I was in the darkness, so darkness I became

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    Ravenclaw pride
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    Buffo davvero come la vita, volenti o nolenti, riesca a ridimensionare tutto. A stento ricordava la rabbia che l'aveva pervaso nell'ultimo frangente del Ballo di Halloween, quel profondo senso di ira e frustrazione che l'aveva pervaso completamente, quando il suo più grande segreto era stato spiattellato di fronte a tutta la scuola. In fondo, cos'era lo Shame in confronto a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco? Era lo scherzo di bambini stupidi, che agli occhi di Hugo - che bambino forse lo era ancora - era sembrato il problema più grande del mondo, l'unica battaglia degna di essere combattuta. Eppure, là fuori, qualcuno una battaglia la stava combattendo davvero, come la voce tonante di sua cugina Evey aveva annunciato a tutta la scuola prima che questa venisse strappata dalle mani del regime. Prima che il preside Kingsley morisse, innescando un domino di eventi che né Hugo né il resto della compagine avrebbe mai potuto prevedere. Fu chiaro a tutti, in brevissimo tempo, come la situazione generale fosse più grave del previsto, a giudicare dai cancelli bloccati, i passaggi segreti inutilizzabili, i cieli sopra Hogwarts impenetrabili. La storia di Hogwarts raccontava di come, in più occasione, il castello fosse diventato una fortezza contro gli attacchi esterni, i suoi stessi genitori avevano avuto modo di narrargli della Seconda Guerra Magica e di come le forze amiche si fossero arroccate dentro Hogwarts, sotto l'attacco dei Mangiamorte. Ma cosa succede quando è Hogwarts il nemico? Folle anche solo pensarlo: per tutti loro la scuola di magia e stregoneria aveva significato un porto sicuro, un rifugio.
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    Casa. Casa è sicurezza, casa è non dubitare mai. Eppure, avrebbero imparato tutti molto presto, Hogwarts aveva smesso di essere casa loro nel momento stesso in cui il corpo di Edmund Kingsley aveva toccato il suolo della Sala Grande, privo di vita.

    [...] Giorno 2. Il delirio più totale. La scuola di Hogwarts si era sempre basata su un rigido sistema piramidale, al cui vertice vi è il Preside che regge e controlla tutto, ha nelle mani le chiavi e i segreti del castello e, fatto assolutamente non banale, ha a cuore gli interessi dei suoi studenti. Hermione Granger ricordava con affetto infinito Minerva McGranitt, una strega dal cuore e dal valore inestimabili, che durante la Seconda Guerra Magica aveva preso le redini del castello dall'alto della sua carica di Vicepreside e aveva saputo coordinare tutto e tutti, mantenendo l'ordine. Edmung Kingsley tuttavia non aveva un vice e se anche informalmente l'avesse avuto, probabilmente si era trattato un suo scagnozzo, morto insieme a lui e alle decine di Inquisitori di pattuglia dentro il castello. Erano soli, abbandonati, alla deriva.. e la deriva porta al caos. Hugo era nel caos. Come tutti i suoi compagni, anche il giovane Corvonero si era visto tremare la terra sotto i piedi. Troppe erano state le rivelazioni che la notte di Halloween aveva portato con sé, troppi i cambiamenti e gli imprevisti che aveva dovuto metabolizzare e per i quali aveva bisogno di tempo. Il bacio di Fred. Oh, quella era stata la prima scossa di terremoto, capace di far vacillare un mondo che fino a poco prima aveva continuato a scorrere tutto sommato tranquillo. Hugo Weasley non poteva dirsi un ragazzo dalla vita drammatica, tutt'altro! Famiglia felice, vacanze estive dalla nonna, curriculum eccellente, amici e affetti. Mancava l'amore all'elenco e Fred, come un razzo, era piombato su quel tasto dolente, sfondandolo con violenza. Sì, Fred era la sua prima incognita. La voce nella radio, Evey. Era stata proprio sua cugina ad annunciare al popolo di Hogwarts l'inizio della rivoluzione, con parole che avrebbero saputo toccare il cuore di chiunque; senza dubbio anche quello di Hugo. Questo perché lui, come tanti altri, era stato un suo assiduo ascoltatore, carpendo da lei messaggi di speranza quando le ore sembravano buie. Se l'avesse riconosciuta? Una parte di sé sì, anche se non aveva alcuna prova per dimostrarlo se non la voce, proprio quella voce che fin da piccolo aveva sentito dall'altro capo della tavola durante le cene di famiglia. La voce di una cugina che c'era sempre stata, che aveva rappresentato un esempio. La voce di una cugina di cui Hugo era fiero e orgoglioso in un modo che mai avrebbe potuto immaginare. Si era sentito piccolo piccolo di fronte a quelle parole, proprio come lo specchio gigante della Sala Grande gli aveva sussurrato prima che Beatrice Morgenstern lo facesse a pezzi. D e b o l e. Era stata l'unica parola a lui diretta, l'unica che fosse realmente riuscita a fargli male. Troppo debole per difendere le persone che amava, debole per rinunciare ad attenzioni che avrebbero distrutto la sua famiglia per sempre, troppo debole per trovare anche solo il coraggio di dichiararsi alla ragazza dei propri sogni. E poi c'era Rudy, suo fratello, che debole non lo era mai stato. Lui era la sua terza incognita, Rudolph e il lupo. Come aveva fatto a non capire che suo fratello, tra le persone più importanti che avesse mai avuto accanto, nascondesse altro dietro il suo essere burbero? Aveva provato a bloccarlo e a chiedergli qualcosa, quando si era avvicinato per riconsegnargli in tutta fretta la bacchetta che la presidenza gli aveva tolto, ma era scappato via trafelato. Infine, l'aveva visto coi suoi stessi occhi: le ossa di suo fratello si erano spezzate una ad una, mentre il corpo umano lasciava il posto a quello di un possente lupo. No, non un lupo mannaro, creature umanoidi che aveva studiato al terzo anno durante Difesa contro le arti oscure. Rudy era qualcosa di diverso, così come Beatrice. Così come Andres. Andres l'aveva perfino baciato, e di lui non sapeva niente! Avevano gravitato intorno alla sua vita e di loro non aveva mai capito niente. Gran bel detective, Hugie.

    Ma cosa si fa se non hai tempo a disposizione per metabolizzare tutto, se anche un minuto in più equivale al passo che separa la vita dalla morte? L'avrebbe scoperto, Hugo. Sì, perché di stare con le mani in mano non ne voleva più sapere! La prima notte era passata e così buona parte del secondo giorno. Da Albus aveva saputo che i passaggi segreti erano completamente bloccati e così tutte le vie d'uscita dal castello. Aveva così tante domande, il giovane Hugo, e così tante proposte! Ma nessuno sembrava intenzionato ad ascoltarlo. Per tutti, in fondo, lui era Hugie, il piccolo Hugie. Il secchioncello, quello che di teoria sa tutto e di pratica quasi niente, quello che avrebbero dato per spacciato entro dieci minuti se avessero potuto scommettere a riguardo! Ah, Fred senz'altro! Dov'era Fred? Non l'aveva più visto, sicuramente da qualche parte con Amunet. Già, Amunet. Avrebbe dovuto cercarla, parlarle, confrontarsi con lei ma non era quello il momento. Aveva bisogno di suo cugino.. così come aveva bisogno di suo fratello, ma Rudy non faceva altro che ripetergli di non fare niente e stare al sicuro, che si sarebbe occupato di tutto lui. Lui e le ronde che faceva col suo branco. Era così stufo di sentirsi inutile, il piccolo Hugo; così stufo di sentirsi debole! Aveva perfino pensato di cercare Lucas, lui aveva viaggiato e visitato tanti luoghi, conosciuto realtà diverse. Aveva una mentalità tutta sua, insieme avrebbero potuto trovare una soluzione all'enigma! Già, perché cos'era quello se non un grande, gigantesco enigma? Sono una scatola senza coperchio, cardini o chiave, ma con un dorato tesoro al suo interno: cosa sono? Un uovo? No, Hogwarts. Sapeva di poter arrivare alla soluzione, Hugo! Era bravo a trovare risposte. E se fosse riuscito a scoprire il mistero che si celava dietro la scuola? Avrebbe forse potuto trovare un modo per riaprire i cancelli. Fu allora, seduto su un gradino della grande scalinata principale, che l'illuminazione avvenne. Si trovava in compagnia di Fawn, una delle tante personalità grifondoro che grazie ai cugini era entrata a far parte della sua vita: con Fawn si era da subito trovato bene, grazie a quel suo carattere scoppiettante che riusciva a star dietro alle idee del corvonero. « Ma certo..! » esclamò, schioccando le dita della mano destra. Eureka, bitches! Fawn gli rivolse un'occhiata interrogativa, come quasi tutti facevano quando Hugo balzava ad una conclusione con la sua solita, proverbiale fretta. « Senti, Fawn: Hogwarts è una fortezza, può essere blindata.. me l'ha detto mamma, lei l'ha visto. Ma questa volta è successo in modo strano, oltre al fatto che nessuno l'ha veramente blindata, l'ha fatto da sola! E.. ok, non ho idea del perché o del come. Non so niente. Ma.. il preside Kingsley.. ricordi perché ci ha mandati al campo estivo? Per "lavori di ristrutturazione". » Mimò le virgolette con entrambe le mani, per enfatizzare il concetto ormai chiaro a tutti che Eddy King non avesse semplicemente passato la cera sui pavimenti per tutta l'estate. « E allora ho pensato: chi è che è esperto della storia di Hogwarts e al tempo stesso era qui quest'estate? » I quadri? I fantasmi? Sì, loro erano i candidati migliori, oltre che la risposta più ovvia, ma già alcuni studenti avevano riferito come fossero totalmente irrequieti. Perfino la Signora Grassa, da non credere!
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    « ...i centauri, Fawn. » La Grifondoro lo guardò come se l'amico fosse impazzito, ed effettivamente lo sembrava davvero mentre scattò in piedi e iniziò a marciare verso il grande portone d'ingresso. I centauri, Hugo? Sei serio? Oh sì, serissimo. Non era mai stato così serio in vita sua.

