere, pensa un po'. Mosse qualche passo nella stanza, osservando gli oggetti qua e là e le fotografie appese alle pareti, per poi voltarsi, appoggiandosi contro la scrivania e guardandola fissa in volto. "Voglio sapere solo una cosa." cominciò tranquillo, aggrottando la fronte con aria pensosa e passandosi simultaneamente una mano tra i capelli e la lingua a umettarsi le labbra "Hai provato piacere? Cioè: ti sei sentita meglio quando l'hai fatto?" Un tono insolitamente sereno per Albus Potter. Il Serpeverde era piuttosto noto per i propri eccessi d'ira. Ma era proprio quando appariva così disteso che la situazione diveniva di tratto più preoccupante, lasciando a intendere che l'arrabbiatura fosse più profonda di quanto desse a vedere. "Magari non l'hai scritto di tuo pugno - se così fosse stato lo avrei capito subito. Ma le informazioni, beh, quelle ce le avevi tutte non è vero?" rise, amaro, una risata tutto tranne che divertita. Scosse poi il capo, tirando un profondo sospiro. "Che stupido, cazzo. Dovevo proprio immaginarlo, quando mi hai detto quelle cose in Sala Grande, che prima o poi mi avresti giocato un tiro del genere. In fin dei conti è in quel modo che mi vedi, no? Lo hai detto tu stessa. Come il latin lover che passa da un letto all'altro e va in giro a spezzare cuori come se nulla fosse. Un'immagine molto poetica, lo ammetto. Decisamente poco vicina alla realtà, se lo chiedi a me, ma pur sempre poetica. E lo sai che la poesia la apprezzo sempre." Forzò un sorriso sarcastico, stringendo la mascella. L'identità, era quello il problema di Albus. Non le malelingue, non delle stupide notizie che lui stesso, con la propria risposta, non aveva ne' confermato ne' respinto. Ma la propria identità: quell'arrogante appropriarsi dell'unica cosa esclusivamente propria che avesse in possesso, trasformandola in tutt'altro e dandola in pasto al pubblico ludibrio. Quel biglietto aveva creato un'idea stupida di Albus Potter, ridotta al numero di ipotetiche ragazze che si portava a letto, e facendo passare completamente in secondo piano tutto ciò che poi effettivamente rendeva Albus..Albus. Questa, ecco, proprio questa era la peggiore delle offese che gli potessero essere arrecate..e Betty lo conosceva abbastanza bene da saperlo. "Un altro applauso va per il lavoro incredibilmente meticoloso che hai svolto. Immagino che la carica di Caposcuola aiuti anche in questo." Si staccò dunque dalla scrivania, frugando nel taschino della camicia a quadrettoni per estrarne una piccola collanina scintillante. Quella collana. Se la rigirò tra le dita, colmando la loro distanza a passi lenti prima di porsi di fronte a lei, a una distanza talmente esigua da risultare intimidatoria, fissandola negli occhi senza alcuna espressione vera e propria se non un chiaro ferimento. Rimase in silenzio qualche istante, rompendo poi il tutto con un fragoroso busso, quello della sua mano che si infrangeva sulla superficie della scrivania, lasciandovi sopra la collana. Nemmeno in quel gesto, tuttavia, interruppe il contatto visivo con la bionda. "Tieni. Te la sei meritata."
