lost on you

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    Da questo momento siamo in guerra. Quelle due parole sarebbero state solo l'inizio. Era rientrato in sala proprio in quel momento, Weasley, dopo aver tentato di seguirla inutilmente. Amunet era stata veloce a dileguarsi tra i corridoi del castello, e Fred era rimasto lì, da solo, con un nodo alla gola che sembrava impossibile districare. Si era passato una mano tra i capelli, si era morso la lingua a sangue, ed aveva mollato un calcio alla prima armatura che gli era capitata sotto tiro. L'aveva persa. L'aveva persa per sempre. L'aveva visto quell'odio, il suo odio, in quegli occhi di ghiaccio, freddi come mai li aveva visti prima d'allora. All'inizio non ci aveva creduto, Mun, l'aveva guardato ridendo mentre si stringeva nelle spalle. L'ennesima trovata dello Shame per rovinargli la reputazione, in fondo, non poteva che esser questo! Ma non era così. Non questa volta. Aveva fatto una stronzata, una gran bella stronzata. E lui sapeva, sapeva quanto quelle parole su quello dannato specchio fossero vere. Avrebbe potuto mentirle, in fondo, ridere assieme a lei e a tutti gli altri compagni, ma non c'era riuscito. Fred e le bugie, avevano sempre camminato pari passo. Un grifondoro a dir poco anomalo, sotto questo punto di vista; sempre pronto ad ingannare il prossimo, con una quantità di cazzate da inventare strabiliante, con un unico e solo obiettivo: pararsi il culo. Ma non questa volta. Se le avesse mentito, le cose sarebbero andate diversamente di per certo. Forse sarebbero rimasti assieme, durante la guerra. Forse quel bacio interrotto avrebbe potuto continuare, e lui avrebbe potuto stringerla tra le braccia ancora una volta. Ma la sua coscienza? Come avrebbe mai potuto ricominciare qualcosa assieme a lei, se alla base di tutto ci sarebbe stata una verità nascosta grossa quanto quella? Aveva scelto la strada giusta, per questa volta, solo che le conseguenze non sarebbero state piacevoli. E l'aveva saputo, l'aveva saputo sin dall'inizio. L'aveva saputo sin da quando gli occhi gelidi di lei si erano posati su quel dannato vetro. Il rifiuto sarebbe giunto e lui sarebbe rimasto lì, con il capo chino, a lasciare che tutto l'odio della donna che tanto amore gli aveva donato, si riversasse interamente su di lui. Guardati allo specchio se vuoi trovarlo. Quelle parole avevano fatto male più di qualsiasi altra. Era un mostro, lo era davvero. Forse lo era sempre stato, sin dal primo momento. Sin da quando quel ti amo era trapelato dolcemente dalle labbra di lei, e lui, dal canto suo, aveva deciso di voltarle le spalle. E tutto questo faceva male, faceva dannatamente male. Così, rientrato in sala, l'aveva visto il caos. L'aveva visto e forse per la prima volta in vita sua aveva avuto paura. Accanto a lui, non c'era nessuno dei suoi. Non c'era Malia, non c'era Albus, non c'era Hugo, e non c'era lei. Kingsley era morto, il castello era in piena ribellione, ed Amunet era rintanata chissà dove. Certo era che se si fosse rifugiata nei sotterranei, nella propria Sala Comune, era sicuramente il posto più sicuro che potesse trovare in quel marasma generale. Gli inquisitori correvano come impazziti, pronti ad attaccare chiunque si ponesse sul loro cammino, per difendere gli ultimi scorci di un regno ormai caduto. C'erano lupi, enormi bestie ad ogni angolo della sala. C'erano studenti urlanti, professori intenti a mantenere la calma, urla spaventate e di gioia assieme. C'era tutto e non c'era niente. [...] Chiusi in gabbia. Alla fine, l'aveva capito anche lui. La paura l'aveva colpito in pieno quando, in prossimità dei cancelli, aveva trovato Albus. Con la mappa del malandrino tra le loro mani, Fred aveva setacciato ogni angolo con lo sguardo per capire più o meno chi fosse vicino o chi al sicuro. La loro famiglia si trovava più o meno compatta, ma Malia ed Amunet...Loro mancavano all'appello, disperse nei corridoi. Il rosso aveva deciso di restare lì, per qualche momento, conscio del fatto che con ogni probabilità, quello era il luogo dove ogni studente del castello si sarebbe diretto durante quella guerra, e dunque il più probabile per ritrovarla. Aveva setacciato ogni volto, chiesto a chiunque, si era riempito il cuore di speranza ad ogni sagoma anche lontanamente simile alla Serpeverde che aveva adocchiato tra la folla generale, ma niente. Come cercare un ago in un pagliaio. E a quanto pare, dentro quel pagliaio, c'erano rimasti intrappolati come topi. Così infine il cuore aveva perso numerosi battiti, e Fred era scappato via, ancor prima di metabolizzare appieno quell'orribile verità. Le avrebbe ritrovate, doveva ritrovarle. Ritrovarla. Non sapeva nemmeno perchè quella paura lo stesse attanagliando così tanto. Avevano riacquistato le bacchette, ed era sicuro che la Carrow fosse più che capace di difendersi, ma non riusciva a darsi pace comunque. Siete liberi di restare o di andare a casa. Non l'avrebbe più rivista. Se Amunet avesse deciso di varcare quei cancelli, era sicuro che da lui, non sarebbe mai più tornata. E non poteva accettarlo. Se lo meritava, è vero, ma questo non significa che dovesse accettarlo per forza. Non l'avrebbe lasciata così. Avrebbe provato a spiegarle..Cosa non lo sapeva, ma ci avrebbe provato comunque. E poi c'era il peggio: se fossero morti in quella guerra, l'avrebbero fatto in modo sbagliato. Amunet con la prospettiva del tradimento, e Fred con quella dell'odio. Non voleva nemmeno pensarci. Ma più provava a non farlo, più quei pensieri gli occupavano la mente e il cuore, e più questo accadeva, più la paura aumentava. Così, reso cieco dal panico più totale, aveva continuato a correre controcorrente, nel bel mezzo di tutta quella folla che si dirigeva di corsa verso l'uscita.

    « Scappa Weasley! » Baxter gli sfreccia accanto, assieme a lui un gruppo di altri Grifondoro. Si gira per guardarli, Fred, prima che un lampo di luce verde attiri la sua attenzione, dietro l'angolo. Stringe la bacchetta tra le dita, deglutendo e facendo qualche passo in avanti. Ed è allora che la vede. E' una donna, sulla quarantina probabilmente. I capelli sono raccolti dietro la nuca, ed un lungo mantello le copre il corpo, impedendogli persino di decifrare quale sia la mano che tiene la bacchetta. Squadra d'inquisizione. Dovrebbe scappare finchè è in tempo, ma non può farlo. E allora le punta la bacchetta contro, con entrambe le mani tremanti, e la donna ride. Non è pronto a questo. Non è pronto a prendersi una vita, a chiunque essa appartenga. Ma lo sa, sa quel lampo verde visto pochi secondi prima, presto sarà diretto verso di lui. Un crucio, un imperio, o peggio ancora. La donna alza il braccio, e Fred stringe le dita contro la bacchetta, pensando in fretta. O io o lei. Ma è in quel momento che un'enorme macchia nera gli balza di fronte. Il rosso cade verso dietro, mentre la sagoma salta addosso alla donna. Poche urla, sovrastate dal rumore raccapricciante di ossa spezzate e carne lacerata, ed infine...Odore di sangue. Deglutisce rumorosamente, Weasley, gli occhi sbarrati che fissano quell'orribile scenario. Lentamente, quando anche l'ultimo urlo spezzato si dissolve nell'aria, la bestia si gira verso di lui, i grandi occhi rossi ad osservarlo nel buio. Fa per dire qualcosa, il rosso, ma il lupo muta forma improvvisamente, lasciando spazio all'umano, lasciando spazio a... « Rudy! » Squittisce, visibilmente sconvolto. Ma che cazzo... Vorrebbe fargli tante di quelle domande, ma passata la paura di morire, la consapevolezza ritorna. « Rudy! Devo trovarla! Lei e Malia, non so dove diavolo si sono cacciate! Kingsley è morto, ci sono inquisitori impazziti ovunque...Tu ne hai appena..Cristo hai ucciso una donna! I cancelli sono sbarrati....Albus ha la mappa ma non trovo nemmeno lui...La gente muore e..e.. » Il cugino gli si avvicina lentamente, scrutandolo « Di chi stai parlan- » « Di Amunet! E' scappata prima del..del bordello! Non la trovo da nessuna parte, ho aspettato all'ingresso ma non arriva! E se le è successo qualcosa? » Parla così velocemente che quasi non respira. « Fred cazzo, calmati. » Quelle parole non le sente nemmeno, mentre, le dita strette tra i capelli, comincia a camminare avanti ed indietro. « Dio, se le è successo davvero qualcosa? No no no no... » E' nel pieno di una crisi isterica. Il leone è accecato dalla paura. Terrorizzato dall'idea di perderla. Di esser arrivato tardi, di nuovo. « Fred... » « Non può morire, non adesso! Non pensando quelle cose! Non di nuovo, non- « Ho detto calmati! » Uno schiaffo lo colpisce in pieno viso, assestato con così tanta forza da farlo barcollare. Si poggia una mano sulla guancia dolorante, gli occhi fissi in un punto non ben definito. Si massaggia la pelle arrossata, lo sguardo che lentamente risale verso la sagoma scura del cugino. « Tu non sei questo. Non ti abbiamo votato come re dei leoni per andare nel panico alla prima stronzata. Adesso calmati, o giuro che prendo a calci in culo questa schiappa isterica che mi trovo davanti fino a quando non farai tornare Fred, il vero Fred. » Il vero Fred non è questo. Fred l'eroe, Fred il leone...Dov'è finito?
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    « Lo so, hai paura. Ma non sarà la paura a fartela ritrovare, nè tanto meno a salvarla. Se continui così ti farai ammazzare prima del tempo e tanti cari saluti alla tua fidanzatina. » Le mani del cugino gli si poggiano sulle spalle, stringendo appena la presa, mentre il suo sguardo di tenebra lo scruta da vicino. « Respira profondamente. Il tuo battito cardiaco mi inquieta. Pensa dove potrebbe essere, e cerca ancora. Se ci tieni davvero cercala per tutta la notte se necessario, la troverai. » Una pacca sulla schiena, mentre si scosta di lato per fargli spazio, con un lieve sorriso a dipingergli il volto barbuto. Indietreggia allora, mentre la sua fisionomia inizia a mutare. « Ti coprirò le spalle fino a quando potrò. Ma ricorda Fred, siamo in guerra. Gli uomini di Kingsley non sono tuoi amici e non avranno grandi ripensamenti dal farti molto male. Se te li ritroverai davanti dovrai scegliere: o tu o loro. » Un ringhio inumano gli squarcia il petto, ed in pochi attimi, ecco che la bestia ritorna. Un'ultima occhiata, prima di correre via e sparire nell'ombra. Il rosso rimane immobile per qualche minuto, poi respira profondamente, le mani poggiate sulle gambe. Quando si rimette in piedi, la schiena è diritta, la bacchetta stretta tra le mani, lo sguardo di fuoco ed un unico obiettivo: trovarle. Il leone è tornato. Oltrepassa il cadavere orribilmente sfregiato della donna, mentre le sue scarpe si sporcano del suo sangue, e riprende a correre.

