We both feel trapped

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    « Ci stai evitando. » Alza gli occhi al cielo, mentre si dirige verso i piani inferiori, evitando deliberatamente i gradini, preferendo piuttosto camminare in punta di piedi sugli spessi corrimano. Un momento quello di respiro che Beatrice si è concessa tra un compito e un'altro. Quella mattina aveva pattugliato il settimo piano, poi aveva dato una mano a Dean in biblioteca e ora, si stava dirigendo verso i sotterranei, là dove sperava di poter penetrare nelle vecchie lavanderie per recuperare un po' di indumenti per chiunque ne avesse bisogno. « Non è vero. Sto solo cercando di concentrarmi. Su quello che va fatto. » « Pervinca dice che fai orecchie da mercante. » « E adesso tu e Pervinca siete grandi amici vedo. » Acidume a non finire. E' vero che Tris è entrata in una specie di silenzio stampa. Dacché era riuscita a diventare più morbida e flessibile, di scatto, era tornata all'attacco più rigida e puntigliosa che mai. Persino i suoi amici più cari avevano tentato di evitarla, visto che chiaramente, di discutere con lei nessuno aveva poi tanta voglia. L'avevano lasciata fare. Seppellire cadaveri, organizzare turni, fare più turni di quanto le sue capacità psicofisiche le permettessero. Aveva mangiato davvero poco, e per lo più solo frutta e bacche, e a dirla tutta, persino quelle sembravano non voler andare giù. E tutto ciò perché viveva immersa di ansie, preoccupazioni, sensi di colpa e frustrazioni. Tutte gettate addosso a lei in una serata sola. A quel ballo ci era andata con la speranza di un giorno migliore, e invece, il giorno - migliore o peggiore che fosse - non lo vedeva più da chissà quanto tempo. « Siamo solo preoccupati. » « Il tuo lavoro, Daniel, non è preoccuparti per me, bensì tenere Hogsmeade in piedi. » « Non posso tenere Hogsmeade in piedi se tu mi rompi il cazzo. » L'ha detto davvero. Beatrice si ferma per un istante, nel saltare giù dal corrimano, atterrando sul pavimento del salone d'ingresso. Ora persino i suoi si stanno ribellando contro di lei. Il suo sguardo è colmo di rabbia, o forse è solo estremamente mortificato. « ..non volevo.. » « No lascia stare, Daniel. Ho capito. Sono una mina vagante. Sono una povera isterica del cazzo che va tenuta a bada. VA BENE! Perfetto. » Il tipico dialogo del "Non sono incazzata." "E allora perché urli?". Chiude le comunicazioni, e lascia scattare le lame celati mentre imbocca la rampa di scale che scende verso i sotterranei. Si inoltra sui corridoi bui che s'infittiscono man mano che vi avanza. Quell'area del castello non è mai stata la sua preferita e non vi si è mai inoltrata particolarmente. La Morgenstern è cresciuta ai piani alti, in spazi aerati, luminosi, decisamente più allegri e pieni di vita. E così, i labirintici sotterranei, non li ha mai esplorati particolarmente. Nonostante si sia duplicata una mappa del castello che teneva palesemente nella tasca inferiore dei jeans quindi, non poté fare a meno di sentirsi leggermente smarrita. Ed è allora quindi che riapre le comunicazioni. Non vorrebbe farlo, ma spera vivamente di ritrovarlo. Chi meglio di Percy Watson, sovrano delle serpi e abile conoscitore di quei luoghi buio e umidicci, per indicarle la strada?
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    Di Percy tuttavia nemmeno l'ombra. « Una volta. Una. » Ti dice oh va bene rimarrò. Sono qui, di qua di là e poi quando ti serve si dilegua come se niente fosse. Sta parlando da sola, come una pazza, un po' a voce alta, un po' nel pensiero, mentre svolta nei sotterranei, senza rendersi conto di non seguire più la mappa. Funziona così; è sempre concentrata, sempre pronta di fronte a qualunque cosa, poi arrivano quei momenti in cui proprio non ragiona più. « Ha ragione Pervinca, cazzo! » Gli uomini ti riempiono di balle solo per farsi belli, poi alla prima difficoltà si danno alla macchina come se niente fosse. "Perché ho mai detto io questa cosa? Non ricordo. Hai capito male." La prossima volta il baratolo di Nutella, sai dove devi ficcartelo? Non te lo dico solo perché sono troppo signora. Anzi no, non lo sono affatto. Nel culo te lo devi ficcare, Watson. E ci entra sicuro visto il diametro del palo che hai nel deretano 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Nel caso in cui qualcuno se lo stia chiedendo, Tris si è persa, e sta allegramente girando in tondo. Quel corridoio l'ha già percorso minimo tre volte, quell'altro l'ha già visto tra un'imprecazione e l'altra. E poi, boom. Nello svoltare a destra va a sbattere dritta contro un'altra figura che la obbliga a indietreggiare appena. Così immersa nei propri pensieri da non sentirla nemmeno arrivare. Si sente mortificata dal suo stesso comportamento. Non è questo il momento per i drammi. Avrebbe dovuto pensarci prima, ora, tutto ciò che può fare e stringere i denti e restare calma e lucida. Alza lo sguardo solo per accorgersi che di fronte a sé si ritrova niente meno che la Branwell. Le sorride appena, prima di passarsi una mano sulla forte, scostandosi i capelli dal volto. Si schiarisce la voce e sospira. « Stavo cercando la lavanderia. » La cosa migliore è trovare subito una scusa plausibile. Alza quindi la mappa che ha tra le mani e si stringe nelle spalle. « ..sai, nel caso fossero rimasti ancora indumenti freschi. Andrebbero distribuiti. » Dignitose e operative, Beatrice. Ecco. Così si fa. « Ma mi sono un po' persa. » Dignitose ma non troppo. « I sotterranei non sono il mio punto forte. Mi fai compagnia? » Senza aspettare che la bionda le dia conferma o faccia qualche commento dei suoi - che in ogni caso sa che arriverà, vista la sua conversazione di poco fa con Daniel - la afferra per un braccio, avvicina la bacchetta alla mappa e cerca di orientarsi. « Questo posto è asfissiante. Ho come l'impressione mi giochi brutti scherzi. » I sotterranei, o il Castello, Beatrice? In realtà seppur, la sua affermazione sia alquanto universale, ha come l'impressione che i sotterranei si siano fatti più cupi da quando vi è scesa.


     
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    "Insomma, dolcezza? Dà segni di vita?" Pervinca guarda il proprio riflesso allo specchio, mentre Daniel appare alle sue spalle. Non ha ancora deciso se gli sta sulle palle o meno. Il fatto che, nonostante il fatto che il suo viso non veda un trucco da almeno un paio di giorni, lui continui a riempirla di apprezzamenti gioca sicuramente a suo favore. «Non dentro alla testa.» Tris tiene un po' fuori tutti, ultimamente. Pervinca, dal canto suo, può immaginarne il motivo. Si è sempre ritenuta una guru in materia e averli visti ballare insieme, oltre al sapere i loro trascorsi negli ultimi mesi, l'hanno messa in allarme. Un allarme che ha assecondato con piacere, soprattutto perché li ha sempre visti bene quei due. Tris il fuoco, Percy l'acqua. I due elementi che riescono a tenersi testa, che si sfidano, che si sorprendono, che si stuzzicano. Li ha sempre osservati dal di fuori, ritenendosi quasi la loro fata madrina, nonché psicologa ufficiale. Tutto a loro insaputa, chiaramente, come quando da giovane diceva di essere fidanzata con Troy Baston, il più figo della scuola. E lui, ovviamente, non ne era assolutamente a conoscenza. In silenzio, ha preso nota dei cambiamenti di umore, dei sorrisi, della rabbia che percepiva, della flebile nota di serenità che sembravano regalarsi a vicenda. Pervinca ha sempre visto Tris come una donna capacissima di rimanere da sola, di essere indipendente e assolutamente autonoma, senza alcun bisogno di avere un uomo al suo fianco. Ma poi aveva sentito il legame crescere ed era rimasta a guardarlo mettere radice e fiorire, sempre di più, allungandosi ovunque, dalle loro teste a, molto probabilmente, i loro cuori. Per questo, pur parlandoci di tanto in tanto, per questioni burocratiche, non aveva fatto troppe storie nell'avvertire il silenzio da parte sua. "E' successo qualcosa che dobbiamo sapere?" La bionda si riscuote dai suoi pensieri e sorride, nell'avvertire la mano di Daniel sfiorarle la schiena. «E' così che vuoi giocartela, Daniel caro? Lusingarmi finché non crollerò e ti dirò tutto? Sei proprio un pettegolo sveglio» lo guarda, attraverso lo specchio. «Ma non abbastanza da giocare a questo gioco. Fatti i cazzi tuoi, per il bene di tutti!» Ha uno sguardo angelico, mentre si volta, poggiando le mani sul bordo del lavandino freddo. Daniel le si fa più vicino, quel tanto che basta per incastrarla tra di lui e il marmo alle sue spalle. Alza un sopracciglio, divertita da quella vicinanza. "Le mie lusinghe sono vere. Come già ti ho detto non vedo sinceramente l'ora di incontrarti. Perché accadrà. E quando accadrà, voglio che te lo ricordi." Si guardano, per qualche istante, prima che la bionda riprendi la parola. «Quindi decidi di giocartela per sfinimento?» Ridacchia, prima di fare leva con la mano contro il suo petto, per scivolare poi di lato. «Comincia a non stressare Tris e poi ne riparliamo» gli dice, allontanandosi da lui con un sorriso ambiguo sulle labbra. «Ti mando un bacio. Non pensarmi troppo, mi raccomando!» Esce così fuori dal bagno, guardando prima a destra e poi a sinistra,