    Di far restare la grifondoro al castello non c'era stato verso, malgrado avesse provato a usare lo stesso tono che Rudy usava con lui. Per poco Fawn non l'aveva mandato al diavolo, e come darle torto? Tra i due, l'animo impetuoso era lei! Hugo al contrario era la mente, e il suo cervello sì che stava macinando idee su idee, mentre i due ragazzi si facevano strada verso la Foresta Proibita e il sole iniziava a calare sul secondo giorno chiusi dentro quella trappola mortale. « Sono creature estremamente orgogliose, i centauri, ma sono intelligenti e lungimiranti. » O almeno così aveva studiato! E poi sua madre gli aveva raccontato di Fiorenzo, un nobile centauro che aveva insegnato loro la Divinazione quando erano ancora studenti. Da lei aveva imparato che non sono creature malvagie sebbene, proprio come tra gli uomini, anche tra loro esista il male. « Lo sapevi che sono dei divinatori formidabili? Magari avevano previsto tutto.. » commentò, abbozzando un sorriso per cercare di sdrammatizzare. E solo il cielo sapeva quanto ne avevano bisogno, mentre si avventuravano nel fondo della Foresta, tanto da costringerli ad illuminare le bacchette con un Lumos appena mormorato. Era meglio fare in fretta, se Rudy avesse scoperto che si era andato volontariamente a ficcare nella Foresta Proibita, che è già pericolosa di per sé, l'avrebbe sbranato.. letteralmente, a quanto pare. E Fred? "Ma evita di farmi incazzare di nuovo e farti male, che poi chi la sente tua sorella.", gli aveva detto. Hugo aveva promesso, ma mentre superava alte radici cercando di seguire il sentiero tracciato, non era più tanto sicuro della parola data. Neppure si accorgerà che manco, è troppo impegnato con Mun. Ah, ma che diavolo andava a pensare? Non avrebbe certo voluto giocare la carta della gelosia! Fu il fato a venirgli in aiuto e scacciare via quel pensiero molesto.. un fato beffardo, che si manifestò quando la luce proveniente dalla bacchetta iniziò a tremolare, fino a spegnersi per qualche secondo. Un brivido gli percorse la schiena, mentre si voltava verso Fawn. « Questo.. non ha senso. Anche la tua l'ha fatto? » Le loro bacchette presero a comportarsi come torce le cui batterie iniziavano a perdere colpi, fino a che tutto torno normale. Tranquillo, almeno apparentemente. « Ok, forse non ho avuto l'idea del secolo.. torniamo al castello, che dici? Magari torniamo domani, con la luce. Cacchio, sto gelando.. perché fa così freddo, improvvisamente? » Il fiato del ragazzo condensò di fronte alle labbra pallide. Ti prego, fa che non ci siano Dissennatori. Tutto tranne i Dissennatori! Qualunque cosa stesse succedendo, istintivamente, non gli piacque affatto. « Al diavolo i centauri, andiamocene. »

    Buona fortuna, Hugo.


    Edited by brainstòrming - 7/11/2017, 00:50
     
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    Dire che quei giorni fossero stati frenetici, sarebbe stato davvero riduttivo. Quella che doveva essere una serata divertente, era diventata l'equivalente dell'inferno; un omicidio, quello dannato specchio e poi non ci si era più capito nulla. Se non una cosa, la quale - ovviamente - era rassicurante più o meno come una condanna a morte: erano in trappola. E la sensazione le piaceva più o meno quanto le sarebbe piaciuta una condanna a morte. Forse perché nella testa della grifondoro ne era l'equivalente. Non aveva mai sopportato starsene con le mani in mano, ed era proprio per questo che aveva scacciato il pallido tentativo di Hugo Boss Weasley di farla restare al castello come si farebbe con una mosca molesta. Prima di tutto, qualsiasi cosa volesse dire a riguardo, andare in giro da solo in quella situazione era saggio più o meno quanto pensare di far visita ad un drago affamato ed uscirne illesi. Poi, comunque, tutto si poteva dire tranne che la Byrne fosse il tipo di persona che lasciava che i suoi amici andassero all'avventura senza di lei. Soprattutto quando l'alternativa era quella di girarsi i pollici. Non lo sopportava proprio. Per quanto lo negasse persino a sé stessa, quanto successo al ballo l'aveva scossa. Lo specchio le aveva dato della fallita e quell'immagine continuava a tornare. Tornava nei momenti meno opportuni, in particolar modo quando non era il caso di pensarci. Di parlarne non esisteva neppure l'ipotesi perché a chi sarebbe mai importato in una situazione come quella, con una tensione nell'aria che pareva burro e si poteva letteralmente tagliare a fette? A nessuno importava abbastanza. Erano tutti delle vittime in quel momento, sarebbe stato idiota anche solo pensare che i tormenti interiori avessero una qualsiasi rilevanza. E così aveva deciso di fare, fare qualunque cosa pur di tenere la testa occupata e non stare a guardare. Non sapeva ancora cosa, quale strada intraprendere di preciso, ma dubitava che qualcuno in quel castello avesse le idee più chiare di quanto non le avesse lei. Così, quando Hugo aveva avanzato la proposta, quel tentativo pallido di cui prima, per quanto avesse apprezzato l'impegno, il cipiglio ed il tono fintamente autoritario, non aveva potuto che incrociare le braccia al petto, alzare un sopracciglio e battere il piede a terra, prima di uscirsene con: «Fammi capire, Boss: prima mi fai tutto quel pippone sui centauri, mi fai esaltare e poi pretendi che ti aspetti a casa? Magari vuoi anche che mi metta a tessere? Mi sento in dovere di ricordarti che il mio nome è Fawn, non Penelope. E soprattutto che non abbiamo un cane.» E non senza una generosa dose di sarcasmo. Per amor di verità, c'era da ammettere che il corvonero avesse provato a ribattere, ma lei aveva deciso di ignorarlo e basta. A quel punto era diventata una questione di principio: o ci si andava assieme, o entrambi restavano al castello a fare le allegre comari. Siccome nessuno dei due sembrava intenzionato ad aprire un club di taglio e cucito, si poteva dire che il loro destino fosse già segnato. E che la strada verso la foresta fosse l'unica che potessero intraprendere.

    [...] « Sono creature estremamente orgogliose, i centauri, ma sono intelligenti e lungimiranti. Lo sapevi che sono dei divinatori formidabili? Magari avevano previsto tutto.. » Si stavano addentrando tra gli alberi e Fawn si stava rendendo conto che stesse per fare buio. Un campanello d'allarme, il primo. Avrebbe anche detto qualcosa a riguardo, ma Hugo distolse la sua attenzione parlandole di una delle poche cose capaci di catturare la sua attenzione in maniera totale: le creature magiche. Le erano sempre piaciute, benché non fossero in molti a saperlo, e annuì abbozzando un mezzo sorriso alle parole dell'amico. «E sono anche degli arcieri formidabili: faremmo bene a non ferirlo, quel loro orgoglio. E se l'hanno previsto come dici tu, allora dobbiamo pensare alle domande che vogliamo fare. Parola sbagliata al posto sbagliato e possiamo salutare per sempre la risposta.» Lo disse con tono leggero però, quasi non esistesse neppure l'eventualità che sbagliassero qualcosa. In fondo si fidava del blu-bronzo, ed era fermamente convinta che in qualche modo se la sarebbero cavata. Non erano certamente idioti. E forse quella di andare in giro a bazzicare per la foresta proibita al calar della notte non era stata la migliore delle idee sulla faccia della terra, forse, ma c'era anche che due cervelli fossero sempre meglio di uno, e... e merda. Quando la luce delle bacchette aveva preso a tremolare, aveva sentito qualcosa - un lungo brivido, ecco cosa - correrle lungo la schiena. Non era un buon segno. Non era per niente un buon segno. Come non lo era quel freddo, e sì che le temperature erano calate ovunque, ma quel momento non le piaceva proprio per niente.
    « Ok, forse non ho avuto l'idea del secolo.. torniamo al castello, che dici? Magari torniamo domani, con la luce. Cacchio, sto gelando.. perché fa così freddo, improvvisamente? Al diavolo i centauri, andiamocene. »
    Annuì alle parole di Hugo. Scelta saggia, non avrebbe avuto senso mettersi a ribattere. Restare, ora come ora, sarebbe stato l'equivalente di offrirsi volontari per una missione suicida: « Non lo so e non mi piace, diamine se non mi piace.» Sibilò tra i denti, stringendo la bacchetta con più forza quasi quella stretta potesse alimentarne la magia, innescando un meccanismo misterioso. Dannazione: l'aveva avuta indietro appena qualche giorno prima, subito dopo il disastro, e non poteva credere che la stesse abbandonando. Non poteva, non doveva essere danneggiata. Dire che avessero fatto dietrofront con la velocità di un giocatore di quidditch che schiva un bolide, sarebbe stato davvero un eufemismo. E avevano imboccato la strada del ritorno, stavano percorrendo il sentiero passo per passo, quando successe la prima cosa strana. La Byrne stava cercando di non far caso agli alberi, che parevano improvvisamente più alti, più spogli e più minacciosi, quando i rami di due di questi si mossero come scossi da una folata di vento. Il punto, però, era che non ci fosse stata proprio nessuna dannata folata di vento. Non c'era niente nell'aria; c'era, anzi, così tanto silenzio che le sembrava quasi di sentire i loro rispettivi cuori battere all'impazzata. La sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, storto, si stava trasformando in certezza ad ogni secondo che passava. Ad ogni millesimo di secondo, la probabilità di essere nella merda fino al collo diventava una consapevolezza. E quella vista, fosse anche stata un'allucinazione da panico, non era stata certo d'aiuto. «Dimmi che non l'hai visto anche tu e che sto solo uscendo di testa.» Aveva portato lo sguardo su Hugo sperando in una scrollata di spalle e un "cosa, Fawn?". Improvvisamente, la prospettiva di essere matta da legare non era nemmeno una così brutta prospettiva, sicuramente meno sinistra di qualsiasi fosse l'alternativa. Non voleva nemmeno chiederselo. Pescò qualcosa dalla tasca del cappotto con la mano libera, quella che non era impegnata a stringere convulsamente la bacchetta: una bussola. Era uno stupido portafortuna, qualcosa che non ricordava nemmeno chi le aveva regalato a Natale un paio d'anni prima; si sentì il sangue gelare quando si rese conto che aveva la lancetta impazzita. Puntava... no, non puntava nemmeno. Andava in tutte le direzioni e basta, non importava che loro ne stessero seguendo una ben precisa. La ficcò in tasca, poi riportò lo sguardo sul corvonero: «Pensiamo ad uscire in fretta di qui e informiamo tutti che nemmeno le bussole funzionano più. Mi auguro che tutti conoscano i punti cardinali.» Aveva cercato di sdrammatizzare, ma non poteva negare a sé stessa che, insieme a quella nuvoletta di fumo bianco, avesse sentito un po' d'anima uscire dal corpo.