    Sono passate ore, ne è sicuro. La guerra è finita, mentre una quiete fittizia inonda il castello. Si appoggia al muro, riprendendo fiato. Ha passato gran parte della notte a girovagare, ed il suo fisico è ormai allo strenuo delle forze. Sente che la schiena cederà presto, ma ha ancora del tempo, deve avercelo. C'è qualcosa di strano, lì. Non ci sono più inquisitori in giro, molti degli studenti sono rientrati, eppure...E' ancora notte. Non ha idea di che ore siano, ormai, ma è quasi sicuro del fatto che l'alba sarebbe dovuta sorgere già da un pezzo. Scivola attraverso il muro, poggiandovi la testa e chiudendo gli occhi per qualche minuto. Si porta le ginocchia al petto, e vi nasconde il viso. Lacrime di frustrazione spingono per sgorgare, ma si sforza di ricacciarle dentro. Tu non sei questo. Non ti abbiamo votato come re dei leoni per andare nel panico alla prima stronzata. Rialza il capo, sospirando. Ed è allora che la vede. Piega la testa di lato, assottigliando la vista appannata per poterla decifrare meglio. E' lei. Si alza di scatto, oltrepassando il corridoio per seguirla, prima di vederla richiudersi la porta del bagno alle spalle. Vi si accosta allora, la bacchetta alla mano per aprirla, ma è allora che esita. Ora levati dalle palle e non avvicinarti mai più, altrimenti giuro su quanto ho più caro al mondo che scoprirai nelle braccia di quale mostro mi hai spinta. Prende un lungo respiro, e bussa. « Mun, sono io. So che sei lì » Le dita si poggiano sul legno della porta « E so anche che mi odi e non vuoi vedermi. Non ti chiedo di aprirmi, nè di... perdonarmi » Si morde il labbro inferiore « Voglio solo..Sapere se stai bene. C'è stato un gran bel casino e ho avuto paura di... » Perderti « Sì insomma, non ti è successo nulla, vero? » Poggia la fronte contro la porta. Non si aspetta certo che lei gli apra. Non si aspetta neanche che gli risponda, a dirla tutta. Ma prima o poi di lì dovrà uscire, in un modo o nell'altro. E lui aspetterà tutta la notte, se necessario. « Ti prego » Il tono è di supplica, stanco. « Dimmi solo che stai bene. Dopo ti lascerò in pace » O almeno ci proverò.
     
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    Rabbia. Dopo la negazione, arriva la rabbia. Contrattazione, depressione e accettazione sarebbero arrivate da lì a chissà quanto. In tanto si concentrava solo sulla rabbia. « Per favore aggrappati, non posso permettermi di lasciare indietro la Caposcuola della mia casata! » Mun li ha seguiti; per un po' è rimasta al passo di Sam, dirigendosi verso i cancelli del castello, ma poi, giunta ad un certo punto si era fermata. « Andate avanti. Vi raggiungo a breve. » Era stata l'unica cosa che aveva detto loro, mentre si immetteva nella controcorrente del flusso di persone, facendo ritorno verso il castello. Si era resa conto in quel momento che lei non aveva nulla da raggiungere fuori da quelle mura. Non c'era nessuno per cui valeva la pena scappare verso Hogsmeade. Edmung Kingsley era morto e loro erano liberi. Ma che senso aveva la libertà, quando la prigionia arrivava da dentro. La sua carcere era insita tra le pieghe della sua stessa personalità, in quel continuo frenarsi, in quel voler a tutti i costi non lasciarsi andare a niente e a nessuno. E la cosa peggiore è che aveva ragione. Aveva ragione a non fidarsi, a non concedersi mai del tutto, a instaurare una sorta di muro tra sé e il resto del mondo. Che senso aveva trattare in quel modo Fred per tutta la serata? Che senso aveva mettere alle strette Betty nel momento in cui cercava una resa dei conti, un punto di incontro? Che senso aveva tenere costantemente a distanza chiunque cercasse di avvicinarla. Nate, Tom, Rocky, tutto il loro gruppo. Mun viveva su una spedie di roccaforte, nella torre incantata di un castello di carte che crollava costantemente al primo soffio di vento. Ma lei, imperterrita, quella torre continuava a ricostruirla, continua a mettere su muri su muri, perché quando non lo faceva, il mondo trovava inesorabilmente un modo per deluderla. Quella sera ne era stata ennesima prova. E ora, dopo la negazione iniziale, dopo aver sorriso con amarezza a Malia Stone, nascondendole deliberatamente che qualcosa di strano ci fosse effettivamente tra due dei suoi migliori amici, era arrivata la rabbia. Non le aveva detto niente perché non ne aveva avuto il cuore. Non era stata in grado di dirle, io so che è così. Lo so perché il Suo sguardo ne è stata la prova. Non voleva sapere cosa, perché o in quale modo quel legame si fosse estrinsecato, per quale ragione quella bravata dello Shame lo avesse fatto reagire in quel modo. Sapeva già che non aveva reagito come ci si sarebbe aspettato in una situazione del genere. Lei aveva riso, l'aveva presa sul ridere, mentre la luce negli occhi di lui si era lentamente spenta. Puff, di colpo. Quasi le dispiaceva di non aver provato niente nell'aver baciato Percival Watson quella sera. Quasi si dispiacque di non avuto il batticuore durante quel ballo intimo in compagnia di Nathan Douglas. Si dispiacque di aver ancora una volta eretto muri nei confronti di tutti, tranne che nei confronti dell'unica persona che forse se li meritava più di tutti. E ora? Ora cosa era rimasto? Disincanto. Disillusione. Disprezzo. Disgusto. Non lo aveva dimenticato, lo aveva capito sin da quando l'aveva costretta a fermarsi in corridoio; Amunet amava Fred. Ma lui non era più il suo Freddie. E quella era solo una delle tante ragioni per cui non aveva necessità di andare da nessuna parte. Aveva realizzato che non cambiava niente, se fosse rimasta ferma nel castello o là fuori. Anzi, quanto meno, Hogwarts era una dimensione che conosceva, sapeva muovercisi. Il mondo là fuori? Non lo consoceva. Non come gli altri. Fino a due anni fa è sempre stata prigioniera nella sua stessa dimora, e gli unici momenti di respiro che avesse erano quelli in cui i suoi amici la sottraevano da sotto il naso del padre. Dopo, Mun non ha mai avuto un gran desiderio di uscire, di conoscere cosa ci fosse oltre le mura domestiche. E così la sua conoscenza del mondo si è fermata ai luoghi abituali. Il solito sarto, il solito bar, la solita Hogsmeade, la solita Hogwarts. Una ricca che non viaggiava, che non amava gli sport o le feste eccentriche; una ricca che indossava la maschera della ricca solo per far un piacere a qualcun altro. Era sempre qualcuno che non voleva essere, sempre qualcuno che non avrebbe dovuto mai diventare. E così, non scappa Mun dalle mura della sua Hogwarts. Si dirige nella direzione opposta e si spinge lungo le rampe di scale dei piani superiori fino al Bagno dei Prefetti. Ed è lì che li trova. La coppietta messa sotto torchio dall'Inquisitore. Entrambi legati e torturati da un volto che ben conosce. Lo ha visto così tante volte a casa sua, in compagnia del fratello. Era un suo collega, un giovane rispettabile. Uno mago sulla trentina dai capelli biondicci e gli occhi azzurri. Mun ha sempre pensato di Peter Gallagher che fosse uno affascinante. In tempi non sospetti si erano gettati persino sguardi ambigui, lei aveva risposto con una nota colma di malizia a qualunque sua attenzione. Che schifo volerti fare una sedicenne, Peter. Che schifo torturare due stolti senza sale in zucca. I due le erano ben noti. La stessa coppia che lei e Fred hanno beccato non più lontano di un paio di giorni fa in atteggiamenti piuttosto ambigui in Sala Grande. Vergogna Peter. Li fissa con uno sguardo freddo, prima di attingere agli occhi dell'Inquisitore sorridendogli. « Ma tu guarda che onore. Amunet Carrow. Proprio la ragazza che stavo cercando. » Il suo sguardo si sposta da uno all'altro. Per un istante pensa che si meritino quanto stia succedendo loro. Lui è grondante di sangue, lei piange, è disperata e sta per crollare. E lei li fissa, con uno sguardo vuoto. Lo sguardo della rabbia. La rabbia che arriva dopo la negazione. « Hai voglia di sfogarti un po', principessa? » La squadra dalla testa ai piedi. La squadra esattamente come Judas Leroy l'ha guardata durante l'estate, prima di infilarle la mano nella camicetta. « Si.. ho voglia di sfogarmi.. un po'. » Impugna la bacchetta con più decisione, prima di puntarla nella loro direzione. Peter ride. Ride di un sorriso malefico, mentre la ragazza scoppia a piangere con ancora più forza. Non può parlare, imbavagliata e legata come un prosciutto com'è. Lui invece sembra voler imprecare nella sua direzione. Troia, vorrebbe probabilmente urlarle contro. E Mun gli sorride.. sorride proprio a lui che le ha dato della psicopatica, che l'ha gentilmente invitata a farsi una scopata invece di rompere le palle al resto del mondo. Weasley, vuoi rimediare? « Pensavi fossi una psicopatica prima, tesoro? Non hai visto proprio niente. » Quelle parole, rivolte al Corvonero sono intrise di veleno fino al midollo. E Peter ride di nuovo. La sua risata gli ricorda così tanto la risata di Ryuk. Due cose sapete fare meglio di qualunque altra. Ridere e chiedere scusa. Sono stanca di sentir risate. Sono stanca di sentir scuse. Sono stanca di voi tutti. Si inumidisce le labbra stringendo con più decisione la bacchetta. « Stupeficium! » MMa invece di colpire uno dei due, la bacchetta della Carrow si scaglia di scatto contro l'Inquisitore, contro Peter. La sua sagoma finisce automaticamente contro uno dei lavandini, battendo la testa. Incosciente. Ma non per molto. A quel punto con un gesto veloce della bacchetta libera i due lasciandoli andare. « Sparite. Hanno aperto i cancelli. » E a quel punto ci sono solo loro due. Resta lì di fronte a lui, la bacchetta di Peter allontanata dal proprio proprietario. E quando egli riprende i sensi, e allora che Mun sorride con un che di amaro. « Devo confessarti una cosa Peter. Negli ultimi ventisei mesi ho ucciso trentadue persone. » Il suo è un sussurro all'orecchio del biondo, quasi impercettibile. A tratti è certa che nemmeno lui possa sentirlo. « Trentadue persone sono morte per mano mia. Il primo è stato mio padre. Ma non ho mai impugnato un'arma per farlo. Non so cosa si provi a veder prosciugare un'anima schifosa da un involucro disgustoso. » Sorride con fare spietato. « Stasera ho cambiato idea. E visto che sei un'anima schifosa in un involucro disgustoso.. le ultime parole non te le concederò. » Gli punta la bacchetta contro, chiude gli occhi e stringe il pugno della mano libera mentre lascia confluire tutta la rabbia in quella calcolata contrazione malsana. « Sectumsempra! »

    Alla fine l'ha slegato e l'ha lasciato barcollare finché non è caduto a faccia in giù nella piscina riscaldata al centro della stanza. E Mun l'ha guardato, ancora e ancora, finché l'acqua non si è colorata completamente di rosso. Lei pallida come la luna, lui freddo come il ghiaccio, l'acqua scarlatta come se fosse diventata ella stessa tutta sangue. Chiazze di liquido ambrato colorano adesso parte del pavimento del bagno dei prefetti, ma lei non fa niente. E seduta in mezza alla stanza, le ginocchia portate al petto e lo sguardo fisso su quello che resta solo il ricordo di Peter. Non doveva farlo, ma l'ha fatto lo stesso, perché doveva dimostrarsi di poterlo farlo. Prendersi le proprie responsabilità. Capire fino in fondo cosa si provasse. E ci aveva goduto, più di quanto si gode tra le braccia di un amante, più di quanto si gode di fronte a un successo raggiunto come frutto di un duro lavoro. Un mostro. Ecco cosa ne avevano fatto, e lei aveva acconsentito. Accanto a sé, Ghost. Si era infilato nell'uscio della porta prima che lei riuscisse a bloccarla con la parola d'ordine, affinché nessuno esterno potesse penetrarsi all'interno. E non sapeva quanto tempo fosse passato da quando Peter era morto; le parevano pochi minuti, a tratti ore, a tratti giorni, una vita intera. Sapeva che in realtà non doveva esser passato molto. Il cielo era ancora buio, quindi doveva necessariamente essere un tempo relativamente breve. Eppure a lei sembrava troppo. Se ne erano andati tutti? Avevano trovato la propria strada? Cosa stavano facendo? Probabilmente festeggiavano la libertà. Lei dal canto suo era stanca, arrabbiata, frustrata, grondante di una serie infinita di sensi di colpa e ripensamenti. Eppure, nessuno di questi sembrava realmente toccarla. Ciò che la toccava nel profondo era sentirsi sola. Inequivocabilmente sola. Non c'era nessuno che volesse, nessuno che amasse, nessuno che voleva potesse capire quanto le stesse passando per la testa. Voleva essere sola, sola con la sua vittima. Sola con la sua croce. Persino Ryuk deve averlo capito, perché in tutto quel tempo non si era fatto né vedere, né sentire. Non una lacrime aveva versato, non per un momento l'espressione del suo volto era mutata. Il cane al suo fianco aveva persino provato a scuoterla, le aveva battuto la zampa sul braccio con insistenza, ma a nulla era servito, e così, persino Ghost si era lasciato andare a quel dolce idillio tra assassino e vittima.