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    sperando di non dover fronteggiare l'ennesimo attacco. Ma l'unica cosa che vede è un gatto rosso di sua conoscenza che, appena incontra gli occhi di Pervinca, sembra sorridere, prima di scappare via. «Edith Caroline Branwell, torna subito qui!» Insegue sua nonna - sì, perché a quanto lo spirito di sua nonna si è reincarnato nel corpo del suo gatto - e impreca, cercando di eludere gli ostacoli che incontra lungo i corridoi, facendo particolare attenzione ai gradini delle scale che continuano a muoversi come impazzite. E alla fine si ritrova a vagare per i sotterranei, che non dovrebbe conoscere tanto bene, ma ha sempre avuto una predisposizione naturale per i Serpeverde, di qualsiasi età, perciò, in sostanza, li conosce fin troppo bene. «Nonna cazzo però! Ti ho detto di rimanere con Peter.» Si lamenta, svoltando l'ennesimo angolo. «No ma ditelo. Eh, ditelo! Se volete farmi scoppiare la testa, ditelo pure. Tanto le palle me le avete già frantumate abbastanza tra tutti quanti!» Scuote la testa, cominciando a percepire un odore familiare. Ma non fa in tempo a connettere il cervello che Tris le arriva addosso come una valanga. « Stavo cercando la lavanderia...sai, nel caso fossero rimasti ancora indumenti freschi. Andrebbero distribuiti. » La guarda negli occhi, mentre la parvenza di un sorriso si staglia sulle sue labbra. Aveva sperato per lei un giorno nel quale poter essere una semplice diciottenne e invece eccola lì, ancora una volta ad addossarsi tutto il peso del mondo addosso. «Idea fantastica, ma non credo che la lavanderia sia esattamente da questa parte.» Commenta velocemente. « Ma mi sono un po' persa. I sotterranei non sono il mio punto forte. Mi fai compagnia? » Il sorriso, inaspettatamente, si allarga sulle labbra, dalle quale fuoriesce anche una malcelata risata. «Oh tesoro non c'è bisogno che tu me lo dica. Lo so benissimo che non hai un buon rapporto con i...sotterranei L'indice punta verso il basso un paio di volte, con fare eloquente, mentre le sopracciglia sciabolano verso l'alto. « Questo posto è asfissiante. Ho come l'impressione mi giochi brutti scherzi. » La bionda abbassa gli occhi sulla cartina, puntandovi sopra la propria bacchetta a sua volta. Per un attimo fa mente locale, cercando di ricordare il sentiero che ha seguito per arrivare fin lì. Ed è allora che ricorda il perché è effettivamente lì. «Oh cazzo, mia nonna!» Si dà una leggera manata sulla fronte, prima di abbassare gli occhi ad incontrare quelli di Tris. «Sì, insomma, mi hai trovato quaggiù perché seguivo mia nonna» comincia a spiegare, capendo alla perfezione quanto possa risultare strana una frase del genere. «Mia nonna Edith che è nel corpo del mio gatto Miu Miu.» Scrolla il capo. «Una cosa a cui non crederai mai perché me lo ricordo il tuo scetticismo riguardo la Divinazione ma è così. E non posso farla girare a zonzo per i sotterranei. Anche a lei non piacciono troppo.» Sorride, prima di decidere che direzione prendere. «Prima troviamo lei, poi troviamo la lavanderia che se non sbaglio è da quella parte» punta l'indice verso il cunicolo di destra, voltandosi poi verso sinistra. Lì da dove sente venire l'odore del suo gatto. Comincia a camminare, con la bacchetta puntata di fronte a sé, seppur le fiaccole ai lati del corridoio facciano già abbastanza luce da sole. «Insomma..» prende a dire, zittendosi subito. Da quando era successo quello che era successo, Pervinca e Tris non hanno parlato più di tanto, se non per aiutarsi con i vari turni, con le cose prettamente burocratiche. "Tu vai di là, io sto qua." "Secondo me sarebbe meglio fare così per la rotazione." "Aiuta Abe a distribuire il cibo in Sala Comune." Tutto fin troppo formale con una persona come Pervinca. Quindi riesce a vedere quasi un piano generale dietro il fatto che sua nonna si era andata a perdersi proprio lì, lì dove si era persa pure Tris. «Sai che con me puoi parlare, vero?» Domanda, continuando a guardare di fronte a sé. L'hai sempre potuto fare, anche quando credevi che non avrei capito. «Te l'ho sempre detto che tenersi tutto dentro fa male e non solo perché ti fa venire le zampe di gallina a vent'anni, ma perché i pesi alla fine ti schiacciano, se non vengono portati insieme a qualcun altro.» Questa volta la guarda per qualche secondo negli occhi. «Un po' come il sesso. Come hai detto tu, le cose si fanno in due.» Si stringe nelle spalle. «O anche in più, ma insomma, meglio cominciare con un uno contro uno
     
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    « Oh tesoro non c'è bisogno che tu me lo dica. Lo so benissimo che non hai un buon rapporto con i...sotterranei. » Beatrice segue con lo sguardo la direzione da Pervinca indicata e per un istante percepisce una qualche forma di frecciatina. Deve ridere? Non è divertente. Non sa nemmeno se ha capito cosa in realtà la bionda intendesse. Nel dubbio scaccia il pensiero e scuote la testa. No, non voglio nemmeno sapere cosa intendi. Mi rifiuto di cadere nella tua trappola. Una trappola che la Branwell le tende in un modo o nell'altro da mesi. Sembra che ogni loro discorso debba ricadere su quello.. sull'incapacità della Morgenstern di prestarsi a determinate cose. Che poi la sua chiusura mentale si diventata decisamente più labile ultimamente, quello è un dettagli insignificante, che preferisce scacciare con la stessa faciloneria, con cui il pensiero stesso arriva. E' cambiata, Beatrice; è innegabile il fatto che l'influsso di così tante mentalità completamente opposte alla sua, l'abbiano resa più flessibile, persino meno refrattaria a molte, troppe cose. Le fa spazio per analizzare assieme a lei la carina, mentre per un secondo il suo sguardo si permette di osservarla più da vicino. Non hanno avuto modo di parlare effettivamente dopo quella sera. E Beatrice sa che Pervinca più di tutti l'ha vissuta male. Un senso di colpa immane grava sul suo peso mentre ricorda quanto sia accaduto. Ma poi viene distratta e trasalisce di scatto. « Oh cazzo, mia nonna! » L'ex Caposcuola solleva un sopracciglio con fare scettico. « Sì, insomma, mi hai trovato quaggiù perché seguivo mia nonna. » E' impazzita; non c'è altra spiegazione. Ho rotto Pervinca. « Mia nonna Edith che è nel corpo del mio gatto Miu Miu. » Ed è più grave di quanto si aspettasse. « Una cosa a cui non crederai mai perché me lo ricordo il tuo scetticismo riguardo la Divinazione ma è così. E non posso farla girare a zonzo per i sotterranei. Anche a lei non piacciono troppo. Prima troviamo lei, poi troviamo la lavanderia che se non sbaglio è da quella parte. » La segue alzando gli occhi al cielo, convinta che se dovesse passare anche solo un altro minuto in quel posto da sola, impazzirà. Ha i nervi tesi come l'arco di un violino e una chiara voglia di polemica che solo Pervinca con la sua voglia incontrastabile di vita può attutire. Quanto meno la ricerca della nonna di Pervinca riuscirà a distrarla da qualunque cosa stia tormentando la sua anima in pena. In cuor suo si racconta che è troppo melodrammatica, che ci sono problemi ben più difficili da affrontare e che lasciarsi abbattere da semplici desideri reconditi che si annidano nella sua mente sia oltremondo infamante per quella che è la loro comune missione. Ed è allora che un lampo attraversa la sua mente. Il loro gatto. « Cazzo! Mi sono completamente scordata. » Si stringe nelle spalle mentre segue la bionda questa volta più pensierosa. « Il gatto! » Il loro gatto. Quella bestiola l'aveva seguita per tutto il tragitto dal lavoro a casa e di scollarsi non ne ha più voluto sentire ragione. Beatrice aveva persino provato a scacciarlo un paio di volte, ma alla fine si era abbandonata all'idea né lei, né Percy aveva intenzione di lasciarlo davvero andare. « Quel lecchino di primo ordine starà morendo di fame ormai. » Si chiede se abbia lasciato qualche finestra aperta prima di uscire per permettergli di uscire. Non se lo ricorda, e così si ripromette di mandare qualcuno a controllare che non troveranno il cadavere di un gatto morto di fame nel loro appartamento una volta tornati. Perché loro torneranno. Sì. Torneranno sicuramente.. a casa loro. Si stringe nelle spalle e scaccia ancora una volta quei pensieri mentre segue a sua volta i suoni di zampette pericolanti in lontananza. « Insomma.. » Questo è il tono di voce della trappola. Lo sente, lo percepisce. L'ha scoperta. Le ha letto in qualche modo nel pensiero, ha capito il suo disagio e ora sta per sganciarle la bomba. E Beatrice non avrà modo alcuno per sfuggire. Paranoia. Panico. Si schiarisce la voce di rimando imboccando un corridoio, aumentando quasi istintivamente il ritmo dei propri passi. Improvvisamente trovare quel gatto è questione di vita e di morte. « Sai che con me puoi parlare, vero? » La guarda con un'espressione fintamente confusa, mentre si abbassa appena per cercare di capire se il gatto possa trovarsi sotto un armadio ammassato contro uno dei muri di pietra. « Non so di cosa tu stia.. » « Te l'ho sempre detto che tenersi tutto dentro fa male e non solo perché ti fa venire le zampe di gallina a vent'anni, ma perché i pesi alla fine ti schiacciano, se non vengono portati insieme a qualcun altro. »
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    Deglutisce, cercando in tutti i modi di far finta che Pervinca non stia davvero andando a parare in quella direzione. Odia sentirsi messa con le spalle al muro, e la bionda la fa sentire così. Il problema è che con la maggior parte delle persone, sfuggire è facile, perché non riescono a comprendere cosa si annidi nel suo cuore, nella sua testa. Con Pervinca è come nascondersi dietro un vetro. Cristallino e limpido come uno specchio d'acqua in pieno agosto. « Un po' come il sesso. Come hai detto tu, le cose si fanno in due. O anche in più, ma insomma, meglio cominciare con un uno contro uno. » « E io ti ribadisco che qui mi sento piuttosto sola. OK? » Una punta di accidia di troppo, che Pervinca non si merita. Lei è quella che vuole parlare; la Branwell non la sta lasciando da sola. « Mi sembra piuttosto paradossale parlare di.. cose.. quando qui abbiamo difficoltà ad avere assistenza per trovare una dannata lavanderia. » Sbatte a forza l'anta dell'armadio fino a quasi scardinarla ed è allora che il gatto viene fuori da dietro quest'ultimo correndo nella direzione della propria padrona. E forse Daniel aveva ragione. Implicitamente era un pacchetto di nervi, prontamente impacchettato per chiunque avesse la pazienza di sorreggerla. « E comunque non vedo il nesso logico tra queste cose..» Traduzione: i pesi da portare. « ..e l'altra cosa. » Il sesso. Chiaramente Pervinca aveva il pallino; a forza di girarci intorno tornava sempre sullo stesso punto a intervalli regolari e la Morgenstern trovava tutto ciò decisamente fuori posto. Ma lo era davvero? Fa una leggera pausa cercando di respirare a fondo, alla ricerca di un po' di calma e tranquillità. Sangue freddo. Ecco cosa le serve. Anche se, la loro natura tutto sembra tranne che accettare di buon grado l'idea del sangue freddo. « Scusa.. » Dice infine osservando il gatto prima di appoggiarsi contro l'armadio alle sue spalle. « Non ce l'ho con te. E' solo che.. questo ballo sembrava essere la premessa di qualcosa di migliore da tutti i punti di vista. » Per tutti. Tris sapeva che in un certo qual modo anche Pervinca lo aveva sentito, a modo suo. « E poi si è trasformato in un enorme delusione, nonché il fiasco per eccellenza delle nostre nuove vite. » Deglutisce fortemente scuotendo la testa. « Abbiamo fatto una figura di merda, Pervinca. Quel gesto, doveva essere il nostro primo passo verso un brillante avvenire. E adesso invece stiamo qui dentro, bloccati a piangerci addosso in attesa che qualche armatura ci decapiti. » Sbuffa pesantemente prima di mordersi il labbro. E ora si stava sfogando con forse l'unica persona che quel gesto non avrebbe voluto compierlo. C'era qualcosa tra voi. E io l'ho ucciso. « Mi dispiace di averti deluso.. » Non era una scusa generale. Era una piuttosto specifica. Le dispiace di aver deluso lei. « Io.. sono davvero una maestra del non capirci un cazzo. » Si stringe nelle spalle senza sapere cosa altro dire. Non sa nemmeno lei come comportarsi; in generale. Tanto per cambiare.