    [...] Erano usciti dalla foresta e ormai costeggiavano la rive del Lago Nero, seppure a debita distanza. Era stata una decisione presa di comune accordo: prendere un po' d'aria avrebbe sicuramente fatto bene ad entrambi. Era buio, certo, ma erano abbastanza lontani dall'acqua e comunque lei non aveva nessuna voglia di rientrare. Voleva capire cosa di preciso fosse successo nella foresta e soprattutto dovevano accordarsi su un piano d'azione. Cosa dovevano fare a quel punto? Raccontare a qualcuno quanto era successo, magari portarsi dietro altra gente alla spedizione mattutina? Lasciar perdere? Le domande erano milioni e si accavallavano l'una sull'altra come le onde di un mare in tempesta. Le più pressanti, però, almeno per Fawn erano: cos'era successo alle loro bacchette? Era possibile che le avessero manomesse in qualche modo? Il nucleo poteva aver risentito di tutto quel casino? Ma soprattutto: perché diamine si gelava ancora così tanto?
    «Allora: sappiamo che anche la foresta è un problema e non abbiamo visto centauri. Non abbiamo visto niente. Le bacchette si sono comportate in modo strano. Fa freddo come fossimo in Antartide. E...» Si guardò attorno. C'era un silenzio schiacciante, quello che non era mai andato via, nemmeno quando erano finalmente usciti da quel luogo del demonio che era la foresta proibita. «...perché in giro non c'è nessuno tranne noi?» Sì che non era esattamente mezzogiorno, e forse non era il caso di gridare al lupo, ma dannazione. Ancora non si spiegava quella sensazione di panico nascente che non l'aveva mai abbandonata. «Forse dovremmo tornare dentro e... hai sentito anche tu?» Si era levato come un mormorio, un coro di voci indistinte e lontane, ma ugualmente prepotenti. Più o meno come quando avvicini una conchiglia all'orecchio e senti il mare, o credi di sentirlo, solo che lei aveva sentito le voci. Ed erano lontane e suadenti, ma non sembravano distanti abbastanza da farla sentire al sicuro. Fu un istinto quello di afferrare la mano del compagno e dire: «Andiamocene. E non perdiamoci di vista.»

    Edited by ocean eyes - 15/11/2017, 20:48
     
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    « Non lo so e non mi piace, diamine se non mi piace.» Esattamente quello che avrebbe detto Hugo se fosse stato al suo posto. Non lo so. Non erano forse là per quello, per cercare di diradare almeno un poco la foschia di impenetrabile dubbio che sembrava calata su Hogwarts dalla morte del preside Kingsley? E invece, ad ogni passo fatto verso il fondo della foresta, nuove domande sorgevano. Con esse, nuove inquietudini. Una su tutte stava iniziando a prendere piede, man mano che Hugo e Fawn marciavano a ritroso nel sentiero che li aveva condotti fin là: c'era qualcosa che all'attenzione di Hugo e della sua mente sveglia non tornava, ma non riusciva esattamente a capire cosa. E' la classica sensazione di quando vorresti dire qualcosa che ti rimane appigliata sulla punta della lingua, quando hai qualcosa sotto il naso che proprio non riesci a vedere. Aveva la risposta davanti agli occhi, il giovane Corvonero: in ogni tronco più spoglio e smilzo del normale, in ogni foglia che cadeva a terra con una lentezza innaturale, in ogni particella di polvere che innaturalmente riempiva l'aria. Ma quella risposta non sembrava essere capace di afferrarla a pieno, gli scivolava tra le dita mentre tentava di acciuffarla.. non ricavando altro che frustrazione. « Dimmi che non l'hai visto anche tu e che sto solo uscendo di testa. » Strabuzzò gli occhi, Hugo, voltandosi verso la grifondoro e quindi verso il resto della foresta. Intorno a loro non c'era niente; né uno dei tanto sperati centauri, né creature magiche né altre persone. Un vuoto innaturale li circondava, seppur Weasley avesse la fastidiosissima sensazione di essere osservato, costantemente. « Nope. » tagliò corto, accelerando il passo accanto all'amica. Da una parte non aveva senso lasciarsi prendere dal panico per qualcosa di cui non erano sicuri ma per cui - ne era certo - doveva esserci una logica spiegazione; dall'altra aveva quasi paura di lasciarsi prendere dal panico, mentre poco a poco quel non-so-che sulla punta della lingua iniziava ad arrivare alla coscienza, quel qualcosa davanti agli occhi iniziava a prendere forma. La forma che stava prendendo, tuttavia, gli piaceva sempre di meno. Rallentò il passo quando si accorse che Fawn era rimasta indietro, gli occhi di lei intenti a fissare un piccolo oggetto tra le sue mani. Una bussola. « Pensiamo ad uscire in fretta di qui e informiamo tutti che nemmeno le bussole funzionano più. Mi auguro che tutti conoscano i punti cardinali. » Assottigliò gli occhi, incamerando una nuova informazione. Un nuovo tassello del puzzle. Le bussole non funzionano. Proprio come i cellulari, come aveva - tristemente - potuto constatare quando erano ancora al castello. La tecnologia babbana aveva fatto sempre un po' a pugni con la magia, questo oramai era assodato.. ma perfino il magnetismo terrestre veniva ostacolato? La preoccupazione sul viso di Hugo lasciò il posto ad un sorriso forzato, per non appesantire ulteriormente una situazione già di per sé oppressiva. « La settimana scorsa ho dovuto far rivedere ad Andres la maledizione delle pastoie perché l'aveva completamente dimenticata.. le mie speranze sono crollate da quel giorno. » ridacchiò insieme a lei, mentre la sua mente ritornava ad un Andres Weiss intento a gracchiare Locomotor Mortis per venti minuti buoni, con quel suo duro accento tedesco e l'espressione perennemente confusa nei grandi occhi dolci. Aveva voglia di rivederlo, di parlargli, di capire di più della sua condizione di lycan. Aveva voglia di stargli accanto. E aveva voglia di uscire da quella maledetta foresta.

    [...] Il corvonero camminava avanti e indietro sulla riva del lago, con le braccia strette al petto per riscaldarsi dentro la grande felpa blu acceso che indossava. Lasciatisi alle spalle gli alberi della Foresta Proibita, ad attendere i due studenti era stata una fitta notte senza stelle, lugubre tanto quanto la foresta stessa e allo stesso modo pregna di un silenzio pesante. Tangibile. Erano sei anni che Hugo bazzicava da quelle parti e mai prima aveva avvertito una sensazione simile al castello, perfino di notte! A Hogwarts ad ogni ora del giorno e della notte c'era vita, fosse essa derivante dal chiacchiericcio degli studenti nei corridoi, dal vociare dei quadri, dal lontano scalpitare del Platano Picchiatore nella radura. Di tanto in tanto anche allora poteva sentire rumori a smorzarlo, quel silenzio pesante, ma non era nulla che Hugo riusciva a ricollegare a qualcosa di già sentito. Fu allora che si bloccò, come fulminato dalla rivelazione che aveva cercato nei lunghi minuti di fuga dalla Foresta, là dove i suoi occhi agili avevano setacciato in lungo e in largo alla ricerca di una risposta. Ma certo. Ecco qual era il dettaglio che gli era sfuggito, il non-so-che sulla punta della lingua, il qualcosa davanti agli occhi. Qualcosa è diverso. Tutto è uguale, ma c'è comunque qualcosa di sbagliato. Fawn prese la parola, iniziando un brainstorming di cui anche Hugo aveva disperatamente bisogno. Pensare a voce alta lo aiutava a concentrarsi. « Allora: sappiamo che anche la foresta è un problema e non abbiamo visto centauri. Non abbiamo visto niente. Le bacchette si sono comportate in modo strano. Fa freddo come fossimo in Antartide. E... perché in giro non c'è nessuno tranne noi? » Esatto, Fawn! Perché in giro non c'è nessuno tranne noi? Erano soli, in una maniera innaturale, come se nessun'altra forma di vita fosse presente in una bolla di universo nel quale si erano ritrovati. Folle anche solo da concepire, come idea astratta.. ben lontana dalla consapevolezza. Aveva ancora bisogno di tempo per pensare, aveva bisogno di altri tasselli da collegare, per formare un quadro che stava iniziando ad assumere tinte fosche, innaturali. Impossibili. «Forse dovremmo tornare dentro e... hai sentito anche tu?» Hugo scattò, voltandosi verso il lago con la bacchetta accesa alzata e un lungo brivido a corrergli lungo la schiena. « Sì Fanny... stavolta ho sentito anch'io. » e non gli era piaciuto affatto, come se qualcosa avesse iniziato a strisciare verso di loro. Era tutto vero o frutto di un'immaginazione ballerina? Da quanto non facevano un pasto decente o una bella dormita? L'ultima che ricordava risaliva a prima del ballo, quando il problema più grande era il litigio con Fred o l'imbarazzo di essere all'altezza di Scout e della sua bellezza. Si allontanò più che poté dalla riva, accogliendo molto volentieri l'invito della grifondoro a tornare dentro il castello, cosicché istintivamente vi alzò gli occhi, verso la grande ombra scura che si stagliava in lontananza sulla collina. Si pietrificò, alzando la bacchetta per indicare anche a lei ciò che aveva visto: nulla. « Il castello.. è spento. Non c'è neanche una luce. » Perfino durante il caos la luce aveva continuato a risplendere, perfino quando Hogwarts si era blindata le torce erano rimaste accese. Ciò che i due avevano davanti era un grosso blocco nero, senza vita né anima. Fu in quell'esatto momento, di fronte ad una Hogwarts palesemente priva di vita, che il cuore iniziò a martellargli forte nel petto: perché era tutto buio? Dov'erano finiti tutti? Rudy, Fred, Malia, Albus, Andres. Sua sorella. I suoi cugini. I suoi amici. Che diavolo ne era stato di loro? Che diavolo ne è stato di noi? « Non era la foresta il problema. E'.. tutto. E' successo qualcosa. » Ma non so cosa. Non ancora. Qualunque cosa stesse accadendo, era dentro il castello che avrebbero trovato la risposta che cercavano, se lo sentiva dentro. Un altro suono, in lontananza, fece scattare Fawn tanto da farle afferrare la mano del corvonero, che egli strinse a sua volta: non avrebbe fatto male, un po' di reciproco coraggio. Se la Byrne era spaventata, proprio lei!,
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    Hugo sentiva il sangue gelarsi nelle vene. Tuttavia un feroce moto di curiosità lo spinse a muovere i primi passi verso il castello, mano nella mano con la grifondoro, lontano da qualcosa che a loro insaputa aveva iniziato a strisciare verso di loro e così tutt'intorno. C'era vita, là fuori.. ma non nel senso che avrebbero immaginato. Qualcosa di totalmente diverso da ciò a cui erano abituati. Alle loro spalle, il cielo tuonò investendoli di una luce rossa come il fuoco: nelle vibrazioni che fecero tremare le loro ossa e i loro cuori, c'erano le conferme di cui avevano bisogno, una certezza di pericolo a cui non erano preparati. C'era paura.