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    « Mun, sono io. So che sei lì » No. Non c'è nessuno. E quasi come se non avesse sentito nulla, gli occhi di ghiaccio continuano a scagliarsi sul corpo della sua vittima, penzolante a testa in giù nella piscina del bagno. « E so anche che mi odi e non vuoi vedermi. Non ti chiedo di aprirmi, nè di... perdonarmi. » Il punto è che Mun non lo odia. Non odia più niente. Ha passato così tanto tempo a odiare, e a cosa le è servito. C'è un labile confine tra amore e odio, uno che si può oltrepassare con facilità. E lei, quel confine lo aveva scavalcato più di una volta, tanto nei confronti di Fred quanto nei confronti di molti altri. Della sua famiglia, dei suoi amici, delle persone a lei più care. Ora semplicemente era passata davvero al ghiaccio, a una situazione di annichilimento totale. Una zona d'ombra, in cui nulla aveva senso, e nulla doveva aver senso. « Voglio solo..Sapere se stai bene. C'è stato un gran bel casino e ho avuto paura di.. Sì insomma, non ti è successo nulla, vero? Ti prego. Dimmi solo che stai bene. Dopo ti lascerò in pace. » Ma Mun fissa la sua vittima. Anche Peter l'ha implorata con lo sguardo di non ucciderlo. Avrebbe potuto lasciarlo incosciente lì e andarsene. Ma non lo ha fatto, perché lui aveva rovinato i suoi piani, perché lui stava torturando due indifesi, perché lui era la personificazione di tutto ciò che Mun disprezzava. Il forte che si scaglia contro il debole, lo stolto che pensa il potere derivi dal fare la voce più grossa. Come ti senti ora Peter a esser stato fatto fuori dalla tua stessa debolezza? Come ti senti a esser crepato male per mano di una stupida ragazzina con manie di onnipotenza? Spero ti faccia stare bene, perché a me ha fatto stare benissimo. Ma Mun non sta bene. Sa di non stare bene. Non riesce a reagire. Non vuole farlo. Una parte di sé vorrebbe semplicemente passare nell'oblio, essere dimenticata, vivere senza vivere davvero, solo perché, sa che la morte sarà se possibile ancor più crudele con lei di quanto non lo sia stata la vita. Non risponde Mun, ma Ghost avverte il suo padrone e così, si scaglia contro la porta iniziando ad abbaiare gioiosamente, colpendo la superficie in legno con le sue dannate zampe. I cani e la loro lealtà. Solitamente mal riposta. Impugna la bacchetta solo per sbloccare la porta con un movimento netto, così da fermare il bacano di Ghost. Odia che il suo silenzio venga interrotto ulteriormente, così lascia che il cane torni dal proprio padrone. La bestia esce giusto in tempo per andare incontro a Fred attraverso lo squarcio nella porta. E a quel punto Mun non fa niente per richiudergli la porta in faccia. Quella scena è già uno sbattergli la porta in faccia in maniera violenta. Vedi cosa sono? Ora capisci? E quindi resta lì, elegantemente seduta con le ginocchia al petto. Il vestito ormai sgualcito, macchiato di sangue, e gli occhi sbarrati, fissi ancora in modo quasi maniacale sul corpo freddo dell'aguzzino.


     
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    Psicopatica. Con quell'aggettivo, molte delle persone che gli stavano attorno, avevano sempre definito Amunet Carrow. A partire da sua madre, Angelina, che seppur indirettamente e con parole meno crude gliel'aveva fatto capire in ogni maniera, per finire ai suoi amici più o meno stretti. E' una Carrow, lo sai cosa ha fatto la sua famiglia in passato? Lo sai cosa si dice sul loro conto? Le abitudini non cambiano. Fred, dal canto suo, non ci aveva mai creduto. Lui conosceva Mun, o almeno così gli sembrava. Dietro quegli occhi color ghiaccio, ciò che riusciva ad intravedere era solo l'ombra di quella ragazzina della quale si era innamorato. Non credeva a nessuna di quelle orribili parole sul suo conto. Sul restante suo nucleo familiare forse sì, avendo conosciuto seppur indirettamente quel mostro che Amunet si ostinava a chiamare padre, ma non per questo aveva mai dubitato di lei. Neanche col senno di poi, quando ormai si erano lasciati e Mun era scomparsa, diventando quel fantasma del quale talvolta si parlava in giro. Si parlava sempre della Carrow, quando Weasley era nei paraggi. La loro era stata un'accoppiata a dir poco anomala, inaspettata, assai difficile da dimenticare. Così, nonostante lei non facesse più parte della sua vita, continuava a farlo comunque, di giorno in giorno. Non sapeva nemmeno perchè alla gente piacesse tanto parlare di lei, in sua presenza. Non che gli dispiacesse, questo è chiaro. E' solo che..Amunet era Amunet. Per quanto fossero stati bene assieme, per quanto fossero stati un noi per tanto di quel tempo, lei continuava ad essere anche senza di lui. Il fatto che la gente tendesse ad associarla solo e soltanto a lui, in un certo qual modo -di certo difensivo nei confronti della ragazza- lo infastidiva. La sminuivano, e questo non gli piaceva. E' vero, per tanto di quel tempo Mun e Freddie, Freddie e Mun, erano stati inseparabili. Dove finiva uno, in genere, iniziava l'altro. Le mancanze di una venivano compensate con le eccedenze dell'altro, e viceversa. Ma Amunet restava Amunet, un mondo a parte, nel quale gli era stato concesso di entrare per un tempo delimitato da quel non sono abbastanza per te, è vero, ma dal quale, in un modo o nell'altro -e forse non del tutto- era fuoriuscito. Questo però, la gente, sembrava non volerlo capire. Così quando si trovavano nella stessa stanza, o quando qualche notizia riguardante i Carrow trapelava dai giornali o dalle bocche dei pettegoli, tutti gli sguardi si posavano su di lui. Ma questa, tuttavia, non era certo la parte peggiore. La parte peggiore erano i giudizi. Di sua madre, dei suoi amici, dei suoi parenti. Quei giudizi lo avevano accompagnato sin dal primo giorno in cui Amunet Carrow era entrata a far parte della sua vita. Il quadro sulla famiglia Carrow delineato dall'opinione pubblica non era dei migliori. C'era il capo famiglia, al novanta percento invischiato con affari di magia oscura e collegato ai magiamorte. La moglie, una ricca ereditiera dalla reputazione non particolarmente pulita. C'erano poi i due figli più grandi, Deimos e Jolene, sui quali si vociferavano strane quanto abominevoli verità. Ed infine, i gemelli, i più piccoli della cucciolata. Di Ares Carrow si diceva che fosse un giovane piuttosto sveglio, e che nascondesse dei misteri dietro quel suo atteggiamento silenzioso e oltremodo pacato. E poi Amunet, la più innocente, che però, agli occhi degli altri, innocente forse non lo era mai stata. Ce l'ha nel sangue. Quanto credi che passerà prima che si accorga di essere una Carrow? Scuoteva sempre la testa, Fred, a queste parole. Non capiva, non capiva proprio perchè il fatto che la sua Mun portasse quel cognome, dovesse condannarla in una tale maniera, a priori, senza cognizione di causa alcuna. Ricordava ancora quel giorno in cui, passato diverso tempo dalla rottura del fidanzamento, si era preso a pugni negli spogliatoi con un suo compagno di squadra. Il signor Carrow era morto. Alla fine, ciò che aveva sperato per anni, era successo. Non aveva provato rimorso, Weasley, per quell'odio che da sempre aveva serbato nei suoi confronti. Il mostro non c'era più, e questa era l'unica cosa che sembrava avere importanza. Ma c'era chi la pensava diversamente; Bilson, ad esempio, che quel pomeriggio era entrato negli spogliatoi ridendo, per poi sbattergli l'articolo di giornale sul petto. Una morte inaspettata, quella di Carrow. Chissà che non sia stata quella psicopatica della tua ex, a farlo fuori. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Anche in una situazione come quella, persino di fronte al dolore per la morte di un genitore. Weasley odiava Carrow, lo odiava con tutto sè stesso per tutto il male che infliggeva di giorno in giorno a sua figlia; ma sui sentimenti che Amunet provasse nei confronti del padre, non era mai stato sicuro. Certo era che in un modo o nell'altro tentava sempre di difenderlo, seppur non riuscisse a capirne il motivo, e questo, alla sua mente pressochè semplice e priva di malvagità, lasciava presagire che forse un minimo di affetto nei suoi confronti lei lo provasse comunque, nonostante tutto. Quindi, anche se il signor Carrow da parte sua non avrebbe mai ottenuto il minimo commiato, era giusto portare rispetto per la sua morte e la sofferenza che, forse in minima percentuale o chissà cos'altro, questa aveva recato ai suoi familiari. Bilson però non la pensava così, e assieme a lui tanti altri, che di quel rispetto se ne erano fottuti ed avevano cominciato a scambiarsi tra loro battutine di dubbio gusto sulla faccenda, inneggiando in supposizioni ed insinuate tanto assurde da fargli venire il voltastomaco. Amunet un'assassina, questo era troppo. Fin quando poi il primo pugno di Weasley non si era schiantato dritto contro lo zigomo di Bilson, ed il secondo contro il suo naso. E poi il terzo, ed il quarto, fino a quando non erano precipitati per terra, e se gli altri non li avessero separati, chissà come sarebbe finita. La psicopatica deve aver contagiato anche te, Weasley. [...] Un tonfo attira la sua attenzione. Sobbalza appena, il rosso, lo sguardo rivolto verso la porta e la fronte corrugata. Un altro tonfo, e poi rumore di unghie che graffiano il legno. Sente abbaiare, ed infine lo riconosce: Ghost. Un leggero sorriso gli illumina il volto stanco, mentre sospira. L'aveva lasciato in sala comune, ma in un modo o nell'altro quella peste riusciva sempre a sgattaiolare via e gironzolare indisturbato per il castello. Quanto meno sta bene, pensa, rincuorato. E in fondo, se il suo cane è lì assieme ad Amunet, le probabilità che anche lei stia bene si alzano un minimo. Ghost ha sempre adorato la Carrow, talvolta Weasley si era pure convinto che amasse quasi più lei che lui. Un cucciolone enorme, quel lupo dal manto rosso, giocherellone e tenero a dismisura, talvolta persino ridicolo e imbarazzante, ma oltremodo pericoloso quando si trattava di proteggere le persone a cui è affezionato. Tale cane tale padrone? Uno scatto improvviso alla porta lascia che la bestia sgattaioli via, insinuandosi attraverso quello scorcio per saltargli addosso e, issatosi sulle zampe posteriori, tentare di leccargli tutta la faccia, scodinzolante. Il rosso ridacchia, poggiandogli una mano sulla testa mentre tenta di allontanarlo. E' allora, quando finalmente Ghost si abbassa, continuando tuttavia a girargli attorno tutto contento, che si accorge della fessura della porta ancora aperta.