     
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    «Edith Branwell, giuro su Dio, che mi faccio una pelliccia con il tuo pelo quando ti trovo.» Si accorge soltanto in seguito di aver nominato il nome di Dio invano di fronte a Tris, dopo che per giorni e giorni lei le ha spiegato l'importanza del Credo, della loro missione etc etc. «Dici che ho infranto il secondo comandamento?» Le chiede, con una risata beffarda a piegarle le labbra. Holden mi ha insegnato bene. Visto che brava alunna? Guarda verso l'alto, congiungendo le mani, a mo' di scuse. «Tanto sa benissimo di avere una figlia incline allo sbagliare continuamente, ci avrà fatto il callo.» Si stringe nelle spalle, riprendendo a muoversi nella direzione in cui sente zampettare quella svampita di sua nonna. «Ti starai domandando come c'è finita mia nonna dentro il mio gatto, no?» Ma chi t'ha chiesto niente, Pervì? «E' una storia un po' lunghetta, a dire il vero, ma in sintesi, mia nonna Edith voleva starmi vicino, dopo il crollo nervoso. Sai tutta la storia della clinica psichiatrica, l'evasione e insomma, quella parte della mia vita da lucciconi negli occhi. E quindi ha pensato bene di impossessarsi del corpo della mia Miu Miu. La prima volta che mi ha parlato per poco non mi prende un infarto.» Annuisce, ricordandosi quell'episodio con affetto, quando sente Tris inquietarsi al suo fianco. Ormai riesce a riconoscere la gamma delle sue emozioni con facilità. « Cazzo! Mi sono completamente scordata. » Si volta a guardarla, aggrottando la fronte. «Cos-» « Il gatto! » Ah certo, tutto mi è molto più comprensibile ora. Il gatto. «Il gatto..» cita, prima di avere l'improvvisa illuminazione divina. «Ohhhh il gatto! Quel gatto. Il gatto tuo e di.. - ha un attimo di esitazione, mentre incrocia il suo sguardo - ..soltanto tuo L'ha visto gironzolare nella sua stanza quel benedetto gatto, quelle volte in cui Tris le aveva dato la benedizione per entrare nei suoi spazi. Si era girata intorno e l'aveva visto. Quel gatto. Lo stesso gatto che, per forza di cose, condivideva con Percy, il suo coinquilino. Il coinquilino non coinquilino di cui non si parla mai perché "viviamo insieme per comodità pratica ed economica". Chiaro no? « Quel lecchino di primo ordine starà morendo di fame ormai. » Si stringe nelle spalle a sua volta, riprendendo a camminare al suo fianco. «Se vuoi posso dirlo a Daniel, se ci becchiamo ancora..» lo dice usando un tono di voce piatto ed apatico. In fondo Daniel gliel'ha presentato lei e non vuole di certo dare l'impressione di volerle fregare un amico. «O insomma, puoi dirglielo tu. Sono certa che starà bene. I gatti hanno una pellaccia dura.» Loro sì che resistono a tutto. Non come Tris che sembra crollare sotto le sue domande insistenti. « E io ti ribadisco che qui mi sento piuttosto sola. OK? » Pervinca si aspetta quello sbotto di rabbia improvvisa, così non si scompone affatto di fronte all'acidità che le riversa addosso. E' cosciente di aver toccato il tasto dolente. Di aver stuzzicato il nervo scoperto, quello stesso nervo che spesso e volentieri ha toccato, un po' per farla abituare all'argomento, un po' per provare a tastare il terreno. Per questo non le sembra assolutamente fuori luogo quell'alzare la voce e mettere in chiaro le cose. La guarda, portandosi le mani a tenersi i fianchi, quasi con aria di sfida. «Ti senti sola perché vuoi essere sola.» E' calma la sua voce, mentre le risponde senza darsi alcun freno. « Mi sembra piuttosto paradossale parlare di.. cose.. quando qui abbiamo difficoltà ad avere assistenza per trovare una dannata lavanderia. E comunque non vedo il nesso logico tra queste cose.. ..e l'altra cosa.» Cose. Cosa. Non riesce nemmeno a dar loro il giusto
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    nome a voce alta. Quasi si vergognasse di parlarne ad alta voce. La vede sbattere con forza l'anta dell'armadio che hanno trovato lungo la strada e Miu Miu esce di corsa dal suo nascondiglio, correndole incontro, fin quando Pervinca non la prende in braccio. La guarda con quel solito sguardo da mamma. Appena siamo da sole facciamo i conti. Poi torna a guardare Tris, stringendo appena le palpebre. «Si chiama sesso. Si chiama intimità. Si chiama affetto. Si chiama relazione. Si chiama entrare in connessione. Si chiama amore. Hanno tanti nomi "queste cose". E tu non vuoi sentirne parlare perché sei spaventata. Ma non devi fuggire.» Accarezza il pelo del gatto, mentre non può far altro che sospirare di fronte a quell'evidente muro che Tris erge tra se stessa e il mondo quando si entra in un territorio che non conosce. Una zona lasciata all'ombra fino a quell'istante. «La vita è fatta anche di questo. Non solo di doveri, di obblighi, di lavori. No. Anche di gioia condivisa, in qualsiasi modo. Da un abbraccio ad un bacio. Da una carezza ad una pacca sulla spalla. Non ti dico che devi fare sesso domani, se non sei pronta a donarti totalmente non sarò di certo io ad obbligarti. Ma dovresti lasciarti andare. Dovresti permettere a qualcuno di sconvolgerti la vita, di mettere in discussione ogni tuo schema, ogni tua convinzione, di sfidarti, di stuzzicare la tua mente e di affrontare insieme quello che la vita ti riserverà.» Quel due che a lei è sempre un po' mancato. «Amare non è una debolezza, Tris. E' un dono. Amare e lasciarsi amare è l'origine della vita stessa.» E' inaspettato il mondo con cui Pervinca si approccia a quella verità che ha sempre fatto da maestra nella sua vita. E' gentile, è delicata e dolce mentre parla di amore e sesso. Perché, in fondo, è così che ha sempre visto entrambe le cose: in maniera universale. Non solo uno strumento di puro piacere carnale e rivincita personale, ma un mezzo di felicità, di gioia, di scoperte inaspettate. Di nascita. Perché la vita non è fatta soltanto di scoperte, ma anche di doni. Doni da cogliere al volo e aprire. «In fondo, noi esistiamo grazie all'amore. Non è un qualcosa di cui aver paura. E' una cosa da onorare. Da godere.» Le sorride, stringendosi al petto il gatto rosso. Si sente stranamente appagata nell'avere esternato quella sua visione del mondo. Si sente libera, si sente dannatamente bene. E' per questo che accusa il colpo delle parole successive con più facilità di quanto si sarebbe mai aspettata. « Scusa.. Non ce l'ho con te. E' solo che.. questo ballo sembrava essere la premessa di qualcosa di migliore da tutti i punti di vista. » Annuisce silenziosamente, di fronte a quell'ovvietà. Tutti, chi più chi meno, aveva sperato nell'alba di quel 1 Novembre. Un'alba che non era mai arrivata, come quel sole che non era mai sorto. « E poi si è trasformato in un enorme delusione, nonché il fiasco per eccellenza delle nostre nuove vite. Abbiamo fatto una figura di merda, Pervinca. Quel gesto, doveva essere il nostro primo passo verso un brillante avvenire. E adesso invece stiamo qui dentro, bloccati a piangerci addosso in attesa che qualche armatura ci decapiti. » Deglutisce nel sentire quelle parole. E' strano il sentimento che circola dentro di lei. E' un misto di più emozioni. E' la rappresentazione perfetta della malattia che l'accompagna da tutta una vita. Passare da un opposto all'altro. Dalla gioia alla disperazione, dalla tristezza alla pace. « Mi dispiace di averti deluso.. Io.. sono davvero una maestra del non capirci un cazzo. » Scuote la testa di fronte alla frustrazione che vede dipingersi sul suo volto. Si scosta appena dal muro alle sue spalle e le