    « RUDY! TALLULAH! » La voce di Hugo rimbombò lungo il salone d'ingresso del castello di Hogwarts, completamente buio e deserto. Sentì l'eco propagarsi sopra le scale, correre lungo i corridoi per poi disperdersi nel vuoto. Esattamente come loro. Il castello di Hogwarts appariva agli occhi di Hugo e Fawn esattamente come lo conoscevano, sebbene non vi fosse nulla dell'arredamento che Edmund Kingsley aveva confezionato per il ballo di Halloween. I divanetti all'ingresso erano spariti, così come il porticato fuori dai portoni spalancati della scuola. In un primo momento, Hugo ebbe l'impressione che il castello fosse abbandonato, perché ovunque - sui muri e nella scarsa mobilia rimasta - lunghi tralci e radici avevano preso il spazio. Ovunque si voltasse, il corvonero non vedeva altro che desolazione e oscurità, non sentiva altro che il proprio cuore battere sempre più velocemente. Si avvicinò alle scale, proprio là dove era iniziato tutto. Quella stupida idea dei Centauri. Sono un idiota. Si sedette su un gradito, unendo entrambe le mani e portandole davanti al viso. « E' successo qualcosa e non ce ne siamo neppure accorti.. » mormorò, confuso, guardandosi intorno per poi fissare Fawn. « Siamo a Hogwarts ma.. questa non è Hogwarts. Centinaia di persone non possono sparire di punto in bianco, ma... » ..ma, non ci capisco niente. Intrecciò le dita tra loro, per evitare che le mani iniziassero a tremare in preda ad una viscerale paura che aveva iniziato a montargli dentro. « Sherlock Holmes diceva una cosa che mi ripeto sempre. Diceva: "Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, dev'essere la verità." E' il mio mantra, tipo.. » e lo ripeté ancora una volta, mentalmente. Di solito lo aiutava a distendere i nervi e rilassare la mente, alla ricerca della soluzione più logica. « ...ma l'impossibile ora non può essere eliminato. Non sono solo le persone, anche gli arredi sono spariti. Tutto è uguale, ma diverso. Ho avuto questa sensazione anche nella Foresta. Era uguale al solito, ma.. ad un tratto, non lo è stato più. » La Foresta. Era successo qualcosa là dentro, di inspiegabile ai suoi occhi che tutto analizzavano alla luce della logica e della razionalità. « E' successo qualcosa di impossibile, Fawn. » Impossibile, sì.. come il lamento gutturale che salì all'improvviso dalle scale che, poco lontane da loro, scendevano verso i sotterranei del castello. Non era stato un ringhio, non un ruggito né un ululato. Non era stato nulla che Hugo avesse mai sentito in vita sua e glielo si lesse sul viso improvvisamente pallido. « Dobbiamo capire cosa sta succedendo.. e dobbiamo farlo lontano da là. » Era l'unica cosa certa al momento.
     
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    « Il castello...è spento. Non c'è neanche una luce. Non era la foresta il problema. E'... tutto. E' successo qualcosa. » Fawn Byrne non era una persona che si perdesse d'animo facilmente. Si poteva dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, il suo spirito competitivo la spingesse a vedere le situazioni difficili come una sfida e, di conseguenza, a cercare di uscirne a testa alta, ed il più in fretta possibile. Tuttavia, le costava una fetta d'orgoglio non indifferente ammetterlo, l'attuale non era una situazione che avesse previsto. E la paura cominciava a farsi largo a spintoni. Nemmeno nel peggiore dei suoi incubi, si sarebbe mai sognata di vedere Hogwarts così. Neanche nei suoi peggiori momenti, il castello le aveva mai fatto angoscia. Eppure, vederlo torreggiare in maniera tanto sinistra su di loro la faceva sentire piccola e vulnerabile. Non poteva, quindi, far altro che dar tacitamente ragione all'amico. Era tutto, il problema. E questo rendeva la situazione ancora meno rassicurante di quanto già non fosse. Si vergognava da morire del terrore viscerale che aveva addosso, ma non riusciva proprio a scacciarlo; se poi ci si mettevano anche il freddo, la nebbia e quella solitudine innaturale, altro che rosso-oro: avrebbero a breve dovuto inventare una Casa solo per lei, possibilmente pensata per i deboli di cuore. Aveva sperato che raggiungere la struttura in sé, entrare a scuola avrebbe riacceso un barlume di speranza. Invece, incredibile ma vero, fu come un pugno allo stomaco: sembrava un cimitero. Sembrava morta. Mosse qualche cauto passo nel salone d'ingresso guardandosi attorno; qualcosa, dentro di lei, le diceva di fare attenzione, come se qualcuno la stesse osservando. Non aveva senso, ma si sentiva più occhi addosso di quanti non avrebbe dovuto. In teoria, lì dentro c'erano soltanto lei e Hugo, ed erano a casa; nella pratica, aveva la netta sensazione che fossero stati catapultati nella giungla notturna e che ci fossero per giunta diversi predatori pronti a balzare su di loro, se solo avessero fatto un passo falso.
    «Odio doverlo ammettere, ma non credo che tornare abbia risolto le cose.» Raggiunse l'amico e gli si sedette accanto. Nessuno dei due era tranquillo, ma a Fawn sembrava quasi di riuscire a vedere gli ingranaggi del cervello di Hugo che giravano, nel disperato tentativo di capirci qualcosa.
    «E' successo qualcosa e non ce ne siamo neppure accorti.. Siamo a Hogwarts ma.. questa non è Hogwarts. Centinaia di persone non possono sparire di punto in bianco, ma... » La grifondoro fece una smorfia. A quanto pare... Si scostò una ciocca di capelli dal viso con un gesto più rapido, nervoso persino, del solito. Tutta quella situazione sembrava frutto dell'immaginazione di un qualche sadico. Roba che Saw diventava un film per bimbetti dell'asilo. « Sherlock Holmes diceva una cosa che mi ripeto sempre. Diceva: "Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, dev'essere la verità." E' il mio mantra, tipo....ma l'impossibile ora non può essere eliminato. Non sono solo le persone, anche gli arredi sono spariti. Tutto è uguale, ma diverso. Ho avuto questa sensazione anche nella Foresta. Era uguale al solito, ma.. ad un tratto, non lo è stato più. E' successo qualcosa di impossibile, Fawn. » Annuì. Quello che Hugo aveva appena esplicitato, era un concetto che le girava in testa da quando la bussola aveva smesso di fare il suo lavoro, più o meno. Poi aveva visto - adesso non si sentiva più tanto pazza - quell'albero muoversi, e da quel momento la situazione aveva cominciato a precipitare in maniera irreversibile. Hugo aveva ragione e, la Byrne ci avrebbe giurato, il pallore sul viso di lui era soltanto lo specchio di quello di lei. Poteva fare la dura quanto le pareva e piaceva, ma aveva addosso una paura mai provata prima ed era ben conscia di poterlo nascondere fino ad un certo punto. Sobbalzò. Cosa diamine...? Quel rumore, quel verso, di umano non aveva niente. Era quanto di più orribile le fosse mai giunto alle orecchie, e non si fece problemi ad assecondare il giovane corvonero, tutt'altro. Balzò in piedi di riflesso, guardando verso l'alto, verso la rampa di scale. Mettere un paio di piani tra loro e qualsiasi cosa avesse emesso quel suono, le sembrava un ottimo inizio. Da persona pratica qual era, la giovane si limitò a fare un rapido cenno al compagno per invitarlo a seguirla di sopra, prima di schizzare su per le scale. Una, due, tre, quattro rampe di scale tra loro e il pian terreno. Tra loro e quella cosa, sempre che fosse una cosa e non stessero salutando la loro sanità mentale. Solo quando si sentì al sicuro, circa, si fermò in un corridoio e, appiattitasi contro il muro di pietra, guardò Hugo. Nello sguardo della bionda c'era paura, sì, ma c'era anche una certa determinazione. Non dovevano perdere la speranza, e le sembrava che l'unico modo per farlo fosse, paradossalmente, evitare di soffermarsi a pensare. Per come la vedeva lei, non importava tanto dove fossero né come ci fossero finiti: contava che in quel momento, quel luogo stava giocando con le loro teste. E sembrava anche sapere quali tasti pigiare. E forse pensarla così la rendeva una folle, ma era stato lo stesso Weasley a dire che fosse successo qualcosa di impossibile, no? «Sai cosa?» Cominciò, il respiro leggermente affannato per via della corsa. «hai ragione tu, questa non è Hogwarts. Questa è la scuola che avremmo se un dissennatore e un molliccio si mettessero in società e decidessero di farne un' escape room Si passò una mano sul volto e represse un sospiro angosciato, poi continuò: «è chiaro che l'uscita non stia dov'era l'entrata, ma solo perché altrimenti saremmo già usciti. Non... non so che altro proporre se non comportarci come ci comporteremmo in un'escape room, appunto. Cerchiamo un'uscita. Cerchiamo qualcosa che non sia....» le sfuggì un sospiro stanco, tremolante. Si sforzò comunque di abbozzare un sorriso incoraggiante. Con tutta probabilità non sarebbe servito a molto - Hugo non era certamente un idiota, sapevano entrambi di essere in una situazione che puzzava di marcio a dir poco - tuttavia, almeno, non erano soli. Certo, non era granché, ma due teste erano meglio di una, no? Lei, comunque, non si pentiva di averlo accompagnato e sperava che almeno questo messaggio gli arrivasse. Che capisse che fosse anche per questo motivo che stava cercando con tutta sé stessa di non perdersi d'animo. «...che non sappia di trappola insomma. Che ci faccia sentire più al sicuro.» Era più che consapevole che si trattasse di una proposta difficile, un qualcosa di facile a dirsi ed estremamente difficile a farsi. Lo sapeva perché aveva paura e voleva soltanto che qualcuno, chiunque balzasse fuori e dicesse che era tutto uno scherzo. A ben pensarci, anche svegliarsi e scoprire che si fosse trattato solo di un incubo sarebbe certamente stato bellissimo. Le faceva male il cuore, aveva paura le sarebbe balzato fuori dal petto da un momento all'altro, tanto era il terrore che aveva addosso. Nonostante ciò, però, doveva almeno provarci. Doveva almeno provare a non lasciarsi accecare dalla sua stessa paura: se l'avesse fatto, si sarebbe raggomitolata in un angolo e avrebbe solo atteso la sua fine. E no, non poteva assolutamente permetterselo. E di conseguenza doveva accertarsi che Hugo non lasciasse che la paura ottenebrasse la sua mente. Era una delle persone più intelligenti che conoscesse, una delle più brillanti. E a modo suo gli voleva anche bene, per cui quello di uscirne vincitori era un dovere morale. Gli fece un cenno, prima di invitarlo a seguirla lungo il corridoio. I loro passi erano leggeri e cauti; il corridoio, invece, buio ed inquietante. Estremamente inquietante. Sembrava che qualcuno, qualcosa fosse pronto ad uscire da una parete, afferrarli e trascinarli via. Si sentiva ancora decine di occhi addosso benché sapesse, almeno razionalmente, che non ci fosse anima viva, a parte loro due. Che quest'ultima non fosse una consapevolezza piacevole, era tutta un'altra storia. E non era il momento di raccontarla.