    « Mun...? » Sussurra allora, avanzando appena per entrare. La prima cosa che vede è sangue. Chiazze di sangue a colorare il pavimento del bagno dei prefetti, assieme a qualche schizzo sui muri. Il cuore inizia a battere sempre più velocemente man mano che avanza, lasciandosi la porta aperta alle spalle. Istintivamente la cerca subito con lo sguardo, l'espressione palesemente preoccupata. E' lì, seduta nel bel mezzo del bagno, le ginocchia strette al petto, in silenzio. La analizza velocemente, setacciando ogni angolo del suo corpo in un'attesa infernale. « Sei ferita? » Si sente domandare automaticamente, la voce simile ad un sussurro, tremante. Ma quando si rende conto che il sangue sul vestito e la pelle di Amunet non è il suo, si accorge della terribile verità che lo aspetta, a pochi centimetri dalla ragazza. Acqua rossa, completamente rossa. Ed un corpo riverso, a faccia in giù, a galleggiare esanime. Rabbrividisce, Fred, ed impallidisce assieme. Arresta i suoi passi, mentre Ghost avanza imperterrito e si siede poco lontano da Amunet. Fa per dire qualcosa, ma le parole gli muoiono in gola. Quello scenario raccapricciante lo paralizza, gli contorce le budella e gli fa venire da vomitare. Ma c'è qualcosa di peggio: le voci. 'Le abitudini non cambiano' 'Quanto credi che passerà prima che si accorga di essere una Carrow?' 'Se tu non scopi perchè sei chiaramente una psicopatica, non è colpa mia.' 'Hai seri problemi, psicopatica.' 'Non sfidarmi, perché ti farai male. Tu, questa Mun non la conosci. E faresti meglio a non farmi arrabbiare.. troppo. ' Scuote la testa, poggiandosi le mani tra i capelli e stringendo la presa delle dita. « No, no, no.. » Mormora tra sè e sè, in una lamentela. Non vuole crederci. Di sicuro c'è una spiegazione a tutto questo. Amunet non è questo, non è un'assassina. Sarà stata costretta a farlo. Sarà stato un incidente. Chissà forse il colpevole è persino Ghost, l'ha salvata da un'aggressione, sì, deve essere così per forza! Non ti credo, Mun, non mi importa cosa vuoi farmi pensare. Tu non sei questo. No. Prende un lungo respiro, stringe i pugni e riacquista lucidità. Avanza allora, non curandosi del pericolo, non curandosi del sangue per terra che gli sporca le scarpe. Si avvicina alla vasca, in silenzio, ed osserva ancora quel corpo morto, annegato nel suo stesso sangue. Ha squarci ovunque, grossi tagli slabbrati che sgorgano liquido ambrato. Deglutisce, e si volta allora verso di lei. Il suo di sguardo, freddo come non mai, è fisso sulla vittima. Non la lascia un secondo, gli occhi spiritati persi in mezzo a quell'acqua scura. Sospira, Fred, e le si avvicina, fino a quando non le si siede accanto, gli occhi che -di nuovo- si posano su quell'orribile spettacolo. « So cosa vuoi dimostrarmi, e non mi interessa. Non ci voglio credere. » Tu non sei un mostro.« Cosa è successo? Tu stai bene? » Sibila allora, incerto, senza guardarla. Lo shock che lascia spazio alla consapevolezza: un uomo è morto, in quel bagno. « Amunet. Perchè l'hai fatto? » Il tono di voce si fa serio, mentre finalmente si volta verso di lei, lo sguardo d'ambra simile a tutto quel sangue fisso sul suo viso atono. Dimmi che non sei stata tu. Dimmi che è stato un incidente. Dimmi che sei stata costretta a farlo. Piangi, urla, sfogati, lasciati consolare. Dimmi che ti sei sentita una merda nell'ucciderlo. Tu non sei un mostro, Mun.
     
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    « Mun...? » Un unico suono. Un suono che ha adorato nel silenzio della sua stanza per molto tempo; lo ha bramato, lo ha desiderato. Ogni qual volta Fred la chiamasse, la Carrow si sentiva già meglio, come se anche soltanto il sapere che lui si ricordasse di lei, le ridesse speranza. Questo ciò che aveva cercato per molto tempo; un filo di speranza, qualcosa a cui attaccarsi morbosamente, ben consapevole che non ci fosse molto altro per lei. Non vedeva serie prospettive in un suo futuro avvenire, non le ha mai nemmeno lontanamente cercate, perché in cuor suo non sapeva quanto le mancasse, non sapeva quanto le fosse scritto ancora vivere, e quindi, viveva, giorno per giorno, quasi come se il domani potesse non arrivare più. Mun era uno strumento nelle altrui mani, e a quella condizione sembrava quasi essersi rassegnata, al punto da prendere la vita così come le arrivava. Si chiedevano spesso i suoi amici per quale ragione non parlasse mai con una punta di intrinseca ambizione del futuro, perché non facesse mai piani a lungo termine. Si chiedevano perché non le piacesse ciò che il suo mondo le aveva messo su un piatto d'argento affinché lei se ne servisse. La verità era che se ne era disincantata. Cercava di non perdere mai tempo, non metteva nulla davvero a cuore, e se lo faceva, era per cercare di occupare la propria mente con qualcosa di tangibile. Per questo forse, nelle ultime settimane se l'era legata così tanto al dito con lo Shame, per questo ogni tanto sembrava voler più di quanto le fosse concesso. Poi c'era Fred; Freddie le faceva dimenticare spesso che un domani poteva non esserci. Sembrava quasi obbligarla a cancellare la sua missione dalla sua stessa mente. Il mondo in compagnia di Fred era fatto di illusioni, bellissime illusioni, che spesso negli ultimi tempi aveva sognato. Dall'altro lato c'era il bisogno quasi spasmodico di battere in ritirata, di convincersi che per loro non c'era nulla, perché Mun gli ha sottratto qualcosa, esattamente come lui ha sottratto qualcosa a lei. Ma se quello del rosso era uno sbaglio dettato dall'innocenza di un quindicenne, quello della mora era un sottrarre consapevole, che andava al di là degli affetti personali del giovane Weasley. Eppure, nonostante ciò, sapeva di non averne diritto, sapeva di averlo fatto soffrire, sapeva che non appena quella verità si fosse frapposta tra loro, la luce negli occhi di Fred sarebbe sbiadita. E Mun non voleva che lui la vedesse con occhi diversi. Seppur nelle ultime settimane non avesse fatto altro che ribadirgli quanto lei non fosse più la ragazzina che lui amava, in cuor suo, l'idea che lui la vedesse ancora come tale le scaldava il cuore. L'ultima roccaforte dell'innocenza di Amunet Carrow, era Fred Weasley. E così, da quella prospettiva si era lasciata tentare, si era lasciata ingannare, aveva lasciato che lui rimettesse il piede nella porta; una porta che Mun non gli aveva mai sbattuto del tutto in faccia. « Sei ferita? » E in quel momento, arrivò la realizzazione. Lui avrebbe visto. Lui avrebbe capito. Lo scempio che albergava in quel cuore era irrecuperabile. Era andata troppo oltre, aveva abbracciato appieno se stessa. Ricordati che sei un Carrow. Questo quanto aveva detto ad Ares non più lontano di un paio d'ore prima. E lei, Mun, se lo era ben ricordato. Essere un Carrow significa non piegarsi mai di fronte a niente. Non di fronte a una comune ideologia, non di fronte a un comune ben pensare, non di fronte agli affetti. Gli affetti sono il male, le aveva detto Ryuk più di una volta. E lo erano. Fred glielo aveva ben dimostrato quella sera, perché non importava quanto fosse successo. Ciò che era davvero rilevante era quale reazione avesse risvegliato in lui l'essere messo a nudo in quel modo. Colpevolezza; questo vi aveva letto Mun. Senso di colpa. Perché senso di colpa? Perché forse c'era qualcosa che a lei era sfuggito, qualcosa di cui non si era resa conto. Qualcosa che andava al di là dell'affetto che lui provava nei confronti di lei, che era chiaramente innegabile. « No, no, no.. » Quel lamento la colpisce dritta al cuore; la ferisce, perché Fred è ferito. Ma lo è anche Mun. Vivono in un continuo vortice morboso fatto di continui colpi e controcolpi. E' salutare tutto ciò? No. Non lo è affatto. E' malato, è da masochisti. Lo lascia metabolizzare, mentre gli occhi di ghiaccio continuano a fissare con morbosità il cadavere, quasi come se volesse incenerirlo con lo sguardo. Prova ribrezzo nei confronti di quell'uomo. Un'anima schifosa in un involucro disgustoso, appunto. Un'anima che non c'è più. Servita sull'altare della patria del suo dio della morte, che come il suo Caronte personale, l'ha traghettato altrove, in uno spazio nero, oscuro, di cui Mun non conosce effettivamente l'essenza, ma che in cuor suo sa che prima o poi vedrà. « Perché ti disperi? » Una domanda che non sembrava nemmeno rivolta a lui. Quasi come se Mun non fosse lì. Una parte di lei se ne era andata assieme a Peter, l'altra restava aggrappata al suo corpo. Tutto il resto sembrava essere ininfluente, inconsistente, come inconsistente sembrava essere la sua vita. « So cosa vuoi dimostrarmi, e non mi interessa. Non ci voglio credere. » Quelle parole accendono nei suoi occhi il fuoco. Mun è ghiaccio, è l'esatto contrario del calore, ma quelle parole riescono ad accendere in lei un qualcosa di opposto a quanto lei sia abituata a provare. Sa cosa voglio dimostrargli. Lo senti Ryuk? Sì, bastardo, tu lo senti. Cosa hai da dire in proposito? Niente. Silenzio. Ryuk non c'è. « Cosa è successo? Tu stai bene? » Non lo sa Mun. E non sa cosa rispondere. Non vuole parlarne. Non con lui. Non in quel momento. Non dopo quanto è successo. Cos'è successo. E' passata dalla negazione alla rabbia in un batter d'occhio e adesso non riesce a capire se stia ancora cercando di negare cosa sia successo o se sia arrabbiata. La verità è che prova solo un vuoto. E' come se fosse delusa, come se in cuor suo vorrebbe semplicemente abbandonare tutto. Il nesso esistenziale della sua vita si sta lentamente perdendo lungo la sua stessa strada. Sta disperdendo energie per lottare contro i mulini a vento, contro ciò che è evidente succederà che le piaccia o meno. Lui, Ryuk, prenderà il sopravvento, e lei glielo lascerà fare. Per non soffrire ancora, per non farli soffrire, gli altri, tutti loro. Fred. « Amunet. Perchè l'hai fatto? » La domanda che vale più delle ricchezze contenute nelle loro numerose camere blindate alla Gringott, più di tutto l'oro presente al mondo. Perché lo ha fatto? Lo sa perché; rispondere "non lo so" non è un'opzione. Ma seppur sappia in cuor suo il perché è chiaro, a parole tutto risulta più complesso. Forse perché non si fida. Forse perché non sa chi è Fred Weasley, forse perché non sa che cosa vuole Fred Weasley, seppur glielo abbia ribadito più di una volta. A parole, quel Freddie, voleva la sua Mun. Nei fatti, faceva di tutto pur di dimostrargli l'esatto contrario. Non corrisponde il suo sguardo. Non vuole guardarlo. Non vuole sapere cosa troverà in quello sguardo. Non le andrebbe bene nessuna risposta. Se dovesse vederci amore, non ci crederebbe. Se dovesse trovarci delusione, ne resterebbe affranta. Se dovesse vederci dolore, non lo sopporterebbe.