consegna il gatto tra le braccia. «Edith Tris, Tris Edith» le presenta con un sorriso. «Avere un gatto d'accarezzare aiuta sempre l'umore.» Commenta poi, mentre le spiega il perché di quel gesto insolito. «Non mi hai delusa, Tris e non voglio le tue scuse.» E ti prego non trattarmi come se fossi una vedova che piange il suo defunto marito. «Sei l'alfa, se dici che questo era ciò che andava fatto, ti credo. Avrei preferito saperlo prima, è vero, ma a conti fatti, come dice Joaquin, non sarebbe cambiato molto.» Non avrei voluto vederlo morire in ogni caso. «Non ci hai capito un cazzo tu, come non ci ho capito un cazzo io.» Si gratta la testa, appoggiando un piede al muro alle sue spalle. Come ti spiego una cosa che non ho capito io in primis? Come ti spiego quello che sentivo per l'uomo che ci ha messo in cattività? «Quello che c'era tra me ed Edmund.. - si blocca, rimuginando sopra quelle parole, accorgendosi dell'improvviso abbassamento di voce - in tutta onestà non sono sicura nemmeno che ci fosse effettivamente qualcosa da parte sua. E' più probabile che sia stato tutto creato dalla mia mente. Credo di esser fin troppo romantica, al di là di quello che mi piace raccontare a me stessa.» Scuote la testa con una smorfia sulle labbra. Se c'era qualcosa, comunque, non c'è stato il tempo di scoprirlo. E non è colpa tua, è il destino che ha calato la lama su di lui. «E il mio romanticismo sembra essere bilanciato alla perfezione con la fortuna che ho in amore. Tanto romanticismo, poca fortuna.» Ridacchia, udendo un rumore di passi lontano, a cui però non dà troppo peso. «Gli uomini della mia vita o non ci sono quando servono, o esistono soltanto nella mia testa o muoiono. Bella merda. Dovrei farmi due domande!» Questa volta ride di gusto, piegandosi in avanti. Perché in fondo ridere è sempre più facile di fronte all'evidenza dei fatti. A piangere sono capaci tutti, ma ridere in faccia alle ostilità? «Magari quando usciamo da qui propongo la mia vita a qualche casa cinematografica babbana oltreoceano. Non mi dispiacerebbe diventare la nuova Bridget Jones. Nonché ricca da fare schifo, si intende.» Si stringe nelle spalle, prima di tendere l'orecchio per sentire quello stesso rumore. Rimane in silenzio, per qualche minuto e i passi sembrano farsi sempre più vicini. Guarda la mora con aria interrogativa, prima di voltarsi a guardare il corridoio vuoto. E' in quel momento che vede spuntare un paio di corna da dietro l'angolo. Sgrana gli occhi. «Ma quello è un cazzo di - minotauro. Non finisce la frase, perché si volta dall'altra parte, dando una botta sulla spalla a Tris. «Merda, corri!»


    Edited by [trainspotting] - 15/11/2017, 12:54
     
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    Nel loro eterno girovagare, trovato il gatto, Pervinca si appresta a spiegarle la storia di quella creaturina e di come sua nonna si è reincarnata. Beatrice ascolta quella storia con un certo scetticismo. Sta per dire qualcosa di estremamente spiacevole, ma tiene a freno la lingua, perché in fin dei conti, si accorge che lei non è propriamente la persona più adatta a parlare di cosa sia normale e cosa non lo sia. Vive secondo convinzioni che ai più risultano strane e decisamente fuori contesto. Per tutto il periodo della vita scolastica ha dovuto combattere contro sguardi scettici e una dose non indifferente di persone che il suo vissuto proprio non lo capivano. Ogni persona ha la propria storia, e le proprie credenze non sono altro che la summa ultima di quel vissuto. E così, decide, con una nota di tolleranza che non sembra nemmeno poi tanto nelle sue corde, di prendere per buona quella storia seppur non sappia precisamente cosa rispondere. « Dopo tutto questo non puoi essere offesa se non ho seguito le lezioni di Divinazione.. » Le risponde quindi con una nota leggermente divertita, scuotendo la testa. Beatrice è una che non crede finché non vede, finché le cose non sono così evidenti ai suoi occhi da non poterle negare. Un'artista del negazionismo. Una cosa tira l'altra e le preoccupazioni per il suo personale animaletto di compagnia si dispiegano nel suo cuore. Quella bestia nemmeno la voleva, eppure adesso sembra persino mancarle. Le manca il modo in cui si accoccolava sulle sue gambe la sera, mentre guardavano la tv, il suo far le fusa la mattina in attesa del proprio pasto. Avevano persino comprato i croccantini per gatti. Aveva già dei giocattoli e una piccola cuccia improvvisata tutta sua. Ma no, il gatto senza nome, non era mica il loro gatto. « Se vuoi posso dirlo a Daniel, se ci becchiamo ancora.. O insomma, puoi dirglielo tu. Sono certa che starà bene. I gatti hanno una pellaccia dura. » Annuisce senza far particolare caso alla questione. In un momento diverso, Beatrice avrebbe avuto domande in proposito a quelle affermazioni, domande che certamente prima o poi le sarebbero venute. Tuttavia, in quel momento, concentrata a dismisura sull'idea di quel gatto, quasi come una specie di diversivo da qualunque altra cosa, si sottrae a qualunque altra cosa. Quando vuole, la Morgenstern è in grado di trovarsi mille scuse, riesce a tormentarsi per cose di dubbia difficoltà. A martoriarsi è davvero brava. E alla fine crolla. Crolla e ammette di sentirsi sola. Crolla e ammette di avere una paura folle. Perché è questo il succo del discorso. Beatrice ha paura. Lasciarsi andare le sembra sciocco e oltremondo rischioso. Gli errori di valutazione iniziano quando si ha qualcosa da perdere. Ma con o senza quelle sensazioni, con o senza quel sentimento, non aveva davvero nulla da perdere? Ne aveva di cose eccome. Una famiglia allargata, persone che contavano su di lei, una cosa da proteggere, una missione di cui non conosceva ancora appieno la natura da svolgere. Lei di cose da perdere ne aveva in ogni caso. Il suo giudizio si piegava già di fronte a una miriade di cose. « Ti senti sola perché vuoi essere sola. » Abbassa la testa. Pervinca a colpito nel segno. Sa che abbia ragione. Beatrice vuole essere sola; ma oltre a una componente puramente razionale su cui si basa quella sua volontà, ce ne è una anche completamente irrazionale. « Si chiama sesso. Si chiama intimità. Si chiama affetto. Si chiama relazione. Si chiama entrare in connessione. Si chiama amore. Hanno tanti nomi "queste cose". E tu non vuoi sentirne parlare perché sei spaventata. Ma non devi fuggire. » Deglutisce di fronte a quelle parole, mentre corruga la fronte. In cuor suo vorrebbe che Pervinca non avesse mai aperto quel discorso. « La vita è fatta anche di questo. Non solo di doveri, di obblighi, di lavori. No. Anche di gioia condivisa, in qualsiasi modo. Da un abbraccio ad un bacio. Da una carezza ad una pacca sulla spalla. Non ti dico che devi fare sesso domani, se non sei pronta a donarti totalmente non sarò di certo io ad obbligarti. Ma dovresti lasciarti andare. Dovresti permettere a qualcuno di sconvolgerti la vita, di mettere in discussione ogni tuo schema, ogni tua convinzione, di sfidarti, di stuzzicare la tua mente e di affrontare insieme quello che la vita ti riserverà. » Scuote la testa. No. So già cosa significa. Non lo voglio più. Non voglio più sentirmi come mi sono già sentita. « Amare non è una debolezza, Tris. E' un dono. Amare e lasciarsi amare è l'origine della vita stessa. In fondo, noi esistiamo grazie all'amore. Non è un qualcosa di cui aver paura. E' una cosa da onorare. Da godere » Quel discorso ha una componente così poetica. Così divina.