     
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    Betty sorrideva, un sorriso che non lasciava spazio ai dubbi, per la prima volta dopo molto tempo aveva passato una giornata spensierata; in cui non aveva fatto altro che ridere a crepapelle. La compagnia e la presenza di Roxie erano state senza ombra di dubbio fondamentali, insieme avevano girato per le vie di hogsmeade alla ricerca dell'abito perfetto per il ballo. Avevano provato i modelli più assurdi e strambi, aveva indossato copricapi fatti di piume e lunghi guanti di raso, ma al momento di fare la scelta non aveva avuto dubbi su che abito portarsi a casa. Si aggirava infatti per i corridoi di Hogwarts con una sacca che nascondeva agli occhi di tutti il suo favorito, l'abito che aveva scelto per quella memorabile serata. Dopo l'invito fallito di Mun non aveva cercato altri cavalieri, ma bensì una dama che in molti le avrebbero invidiato: Roxie infatti sarebbe stata la sua dolce metà per quella serata. La sua migliore amica era l'unica in grado di farla sorridere ultimamente, l'unica capace di scacciare tutti i suoi demoni e rimettere le tenebre al loro posto; quando le aveva raccontato ciò che era successo in sala grande aveva iniziato ad imprecare contro il suo stesso cugino, definendolo un emerito idiota. Averla dalla sua parte faceva sicuramente la differenza perchè le impediva di chiudersi a riccio, non le permetteva di lasciarsi divorare dal dolore che ogni volta Albus le provocava. Il serpeverde però era per lei un chiodo fisso, un pensiero che raramente riusciva a scacciare dalla propria mente; pronto a tenderle un'imboscata non appena lei abbassava la guardia. Per lei era difficile lasciarlo andare, ma allo stesso odiava dover sempre fare i conti con i propri sentimenti, desiderava con tutto il cuore smettere di provare qualcosa di lui e riuscire finalmente ad andare avanti senza guardarsi indietro; uscendo così da quel limbo in cui era intrappolata. «Ehy Betty hai tra le mani quello che penso io?» Led saltellò verso di lei sfiorando la sacca che proteggeva il suo vestito dagli sguardi altrui. «Si è proprio lui...» Alcune sue compagne si radunarono intorno a lei, curiose di scoprire quale colore, forma e stile avesse scelto per quell'importante serata, ma la caposcuola tassorosso aveva promesso a sé stessa di mantenere assoluto riserbo su cosa avrebbe indossato; solamente Roxie e la commessa del negozio avevano visto la sua scelta. Capì ben presto che l'unico modo di sottrarsi a quell'orda di ragazze curiose era rintanarsi nella propria camera. Chiuse velocemente la porta alle proprie spalle e sorridendo poggiò la fronte contro di essa, grata che con la sua carica di caposcuola le fosse stata concessa una stanza singola; un luogo in cui molto spesso poteva rifugiarsi. Si voltò per appendere il vestito nel guardaroba e smise del tutto di respirare quando incontrò i verdi occhi di Albus. Cosa ci faceva lì? E perchè la guardava così duramente? Betty appoggiò il vestito sulla scrivania e lasciò che il silenzio si insinuasse tra di loro, cercando di capire per quale motivo il serpeverde aveva infranto tutte quelle regole per arrivare alla sua stanza. Quello non era il suo Albus, o meglio era quella parte oscura di Albus che con il tempo aveva dovuto accettare, ma che non era ancora riuscita a capire. «Voglio sapere solo una cosa. Hai provato piacere? Cioè: ti sei sentita meglio quando l'hai fatto?» Lo guardò stranita perchè non riusciva a comprendere di cosa stesse parlando, ma ciò che più la spaventava era il tono e l'espressione apatica con cui le si stava rivolgendo. Negli anni aveva visto varie sfumature di Albus, ma quell'indifferenza era qualcosa a cui non era preparata. «Magari non l'hai scritto di tuo pugno - se così fosse stato lo avrei capito subito. Ma le informazioni, beh, quelle ce le avevi tutte non è vero? Che stupido, cazzo. Dovevo proprio immaginarlo, quando mi hai detto quelle cose in Sala Grande, che prima o poi mi avresti giocato un tiro del genere. In fin dei conti è in quel modo che mi vedi, no? Lo hai detto tu stessa. Come il latin lover che passa da un letto all'altro e va in giro a spezzare cuori come se nulla fosse. Un'immagine molto poetica, lo ammetto. Decisamente poco vicina alla realtà, se lo chiedi a me, ma pur sempre poetica. E lo sai che la poesia la apprezzo sempre.» La tassorosso indietreggiò, quasi spaventata dalla rabbia che il serpeverde stava cercando di trattenere e allo stesso tempo ignara di cosa lui stesse parlando. Ricordava benissimo le parole che gli aveva detto in sala grande e nonostante la durezza non si era pentita neanche un secondo di averle pronunciate. Albus aveva giocato con il suo cuore e l'aveva respinta fino a ridurlo in polvere, impedendole così di rimettere insieme i pezzi. Ma a cosa si stava riferendo lui era per lei ancora un mistero. Quasi non ascoltava le sue parole mentre cercava di collegare tutte le briciole di pane che lui aveva sbocconcellato con il suo discorso. Era chiaro che la riteneva colpevole, ma di cosa non riusciva a capirlo. Venne colpita da un'illuminazione o meglio dalla vergognosa bacheca che solamente qualche giorno prima aveva addirittura sputato fuori il suo nome. D'altronde c'è chi come noi, dava quasi per certo il vostro riavvicinamento in seguito al tenero incontro a cuore aperto avuto con la tua dolce regina dei tassi non più lontano di qualche settimana fa. Le sue compagne si erano premurate di farle avere una copia di quel pettegolezzo e lei le aveva tranquillamente respinte perchè non le interessava, non voleva dar importanza alle malelingue che qualcuno aveva abilmente deciso di diffondere. «Tieni. Te la sei meritata.»