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    « Perché volevo farlo. » E' la sua prima onesta risposta. Perché io sono un mostro. Sono ciò che Lui ha fatto di me. « E tu? Perché l'hai fatto? » La voce apatica, imperniata da un moto di gelo estraneo; il suo stesso fiato sembra raggelante. « Scommetto che ti sei sentito trascurato - di nuovo. » Come dopo il banchetto. Ti sentivi solo e quindi hai cercato il calore umano. L'affetto di qualcuno che ti meriti. E' questo ciò che hai cercato nelle braccia della Stone vero? Volevi solo sfogarti. Niente di più. « Dimmelo Fred. Dimmi che quello che ho visto nei tuoi occhi non era senso di colpa. » Pausa. Stringe i denti e i pugni. Sa che non può essere solo quello. Poteva cercarlo ovunque. Poteva essere chiunque. Ma Fred non aveva baciato chiunque. Aveva baciato una persona a lui molto vicina; le ripercussioni del suo gesto sul piano tanto personale quanto sociale dovevano almeno un po' spaventarlo. Se nonostante ciò era stato disposto comunque a rischiare, non poteva essere solo una cosa per ridere. Lontani dagli sguardi altrui; nascondere la mano dietro alla schiena, perché forse un po' colpevoli lo siete. « Dimmi che non hai provato niente. Che mentre le tue labbra toccavano amorevolmente quelle di Hugo Weasley stavi pensando a me. Sognavi me. Volevi me. » Glielo aveva già detto in passato d'altronde. Gli aveva decantato un amore travolgente che sembrava non avere limiti. E poi, c'era stato quel loro momento di qualche sera prima. Qualcosa che aveva spinto la piccola Carrow a cedere quasi completamente. Le mancava così poco. Le mancava solo un pizzico di coraggio per lasciarsi completamente e inesorabilmente andare. So solo che per due anni ti ho abbandonata, e per due anni ho continuato a pensarti. So che non riesco a pensare a te assieme a qualcun altro che non sia io, non riesco a pensare a te che ami qualcun altro, che ti concedi a qualcun'altro. « Dimmi che non significava niente. Dimmi che era uno scherzo. » Dimmi tutto questo Fred. Dimmelo come se ci credessi davvero. Quelle parole rimbombano nella sua testa. E improvvisamente non hanno più lo stesso significato. Non sa più nemmeno se abbiano effettivamente un significato. « E quando avrai finito, raccontami di quanto tu sia migliore di me. Di quanto la tua famiglia è migliore della mia. Perché voi siete Weasley, e noi siamo Carrow. » Il tono di voce appiattito dal ghiaccio, continua a scorrere lentamente, leggero, in un suono gutturale, basso, a tratti spaventoso. « Dimmi che mi ami, che per due anni non hai provato niente, assolutamente niente per nessuno. Raccontami di come ti sei precluso la tua vita, per me. Perché volevi me. » Quelle parole sono così assurde. Nessuno arriverebbe a tal punto, ma è questo ciò che Fred Weasley ha cercato di decantarle nelle ultime settimane. Ha cercato di convincerla che in un certo qual modo il loro amore era speciale. Aveva cercato di dipingerle quei due Romeo e Giuletta divisi dalle avversità, dalle casate, dalle amicizie non congiunte. Ma la verità è che, in questo caso, le uniche avversità erano loro due. Chi per un verso, chi per un altro. « Dimmelo Fred. » Raccontami tutto questo. Sii ipocrita. Mentimi. « Altrimenti vattene prima di finire come questo porco schifoso. » C'è così tanta rabbia che fuoriesce da quelle labbra. Così tanto risentimento. Così tanto rifiuto. C'è voglia di spaccare il mondo due, solo per scomparirvi al suo intero. E c'è delusione, e disgusto. C'è un mare di disincanto e la consapevolezza che la fiducia sia una materia che scarseggi nei loro tempi per un'infinità di buone ragioni.



     
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    « Perché ti disperi? » Perchè tutto questo non doveva succedere. Perchè non ci posso credere, nonostante l'evidenza. Perchè non ci voglio credere. Quelle parole aleggiano tra loro, dissolvendosi nell'atmosfera tristemente silenziosa che li sovrasta. La sente parlare dopo quel silenzio e quasi non la riconosce. Il tono di voce gelido, atono, privo di qualsiasi emozione. Non è questa la Mun che conosce e non è questa la Mun alla quale è abituato. E' così che ci si sente, dopo la morte? Non lo sa perchè non l'ha mai provato. Persino in quella battaglia, ha fatto di tutto per non impossessarsi della vita di qualcun'altro. Per quanto quegli inquisitori fossero il nemico, per quanto avrebbe dovuto scegliere tra la loro vita e la propria. Un argomento taboo per Weasley, quello. Chissà arriverà forse un giorno in cui non sarà più tale, un giorno in cui sarà costretto a strappare la vita altrui per salvare sè stesso o gli altri, ma al momento è ancora troppo presto per immaginarsi uno scenario simile. Poi, però, Amunet. E' lì, immobile, lo sguardo vitreo fisso su quel cadavere galleggiante. Non un cenno di senso di colpa sul suo bel viso, neanche minimo. E quella consapevolezza c'è, quell'orribile consapevolezza alla quale per anni non ha voluto neanche pensare. E' lì, nascosta da qualche parte, che pressa per riemergere, ma Weasley la ricaccia dentro con forza. Non sfidarmi, perché ti farai male. Tu, questa Mun non la conosci. E allora non risponde, Weasley, le dita ancora strette contro i capelli ed il respiro irregolare. « Perché volevo farlo. » Poi quelle parole arrivano. Tre semplici parole, tutte d'un fiato. Le sente penetrare nella carne, tutte assieme, e fanno male. Lo squarciano dall'interno come coltelli affilati. Scuote la testa, e si trattiene dal non lamentarsi di nuovo. No, pensa, no no no no. Non può essere così, non deve essere così. Non può essere troppo tardi. Amunet non è quella calunnia dalla quale per anni, anche indirettamente, l'ha sempre difesa. Non può esserlo perchè lui non ci crede. Che importanza ha, Weasley, ciò a cui credi o non credi? Quella vocina, dettata dalla sua coscienza forse, si insinua in un angolo del suo cervello. Sei insignificante, Fred, il mondo non gira attorno a te. Ciò che vuoi o non vuoi non conta nulla. Le cose accadono, le persone cambiano, e tu non puoi pretendere che non sia così solo perchè non vuoi. Non puoi salvare tutti, non è tuo compito, nè tanto meno ci riuscirai. Non sei un eroe. L'hai persa allora come l'hai persa adesso. Per un colpo di testa, al solito tuo. Perchè non sei perfetto, come puoi anche solo pretendere di giudicare gli sbagli altrui quando sei il primo tu, a sbagliare? Non ne hai alcun diritto. Non hai più alcun potere su di lei, l'hai avuto e l'hai perso, chissà forse per sempre. « E tu? Perché l'hai fatto? » Cerca un appiglio nello sguardo di lei, ma non lo trova. Non lo guarda, Amunet, gli parla con quel tono privo d'accento, vuoto. Un'estranea. E Fred vorrebbe risponderle, vorrebbe dirle tante di quelle cose, ma non ci riesce. La verità è che nemmeno lui lo sa. Non ha idea di come diavolo si sia cacciato in tutta quella situazione. E' iniziata con un ballo, ed è finita con un omicidio. La gelosia, i baci, la morte di Kingsley, la guerra, non se li sarebbe mai aspettati. Eppure eccolo quì, adesso, ad affrontare le conseguenze di tutto quello che è stato. Senza arma alcuna, ma soltanto i suoi sensi di colpa e le sue esitazioni. Ed Amunet. Quella stessa Amunet che meno di chiunque avrebbe voluto ferire, ma che più di tutti ha ferito. « Scommetto che ti sei sentito trascurato - di nuovo. » No. Sa a cosa si riferisce. E quella consapevolezza è l'ennesimo schiaffo, l'ennesimo squarcio nel suo animo. E' già successo, l'ha già ferita, più di una volta. Come può amarla così tanto e al tempo stesso farle tanto male? Non è giusto, capisci? No, non lo è. Non lo è affatto. Fa schifo, fa tutto fottutamente schifo. Quello che ha fatto, il modo in cui si è comportato, il tradimento. Non sa nemmeno cosa abbia tradito. Non ci ha pensato fino a quando non è rientrato in sala e non l'ha vista, quella sera. Ha tradito lei, ha tradito ciò che c'era tra loro, che c'era sempre stato e che in quell'ultimo periodo aveva ricominciato ad esserci. Con Malia, con Hugo, con sè stesso ed il suo non sono abbastanza. « No, Amunet, io.. » Tu cosa, Fred, COSA! Rivede la sua rabbia, rilegge la delusione nei suoi occhi e si blocca, con il respiro spezzato dalla sua stessa esitazione. Fred Weasley, l'inventore di scuse per eccellenza, non ha una scusa pronta. Forse perchè, per una volta, non vuole mentire. Non vuole mentirle. L'ha fatto perchè aveva bevuto, e perchè in quel momento l'istinto gli ha dettato di farlo. Questo è, e questo è stato una gran stronzata. Dopo tutto ciò che le ha detto, tutto ciò che ha provato a dimostrarle per riprendersela..Ha rovinato tutto con un colpo di testa. Con la ricerca di un contatto umano, nella persona sbagliata tuttavia. « Dimmelo Fred. Dimmi che quello che ho visto nei tuoi occhi non era senso di colpa. » Una pausa, silenzio. Prende un lungo respiro, il rosso, mentre serra la mascella. « Non posso. » Avrebbe potuto fare tante cose, ed ha scelto di fare quella sbagliata. Adesso che potrebbe fare altrettante cose sbagliate, come mentirle ad esempio, sceglie di fare quella giusta. Sei una testa di cazzo Fred. « Dimmi che non hai provato niente. Che mentre le tue labbra toccavano amorevolmente quelle di Hugo Weasley stavi pensando a me. Sognavi me. Volevi me. » Gliel'aveva già chiesto una volta. Nelle docce degli spogliatoi qualche settimana fa, quando quella passione incalzante li aveva travolti ed il loro amore impetuoso si era consumato tra sospiri e gemiti. E lui aveva risposto di sì. Perchè era vero, in fondo. Anche involontariamente, l'aveva sempre pensata. Sin dalla prima ragazza con la quale era stato dopo che l'aveva lasciata. Il primo amore non si scorda mai. L'aveva pensata persino con Abbie, l'unica storia che aveva avuto che fosse durata più di qualche mese. Tante, forse troppe. E' questo che vuoi sentirti dire? E con Hugo. Il senso di colpa era stato veloce a colpirlo, quando le sue labbra si erano staccate da quelle del cugino. Eppure non si era fermato mentre lo faceva. Così come non si era fermato con Malia nel bagno dei prefetti e con Beatrice nel bel mezzo della Sala Grande. Tu fai cose.. e poi ci pensi. Ti butti a capofitto per poi realizzare di romperti l'osso del collo. La paura non era mai stata una gran protagonista nella vita di Weasley. Fred la roccia, Fred il leone. Quell'amico sempre pronto a darti un conforto a qualsiasi guaio tu abbia combinato. Sempre pronto a schierarsi dalla tua parte anche quando hai torto marcio. Quel fidanzato sempre pronto ad abbracciarti, ad ascoltarti e farsi propri i tuoi problemi. Era questo che era sempre stato Fred; disponibile, capace di caricarsi sulle spalle il peso di tutti i problemi altrui. Senza rimorso, senza paura. Una sola volta, aveva avuto paura nella sua vita. Dopo quel ti amo inaspettato. Una sola volta aveva voltato le spalle a qualcuno, dandosela a gambe, e quella volta, proprio quella, gli era costata tutto.