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    Perché le capisce. Le percepisce quasi come sue. Desidera che siano vere. Riesce a sentirne la forza, tutto l'amore con cui sono state espresse. « Non è paura.. » O forse lo è. Ma non per le motivazioni che tutti pensano. Beatrice non elude quelle cose perché è più facile stare da soli. Stare da soli non è affatto più facile. Significa non concedersi nemmeno un momento di respiro. Significa vivere deliberatamente in un mondo fatto di compiti, missioni, freddure. « Ci sono già passata Pervinca.. » Ammette con un tono ormai esausto. Perché quando Tris si concede di lasciarsi andare, lo fa, forse sin troppo desiderosa di trovare ciò che cerca. Perché seppur non voglia ammetterlo, lei più di tutti ne ha bisogno. Ha bisogno di qualcuno con cui condividere tutto, le cose belle e soprattutto quelle brutte. Ha bisogno di essere un pilastro, e averne a sua volta uno. « ..e credevo che lui mi avrebbe sconvolto la vita. Per un po' l'ha fatto. Poi è scomparso. Non mi ha permesso di aiutarlo, quando ne aveva bisogno. E' semplicemente volato via. » Si stringe nelle spalle. « E adesso non riesco a ricordarmi nemmeno il suono della sua voce. Pensavo fosse quello giusto e quando le nostre strade si sono separate non ho provato niente. » Non si era disperata. Non aveva pianto. Dopo aver provato a contattarlo per un po', altri problemi l'avevano sottratta dal pensiero di come stesse, di quale fosse la sua vita, di dove fosse diretto. Era pronta a dirgli di amarlo, e poi, non appena il contatto si era interrotto, sembrava quasi si fossero sbarazzati l'uno dell'altro. « Il problema non è che sto sfuggendo.. » C'è un momento in cui elude l'idea di dire quelle poche parole, ma poi decide che con qualcuno deve sfogarsi. Ha bisogno di dirlo a voce alta. Ha bisogno di ripeterselo, per accettare la sua condizione. « ma che lo voglio troppo. » Un brivido le percorre la schiena mentre si passa una mano tra i capelli. Vorrebbe piangere. Troppa tensione ha accumulato in quei mesi. Troppe parole non dette, troppa ansia. La verità non detta è che Beatrice ha sempre saputo cavarsela da sola, ma non lo ha mai voluto. Tutta quella carenza di affetto non l'ha mai sentita come giusta, e così, in un modo o nell'altro, seppur sembrasse l'affetto lo denigrasse sempre, in realtà l'ha sempre cercato. « E se è solo suggestione? E se non lo è, cosa succede quando si stanca? Cosa succede quando si renderà conto che vuole altro? Che questo, noi, questa vita, non gli basta? » Si stringe nelle spalle con un'incertezza sinistra che le scorre tra le vene. « Sappiamo entrambe a cosa sta rinunciando. Sappiamo entrambe che questa non era la strada per cui ha lavorato come un cane. » Lo sguardo di lei si perde nel vuoto. « Lui sa di avere una scelta. Può prendere in qualunque momento un'altra strada. Può cambiare idea e fare altro, senza rinunciare a nulla di questo. Io invece.. io sono bloccata. La guerra è l'unica cosa che conosca, capisci? » Tira su col naso, mentre scivola giù lungo la parete, ormai esausta. Anche se volesse, e non lo vuole, la sua strada è una sola. « Magari io non sono progettata per questo. » Noi esistiamo grazie all'amore. Un'unica frase che le dà da pensare più di quanto la Branwell possa immaginare.

    « Edith Tris, Tris Edith. Avere un gatto d'accarezzare aiuta sempre l'umore. » Si asciuga velocemente gli occhi, prima di prendere il gatto tra le braccia. Miu Miu inizia a fare le fusa e lei non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un leggero sorriso, seppur imperniato da una certa amarezza. « Non mi hai delusa, Tris e non voglio le tue scuse. Sei l'alfa, se dici che questo era ciò che andava fatto, ti credo. Avrei preferito saperlo prima, è vero, ma a conti fatti, come dice Joaquin, non sarebbe cambiato molto. » Beatrice scuote la testa di fronte a quelle parole. « Non ci hai capito un cazzo tu, come non ci ho capito un cazzo io. » E' così difficile accettare le cose senza averne la minima prova o indizio di cosa stiano facendo. « Hai sempre una scelta.. Pervinca. Sempre. Ricordatelo. » Dice in modo categorico, rifiutando quell'idea di gerarchia posta in essere dalla loro società. Non si sente un leader. Non ha mai voluto esserlo. Le hanno sempre ripetuto che lo sarebbe diventata, ma a dirla tutta, in cuor suo non era certa nemmeno che lei avrebbe seguito i suoi stessi precetti. Beatrice era una giovane fatta di luci e ombre, di troppe sfumature ben poco definite. Cose che a volte entravano facilmente in contraddizione con la sua stessa posizione. A volte si chiedeva persino per quale ragione loro avesse deciso di non sgretolarsi. Ci provava, di continuo. Provava a essere forte, a restare in controllo, ma c'erano così tanti momenti in cui dimostrava incertezza e ben poca capacità di giudizio, che non poteva fare a meno di chiedersi perché. Li aveva condannati a una sorte per tanti versi infame. Aveva dato loro uno scopo di cui lei per prima ignorava la vera natura. E quindi, perché. « Quello che c'era tra me ed Edmund.. in tutta onestà non sono sicura nemmeno che ci fosse effettivamente qualcosa da parte sua. E' più probabile che sia stato tutto creato dalla mia mente. Credo di esser fin troppo romantica, al di là di quello che mi piace raccontare a me stessa. E il mio romanticismo sembra essere bilanciato alla perfezione con la fortuna che ho in amore. Tanto romanticismo, poca fortuna. » L'istinto la porta ad accarezzare appena il braccio della bionda. Conforto. Ecco cosa vorrebbe darle. Alleviare quella gabbia in cui chiaramente si ritrova a sua volta. « Gli uomini della mia vita o non ci sono quando servono, o esistono soltanto nella mia testa o muoiono. Bella merda. Dovrei farmi due domande! » Non riesce a fare a meno di ridere appena, prima di stringersi nelle spalle. « No, non fartele. Altrimenti dovrei iniziare a farmele anche io sul potenziale di darsela alle gambe di quelli che orbitano nella mia di vita. » Sbuffa. « Uomini. Alla prima difficoltà, scendono a prendere le sigarette e non li vedi più. » Si sente ipocrita nel dire quelle ultime parole. Perché Watson non l'ha fatto. Avrebbe potuto. Più di una volta. Innumerevoli volte. Ma non l'ha fatto. Certo, noi non siamo niente. Noi non stiamo insieme. Tra noi non c'è niente. Non ci sarà mai niente. Sarebbe troppo complicato. Abbiamo altro a cui pensare. Un mantra che si ripete praticamente ogni due secondi. « Magari quando usciamo da qui propongo la mia vita a qualche casa cinematografica babbana oltreoceano. Non mi dispiacerebbe diventare la nuova Bridget Jones. Nonché ricca da fare schifo, si intende. » « Oh, Pervinca Branwell. Quando usciremo di qui, dovrai vedere così tante cose. » Le dice dandole una leggera gomitata. « Scoprirai ben presto - spero - che le tue storie puoi tenertele per te. Quanto meno se il motivo principale è quello economico. » Anche le sue origini erano ancora da appurare. Se il 4 Agosto Pervinca è diventata una di loro, significava che nel suo sangue scorreva il sangue degli uomini del nord, degli uomini di Inverness. Da qualche parte lì, c'era la sua famiglia, c'era casa sua, le sue origini, e anche le ricchezze che le spettavano. « Dovremmo scoprire da dove vieni. » Le dice quindi con un sorriso enigmatico. Riesce a scrollarsi appena di dosso tutta la tensione, concentrandosi su qualcosa di effettivamente più costruttivo. Come al solito, Beatrice elude i suoi problemi, concentrandosi su quelli degli altri. Anche su quelli che nessun altro si pone e che non sono certo di vitale importanza. Ed è a quel punto che percepisce quel respiro pesante, un ringhio atono nell'ombra e l'allarme di pericolo che scorre nelle sue vene. Un sesto senso a cui si deve ancora abituare. Stringe i denti mentre cerca di individuare nell'ombra la fonte di quelle funeste sensazioni. « Ma quello è un cazzo di - » Non lo vede solo lei. Un minotauro. Il corpo di un uomo e la testa di un toro. « Già. » Conferma mentre gli occhi della lupa saettano per un secondo nel buio. « Merda, corri! » Prova un senso di claustrofobia mentre corre sterzando a ogni incrocio guardandosi alle spalle. Le sta inseguendo e corre velocemente. Contemporaneamente avverte il senso di smarrimento, quasi come se, quei corridoi siano diventati di punto in bianco moltemplici e tutti uguali. Sempre più stretti, sempre più labirintici. « Bombarda Maxima! » Casta, puntando la bacchetta contro il soffitto alle loro spalle. Quest'ultimo crolla bloccando il passaggio della creatura. Non sa per quanto lo terrà fermo, ma quanto meno ha il tempo di infilare il gatto nella tracolla, ben accorta a mantenere la testa dell'animaletto appena scoperta, perché possa respirare. Arresta la corsa, senza tuttavia smettere di camminare velocemente; sterza e sterza, sentendosi sempre più esasperata da quel girare tra funicoli. « Quanto cazzo è grosso quel bestione? » Decisamente più di un mannaro. E chiaramente anche più forte. Sente un ringhio in lontananza e capisce che l'ha fatto arrabbiare. Sfonderà la barriera a breve. « E soprattutto.. che cazzo sta succedendo qui? » Perché ok che Beatrice non conosceva i sotterranei. Ma era certa che non sono mai stati fatti così. Continua a girare. Una, due, tre volte. E ancora. Sinistra, destra, e ancora sinistra. E ancora destra. Cerca di seguire l'odore di qualcosa di diverso. Erba, terriccio, carne. Qualunque cosa l'aiuti a individuare la via d'uscita. Ma è chiaro che la loro forma umana non sia in grado di arrivare a tanto. I loro sensi, non sono quelli delle loro controparti. « Direi che è tempo di lasciare spazio alle bestiole. Se lo becchiamo gli saltiamo addosso. Ma la priorità è uscire da qui. » Se una cosa l'ha compresa, è che non importa quanto si cerca di colpire quelle trappole. Non importa quanti quadri sistemi o quanti Thestral fai fuori. Quanti gufi becchi dritto in fronte con le frecce. Ogni volta che scattano, le trappole si manifestano allo stesso modo. Quel minotauro sarebbe tornato anche se loro l'avesse ucciso. « Risparmiamo le energie. Sono già poche di loro. » La mano della mora, sfiora la spalla dell'amica. « Pronta? »


     