    Non era passato molto tempo da quando avevano imboccato il corridoio. C'era quello stesso silenzio schiacciante di prima, ma Fawn sentì improvvisamente ancora più gelo addosso benché non lo credesse possibile, non a quel punto. E un rumore. Come di qualcosa che strisciava. No, non stava nemmeno strisciando: era come se, qualsiasi cosa fosse a produrlo, si stesse trascinando molto lentamente nella loro direzione. E udì anche un respiro pesante da qualche parte alle loro spalle, un respiro pesante e gutturale, quasi qualunque cosa lo stesse emettendo, quel suono, fosse pronta ad iniziare a ruggire da un momento all'altro. Era come essere circondati da belve. Forse lo erano davvero, non poteva e non voleva saperlo. Guardò prima Hugo, poi uno dei corridoi laterali che, forse, sarebbero riusciti a raggiungere in tempo. Forse. Se quella cosa non li avesse raggiunti prima. E se l'altra, quella che aveva ringhiato, non fosse saltata loro addosso. Gli occhi già spalancati per il terrore, si fecero se possibile ancora più grandi quando vide un tentacolo - o era solo una zampa enorme e molto brutta? - sbucare in lontananza. Non aspettò di scoprire di che genere di creatura si trattasse: afferrò Hugo e se lo trascinò dietro, nel suddetto corridoio laterale. Per la seconda volta nell'arco di pochi minuti, si appiattì contro un muro in pietra. Per la seconda volta quel giorno, tirò fuori la bacchetta. Le tremavano le mani e non era certa le avrebbe obbedito, ma se quegli esseri fossero venuti a prenderli, doveva almeno far finta, no? Strinse l'altra a pugno, così forte da sentire le unghie conficcarsi nella carne e le nocche diventare bianche. Doveva essere pallida come una morta.
    Non sapeva cosa fare e aveva paura. Tutti i buoni propositi erano appena andati a farsi fottere.
    «Che facciamo?» Chiese al corvonero a voce bassissima. Era una domanda piuttosto stupida, lo sapeva. Come sapeva che fare piani fosse inutile perché era quasi certa che quel posto, la scuola o quel che era, fosse quasi certamente più forte di loro. Ma... ma cosa dovevano fare? Disperarsi sul serio? Lasciar andare l'istinto di sopravvivenza e restare in quel corridoio laterale per sempre? Sperare che qualcuno li trovasse? E come, se nemmeno loro avrebbero saputo dire come c'erano finiti esattamente, lì dentro? Era una speranza stupida. Dovevano... dovevano anche solo fingere di avere un piano. Una vocina nella sua testa, che però stava diventando sempre più flebile, le diceva che fosse l'unica cosa da fare. Non doveva lasciarsi sopraffare dalla paura. Anche se non poteva ignorarla. Anche se stava tremando come una foglia. Dovevano continuare a cercare qualcosa pur non sapendo cosa stavano cercando, era il suo istinto di sopravvivenza a parlare.
    Poi sentì una voce, qualcosa di indistinto. E stavolta, ne era sicura, non era stato il suo istinto di sopravvivenza. Era troppo spettrale, troppo fredda e l'aveva sentita nella sua testa, o almeno così le era parso. Anche se aveva riecheggiato per il corridoio. Merda. Che cosa stava succedendo? Dov'erano finiti davvero?
     
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    Per una frazione di secondo, Hugo ebbe il timore che potesse concretizzarsi davanti ai suoi occhi un'eventualità a cui nemmeno avrebbe voluto pensare: quella che Fawn volesse comportarsi da Grifondoro. Faceva parte di quella che Hugo aveva spesso definitivo tra sé e sé "Sindrome di Hogwarts" e che colpiva pressoché ogni ragazzino, una volta che il Cappello Parlante gli si posava in testa durante la cerimonia dello Smistamento. Un minuto prima sei un normalissimo undicenne, un secondo dopo al Cappello è bastato pronunciare una sola parola per scatenare la Sindrome: era quello il motivo per cui, chissà come, sentirsi dire "Serpeverde" ti rendeva potenzialmente stronzo e "Grifondoro" un pazzo suicida. Quante volte aveva visto suo cugino Fred e i suoi compagni, perfino Malia, correre incontro al pericolo - fosse esso reale pericolo fisico come anche una banale punizione - senza pensarci due volte? Aveva tentato di razionalizzare il fatto - colpa della Sindrome, che l'aveva reso un cervellotico rompipalle? -, eppure Hugo non aveva trovato risposta. Per definizione, i Grifondoro volevano dimostrare al mondo intero di essere temerari, anche a costo di farsi molto male. E se Fawn avesse voluto dare un'occhiata in fondo alle scale dei sotterranei, solo per vedere da dove provenisse quel suono gutturale capace di gelargli le vene? Di certo non avrebbe potuto lasciarla andare da solo, era un corvo ma non un pollo!, eppure l'avrebbe fatto a denti stretti, maledicendo lei e sé stesso. Quando la bionda saltò in piedi e prese l'esatta direzione opposta, scalando velocemente la rampa di scale del Salone d'ingresso, tutti i pensieri del giovane Corvonero si armonizzarono per elevarsi in un unico e glorioso "Grazie al cielo". La seguì ben volentieri, accelerando il passo che a tratti pareva una vera e propria corsa, scalando il castello e risalendo le scale che erano sempre stati abituati a veder muoversi: neanche una di esse tentò di cambiare come piaceva loro fare, apparentemente morte proprio come tutto il resto. Uguali, ma diverse. Proprio come le luci, l'intero castello sembrava essersi spento e l'unica fonte di luce proveniva dalle vetrate, oltre le quali un cielo coperto di nubi rosso fuoco, in tempesta, non lasciava presagire niente di buono.. ma dopotutto, avrebbero trovato qualcosa di meglio dentro il castello? Man mano che passavano i minuti, era chiaro ad entrambi che, no, niente di buono era stato riservato loro. Fermarono la loro scalata al quarto piano, non lontano dall'ala dell'infermeria: non troppo in basso per restare vicini a qualunque cosa avesse emesso quel rantolo demoniaco, né troppo in alto per rimanere bloccare sulla cima di una torre, senza alcuna via di fuga. Fu in un corridoio qualunque che si fermarono, riprendendo fiato; il battere accelerato del cuore era dovuto allo sforzo fisico o ad una paura crescente, intestina e viscerale, che stava pervadendo entrambi? Perché Hugo poteva leggerlo negli occhi di Fawn, oramai così simili ai suoi. Non l'aveva mai vista spaventata da che ne avesse memoria.. e perché mai avrebbe dovuto? A Hogwarts lei non aveva niente da temere, era una coraggiosa Grifondoro. Ovunque si trovassero, in qualunque modo ci fossero finiti, le regole della scuola avevano perso qualunque validità. Niente più casate, nessuna Sindrome di Hogwarts. In un mondo in cui si rischia la vita, si riscoprirono per ciò che erano realmente: due ragazzini impauriti.