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    « Dimmi che non significava niente. Dimmi che era uno scherzo. E quando avrai finito, raccontami di quanto tu sia migliore di me. Di quanto la tua famiglia è migliore della mia. Perché voi siete Weasley, e noi siamo Carrow. » Cala lo sguardo ferito, e scuote la testa in maniera impercettibile, mentre il tono di voce di lei è basso, a tratti inquietante. C'è un angolo della sua mente che gli intima di andarsene. Non è paura, ma prudenza. Quell'Amunet è pericolosa. E' instabile, non la conosce e non ci ha mai avuto a che fare. Poi però c'è la restante parte. Quella che ha conosciuto il suo meglio, la sua innocenza, e che di averne paura proprio non ci riesce. E' una rivalità tra realtà evidenti e convinzioni personali, quella che si sta consumando nel suo subconscio. « La mia famiglia non è mai stata migliore della tua. Albus ha un figlio, Olympia l'hanno sempre definita la figlia strana di Potter, Rudy è un lupo...- Ed io ho baciato mio cugino. -Ognuno ha i suoi demoni, c'è chi li dimostra, e chi no. La differenza sostanziale sta in questo, nient'altro. » Pausa. « Io non ti ho mai giudicata per il tuo cognome. Ho giudicato tuo padre per i fatti, non per le apparenze. Di tutto ciò che hanno sempre detto in giro su di voi non me ne è mai fregato un cazzo. Di quello che hanno sempre detto in giro su di te non me ne è mai fregato un cazzo. » Rivela, e per qualche minuto il suo sguardo si sofferma su quel cadavere. Perchè volevo farlo. Rabbrividisce, ingoiando quel grosso nodo alla gola che quell'orribile visione gli causa ogni volta. E adesso, Fred? Adesso te ne frega qualcosa di quelle voci? « Dimmi che mi ami, che per due anni non hai provato niente, assolutamente niente per nessuno. Raccontami di come ti sei precluso la tua vita, per me. Perché volevi me. » Ed è vero. Fred voleva Amunet, l'ha sempre voluta. Ma al tempo stesso, in tutti quegli anni, si è aggrappato a tanti altri affetti. Tante altre sfumature del suo amore, nel tentativo di dimenticarla forse. Nella convinzione di poterla sostituire, in qualche modo. Ma ciò non è mai successo. Perchè adesso che l'ha fatto, adesso che ha realizzato di essersi spezzato l'osso del collo, lo sa. Sa che qualsiasi calore umano possa cercare, qualsiasi sfaccettatura di quell'affetto infinito che uno come Weasley è capace di donare, nessuno potrà mai sostituire ciò che prova per lei. Non capisci quanto tu possa tenere a qualcosa fin quando non la perdi. « Dimmelo Fred. Altrimenti vattene prima di finire come questo porco schifoso. » E quella minaccia arriva. Arriva e lo colpisce dritto in viso. Ne sente il colpo sfregiargli la pelle, e d'istinto sobbalza appena. Vattene, gli intima qualcosa nella sua mente, vattene. E' troppo tardi. « Non posso. » Non posso andarmene, così come non posso mentirti. « Non posso perchè ho fatto una stronzata, una gran bella stronzata. Perchè in quel momento è successo e ho voluto farlo, senza pensare alle conseguenze. » Sospira « Ti amo, e ho sbagliato. Ho sbagliato due anni fa quando ti ho abbandonata, ed ho sbagliato adesso. Più ti avvicini, più io ti allontano, e non so nemmeno perchè. Non posso dirti di non aver provato niente per nessuno in tutto questo tempo. Ma posso dirti che niente equivale ciò che ho provato, e che provo per te. E per questo ti chiedo scusa, perchè non avrei dovuto agire così. Anche se delle mie scuse non te ne fai niente, ora come ora. » Un sorriso amaro, prima di tornare a guardarla. Come si può rimettere assieme i pezzi di qualcosa di completamente rotto? Amunet è in frantumi, e lui l'ha rotta. « Io non sono migliore di te. L'ho creduto forse un tempo, ma non è così. Probabilmente non sono migliore neanche di lui. » Indica la vasca « Ma Mun, ti prego, la morte non è una soluzione. Non lo è mai » La morte genera solo dolore su altro dolore, e tu hai già sofferto abbastanza. Ed è allora che si avvicina a lei, e con una mossa decisa le afferra la mano che tiene ancora la bacchetta, posizionandosela sul petto, all'altezza del cuore. « Se pensi invece che lo sia, allora fallo. Fammi male, uccidimi e fammi finire come questo porco schifoso. » No, fermo, che stai facendo? Ha ucciso un uomo, cosa le vieterà di farlo ancora? Poco gli importa. Lui crede che ci sia ancora qualcosa di recuperabile, in lei. E se per farglielo capire, dovrà beccarsi qualche schiantesimo o peggio, è un prezzo che è disposto a pagare. « Dimostrami quanto mi sbaglio a credere ancora in te. Fammi provare tutto quel dolore che ti ho causato e ti causo ancora. » Stringe la presa contro il suo polso e fa in modo che la punta della bacchetta aderisca ancora meglio al suo petto. Vendicati, uccidi colui che ti ha spinta nelle braccia del mostro.
     
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    « Non posso. » Il primo istinto di fronte a quella risposta secca è prenderlo a pugni. Se lo meriterebbe Fred, e Mun lo farebbe ben volentieri se solo ciò non significasse rinnegare tutta se stessa. E se di una cosa non può fare a meno, la Carrow, è proprio la coerenza. Quel cieco orgoglio che la porta a restare ferma sulle proprie posizioni. Stringe i pugni finché le nocche non impallidiscono sotto la sua stessa pressione. In cuor suo si chiede con un moto di dispiacere e disillusione perché. Perché hai dovuto fare tutto questo Freddie? Perché rovinare tutto proprio adesso? Perché non potevi semplicemente.. lasciar perdere. Ma lasciar perdere non faceva parte della sua natura; una natura quella, di cui Mun si è inesorabilmente innamorata prima ancora di comprendere cosa l'amore fosse. Fred faceva ciò che voleva, quando lo voleva e con chi lo voleva, e ciò lo rendeva vero, ma tratti anche incredibilmente sciocco. L'aveva ferita. Più di quanto potesse immaginarsi, perché il rosso, le sue pulsazioni non le metteva mai da parte. Sembrava non riuscire a discernere ciò che davvero voleva da ciò che desiderava solo a breve termine. Oppure lo sapeva, ma mentiva semplicemente a se stesso. Forse Malia, Hugo, tutte quelle ragazze che dopo di lei si sono susseguite - forse non erano solo un capriccio, un riempire il tempo, come lui continuava a dirle. Non potevano certo capire di sapere cosa volessero. Erano troppo giovani, a tratti troppo immature, certamente troppo sciocchi per capire effettivamente cosa potessero desiderare dalla vita. Mun di certo non lo aveva mai saputo fino in fondo, e anche quando pensava di averlo capito, c'era sempre l'influenza di un terzo incomodo che reindirizzava i suoi stessi desideri. Ha sempre pensato, la Carrow di essere in controllo, di avere una propria capacità di giudizio, ma ultimamente si rendeva conto che ogni sua mossa, da due anni a questa parte è stata in un certo qual modo mediata dal suo dio. Il suo stesso rinchiudersi in se stessa, guardare da lontano tutti loro, cercare il soddisfacimento dei suoi bisogno in persone completamente diverse e assolutamente lontane dalla sua orbita di azioni; tutto ciò era un comportamento e un temperamento mediato da ciò che Ryuk diceva fosse giusto per lei. Ryuk le aveva detto che Fred non era giusto, le aveva detto che quei suoi amichetti stupidi erano il primo grande ostacolo tra lei e quando di grandioso dovesse fare nella vita. Le aveva detto che lasciarsi andare a pulsioni così umane è sbagliato. Ryuk l'aveva frenata dal chiedere aiuto, le aveva stretto gli artigli attorno al collo per impedirle di chiedere aiuto, per frenarla dal divincolarsi dalla sua morsa. Ryuk aveva cercato in tutti i modi di mostrarsi come una figura amica, come un buon samaritano. E alla fine l'aveva fottuta quando meno se lo aspettava. E per quanto abbia provato a sottrarsi ai desideri del suo padrone, per quanto cerchi disperatamente di eludere il suo gioco, Mun si rende conto, che in ogni istante della sua vita, lei non faccia altro che portarlo un passo più vicino ad averla. In un modo o nell'altro mi avrà e io non potrò nemmeno dirti addio. Perché con Fred non può parlare. A Fred non può dire niente, perché le implicazioni sarebbero talmente cruenti da rendere tutto vanno. L'ha uccisa e non se ne pente. L'ha uccisa e non gli ha detto niente. L'ha guardato soffrire, non gli ha mostrato un minimo di pietà, di compassione. Forse in cuor suo ha persino goduto immaginandola tra quattro assi di legno. E tutto ciò era crudele, era spietato, ed era tutto il contrario dell'amore che professava per Fred. A parole Mun era brava; lo amava, piuttosto che vederlo in pericolo avrebbe dato la propria vita, ma a quanto pare, ciò no le impediva di farlo star male, ferirlo, giudicarlo di continuo. Se lo merita. Ma forse non se lo merita così tanto. « La mia famiglia non è mai stata migliore della tua. Albus ha un figlio, Olympia l'hanno sempre definita la figlia strana di Potter, Rudy è un lupo.. Ognuno ha i suoi demoni, c'è chi li dimostra, e chi no. La differenza sostanziale sta in questo, nient'altro. » E' paradossale come la sua voce la disgusti e la calmi. Si sforza di odiarlo, ma non ci riesce. Vorrebbe farlo sparire ma non ci riesce. Eppure non riesce nemmeno ad averlo accanto. Egoisticamente vorrebbe che lui resti sempre lì. Senza parlare, senza avvicinarsi, senza fare nulla. Bloccato in un limbo di non essere. Come morto, ma vivo. Ci sono stati momenti in cui Mun ha pensato di bloccare il suo essere nel tempo. Farlo restare così. Grondante di vita, ma incapace