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    Parlare di certi argomenti non è mai cosa facile. Anche per una come lei, che di tabù non se n'è mai creata chissà quanti nella vita, parlare di sesso non la sconvolge più di tanto, ma parlare di amore riesce a smuoverle qualcosa nel profondo del suo animo. O forse è soltanto l'emozione che sta cogliendo Beatrice, nell'entrare in contatto con la sua sfera più personale, più emotiva, quella che sente affiorare, poco a poco, dentro di sé. « Non è paura..Ci sono già passata Pervinca..e credevo che lui mi avrebbe sconvolto la vita. Per un po' l'ha fatto. Poi è scomparso. Non mi ha permesso di aiutarlo, quando ne aveva bisogno. E' semplicemente volato via. E adesso non riesco a ricordarmi nemmeno il suono della sua voce. Pensavo fosse quello giusto e quando le nostre strade si sono separate non ho provato niente. » La sente crescere, la rassegnazione all'evidenza dei fatti. Guarda negli occhi Beatrice e la vede anche lì, presente in quegli occhi velati che però non hanno alcuna intenzione di far cadere anche una sola di quelle lacrime. E' strano come quelle parole riesce a sentirle proprie, come non le sia mai capitato di provare, quando è entrata in discussioni simili con Maisie, una delle sue migliori amiche. Pervinca è sempre stata la donna che sogna in grande, sogna l'amore, quello vero, quello travolgente che ti costringe a non mangiare, che non fa altro che farti pensare a lui, che ti fa rimanere con il fiato sospeso anche e soltanto per un'occhiata di troppo. L'amore quello da film, come la romantica che non ha mai voluto ammettere troppo ad alta voce di essere. Ma poi Beatrice le dice di non aver sentito nulla, di essersi lasciata andare all'oblio, senza provar nulla di fronte alla scomparsa netta di lui. Le dice di non ricordare nemmeno più il suono della sua voce, e allora Pervinca pensa. Pensa agli uomini della sua vita. Cerca di ricordare i loro volti, il come avevano imparato a toccarla, il profumo della loro pelle, il calore delle loro labbra e capisce perché quelle parole riescono a metterle così malinconia: perché lei non ricorda nessuno. Mai in vita sua c'è stato un qualcuno da ricordare, un particolare da non dimenticare. E' tutto sbiadito, negli anni. Riesce a rammentare qualche nome, qua e là, magari qualche caratteristica anatomica particolare, solo perché per certe cose le viene sempre in aiuto la memoria fotografica, ma per il resto è tabula rasa. E' triste. Ha un non so che di amaro sulla punta della sua lingua. Come se tutta la bile fosse risalita lungo il condotto gastrico, fino ad arrivare alla bocca. E' ipocrita del cazzo e non ha alcun diritto di dirle cosa provare e cosa fare, quando lei è la prima a non mettere in pratica i propri saggi insegnamenti. Per un attimo riesce quasi a sorridere, di fronte all'ironia della situazione. Beatrice, che alla fine, insegna più a lei con una mezza frase messa lì, per caso, che il contrario. Lei, la Profetessa, che un tempo aveva fatto del suo strampalato dono un mestiere grazie al quale riusciva ad arrivare a fine mese senza farsi staccare gas e luce in casa, non ha assolutamente previsto di essere messa in riga dalla sua alfa su un discorso tanto vicino a lei. «Gli uomini sono tutti dei deficienti, chi più, chi meno.» Una filosofia di vita, ormai, per la bionda. «Non per questo ci dobbiamo lasciar influenzare dai loro giramenti di palle. Non basarti su un'esperienza passata per determinare quanto andrà male quella che ti costringi a non vivere nel presente.» Le sorride, allungando una mano per accarezzare il manto della sua cara Miu Miu. Affonda le dita tra il suo pelo morbido e per un attimo rimane sospesa lì, nell'idillio di quel momento magico. Le ha sempre fatto un effetto terapeutico. «Non hai sentito nulla? Non te lo ricordi nemmeno tanto bene? Non era quello giusto. Non starti ad arrampicare sugli specchi, mettendoti davanti dei se e dei ma inesistenti. Tris, è così. Magari lo poteva sembrare sul momento, l'innamoramento è sempre bello e colorato. Ma non era amore. C'è differenza, credimi, per esperienza.» Annuisce, mentre butta fuori quell'ovvietà a cui è arrivata dopo anni e anni di puri e semplici innamoramenti. L'infatuazione ti apre una corsia preferenziale sulla strada per l'amore, ma non è sempre detta che si arrivi fino in fondo. E' naturale, è umano e assolutamente prevedibile. « Il problema non è che sto sfuggendo..ma che lo voglio troppo. » Oh, questa ammissione, alla fine, riesce a metterle allegria, perché finalmente l'ha detto ad alta voce e la confessato persino a se stessa, non potendo più scappare di fronte alla verità. Vorrebbe farle un applauso, ma si rende conto che non è il momento e che sarebbe assolutamente fuori luogo, seppur si senta profondamente orgogliosa. « E se è solo suggestione? E se non lo è, cosa succede quando si stanca? Cosa succede quando si renderà conto che vuole altro? Che questo, noi, questa vita, non gli basta? » Beatrice si fa troppe domande. Si riempie il cervello di interrogativi inutili, si fascia la testa prima di rompersela e puntualmente, per colpa di tutte quelle paranoie, si ferma sempre un millimetro prima di andarla a sbattere contro un muro, togliendosi il privilegio di vivere. «Okay, fammi capire bene, si dovrebbe stancare per quale motivo? Perché te sei fatta come sei fatta e non è facile starti accanto? Parli come se già sapessi tutto, come se già avessi visto tutto e stai parlando con la prof di Divinazione, bada bene, e conoscendo la tua propensione alla materia, potrei quasi offendermi nell'apprendere che ti sei fatta leggere i tarocchi da qualcuno che non sono io.» C'è una vena d'ironia nelle sue parole, perché vuole alleggerire un po' quel carico che continua a buttarsi addosso senza alcuna pietà. «Pensi che continuando a farti tutti questi problemi sarà meglio? Domande su domande che ti bloccheranno fino a data da destinare, il momento ti scivolerà tra le mani e tra qualche anno, quando magari la tua testa riprenderà a ragionare, ti pentirai, amaramente. Ti piace il tuo futuro ora?» Qui invece è presente della velata critica al suo modo di approcciarsi con così tanta cautela ad un qualcosa che ha un enorme potenziale ai suoi occhi azzurrini, un potenziale che può renderla felice. Magari per un giorno, per una settimana o per una vita intera. « Sappiamo entrambe a cosa sta rinunciando. Sappiamo entrambe che questa non era la strada per cui ha lavorato come un cane. » Sbuffa sonoramente, Pervinca, nemmeno facendo troppo caso ad essere discreta nel farlo. Ma ti senti ragazza? Parli come una donna di cinquant'anni, cazzo. « Lui sa di avere una scelta. Può prendere in qualunque momento un'altra strada. Può cambiare idea e fare altro, senza rinunciare a nulla di questo. Io invece.. io sono bloccata. La guerra è l'unica cosa che conosca, capisci? Magari io non sono progettata per questo. » Scrolla il capo e questa volta allunga la mano verso di lei, a stringerle leggermente il braccio, per attirarne l'attenzione. «Ascoltami bene, Tris. Se io sono stata progettata per entrare a far parte dell'esercito personale del Creatore, io, l'ultima persona sulla faccia della Terra a poter essere soltanto minimamente avvicinata alla sua figura, tu sei stata progettata per amare. Lo sento. Sai farlo, permettiti solo di dimostrarlo a te stessa.»