    «Sai cosa?» Mh? Hugo non riuscì a fermare i propri passi, iperattivo anche nel terrore. Camminava avanti e indietro per il corridoio, senza mai allontanarsi troppo dall'amica, contando mentalmente i passi per placare i pensieri contorti che gli ronzavano in testa.. con scarso successo. Aveva così tanto per la testa e così pochi strumenti per dirimere i propri dubbi. A confonderlo maggiormente, tuttavia, c'era l'emozione. Il proprio cuore riusciva a distrarlo, lo sentiva in gola e gli pesava tanto da far male. « hai ragione tu, questa non è Hogwarts. Questa è la scuola che avremmo se un dissennatore e un molliccio si mettessero in società e decidessero di farne un'escape room. » Annuì distrattamente, concedendole un veloce sguardo per assicurarsi che stesse bene, prima di continuare la propria marcia. Avanti e indietro, su e giù, per distendere nervi che accennavano a voler smettere di tendersi. Era pura elettricità il corpo di Hugo Weasley, pronto a scattare. « è chiaro che l'uscita non stia dov'era l'entrata, ma solo perché altrimenti saremmo già usciti. Non... non so che altro proporre se non comportarci come ci comporteremmo in un'escape room, appunto. Cerchiamo un'uscita. Cerchiamo qualcosa che non sia....che non sappia di trappola insomma. Che ci faccia sentire più al sicuro. » Rimase in silenzio, un silenzio cullato solo dal rumore dei passi del corvonero, senza prestarle apparente attenzione. Tuttavia, le parole di Fawn non erano rimaste inascoltate e furono proprio quelle a bloccare di colpo l'intero corpo di Hugo, mentre i suoi occhi nocciola si facevano via via più grande. Eccolo, il momento che aveva atteso, la rivelazione, l'epifania. « Un'escape room. » mormorò, un filo di voce ricolmo di interrogativi, confusione sì, ma anche tanta curiosità. Si avvicinò a lei, guardandola dritto negli occhi, prima di lasciarsi sfuggire un sorriso mite che via via s'allargava sul suo viso giovane. « Un'escape room! Sei un genio, Fawn Byrne! » Posò entrambe le mani sulle sue spalle, scuotendola con leggerezza e movimenti dolci, perché anche il suo animo ne venisse scosso almeno tanto quanto il suo. Non aveva una soluzione, nient'affatto, ma aveva una pista. « Ti ho detto poco fa che tolto l'impossibile, ciò che rimane per quanto improbabile dev'essere la verità. E se l'impossibile potessimo toglierlo? Rimarrebbe l'improbabile e.. cacchio se è improbabile! La conosci la teoria delle bolle? » Una delle solite domande retoriche di Hugo Weasley. Si tastò velocemente i pantaloni, prima di ricordare di aver messo la bacchetta nella tasca anteriore della felpa. Con quella, disegnò sul muro di pietra un cerchio, che magicamente prese a brillare di una tenue luce rossa. « Questo è il nostro universo, quello che conosciamo.. quello in cui eravamo. E questo.. » disegnò un altro cerchio, tangente al primo, che si illuminò di un blu freddo. « ..è un posto che non conosciamo, che non dovremmo neppure conoscere. La teoria delle bolle dice che lo spazio ribollisce a causa di fluttuazioni di energia e transizioni di fase creando quella che alcuni scienziati chiamano "schiuma quantistica". Da questa "schiuma" nascerebbero delle bolle, che conterrebbero il nostro universo, questo, mille altri. Un multiverso. No? Mai sentito? » Evidentemente Hugo era stato l'unico tra i due a fare le tre di notte navigando in siti di dubbia valenza scientifica, pieni zeppi di teorie complottistiche, avvistamenti alieni e mille altre bizzarrie. Come ogni nerd che si rispetti, anche il giovane Corvonero era appassionato di quella che viene definita "Scienza di confine", lo step precedente alla fantascienza. Viaggi nel tempo, incontri ravvicinati del terzo tipo, fantasmi: erano tutte cose che da mago conosceva e poteva comprendere meglio, ma la fissazione dei babbani per queste tematiche l'aveva sempre affascinato. « Alcuni pensano che esistano infiniti universi, simili al nostro ma con piccole differenze. In un universo X, Fawn Byrne sarebbe mora e Hugo Weasley rosso! E in un universo Y, Fawn corvonero e Hugo grifondoro. Di norma queste dimensioni sono.. beh, parallele, non si incontrano. Ma è stata teorizzata l'esistenza dei cosìdetti "wormholes", i ponti di Einsten-Rosen. Connettono due punti diversi dell'universo nello spazio e nel tempo. » Si riavviò i capelli scuri, sospirando rumorosamente. Ecco perché tutto sembrava identico pur essendo palesemente diverso. Ecco dov'erano spariti tutti. « Non sono gli altri ad essere spariti.. siamo noi. » Una consolazione? No, niente affatto. Ma il solo fatto di avere una teoria, un'idea a cui aggrapparsi per capire meglio la situazione lo rassicurò. Chissà quanto doveva essersi sentito perso, in fondo, lo scopritore della Giratempo! « Dobbiamo trovare un altro ponte, Fawn. Ce la faremo. »

    LSYMbw9
    Com'è fatto un ponte di Einstein-Rosen? Bella domanda, per uno che non si era neppure accorto d'aver messo piede in un altro universo. Perché oramai Hugo ne era convinto ciecamente, tutti gli indizi lo portavano a pensare che quella fosse una dimensione alternativa alla loro, speculare e.. terribile. La fantascienza ne parlava in migliaia di storie, Silent Hill non era diventato famoso proprio per quello? Anche loro avevano trovato una dimensione da incubo, ma senza alcuna sirena inquietante ad annunciarla. Ripresero a camminare, cercando qualcosa di cui non sapevano niente. Su cosa avrebbero dovuto focalizzare l'attenzione, distorsioni nella materia? Grandi cancelli dorati? O forse, semplicemente, sperare di saltarci dentro proprio come avevano fatto dentro la foresta? La testa di Hugo era piena di domande simili, quando il movimento improvviso di Fawn lo mise in allarme prima ancora di vedere quella cosa: era scura, era grossa e strisciava. Sgranò gli occhi incredulo, di fronte alla prima vera forma di vita incontrata là dentro, quando la bionda lo arpionò per il polso e lo tirò nel corridoio laterale che portava ai bagni del piano. Si appiattirono contro il muro, ma a cosa sarebbe servito? « Che facciamo? » Fawn diede voce ai pensieri di Hugo, appiattito contro la pietra, il cervello arrovellato in un groviglio di idee. Scappare? Utile. Combattere? Stupido, senza sapere con cosa avessero a che fare. Il grosso tentacolo si avvicinava sempre di più all'imbocco del corridoio. Altre opzioni? Afferrò la bacchetta e la fece volteggiare sopra le loro teste, castando un incantesimo di disillusione che mimetizzò entrambi con la pietra della parete. Solo allora, immobile, si portò entrambe le mani alla bocca per smorzare ogni suono, anche il più flebile respiro. Ma come avrebbero fatto coi loro cuori, galoppanti di paura? Quasi avesse fiutato una traccia, il tentacolo virò nel piccolo corridoio, sempre più vicino, dando modo ai ragazzi di poterlo vedere bene. Era veramente un tentacolo? Qualunque cosa fosse, ne scoprirono l'orribile essenza nel momento in cui la parte terminale si aprì, come un fiore: ognuno dei petali era costellato internamente di zanne acuminate, ma ciò che diede davvero i brividi ai Hugo fu il grande occhio al centro dei petali. Pressò le mani contro la bocca, ancora più forte, ma fu inutile a bloccare il singhiozzo spaventato che gli sfuggì quando si sentì sfiorare la gamba da qualcosa di indefinito. La cosa si voltò di scatto verso di loro mentre Hugo fece un balzo per allontanarsi il più possibile. « Scappa!! » urlò, stridulo e terrorizzato, scagliando contro quello strano serpente demoniaco ora un Diffindo, ora uno Schiantesimo. Lo rallentò, certo, ma non lo fermò affatto. Iniziò a correre, Hugo, a perdifiato lungo il corridoio per raggiungere Fawn. Corse via dal pericolo imminente, ignaro di quelo che li attendeva dietro l'angolo: qualcosa si era risvegliato, in quell'Hogwarts specchio, sottosopra. Dalle viscere del castello, decine di creature avevano iniziato a risalire le scale dei sotterranei, un branco a caccia alla ricerca di due creature piccole e spavetate. Non erano più soli.
     