di fare nulla. Un'immagine morbosa, chiaramente dettata dalle innumerevoli delusioni che ha dovuto subirsi. Sa non sia possibile. Non lo farebbe mai, perché in realtà, vederlo fermo, le farebbe ancora più male. Fred le provoca gioia, una gioia di cui non riesce a fare a meno, anche quando è arrabbiata, anche quando sa di non volerlo. Il fatto di saperlo sano e salvo, rende il suo vissuto meno pesante. « Io non ti ho mai giudicata per il tuo cognome. Ho giudicato tuo padre per i fatti, non per le apparenze. Di tutto ciò che hanno sempre detto in giro su di voi non me ne è mai fregato un cazzo. Di quello che hanno sempre detto in giro su di te non me ne è mai fregato un cazzo. » Scuote la testa di fronte a quelle affermazioni. Non sa perché, ma non riesce a sentire altro. Ha sentito così tante spiegazioni, così tante volte, che ormai è stanca. E' come se una parte di sé si fosse persino stancata di cercare di mettere insieme qualcosa che evidentemente è rotto. Le loro personalità sono in aperta collisione. Semplicemente non fungono, non funzionano più. Il tempo fa questo delle persone. Le allontana, le cambia, le plasma. E quando si è troppo lontani per accorgersene, qualunque forma di ripresa diventa man mano più difficile da ottenere. Gli occhi di ghiaccio continuano a fissare con morbosità il cadavere, quasi come se volesse farlo sparire lì sul colpo, quasi come se volesse uccidere Peter di nuovo. Fred non può sapere quale mostro ha sollevato dalla faccia della terra, non può sapere tutte le disgrazie che uno come Peter ha portato con sé sin da quando era ragazzino. Lei, in casa loro, l'ha sempre visto, ne ha sempre percepito l'aura prettamente maligna. Un agente del caos, spigliato, sempre pronto a compiere una qualche forma di violenza sul prossimo. Mun continua a chiedergli di ripeterle cose che in cuor suo sa lui non possa dirle. Sembra quasi implorargli di mentirle. Mentimi, cazzo. Salvaci! Trova un modo. Ma probabilmente, la salvezza è un lusso che Freddie e Mun non possono più permettersi. Si sono feriti troppe volte, si sono attaccati a vicenda troppe volte. Pugnalati, involontariamente alle spalle. Freddie e Mun si sono traditi a vicenda semplicemente lasciandosi preda a ciò che li circondava. Un circolo vizioso che andava spezzato. « Non posso. » Una consapevolezza quella che la uccide. « Non posso perchè ho fatto una stronzata, una gran bella stronzata. Perchè in quel momento è successo e ho voluto farlo, senza pensare alle conseguenze. » E' questo ciò che fai sempre. E quelle parole scavano nel suo cuore violentemente. Fred l'ha voluto. Perché. Perché lo ha voluto? Che cosa c'era che voleva? Che cosa stava cercando? Così tante domande; domande che non troveranno mai una voce, perché Mun non si umilierà ulteriormente. Non lo lascerà vedere oltre le crepe. Non di nuovo. Perché non te lo meriti. « Ti amo, e ho sbagliato. » Quelle parole la obbligano per la prima volta a voltare il campo nella sua direzione. E' c'è disgusto nei suoi occhi tanto da scuotere la testa e incenerirlo con lo sguardo. « Non azzardarti a dirlo. Non ne hai il diritto. » Ma Fred insiste. Non si lascia scoraggiare. « Ho sbagliato due anni fa quando ti ho abbandonata, ed ho sbagliato adesso. Più ti avvicini, più io ti allontano, e non so nemmeno perchè. Non posso dirti di non aver provato niente per nessuno in tutto questo tempo. Ma posso dirti che niente equivale ciò che ho provato, e che provo per te. E per questo ti chiedo scusa, perchè non avrei dovuto agire così. Anche se delle mie scuse non te ne fai niente, ora come ora. » Come faccio a crederti. Come? Seppur sappia in cuor suo che Fred è pentito, il rosso lo è stato tante altre volte. E' disposta Mun ad accettarlo così? E' ancora quella ragazzina in grado di passare sopra alle cose? No. Mun ha bisogno accanto a sé di una persona affidabile, stabile, qualcuno che prescinda dalle dinamiche stupide degli adolescenti. Per quanto possibile, almeno. Per molto tempo ha pensato che nonostante quanto si dicesse in giro, Fred fosse quello giusto. Pensava che Fred fosse abbastanza maturo da poter esserci. Ma ora ne aveva seri dubbi. Fred non sapeva cosa volesse dalla vita, non sapeva fino a che punto volesse le cose. Oggi desiderava una cosa, domani ne voleva un'altra e dopodomani tornava sui suoi stessi passi volendo di nuovo la prima. « Io non sono migliore di te. L'ho creduto forse un tempo, ma non è così. Probabilmente non sono migliore neanche di lui. Ma Mun, ti prego, la morte non è una soluzione. Non lo è mai » Scuote la testa Mun, ormai esausta. Non riesce a togliersi dalla testa la sua reazione di quella sera. Era sul punto di riprenderselo, e adesso non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia senza provare un misto di disdegno e ribrezzo. Ed è allora che fa qualcosa che Mun non si aspetta. Le afferra il polso. Le dita calde di lui si stringono attorno alla sua pelle fredda, puntandosi la bacchetta di lei contro. « Se pensi invece che lo sia, allora fallo. Fammi male, uccidimi e fammi finire come questo porco schifoso. Dimostrami quanto mi sbaglio a credere ancora in te. Fammi provare tutto quel dolore che ti ho causato e ti causo ancora. » La punta della bacchetta preme contro il suo petto, e per un momento, Mun si concentra su quel contatto. Potrebbe fargli del male. Molto male. Vorrebbe farlo. Vorrebbe fargli provare anche solo un decimo di quanto lei ha provato, fargli rendere conto delle conseguenze delle sue azioni. Ma non ci riesce. Sarebbe così facile fargli del male. Basterebbe una formula per ferirlo anche fisicamente, ma si rende conto che piuttosto che farlo si scorticherebbe le budella a mani nude lì sul colpo.
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    Le dita libera la bacchetta dalla presa; quest'ultima rotola per terra mentre lei si ritrae da quella morsa cercando di liberarsi dalla sua stretta mentre si alza di scatto in piedi indietreggiando. Debole. Ecco cosa è. O forse non lo è affatto. Non lo ha colpito davanti a tutti, e non lo avrebbe colpito nemmeno a quattro occhi, perché non era ciò che voleva. Avrebbe voluto semplicemente che Fred non avesse fatto niente. Quella l'unica cosa che desiderava.. anche l'unica che non avrebbe mai avuto. « No. Non permetterò che tu ti senta meglio. Non te lo meriti. Non ti meriti la mia rabbia, né il mio disprezzo. » La stessa decisione che ha preso in Sala Grande. Forse nessuno aveva creduto a quella voce, di fronte agli occhi di tutti Fred sarebbe rimasto integro, come integro sarebbe rimasto suo cugino. Con tutto ciò sarebbero convissuti esclusivamente loro e coloro che sono abbastanza vicini a loro da percepire la differenza tra uno scherzo e un gesto di dubbia natura. « Con questa cosa ci dovrai convivere tu. Non ti toccherò nemmeno con dito. Mai più. » Perché non posso, perché non voglio, perché sono stanca di roteare attorno al sole, come un satellite. Sono stanca di vivere all'ombra di Fred Weasley. Essere l'inciucio ben poco definito di Fred Weasley. Essere la ragazzina gelosa di Fred Weasley. « Ho smesso di vivere orbitandoti attorno. » Perché un tempo Mun gli aveva detto che il mondo non girava attorno a Fred, ma sa che in realtà il suo è orbitato attorno al rosso per molto, sin troppo tempo. « Non voglio più essere la tua ombra, Fred. Non voglio più essere la tua ex ragazza. Non voglio più essere niente di tuo. » Stringe i denti mentre indietreggia ulteriormente. « Sei una parte di me. Ma non sei la mia vita. Non più. » Deglutisce pesantemente. Fa così male. « Probabilmente non smetterò mai di amarti; e forse per questo non posso farti del male. » Non ancora. Non di nuovo. Non più di quanto non ti abbia già fatto. « Ma non voglio più innamorarmi di te. » E forse è quello il punto. Tra amore e innamoramento c'è di mezzo un mondo. Fred e Mun si amano. Ma forse non riescono più a innamorarsi. Non a tal punto da rinunciare all'abisso che li divide. L'amore sopravvive sempre, a volte si trasforma, cresce di continuo, ma affinché venga vissuto, deve essere continuamente alimentato. E Fred e Mun hanno fatto tutto il contrario da quando si sono lasciati. Il loro amore, il loro legame, l'hanno lasciato degradarsi, marcire, fino a diventare in un certo qual modo sterile. Un ancora nel passato che nulla aveva a che fare con il loro presente, con ciò che erano. Si toccavano e fuggivano, e durante quei momenti, tutto sembrava come se il tempo non fosse mai passato. Ma è passato. E io non so più chi sono, non so più chi sei tu. Chi siamo noi. Chi siamo in relazione dell'altro. « IO non posso più, Fred! » Sbotta di scatto in un tono ormai esausto mentre si passa le mani sul volto. « Non riesco più a starti dietro. Un giorno mi chiedi di tornare e il giorno dopo finisci nel bagno dei prefetti o sui corridoi con qualcun altro. Tu rinneghi di continuo tutto quello che mi dici. Perché forse non ci credi nemmeno tu. » Abbassa lo sguardo mentre si stringe le braccia al petto, in una specie di abbraccio spasmodico. Chiude gli occhi e stringe i denti, mentre indietreggia ulteriormente fino a incontrare il muro alle sue spalle. « Vattene. Per favore.. » Deglutisce mentre le parole sembrano fermarlesi in gola. « ..vai. » Sente il gelo nelle ossa. Un gelo diverso. Il gelo dell'abbandono, della solitudine; questo è il gelo del terrore e della solitudine. « Con questo ci devo fare i conti io. » Da sola. Come sempre.