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    La collanina che aveva gettato al campo estivo faceva bella mostra di sé sulla sua scrivania, collanina che lei aveva buttato via e che a sua insaputa Albus aveva recuperato; un gesto che venne immediatamente oscurato dalle accuse che il serpeverde le aveva appena rivolto. Come poteva accusarla di una tale bassezza? Fu come ricevere una stilettata dritta al cuore, le parole di lui aveva infatti polverizzato e distrutto tutto ciò che di buono sembrava esserle rimasto. Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani perchè non voleva dargli la soddisfazione di vederla piangere ancora per colpa sua. «Ma con quale coraggio ti presenti qui? Per cosa poi? Per accusarmi di essere la mente dietro un meschino pettegolezzo.» Chi sei tu? E cosa ne hai fatto del ragazzo di cui ero innamorata? «Io cerco di andare avanti e tu non fai altro che buttarmi giù, vuoi rendermi infelice così da poterti sentire meglio?» Betty aveva iniziato a farsene una ragione e l'unica cosa che lui sapeva fare era trascinarla nuovamente nel fango con sé, intrappolandola nei ricordi e in un sentimento che non faceva altro che logorarli. Li diede le spalle per prendere la catenina che lui stesso aveva recuperato, un tempo simbolo del loro amore. La strinse tra le mani e chiudendo gli occhi tirò con forza le estremità in direzioni opposte, fino a quando sentì la catenella cedere e spezzarsi, se avesse avuto la bacchetta a disposizione l'avrebbe fatta sparire, ma essendone priva doveva distruggerla in un'altra maniera. «Io non la voglio hai capito? Non voglio più te, non voglio più noi. Non voglio più ricordarmi di te.» Lo spinse verso la porta perchè non avrebbe sopportato il suo sguardo ancora a lungo, presto o tardi si sarebbe abbandonata alla disperazione e non voleva assolutamente averlo in quella stanza nel momento in cui sarebbe successo. Quello sguardo così beffardo che la divorava dall'interno e che la spinse ad alzare la mano e scagliarla con forza sul volto del ragazzo, così che anche lui potesse avere un assaggio del dolore che non faceva altro che infliggerle. «Non tornare mai più hai capito? Non avrai mai il mio perdono, MAI.» Lo spinse fuori dalla porta e gli lanciò addosso ciò che rimaneva della catenina e prima ancora che lui potesse dire qualcosa li sbatté la porta in faccia e girò la chiave. Sconfitta e distrutta Betty si asciò cadere lungo la porta, scossa da lacrime e singhiozzi che aveva cercato di trattenere con tutte le sue forze. Prese la foto che ancora teneva incorniciata sul comodino, una loro foto di quando erano ancora felici e ignari di quanta sofferenza quella relazione avrebbe portato loro, e la scagliò con forza contro il muro riducendo il vetro in mille pezzi.
     
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