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    Se la spiegazione di Hugo sugli universi paralleli aveva aiutato a dare una spiegazione più o meno razionale a quanto stava accadendo e darle un barlume di speranza, quanto accadde subito dopo bastò a farle capire che tutte le spiegazioni di questo mondo non sarebbero bastate a tirarli fuori da quell'incubo. Lei, che di solito era persino ottimista, aveva la netta sensazione che le pareti si stessero richiudendo su di loro. Che il mondo intero si stesse accartocciando ed il suo peso si stesse abbattendo sulle loro esili spalle. Erano dei ragazzini, degli stupidi ragazzini finiti in un guaio ben più grande di loro: una dimensione zeppa di creature pronte a farli a brandelli nel senso letterale del termine. E se la supposizione del suo amico blu-bronzo era esatta - raro che non fosse così - nessuno se ne sarebbe neppure accorto, della loro prematura dipartita. Loro ci avrebbero lasciato le penne, sarebbero stati cancellati dalla faccia della Terra in modo così cruento e crudele, e il mondo là fuori li avrebbe solo dati per dispersi. Queste le considerazioni subconsce della Byrne, che si manifestavano sotto forma di orrore e terrore più puri. Non ricordava di aver mai avuto così tanta paura né di essersi mai sentita tanto spacciata. C'era poi una piccola parte di lei che si stava incolpando per non aver cercato di convincere Hugo a restare al Castello, per non aver pensato che la Foresta potesse celare pericoli più grandi di loro. Non avrebbe saputo dire se questa scelleratezza fosse comune a tutti i suoi compagni di Casa o se si trattasse di una sua prerogativa, ma sapeva per certo di starsi sentendo male per non aver usato il cervello. C'era una vocina nella sua testa che continuava a strillare che non potesse finire lì, che non dovesse finire lì: Hugo aveva una famiglia ad aspettarlo, aveva del potenziale, degli affetti, degli amici. E le aveva anche lei, tutte queste cose. Cose che non potevano rischiare di perdere, che non sarebbe stato giusto perdere, non così presto, non per una scelta idiota. Questo quello che continuava a vorticarle in testa a velocità assurda mentre osservava quel mostro orribile avvicinarsi a loro con chissà quali orrende intenzioni, mentre una parte di lei li dava già per spacciati ed un'altra le faceva portare una mano alla bocca di riflesso. La vista di quella cosa - non aveva mai neanche pensato che una creatura tanto orribile potesse esistere - fece sfuggire un singulto strozzato anche dalla sua di bocca. Era una vista troppo oscena per due ragazzini che non avrebbero mai nemmeno pensato di potersi trovare davanti qualcosa del genere. A quel punto avrebbe voluto poter dire di aver saputo cosa fare, di aver sentito il tanto decantato coraggio rosso-oro farsi spazio a morsi nel suo cuore e riempirla di fiducia; avrebbe davvero voluto poter dire di aver sentito nascere un piano geniale, di aver percepito le rotelline del suo cervello girare fino a partorire un piano infallibile, ma non fu così. Udì Hugo gridare « Scappa!! » e non poté che reagire di conseguenza e nell'unico modo possibile: obbedendo. Riuscì a voltarsi soltanto per controllare che il moro la stesse seguendo e lanciare qualche incantesimo offensivo alla creatura, ma tutto questo non ebbe l'effetto sperato. Non era un Kappa, non era un Folletto di Cornovaglia, non era niente di ciò che erano abituati ad affrontare a lezione. Era pericolosa, infinitamente più di loro, ed intenzionata a ucciderli entrambi. E non era la sola cosa ad avere di quelle intenzioni, come ebbe modo di constatare non appena svoltato l'angolo. Decine di creature più piccole strisciavano verso di loro dal fondo del corridoio in una formazione compatta. Dietro di sé lasciavano una scia acida, corrosiva, che lasciava soltanto supporre che per nessun motivo al mondo le suddette creature dovessero arrivare a sfiorarli perché, se solo ci fossero riuscite, la stessa sorte sarebbe toccata anche a loro. Inchiodò di botto, la bacchetta sguainata, il braccio sinistro teso a bloccare Hugo nel qual caso non vedesse quelle specie di lumaconi giganti nella fretta di scappare. La seconda reazione fu dettata puramente dall'istinto di sopravvivenza: « Ebublio! » Lanciò l'incantesimo nel mezzo delle creature, il suo unico obiettivo quello di rompere le file ed aprire loro un varco, perché se quegli esseri avessero continuato a procedere tanto ordinatamente sarebbero stati loro a rimetterci come minimo un arto, se non la vita. « Dobbiamo riuscire a passare in mezzo » urlò a Hugo per sovrastare il rumore infernale che le creature, ora ferite, facevano « attacca quelle a sinistra, io penso a quelle a destra! » Non potevano permettersi di perdere altro tempo prezioso: se non si fossero spicciati, si sarebbero trovati intrappolati tra la creatura enorme di prima e questo piccolo esercito. Se non altro sapevano di poter essere più veloci di quelle lumache: superarle, per quanto rischioso, era ancora fattibile. Fece un cenno al corvonero per dargli il via, poi si lanciò in mezzo a loro, correndo veloce come non aveva mai fatto in vita sua. I lampi degli incantesimi e la tempesta che si stava scatenando all'esterno erano le uniche fonti di luce in quell'inferno, e fu proprio grazie ad essi che notò che quegli esseri, anche da feriti, erano in grado di contrattaccare spruzzando liquido corrosivo dalle loro bocche sdentate. Tirò Hugo verso di sé di riflesso, evitando il peggio per un soffio mentre la macchia verde scavava un buco nel muro dietro di loro. « Deprimo! » E vaffanculo « Dai che ormai manca poco! Possiamo farcela! » Per la verità non sapeva se fosse effettivamente così, né dove stessero correndo, né se correre all'impazzata li avrebbe effettivamente condotti ad un'uscita. Ad essere onesta non sapeva nemmeno come fosse fatta un'uscita. Però sapeva da cosa stavano scappando, e quello era un incentivo sufficiente. Era piuttosto certa che né lei né Hugo Weasley volessero rivedere di nuovo l'essere di cui prima, né finire accoppati da un esercito di lumache che sputavano acido. Qualche altro incantesimo ed erano di nuovo liberi, per così dire, almeno dalla minaccia incombente di perdere la vita. Raggiunsero una rampa di scale di corsa. Un attimo di esitazione mentre la Byrne si chiedeva se fosse il caso di salire verso le Torri. Questo prima di notare un gigantesco serpente due o tre rampe più in alto, diretto - ovviamente - verso di loro.
    « Dobbiamo scendere per forza » Guardò l'amico, un lampo di panico nello sguardo. Non aveva ancora dimenticato il verso che li aveva portati di sopra. Ma non avevano scelta, a meno che Hugo non avesse un'idea migliore.
    Fece quasi per chiederglielo, ma sentì qualcosa nella sua testa. Se quelli di prima erano stati sussurri lontani, spaventosi ma distanti, quel che aveva in testa in quel preciso istante era un concerto di urla. Urla strazianti, così tanto che si ritrovò a piegarsi lentamente in due, entrambe le mani che erano corse alla testa per proteggere le orecchie. Non sapeva se quel rumore fosse davvero esterno, ma certe reazioni erano puramente istintive e lei non aveva saputo far altro se non cercare di ripararsi nell'unico modo che conosceva. Ma come poteva riuscirci? Nella sua testa c'erano versi agonizzanti, richieste d'aiuto, risate diaboliche... c'era di tutto. Un tutto che continuava a crescere in volume mentre lei si accartocciava su sé stessa e lacrime di vero e proprio dolore, dolore fisico perché avevano cominciato a fischiarle anche le orecchie, iniziavano a scorrerle a fiotti lungo le guance. Faceva tutto così male che persino la sua vista ne stava risentendo:quando fu finalmente in grado di alzare lo sguardo sul Corvonero, non solo la sua sagoma era sfocata per colpa di quelle lacrime che non accennavano a fermarsi, ma quel poco che riusciva a distinguere era contaminato da punti che, di questo era abbastanza sicura, non avrebbero dovuto esserci. « Devi... lasciarmi qui » Non sapeva se fosse la disperazione a parlare o chissà cos'altro, come non aveva idea di come suonasse la sua voce - stava cercando di sovrastare le urla nella sua testa « Corri, corri! Devi salvarti, Hugo, corri!»

    Edited by ocean eyes - 8/12/2017, 00:36
     
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    Ci siamo, Hugo. Sei arrivato anche tu, finalmente, dopo milioni di altri prima di te, a guardare in faccia la vita per quella che è. Ad aprire gli occhi, se vogliamo. A capire che ciò in cui vivevi era solo uno schema mentale, una confort zone da cui uscire è inevitabile. O si cresce o si muore e tu stai pericolosamente rischiando la seconda opzione. Sei giunto anche tu, come tutti gli altri che sono sopravvissuti prima di te, a capire che la vita non è ciò che ingenuamente credevi che fosse: ingenuo, sì, ma forse solo giovane e il più delle volte sono sinonimi. La vita è un mistero, sì, e quello l'avevi capito da tanto tempo.. ma non è uno di quei misteri divertenti da risolvere, non è l'ennesima partita a Cluedo dove l'assassino è quasi sempre il maggiordomo col candelabro nello studio - o tuttalpiù il Colonnello Mustang! La vita non è un delitto che puoi sviscerare, pezzo dopo pezzo, per arrivare a carpire il come, il dove e il quando; il movente, l'alibi e se questo discolpi o meno il tuo assassino. Non è neppure un puzzle, che secondo molti è la rappresentazione del mistero stesso in scala uno a uno. No, il puzzle è la rappresentazione della perfezione, perché inizi il gioco con una sola e unica certezza: hai i tuoi pezzi, sai cosa stai andando a comporre e ci riuscirai, amico mio, fidati, ti serve solo pazienza e ce la farai! Era quello che Hugo Weasley aveva sempre creduto, ciò che i suoi stessi genitori gli avevano insegnato. Abbi fede, Hugo; abbi un cuore grande, che possa contenere tutto il bene del mondo, e abbi il coraggio di usarlo, quel cuore grande, per spargere il bene nel mondo. Basta poco per diventare un eroe, Hugo. Era arrivato perfino a crederci! Era cresciuto con gli esempi concreti di quella morale, all'ombra dei leggendari Ronald Weasley, vincitore della più grande partita a scacchi magici che Hogwarts abbia mai visto!, e Hermione Granger che davvero era stata, ed è ad oggi, la strega più brillante della sua età. Era cresciuto cenando alla tavola di Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto! Aveva passato alcune vacanze in compagnia di Neville Paciock, capace di estrarre dal Cappello Parlante la spada di Godrid Grifondoro e usarla per distruggere uno degli storici horcrux di Lord Voldemort. E non erano che ragazzini, tutti loro, della stessa età di Hugo e Fawn. Anche loro trovatisi di fronte al pericolo di una morte imminente, faccia a faccia con la realtà nuda e cruda. La verità? La vita non è un puzzle perché non sempre si hanno tutti i tasselli e capita spesso che questi non coincidano, non combacino per quanto ci sforziamo. La vita non è perfetta, non è lineare, non è logica. Hugo lo stava capendo ad ogni passo che compiva di corsa nel corridoio che conosceva così bene alla luce del giorno ma che nell'oscurità di quel nuovo mondo aveva perso ogni familiarità. Lo stava capendo agitando la bacchetta ora per attaccare, ora per difendersi, cercando di seguire le indicazioni di Fawn che alle orecchie arrivavano però ovattate e confuse; la grifondoro doveva sovrastare il frastuono assordante che lo stesso cuore di Hugo stava facendo, come un cavallo al galoppo sotto le sferzate costanti dell'adrenalina che la paura e lo stress fisico stavano contribuendo a rilasciare. Il cervello del corvonero stava lavorando ma, come un cuore in fibrillazione, non lo stava facendo veramente: scaricava elettricità a velocità folli e senza connessione, lasciando che i pensieri cadessero senza significato. Si sforzava con tutto sé stesso di rimanere focalizzato, concentrato, con lo stesso sangue freddo che si era sempre immaginato avessero avuto i suoi genitori e i suoi zii durante la Grande Battaglia di Hogwarts, ma la triste verità era che tutto ciò che sapeva si stava fondendo in un caotico tutt'uno: le formule magiche, le conoscenze teoriche su questa o quella creatura, le proprie convinzioni ormai sgretolate. Tutto si univa al resto e perdeva la propria forma, proprio come ciò che Hugo provava e a cui non riusciva a dare un nome. Era paura? Sì, ma era anche.. eccitazione? No, frenesia da battaglia e cardiopalmo e un terribile mal di testa, sì. Pressò la tempia con il palmo della mano, mentre inchiodava le gambe su uno dei pianerottoli delle rampe di scale centrali. Scendere o salire? Scendere, avrebbe detto Hugo: perché avrebbero rischiato di ritrovarsi bloccati su una torre, con la strada sbarrata da altri mostruosi essere striscianti, che fossero lumache corrosive o altri maledetti tentacoli. Ma di sotto.. quel verso.. « Dobbiamo scendere per forza » Hugo ricambiò lo stesso sguardo che Fawn gli rivolse, rileggendo negli occhi dell'amica lo stesso terrore, palpabile sulla loro pelle. Ma tra le due opzioni, terrificante anche solo pensarlo, quella era davvero la scelta migliore. « S-sono d'accordo.. » mugolò a malincuore, la voce spezzata dalla fatica della precedente battaglia e la terribile sensazione di non saper proprio scegliere quale fosse il male minore. Male minore, solo a pensarci ci si sente subito più sollevati, come se questo non escludesse l'esistenza di un male maggiore. Come se anche il più piccolo, in proporzione, non fosse capace di far male da morire. Fu cristallino quando il male raggiunse Fawn e nella maniera più inaspettata: non riuscirono a fare che pochi gradini, prima che la grifondoro iniziasse a risentire di un dolore che Hugo non riuscì a capire, non subito. « Fawn? Ehi! Fanny, che succede?! » curvò la schiena verso di lei, cercando con le dita tremanti di rassicurarla, qualunque cosa avesse, qualunque diavoleria quel luogo le stesse facendo. Solo quando l'amica ebbe la forza di sollevare il viso, Hugo poté leggere nelle lacrime che le rigavano copiose il viso e nei suoi grandi occhi sbarrati una sofferenza indicibile. « Devi... lasciarmi qui. » Un pugno allo stomaco e uno al cuore. Hugo si guardò intorno, immaginando cos'avrebbe significato concretizzare la follia che Fawn gli stava proponendo. Lasciarla indietro per scappare verso qualcosa che non era neanche sicuro esistesse, lasciarla sola in una rampa di scale in balìa delle lacrime e di un dolore che a stento immaginava - ma che avrebbe compreso presto. Lasciarla alla mercé delle creature che, ne era sicuro, non avevano smesso un secondo di fiutare la loro paura più che il loro odore. Non sono un eroe, Hugo se l'era ripetuto per anni, raggomitolato all'ombra di anime che bruciavano come ardemonio: Rudy si sarebbe gettato nel vuoto per salvare un amico, Fred avrebbe perfino strisciato. Così avrebbero, e avevano fatto, suo padre Ron e suo zio Harry. Tutti fieri Grifondoro, e la povera Fawn non poteva contare che su un Corvonero. Non sono mio padre. Non sono mio zio. Non sono mio fratello o mio cugino. Non sono un eroe. « Corri, corri! Devi salvarti, Hugo, corri! » ...ma non sono nemmeno un vigliacco. Debole forse, lo specchio ad Halloween frantumandosi gliel'aveva urlato contro a lettere cubitali, ma non vigliacco. « Certo che ne dite di cavolate, voi grifoni.. » brontolò avvolgendosi le spalle con un braccio di Fawn per tirarla a sé. « Non ti abbandono qui neanche se mi pagano. » Neanche se ne andasse della mia vita, a conti fatti. Hugo non era un leone ma un falco, esile ma pericoloso se messo nelle condizioni d'esserlo. Strinse può forte la bacchetta tra le dita, iniziando la lenta discesa con il corpo di Fawn contro il proprio. Passo dopo passo, uno alla volta, puntando di scatto la bacchetta ora a sinistra, ora verso l'alto, dove le sue orecchie ormai condizionate dal brusio continuo di mille voci e dai lontani gemiti animali credevano d'aver sentito uno strisciare serpentino. « Troveremo un modo.. ce la faremo.. » sussurrò piano, la voce strozzata dalla fatica e dal terrore. Stava rassicurando Fawn o sé stesso? Forse entrambi. Forse, invano, nessuno dei due. « Torneremo a casa.. troverò il modo.. »