     
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    « Non azzardarti a dirlo. Non ne hai il diritto. » Quelle parole fanno male. Fanno male perchè sa quanto siano vere, Fred. Ha perso tutti i diritti che aveva su di lei ormai da tempo. Da quando ha deciso di lasciarla nonostante tutte le promesse, da quando ha deciso di tradirla, nonostante tutte le promesse. Perchè l'abbia fatto? Non lo sa. Ha sbagliato? Sicuramente sì. Il problema, il suo solito problema, è essersene accorto troppo tardi. La amava e l'ha lasciata. Le ha chiesto di restare, ed è andato a letto con un'altra. Le ha domandato un'ultima possibilità, ed ha baciato suo cugino. Una gran bella merda. Che sia masochismo, irresponsabilità o paura, non lo sa. Fatto sta che adesso si trova dinnanzi al frutto dei suoi sbagli, alle conseguenze dei suoi fottutissimi colpi di testa, e fa dannatamente male. Fa male lo sguardo freddo di Amunet, fa male il suo tono tagliente, fa male quel dannatissimo cadavere sventrato dentro la vasca. E' colpa sua, è solo e soltanto colpa sua. Sarebbe andata diversamente se non avesse combinato quel guaio? Si sarebbero amati? Avrebbero avuto quella possibilità che in quelle ultime settimane aveva sperato così tanto? Non lo sa, ma di sicuro non si troverebbe in questa situazione, questo è chiaro al novanta percento. Chissà, forse quel dannato ballo sarebbe finito come in fondo sperava. Amunet tra le sue braccia, finalmente, felici e contenti. Ma forse loro un lieto fine non lo meritavano e non l'avrebbero mai meritato. Perchè lui aveva sbagliato, si era accorto di amarla quando ormai l'aveva persa, e questa era la punizione che gli spettava. Per quanto ancora, però, l'avrebbe dovuta sopportare? Mi sembra piuttosto conveniente venire a reclamarmi proprio ora. La gente si accorge che esisto e improvvisamente ricompari. Ammettiamolo, in cuor tuo ti sarai sempre raccontato che visto che ti amo, allora sarò sempre lì ad aspettarti mentre tu fai pace col cervello. Se le ricorda ancora quelle parole. Gli scorrono dentro, assieme al sangue nelle vene. In un primo momento non ci aveva neanche fatto caso. Ma col senno di poi, forse Amunet aveva ragione. Più lei lo amava, più lui non se ne accorgeva. E non era giusto, Dio se si odiava per questo. Quanto era diverso lui da quell'uomo che per tanto tempo aveva considerato un mostro? Un mostro perchè faceva soffrire sua figlia senza scrupolo alcuno. L'aveva odiato, quanto lo aveva odiato..Eppure aveva fatto lo stesso. L'aveva fatta soffrire e non se ne era accorto. E quando se ne era accorto, aveva continuato a farlo. Il dolore morale che le infliggeva faceva di lui un mostro meno spregevole solo perchè non si trattava di sofferenza fisica? No. E allora è quella che aspetta al momento, Fred. Dolore fisico per dimostrare quella sofferenza morale che le ha causato. Se lo merita, e sa di meritarselo. « No. Non permetterò che tu ti senta meglio. Non te lo meriti. Non ti meriti la mia rabbia, né il mio disprezzo. » Ma questo non accade. Si libera dalla sua presa, Mun, e lascia che la bacchetta cada per terra, rotolando. La fissa in silenzio, il rosso, l'espressione confusa mentre si morde il labbro inferiore nervosamente. Non ha mai dubitato di lei, dopotutto. Sa che non l'avrebbe mai colpito, nonostante tutto. Ma non è certo questa la motivazione che si aspettava. Amunet sembra non averlo colpito non per amore, non per aver capito il suo discorso, ma per disprezzo. Sfinimento. Non sa se lo odia, ma di sicuro lo disprezza. E lui non merita nemmeno più la sua rabbia. E questo fa male. Più male di qualsiasi incantesimo, qualsiasi crucio, qualsiasi sectumsempra. Avrebbe preferito di gran lunga uno di quelli, piuttosto che quello sguardo. Quello sguardo carico di tutte quelle emozioni che lui non riesce a cogliere. Sono tante, ma al tempo stesso nessuna. Vede amore, disprezzo e tristezza, ma allo stesso tempo non vede niente di tutto ciò. Amunet si trova in un baratro tra l'indifferenza più totale, e l'emozione più forte. Ed è stato lui a spingercela. Fa per dire qualcosa, ma non ci riesce. Che dire, in fondo? Ha torto, non ha una scusa pronta, e tutto quello non sarebbe mai dovuto accadere. Di chiederle di nuovo scusa, non ci pensa nemmeno. Dopo tutto ciò che è successo, quelle parole che si son detti, le sue scuse sembrano inutili. Gli danno la nausea, persino a lui. « Con questa cosa ci dovrai convivere tu. Non ti toccherò nemmeno con dito. Mai più. » E la prima consapevolezza sguscia sinuosamente attraverso le parole di lei e lo colpisce in pieno. Il primo passo per l'abbandono. Il contatto fisico è sempre stato importante, in una relazione. Fred l'ha sempre considerato parecchio. Con Amunet, aveva scoperto i primi vantaggi di quel fattore. Dapprima i baci, poi le carezze, ed infine tutto il resto. Il contatto era una delle cose che più gli erano mancate dopo che l'aveva lasciata. Capitava spesso di percepirla nonostante lei non ci fosse. Di sentire lei attraverso la mano di qualcun'altro. Infine si era abituato a farne a meno, per poi ritrovarlo, qualche settimana fa. I baci erano tornati, e così le carezze, e così le loro lingue sulla loro pelle. E poi gli abbracci, quell'abbraccio, e quel bacio. Ed era stata un'esperienza mistica, quel ritorno. Un ricongiungersi a qualcosa di apparentemente addormentato, un istinto assopito ma che in realtà mai lo era stato del tutto. Perchè Amunet faceva parte di lui e così lo facevano gli impulsi che gli aveva sempre causato. « Ho smesso di vivere orbitandoti attorno. Non voglio più essere la tua ombra, Fred. Non voglio più essere la tua ex ragazza. Non voglio più essere niente di tuo. » Ed ecco la seconda consapevolezza. Dal fisico si passa all'astratto, e la mancanza fa ancora più male. Non voglio più essere niente di tuo. Lo era stata, lo è stata per tutto questo tempo, ma ora? Ora lui l'ha cacciata. L'ha data per scontata e l'ha persa, chissà forse per sempre. Scuote la testa d'istinto allora, le sopracciglia arcuate e l'espressione ferita. Soffre nel sentire quelle parole così come soffre nel sopportare su di sè lo sguardo deluso di lei. Ti prego, fammi male, ma non così. Non con la tua indifferenza. Fammi male perchè ti interessa farmelo. Perchè ti importa ancora qualcosa di me, perchè posso vantare ancora qualche diritto su di te. La vede alzarsi per indietreggiare e lui non fa niente per trattenerla. Vorrebbe farlo, Dio se vorrebbe farlo!, ma non riesce. Lei soffre nell'averlo lì vicino, e lui non è capace di ignorare quel disagio ed imporsi. « Sei una parte di me. Ma non sei la mia vita. Non più. Probabilmente non smetterò mai di amarti; e forse per questo non posso farti del male. Ma non voglio più innamorarmi di te. » Incassa anche questo colpo, mentre il cuore comincia a battere sempre più forte. Non sei la mia vita, non più. Un'esistenza senza Amunet, una prospettiva che per molto tempo è sembrata oltremodo fattibile, dopotutto. Ma che adesso, non riesce neanche lontanamente ad immaginare. Adesso che è fin troppo coinvolto in tutto quello, quella possibilità gli apre una voragine nel petto che gli blocca quasi il respiro. E allora si morde il labbro inferiore, e prende a scuotere la testa.
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    « No, Mun, ti prego.. » Una supplica vera e propria. Lui, Fred Weasley, il leone rampante, sta supplicando. Non sa nemmeno perchè lo stia facendo, ma quelle parole trapelano dalle sue labbra con naturalezza, in un tono che sfiora la disperazione. Fred non è mai stato questo: debole. Fred è forte, orgoglioso fino allo strenuo e testardo come un mulo. E' quell'amico al quale sai potrai raccontare sempre tutto, perchè rappresenterà quel punto fermo, quell'appiglio a cui aggrapparti per non precipitare in quel mare di guai e problemi che è la vita. Una forza d'animo esplosiva la sua, la stessa che l'ha fatto eleggere come caposcuola dai suoi stessi compagni di casata. Sempre sorridente, sempre in piedi, piegato ma mai spezzato. Una roccia, colpita in mille punti dalla violenza delle onde, ma non per questo distrutta. Weasley è il nostro re. Ma re, al momento, Fred non si sente affatto. No, non v'è traccia del leone in lui, non adesso. C'è solo un ragazzino col cuore spezzato e un milione di sensi di colpa. La consapevolezza di stare perdendo l'amore della sua vita, fattosi liquido tra le sue mani e scivolato via senza neanche accorgersene. C'è tutto questo, solo e soltanto questo. E stenta quasi a riconoscersi, Fred, nel modo in cui il suo respiro si fa accelerato, il battito cardiaco aumenta e le labbra quasi tremano. Dio, smettila. Ma no, non la smette, non riesce a farlo. « Non uscire dalla mia vita, non..non voglio.. » Ridicolo. E' ridicolo che si sente. « IO non posso più, Fred! » Lei sbotta, e lui si ammutolisce subito, remissivo come mai lo si è visto. « Non riesco più a starti dietro. Un giorno mi chiedi di tornare e il giorno dopo finisci nel bagno dei prefetti o sui corridoi con qualcun altro. Tu rinneghi di continuo tutto quello che mi dici. Perché forse non ci credi nemmeno tu. Vattene. Per favore..vai. » Boom. La resa dei conti è arrivata. E' così che tutto finisce? La storia di Mun e Freddie, Freddie e Mun. Due giovani amanti con un passato burrascoso, ed un presente ancora di più. Chi l'avrebbe mai detto, a quel quattordicenne di qualche anno fa, quello stesso con quel sorriso da idiota stampato sul viso nel guardare il suo nuovo acquisto camminargli accanto, che un giorno sarebbe finita così? Che lui di quella ragazzetta si sarebbe innamorato. Che le avrebbe fatto tante di quelle promesse, ma che sarebbe riuscito a mantenerne ben poche. Che sarebbe arrivato a ferirla, per poi esserne ferito. Non rimpiange nulla, Fred. Non rimpiange il giorno in cui l'ha incontrata. Quei sorrisi e quelle battute in sala grande. Non rimpiange il loro baretto di fiducia e quei milkshake ai quali sembravano essersi abbonati nei weekend. Le risate, i baci, la loro prima volta tragicomica. Le gite assieme, e poi i pianti, la sofferenza, l'impotenza di fronte a suo padre. No, non rimpiange nulla di tutto ciò. Amunet fa parte della sua vita e lo farà sempre, senza di lei, lui non sarebbe ciò che oggi è. Amunet è stata il suo meglio per un po', il suo punto di forza. Qualcosa per cui vivere, qualcosa da proteggere. Qualcuno da amare e dal quale essere amato. E non per qualcosa di accidentale come il sangue, come quello che lo lega alla sua famiglia. No, Amunet lo ha amato per scelta. Ed ora, Freddie sceglie di lasciarla andare. Perchè ha sprecato quell'occasione, ha sprecato ogni cosa e la sua presenza lì è ormai fittizia. Non ho più alcun diritto su di te. E questo è quanto. Si alza allora, con quella voragine nel petto che cresce sempre di più. Nel sentire il suo padrone muoversi, Ghost fa lo stesso, issandosi sulle zampe. « Con questo ci devo fare i conti io. » Annuisce, senza guardarla. Perchè se la guardasse, sa che cambierebbe idea. « D'accordo, me ne vado. » Trattienimi, ti prego, non lasciarmelo fare « Non ti costringerò più a vivere nella mia ombra, perchè non è questo ciò che meriti. Tu sei..Amunet. Sei tu, sei meravigliosa, e lo sei sempre stata anche senza di me. Non hai mai avuto bisogno di me per esserlo » Si stringe nelle spalle, un sorriso amaro ad illuminargli il viso. « Ti amo, ti ho amata anche quando credevo di no, e forse ti amerò sempre. E..è per questo che ti lascerò in pace d'ora in poi. » Qualcosa di caldo gli riga una guancia. Una lacrima solitaria si fa spazio sulla sua guancia sinistra, mentre Fred tira su col naso, asciugandosi immediatamente. Odia piangere, eppure adesso gli sembra forse l'unica cosa che vorrebbe fare. Piangere come non ha mai fatto prima. Ghost si avvicina, leccandogli le dita di una mano, e Fred lo osserva attraverso lo sguardo velato, ringraziando il fatto che gli stia dando un motivo per non guardarla. « ..Quindi...Io adesso vado, mh? » Ridacchia nervosamente, reprimendo un singulto. Cristo smettila. Non piangere. « Ti prometto che non dirò niente a nessuno, di..Beh di questo. Solo cerca di uscire il prima possibile di quì, non ti fa bene restarci e se ti trovasse qualcun'altro potrebbe finir male. » Si passa le mani sugli occhi ed è allora che la guarda, torturandosi il labbro inferiore coi denti. « Fai attenzione, okay? » Sorride forzatamente « Se dovessi avere qualche guaio e dovesse servirti..Fa' pure il mio nome. Vieni, bello, andiamo. » Si volta su sè stesso, avviandosi verso la porta. Quando sta per varcarla, esita qualche istante, rigirandosi. « Spero che un giorno troverai qualcuno che sappia ballare. » Come io, purtroppo, non ho mai saputo fare.
     
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