    « No, non fartele. Altrimenti dovrei iniziare a farmele anche io sul potenziale di darsela alle gambe di quelli che orbitano nella mia di vita. Uomini. Alla prima difficoltà, scendono a prendere le sigarette e non li vedi più. » La bionda fa una leggera smorfia, che riesce ad inclinarle l'intero viso. «Ma..solitamente è la scusa che uso io per dileguarmi dagli appartamenti, la mattina dopo Confessa con una risata che riesce a gonfiarle nuovamente il cuore. L'atmosfera si fa più distesa, così come lo diventano i lineamenti dei loro volti. « Oh, Pervinca Branwell. Quando usciremo di qui, dovrai vedere così tante cose. Scoprirai ben presto - spero - che le tue storie puoi tenertele per te. Quanto meno se il motivo principale è quello economico. Dovremmo scoprire da dove vieni. » Inclina appena il capo di lato, capendo soltanto in un secondo momento il vero significato di quell'affermazione. Se l'è domandato spesso, da dove le sia arrivata tanta grazia. Non ha mai avuto troppa confidenza con sua madre o suo padre, tanto da ottenere l'onore di farsi raccontare le antiche storie radicate nelle radici delle loro famiglie. Ci ha pensato su spesso, arrivando alla conclusione che una cosa tanto buona, alla fine, deve esserle per forza stata donata dal padre. Non c'è altra soluzione, nella sua testa. Di buono non si può ottenere nulla dalla vecchia e cara Angeline Branwell, se non insegnamenti presunti cattolici, barriere e limiti alla vera essenza di una persona e soprattutto tutti i modi possibili per far sentire una figlia una vera merda. «Non mi dispiacerebbe sapere di più.. - prende a dire, prima di sentire gli strani rumori farsi sempre più vicini - ..su di me intendo. Sento di aver perso parecchi pezzi di me stessa, nel tempo.» Un pallino fisso, quello. Un'inspiegabile punto fermo intorno al quale lei è costretta a girare, in tondo, senza trovare mai una risposta. Sa di avere dei veri e proprio buchi neri nel cervello, delle profonde cavità che le portano via memorie e ricordi, lasciandola lì, con la costante sensazione di un déjà-vu continuo, senza mai effettivamente decifrarlo o riconoscerlo. Ma questa volta non ha il tempo di rimuginarci su troppo, perché il loro simpatico amichetto si palesa di fronte a loro, e beh, non le viene concesso molto altro tempo per i sentimentalismi. Cominciano a correre come due api impazzite, fuggono e schizzano via, svoltando ad ogni angolo, senza mai chiedersi dove stiano andando a parare. Persino il perfetto senso dell'orientamento di Pervinca, lì nei Sotterranei, va a farsi benedire, dopo qualche svolta a destra, un paio a sinistra e alla fine, ne è cosciente, si sono davvero perse. «E' un cazzo di labirinto quaggiù» riesce ad obiettare con il fiato corto, mentre Tris ha la geniale idea di far crollare parte del soffitto per rallentare la corsa della creatura mitologica. « Quanto cazzo è grosso quel bestione? » Continua a seguirla, riprendendo fiato mentre rallenta la corsa. Decide di evitare di fare battute riguardo l'accostamento puramente casuale di parole come "cazzo", "grosso", "bestione" solo perché la situazione non è delle più consone, anche se, il pensiero di vedere la faccia sconvolta di Tris, riesce a strapparle un mezzo sorriso. «Ma poi, non era morto ucciso da Teseo? Mi sono persa qualche passaggio? Eppure ero brava in Storia della Magia. Avevo un prof che sapeva come farmi stare attenta, ai tempi..» E stendiamo un velo pietoso sulla cosa, che è meglio. Diremo soltanto che Pervinca Branwell ha sempre avuto un debole per professori, padri e uomini sposati e/o divorziati. « E soprattutto.. che cazzo sta succedendo qui? » Scrolla il capo, di fronte all'ennesima diabolica trappola messa in atto dal castello. «Non lo so, ma una cosa è certa: stiamo girando intorno. Potremmo provare con un filo o..» « Direi che è tempo di lasciare spazio alle bestiole. Se lo becchiamo gli saltiamo addosso. Ma la priorità è uscire da qui. Risparmiamo le energie. Sono già poche di loro. Pronta? » Annuisce, guardandola negli occhi, prima di passare una mano sopra la sua tracolla, decisa a prenderla. «Mia la nonna, mio il peso.» Si giustifica, mentre gliela sfila di dosso velocemente, per poi posarla a terra. Passa una mano sulla testa del gatto, guardandola negli occhi. «Nonna, sai che non devi aver paura di me. Dell'altra forma. Mi raccomando non scappare, altrimenti andrai in pasto ad un Minotauro e non so quanto sarà piacevole.» Le sorride, prima di voltarsi nuovamente verso Tris. «Ci vediamo dall'altra parte tesoro» le scocca un occhiolino, prima di cominciare il suo solito mantra. Dai bella, tocca a te, fai vedere al mondo quanto sai essere splendente e letale! La lupa sembra reagire ai suoi comandi, ululando felice. Le ossa cominciano a muoversi scompostamente, mentre i vestiti si rompono sotto la pressione dell'animale che scalcia per uscire fuori. Merda, i vestiti, di nuovo. E' l'ultimo pensiero che fa l'umana, prima di lasciare spazio alla fiera lupa dal manto fulvo, che stride i denti, pronta a combattere. No, buona. Devi risparmiare le forze. E allora abbassa il muso, avvicinandosi alla tracolla, per passarvi la testa in mezzo. Sente con chiarezza l'odore del gatto, un odore che risulta essere acre al suo olfatto, ma è comunque sua nonna e non può lasciarla lì. Così, una volta recuperata anche lei, si volta a guardare Tris, riuscendosi a capire con una semplice occhiata. Seguono il loro senso primario, l'olfatto, mentre si allontanano, correndo, in maniera decisamente più libera e sciolta, rispetto alla forma umana, dal punto dove sentono arrivare la creatura. Pervinca non capisce se il pavimento sotto le loro zampe trema per colpa del loro peso o per colpa di quello del bestione che continua a star loro dietro. La tracolla le rimbalza contro la schiena e la nuca, e per un attimo riesce a capire come si debbano sentire i San Bernardo in montagna, costretti a portarsi dietro il barilotto di alcolico appeso al collo. I sensi si dilatano, quasi a voler abbracciare l'intero spazio circostante e i passi della creatura, infine, invece che allontanarsi, si avvicinano. Si guarda indietro e non la vede, così si volta nuovamente di scatto, confusa, ed è lì, che gli corre incontro. Ad ogni suo passo, le mura intorno a loro sembrano tremare e voler cedere. Risparmio energetico crudelmente interrotto. Commenta mentalmente, mentre lascia da una parte la borsa, ringhiando contro il gatto, come a volerlo intimare a rimanere lì dove sta. Pronta? I suoi occhi verdi incontrano quelli della lupa bianca e con un latrato che sembra ricalcare un grido di battaglia, Pervinca si lancia in avanti, per poi usare le zampe posteriori per darsi uno slancio e agguantare la creatura alla gola. Obiettivo? Le corna. Tira fuori gli artigli e comincia ad arraffare quanta più carne si trova a portata di zampe. Il Minotauro non prende troppo bene la situazione e spalancando un braccio, la fa volare letteralmente contro il muro. Sente le ossa scricchiolare contro la parete rocciosa e un guaito lamentoso fuoriesce dalle sue fauci, mentre il corpo si accascia a terra. Pervinca non è mai stata abituata alla guerra, non sa nemmeno come si faccia. Si lascia sempre e soltanto guidare dall'istinto animale, dalle ferocia della lupa e per la metà del tempo, non sa nemmeno cosa sta facendo. Non ha una tattica militare, non sa come e dove attaccare, va alla cieca e
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    solitamente ha più culo che anima. Per questo motivo, dopo qualche istante di esitazione, si scrolla dal pavimento e con un balzo atterra la bestia alle spalle. Vai bella, fammi vedere ciò di cui sei capace. Gli artigli arraffano, il sangue sgorga ovunque e i suoi affilati denti si tingono di rosso, tanto da annebbiarle completamente olfatto e gusto. Tutto viene sovrastato dal sapore di quel sangue amaro che fa schifo. Sembrano star avendo la meglio, avendolo in pugno, completamente sottomesso sotto i loro sferzanti colpi, ma qualcosa, chiaramente, va storto. Il tizione decide che vuole provare ad avere un ultimo barlume di lucidità estrema, un'ultima parvenza di dignità propria e si rialza, scansandole entrambe, con poca grazia. E di nuovo, Pervinca si ritrova con la schiena che scricchiola contro il muro. Che giornata di merda. La bestia sbuffa, ferito e dolorante, mentre la lupa rossa cerca di rimettersi in piedi, non abbastanza in fretta da evitare la carica del Minotauro che si avventa su di lei, schiacciandola completamente con il suo corpo. E allora ditelo che mi volete far bestemmiare oggi, che è tutto più semplice no? Tenta di graffiarlo, ma ha le zampe anteriori bloccate, tanto da essere un bersaglio semplice per le sue mani umani. Mani che la tirano su, stringendole alla bell'e meglio il collo, mentre grida stridenti fuoriescono dalla sua bocca. Merda, merda, merda, ora che faccio? Prova a colpirlo, ma lui sembra essere più lucido. E' in quel momento che vede Tris caricare da dietro e allora si coordinano, così come hanno imparato a fare nel tempo. Sembra guidarle una sinfonia che riescono a sentire soltanto loro, mentre la loro coreografia ha inizio. Non sente nemmeno più il sangue scivolo sotto le sue zampe, non sente il dolore, le ammaccature, niente. Sente solo la forza che riescono ad infondersi a vicenda, mentre attaccano, e attaccano ancora, senza risparmiarsi un solo colpo. Senza pietà, perché devono salvarsi la vita. Perché Tris deve riuscire ad uscire di lì, trovare Percy, dirgli quello che devi dirgli e se tutto va bene, farci l'amore tutta la notte. E lei, beh lei non può semplicemente morire così. Non lo accetta. Non ha intenzione di morire per mano di quel coso, non per mano di quel fottuto castello incantato. La bestia si dimena, prova a scrollarsele di dosso, ma alla fine, cede, lasciandosi andare, mentre muore dissanguato, tra gorgoglii fastidiosi. Pervinca si butta di lato, mentre, con appena qualche forza, riesce a trasformarsi nuovamente in umana. E le fa male tutto. Dalla testa ai piedi. «Cazzo.» Impreca, gettando un occhio sul proprio corpo nudo, come sua madre l'ha partorito. E' pieno di lividi, di graffi e ferite, di sangue proprio, di quello che ipotizza essere di Tris e quello nauseabondo della creatura. «Stai bene?» Si sincera, lanciandole un'occhiata a raggi X, da estremità a estremità. Poi scivola verso la tracolla, lì dove ha abbandonato la bacchetta e sua nonna, che, stranamente, è rimasta immobile. Trema ancora. Se la stringe un po' al petto, tentando di mordersi la lingua per non dirle "Te l'avevo detto" e dopo qualche istante la lascia andare, tornando verso Tris. «E dopo questa, ti deve essere chiara una cosa: se non alzi il culo e non ti decidi a prendere quello che desideri così tanto, ti uccido io. Te lo giuro.»