    Mille rampe di scale, centinaia di corridoi e la soffocante paura che l'ennesimo fosse l'ultimo. Ogni angolo era una svolta che avrebbe potuto portarli a morte certa. Quando in lontananza avvertivano presenze estranee, Hugo cambiava letteralmente strada e, sfruttando tutte le conoscenze che possedeva del castello di Hogwarts formate in sei anni di vita là dentro, doveva scegliere quale percorso intraprendere. La scala principale o il passaggio segreto? Il corridoio o la porta dietro l'arazzo? La loro vita era diventava una partita a scacchi, col lato nero della scacchiera che aveva sovvertito ogni regole e loro, i bianchi, oramai solo col re e la regina pronti per essere mangiati. Tagliò il terzo piano sfruttando le scale a chiocciola nascoste poco lontano dalla biblioteca e da lì strisciò lungo il primo piano, fino ad arrivare alla scalinata principale del salone d'ingresso. Poteva vedere da un lato le immense porte della Sala Grande, spalancate e così sicure ai suoi occhi; dall'altra parte, esattamente speculari, le scale che portavano in basso, ai sotterranei. Qualunque cosa vi si nascondesse. « Ce la fai? Ancora pochi gradini e ci siamo. » sussurrò, incoraggiandola meglio che potesse. Un compito arduo più che sorreggerla. Un forte deja-vu lo investì mentre scendevano, facendogli contorcere il viso di emozioni miste. « L'ho già vissuto questo momento.. qualche sera fa. Scout aveva dei tacchi vertiginosi e faticava a stare in piedi, ma non ne voleva sapere di toglierseli! L'ho accompagnata dal vostro dormitorio fino in Sala Grande, proprio così.. » Rischiò che anche i suoi occhi, proprio come quelli di Fawn, venissero divorati dalle lacrime ma per motivi assai diversi. Il ballo, Scout, la paura di deluderla.. sembrava che fosse accaduto una vita fa e non erano passati che pochi giorni. Le forti emozioni, il dolore, la paura riuscivano ad amplificare le percezioni in una maniera che aveva del magico, ma non nel migliore dei termini. Superato l'ultimo gradino, Hugo rinsaldò la presa sul fianco di Fawn e imboccò rapidamente la via della Sala Grande. Lanciò uno sguardo all'interno, con la bacchetta perennemente sollevata e pronta all'uso, ma dentro il grande spazio non c'era nessuno. Niente. « Via libera. » era un sospiro di sollievo, stanco e intimorito quello che fuggì dalle labbra secche del moro, mentre si faceva spazio lungo le radici che ovunque sembravano essere magicamente apparse, autoctone della dimensione da incubo che stavano vivendo, e arrivò alla grande tavolata che nella loro realtà apparteneva ai tassorosso. Aiutò l'amica a sedersi proprio là, prima di concentrarsi su tutti gli incantesimi di protezione che gli ritornavano in mente dalle lezioni di Difesa contro le arti oscure: muovere forsennatamente la bacchetta lo aiutava a scaricare la tensione che avvertiva sotto pelle come mille punte di spillo, un'isteria palpabile sul proprio corpo. La Sala Grande divenne la loro fortezza, per un tempo che prese a passare lento e inesorabile. Ore? Giorni? E chi riusciva più a contare? Il tempo era una lontana variabile e una sicura incognita. Si ritrovò a pensare, rannicchiato contro Fawn per combattere il gelo della loro nuova realtà, a quanto gli mancasse quella vita che un tempo era arrivato a reputare da sfigato: i suoi fumetti e la sua tecnologia, i suoi occhiali e le sue scarse conquiste. Quanto avrebbe pagato per rivedere il soffitto della Sala Grande nuovamente incantato! Perché sopra di loro c'erano solo architravi vuote. Tutto era spento. Tutto era morto.

    [...] Stai sveglio Hugo. Le membra stavano scivolando nel torpore dato dal freddo e la stanchezza, sia fisica che mentale, stava facendo il resto. Abbracciò più forte Fawn, sentendola tremare al suo fianco, e strinse il mento contro la felpa che indossava. Le palpebre erano pesanti, combatterle sembrava ancor più difficile che fronteggiare le creature che ancora si aggiravano per i corridoi di quella Hogwarts infernale. Resisti, non addormentarti. Lo dicevano sempre, almeno nei film: se ti addormenti al gelo è la fine, non si risvegli più. Si sfrenò le mani sulle braccia, buttando fuori un sospiro che si tramutò in condensa gelata. Per quanto avrebbero resistito ancora? Giorni forse, l'aveva sentito in un documentario. Forse per qualcosa in più, ma alla fine senza rinforzi non ce l'avrebbero fatta, il freddo avrebbe vinto. La fame avrebbe vinto e così il sonno. Scosse per l'ennesima volta la testa nell'avvertire i propri occhi chiudersi lentamente, quando qualcosa di inconsueto attirò la sua attenzione. Un particolare che sembrava contrastare lì intorno, uno di quei particolari che saltavano subito all'occhio di un tipo come Hugo Weasley. Un bagliore. Lasciò Fawn sul tavolo e alle sue parole rispose con un gesto lento della mano, ormai catturato da qualcosa che si celava oltre i portoni della Sala Grande, magicamente difesi dagli incantesimi del corvonero. Si mosse lentamente, pronto al peggio, avanzando verso le grandi porte della Sala: fu allora che lo vide, entrato ormai nella sua visuale. « Fawn!! » esclamò, improvvisamente rinfrancato e riscaldato dal fuoco che solo la speranza sapeva infondere. Ci siamo!! In una parete qualsiasi del salone d'ingresso, una banalissima parete, un portale stava rischiarando l'ambiente tutt'intorno di luci che viravano dal rosso intenso al freddo azzurro. Un ponte. Corse, per quanto le sue gambe intorpidite glielo permettessero, fuori dalla Sala e fuori dalle difese che aveva messo su. Un varco squarciava la parete in pietra come un foro in un tronco, quasi la pietra del muro fosse stata sostituita da qualcosa di vivo. Non l'hai ancora capito, Hugo? Qui tutto è vivo.
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    Accadde tutto nell'arco di pochi minuti, sotto gli occhi atterriti di una Fawn ancora protetta dagli incantesimi difensivi. Una terribile scena a rallentatore, di fronte alla grifondoro a cui era stata parata davanti la via di ritorno a casa, semplice e sicura. Hugo si voltò verso di lei, in piedi all'ingresso della Sala Grande, e per la prima volta da chissà quanto tempo le sorrise. Alzò la mano verso di lei, a indicarle che ce l'abbiamo fatta Fanny, stiamo tornando a casa! Sarà solo un brutto ricordo, un incubo da cui ci sveglieremo.. lo ricorderemo a malapena, vedrai! Diede le spalle al portale e diede le spalle alle scale dei sotterranei, il più fatale degli errori. Era troppo entusiasta, troppo speranzoso per non pensare all'unica verità che ancora li accompagnata: ti sveglierai, forse, ma finché non apri gli occhi l'incubo continua. Neppure si accorse del grande tentacolo che aveva fatto capolino dai sotterranei e che, fulmineo come una serpe, gli aveva stretto la caviglia strattonandolo a terra. A posteriori avrebbe ricordato il dolore del proprio viso contro la pietra, il rumore secco del legno della bacchetta sfuggitagli dalle mani, le proprie unghie contro il pavimento per cercare un appiglio che non esisteva, mentre con forza innaturale veniva trascinato verso le scale e l'oscurità di cui sembravano essere fatte. Fawn Byrne ebbe a malapena il tempo di realizzare che Hugo era sparito alla sua vista e, pochi secondi dopo, con lui anche le sue urla disperate. Come se finalmente il castello e i suoi abitanti avessero finalmente ottenuto ciò che desideravano, tutto intorno a Fawn si placò, le voci s'abbassarono di tono e i versi in lontananza si calmarono.

    La notte del 3 Ottobre, Hugo Weasley sparì e di lui nessuno seppe più nulla.
     
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