     
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    Le parole di Pervinca si scontrano contro un muro nella testa di Beatrice. E' come se la parte meno razionale di sé capisse perfettamente quanto la bionda le stia dicendo, anche con sin troppa chiarezza. La parte razionale tuttavia, che gode di una lucidità impressionante, si rifiuta di accettare quelle parole. Forse perché in fin dei conti Beatrice sa che non avrà mai la certezza di come andranno le cose. Vorrebbe delle sicurezza che la vita non ha, che la vita ha da sempre negato a chiunque. E lei, intenta come al solito a remare contro, soprattutto a se stessa, si rifiuta di darsi un'occasione.. per paura, perché sotto sotto è terrorizzata dall'idea di poter effettivamente vedere la luce alla fine del tunnel. Crogiolarsi nella solita dimensione del solito distacco è facile; non altrettanto semplice è superare i propri limiti, ammettere che un'altra vita, seppur rischiosa, esiste. Beatrice Morgenstern ha visto per mesi Percival Watson nel suo elemento. Prima di agosto, i loro destini si sono incrociati al Ministero più di una volta, e la ragazza non aveva potuto fare a meno di constatare quanto lui si trovasse in mezzo al suo elemento in mezzo a quelle persone. Nonostante fosse chiaro che il suo lavoro fosse tutto fuorché soddisfacente, poiché la gavetta non è mai piacevole per nessuno, nei suoi occhi, a ripensarci ai posteri, riusciva a ricordare la sua determinazione, il fuoco dell'ambizione che quell'ambiente e quelle aspirazioni risvegliavano in lui. Il mondo di Beatrice era all'opposto. Era tutt'altro. Era lontano dalle feste sfarzose, dalla diplomazia di stato, dalle dialettiche passivo-aggressive. Seppur il Credo si sia incrociato volente o nolente con gli interessi particolari del potere temporale, era chiaro sin dall'inizio che in quel marasma c'entrava ben poco. Non erano adatti per trattare secondo le logiche dei governi centrali, non erano adatti alle ipocrisie del mondo della bella gente. Potevano provarci, potevano fingere di incastrarsi in quelle dinamiche, ma sarebbero sempre stati fuori posto. Beatrice lo aveva capito man mano che il suo rapporto con il Capo dell'Inquisizione era andato avanti. Entrambi si erano resi conto ben presto di non potersi contenere, di non potersi effettivamente controllare a vicenda, semplicemente perché non parlavano la stessa lingua. La Morgenstern ci aveva provato; aveva provato con tutta se stessa di comprendere i loro modi, il loro naturale trattare e agire, ma era stato semplicemente inutile. Lei, in quel mondo di sfarzi inutili era rimasta sempre se stessa, aveva continuato a parlare la sua lingua, a trattare secondo i suoi metodi di giudizio e secondo la sua naturale etica. Paradossalmente, lui si adattava e mutava in quel mondo altro con facilità, si muoveva sinuosamente tra personalità grandi e piccole, mentre lei era perennemente rigida. Viceversa, Beatrice aveva paura che Percy si sentisse intrappolato nel mondo di lei, a tal punto che, un giorno, senza se e ma, decidesse di tornare sulla strada che sempre gli era appartenuta. Una cosa continuava a non considerare, Tris. Il destino. Il destino aveva raccolto a sé personalità così diverse, a tratti controverse, tutto fuorché incastrabili in una normale scansione della logica. Il destino aveva fatto congiungere due persone come Pervinca e Beatrice, che in una situazione normale mai e poi mai avrebbero avuto qualcosa da spartirsi. La mora sa per certo, che se quella che aveva di fronte ora, e che volente o nolente, vedeva ormai come una sorella, avesse anche solo provato a rivolgerle le stesse parole un paio di mesi fa, non ne avrebbe neanche avuto l'occasione. Il Branco li stava smussando tutti, li plasmava, li influenzava, li stava letteralmente cambiando, portandoli ad accettarsi a vicenda, e soprattutto ad accettare loro stessi. In cuor suo, ci fu un momento in cui si chiese, se ci fosse effettivamente una crepa in tutto il suo ragionamento. Se effettivamente anche Pervinca, Percy e tutti gli altri, avessero sentito prima, ciò che lei sentiva: la consapevolezza che mancasse qualcosa, che la vita scorresse loro attorno senza che potessero effettivamente afferrarla. Un pezzo mancante del puzzle che avrebbe cambiato completamente l'immagine d'insieme.

    « Non mi dispiacerebbe sapere di più.. su di me intendo. Sento di aver perso parecchi pezzi di me stessa, nel tempo. » E con quelle poche parole, Pervinca sembra quasi dar voce ai suoi stessi pensieri. E di fronte a quelle parole, Beatrice sorride con un moto di affetto impossibile da quantificare a parole. Lo scopriremo insieme si ripromette mentalmente, senza tuttavia riuscire a esprimere a parole quel vincolo che per quanto semplice e sincero, racchiude in sé una serie infinita di difficoltà. Molte delle loro tracce si sono perse in un passato lontano; la famiglia di Pervinca può essersi distaccata da poche generazioni, come aver alle spalle una lunga scia di antenati il cui nome non compare tra i membri del Credo. Negli archivi c'era tutto; bisognava solo sapere dove cercare. La situazione precipita ben presto, prima che la mente di Tris possa arrabattarsi troppo a lungo attorno a quei ragionamenti e di scatto si ritrovano a fronteggiare un vero e proprio mostro. E a quel punto, lasciarsi andare alle loro metà altre, è indispensabile. Beatrice prova quasi una sorta di impazienza nel tornare nella sua forma più naturale. Strano come quella stessa bestia che per tanto tempo ha temuto e odiato, ora era diventata la sua parte più tangibile. Come aveva già detto a Holden, la lupa bianca era se possibile la sua parte più umana; paradossalmente la cosa migliore che potesse capitarle. La sua salvezza. L'aveva avvertita come tale sin dal primo istante, quando, obbligata a contorcersi sotto il dolore incessante del perpetuo spezzarsi delle proprie ossa, la lupa aveva spazzato via qualunque cosa in lei non andasse. Aveva mandato via Lei, l'aveva purificata e ora, lentamente, senza che se ne accorgesse neanche, la rendeva una persona migliore. « Ci vediamo dall'altra parte tesoro. » Annuì di fronte a quelle parole prima di chiudere gli occhi, richiamandola dolcemente a sé, con gentilezza, un sentimento che spesso e volentieri Tris sembrava non conoscere neanche. E la lupa risponde, portandola a contorcersi per un po' prima di liberarsi di quei lembi di carne e pelle in vista che la intrappolano, lasciando risplendere il particolare manto immacolato. E a quel punto si lascia completamente andare; sensi ben acuiti, cerca la via più veloce di uscita. Si affida all'olfatto e all'udito, a quella specie di comunione totale che prova con l'ambiente circostante solo ed esclusivamente quando si trova in quella forma. Ma lo sente. Per quanto cerchi di concentrarsi sull'uscita, sa che il Minotauro non renderà loro la vita facile. Abbracciò completamente la bestia, come se ragazza e lupa fossero una cosa sola. I suoi movimenti sono calcolati, molto più di quanto non lo siano quelli dell'umana. E' vigile ed elegante, estremamente fiera; le iridi scarlatte si muovono nell'ambiente attorno a sé con cautela e inverosimile risolutezza. Sente l'altra belva non molto lontana da sé; prova una sintonia impressionante con lei, riesce a percepirne gli stati d'animo, l'altrettanta sicurezza nei movimenti. S'infondono l'un l'altra la certezza che da lì dentro - da ovunque - usciranno insieme e sempre insieme risolveranno qualunque cosa dovranno risolvere. E di scatto il nemico è lì, di fronte a loro. La bestia immacolata ringhia, di un suono intimidatorio, colmo di rabbia e vitalità, quasi come se rispondesse al richiamo di Pervinca. Tris punta alle spalle, mentre Pervinca preferisce un attacco frontale; si aggrappa con le zampe anteriori alla sua schiena, sfoderando gli artigli, mentre le zanne brillanti, affondano prepotentemente nella carne sulla schiena dell'animale mitologico. Il Minotauro urla, costretto dai colpi combinati di entrambe, ma di scatto, Tris si sente afferrare per la pelliccia da dietr; gli artigli di lui affondano nella sua carne mentre lei è costretta a mollare la presa. Viene scaraventata a molti metri più in là nel corridoio, sbattendo violentemente la schiena contro il muro. Si sente intontita. Ha sbattuto la testa e non poco e per un istante, si sente girare tutto assieme a lei. Il bestione è chiaramente indebolito da quell'attacco incrociato. Gli occhi di lei corrono verso Pervinca anche lei messa sotto dalle energie del mito; ed è allora che lui torna all'attacco e gli occhi della bestia immacolata si spalancano appena nel vedere la sorella cedere sotto la potenza e la ferocia della bestia. Ne percepisce il dolore, il timore che sia finita. E quindi, scuote la testa di botto e si obbliga a rialzarsi. Ulula e ringhia violentemente prima di saltargli addosso. Sono stata gentile, ma adesso mi hai rotto il cazzo. Gli salta di nuovo alle spalle, e questa volta gli artigli si aggrappano alle sue spalle mentre le zanne si conficcano con tutte le sue forze nel collo dell'animale. Preso alla sprovvista, inizia a mollare la presa, e Pervinca e libera di attaccare a sua volta. Quella danza si protrae avanti per parecchie, mentre la danza delle due lupe, ormai diventate una sola, ha lentamente la meglio sulla bestia. E dopo una serie di colpi ben assestati alla fine crolla a terra e crollano anche loro, ormai spossate. La lupa bianca tira un ultimo veloce respiro prima di lasciare nuovamente spazio alla ragazza che incontra gli occhi chiari di Pervinca. « Cazzo. » Il fiato corto la obbliga a restare accasciata a terra, appoggiata contro il muro per qualche istante, tempo in cui parte e scoppia a ridere, inebriata dall'adrenalina e il senso di soddisfazione di aver portato a termine un buon lavoro. Saranno così le nostre vite per un po'? Non può dire, Beatrice, di non essere pronta. A una vita del genere è stata allenata per tutta la vita, ma deve ammettere che in quel momento è meno disposta che mai a morire. « C'eravamo quasi. » Dice mentre chiude gli occhi per un istante portandosi le ginocchia al petto, mentre allunga la mano per afferrare la propria tracolla iniziando a cercare al suo interno un cambio. Una pio di jeans e una felpa in cui potrebbe entrare tre volte; gli ultimi che ha raccattato nelle sale comuni.
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    « Stai bene? » Ha un brutto taglio sul fianco e si sente un bruciore non indifferente sulla schiena, là dove gli artigli della bestia l'ha afferrata con forza, scagliandola contro il muro, ma tutto sommato sembra stare bene. Si sente prosciugata ma quella pare sia paradossalmente la pace dei sensi, perché paradossalmente si rilassa. « Poteva andare peggio. Potevamo parlare ancora a cuore aperto. » Dice infine sdrammatizzando. Non è nemmeno poi una così grossa bugia. Meglio affrontare un Minotauro che parlare di argomenti che chiaramente devono restare chiusi e sepolti. Eppure, quella vicenda, un po' le dà da pensare. « E dopo questa, ti deve essere chiara una cosa: se non alzi il culo e non ti decidi a prendere quello che desideri così tanto, ti uccido io. Te lo giuro. » Sorride appena Tris, mentre si infila la felpa e prende a controllare lo stato generale delle condizioni di Pervinca. Non è messa benissimo, ma se la caverà; e allora si alza e le porge il braccio per aiutarla ad alzarsi. Capisce cosa lei stia tentando di dirle, ma in quel momento non è ancora prettamente pronta ad ammettere che la bionda abbia ragione. « Sono dura a morire, se non te ne sei accorta. » Di di scatto mentre iniziando ad avviarsi verso l'uscita; alla lavanderia ci penserò dopo. Ora ha bisogno di aria fresca, di uscire da quel posto claustrofobico e magari mangiare qualcosa. « Un consiglio che dovresti seguire anche tu. » E forse qui dentro, volenti o nolenti, tutti impareremo a non rinnegarci più.

     
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