the only thing faster than light is darkness

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    Che ore sono? E' la domanda che sembra rimbombare nella sua testa per la maggior parte del tempo. L'orologio di sua madre, che tiene sempre al proprio polso, ha smesso di funzionare. Le lancette puntate sulle 12. Suo nonno Arthur direbbe "Tesoro, non è rotto. In fin dei conti segna le ore giuste ancora due volte al giorno. A mezzogiorno e a mezzanotte." E si crogiola un po' in quel pensiero. In quell'idea in cui ancora lei sembra essere padrona del suo tempo. Quel tempo che continua a scivolarle tra le dita. La luna visibile in cielo, la notte onnipresente, eppure ha due punti fissi. Mezzogiorno e mezzanotte. Non sa effettivamente quando arrivano, quando se ne vanno, ma guardare quell'orologio, in un certo qual senso, l'aiuta. A rimanere calma. A tenere i nervi sotto controllo, così come le è stato insegnato da Byron. Canalizzare tutto in quello che, probabilmente, le riesce meglio. Incanalare tutti i pianti singhiozzati, tutte le urla di dolore, tutti i corpi morti di coloro che in quei primi giorni non ce l'avevano fatta. Arginare tutto dentro di sé, processandolo come meglio le riesce, per poi rimanere salda. La roccia al centro della tempesta. E' così che l'ha sempre chiamata sua madre. E' così che non si sente assolutamente dopo la notte delle notti. Seppur dia una mano come può, si faccia in quattro a destra e sinistra, quella parola non sembra voler lasciar spazio ad altro, nella sua mente. O forse è l'immagine distorta del viso dell'Inquisitore ai suoi piedi. Bloccato a terra dai rami d'edera, così come lei era bloccata nel guardarlo. Impotente, seppur in una posizione di assoluto vantaggio. Mai era stata tanto grata a suo fratello, quando alla fine aveva fatto quello che avrebbe dovuto fare. Ucciderlo, senza rimorso alcuno. E pur non avendolo ucciso, il pensiero era tornato a farle visita, durante le poche ore che era riuscita a dormire nei giorni passati. Il viso dell'uomo, sfregiato dalla paura, nel vedersela sopra, pronta a togliergli il respiro. Un incubo ricorrente che non aveva fatto altro che inquietarla psicologicamente e debilitarla fisicamente, non permettendole di riposare bene - aggiungendosi a tutti gli altri disagi in cui si erano ritrovati un po' tutti per provare a dormire. Per questo motivo, seppur stanca e con il viso spento, Olympia si dà da fare. Ha bisogno di tenere la mente occupata. Ha bisogno di avere sempre qualcosa da fare, per non pensare. Per togliersi dalla testa ognuno di quei ricordi che riuscivano a farla sentire così male. «Io porto queste giù al campo, sai, per quelli che stanno facendo il turno giù» dice a Malia, sistemando la pila di coperte al muretto del cortile. La mora la guarda di traverso, prima di tornare a guardarsi intorno, con la bacchetta ben salda tra le dita. La punta di quella di Olympia rischiara le tenebre che sembrano volerle avvolgere con così tanta bramosia. «Ti accompagno!» Olympia scrolla la testa, con un mezzo sorriso sulle labbra, mentre si porta al petto il malloppo che è riuscita a racimolare la sera (era davvero la sera?) prima, nei dormitori dei Corvonero. «Non hai il turno al piano della biblioteca?» Inarca un sopracciglio. E lei lo sa perché è passata di lì giusto prima di raggiungerla in cortile. Si è informata un po' sulla rotazione dei cambi, principalmente per un motivo. Lo sa bene, ma decide di evitare quella consapevolezza, sorridendo all'amica. «Non ti lascio andare giù da sola!» La rossa sbuffa, mentre comincia a fare qualche passo verso la tenuta esterna. «Starò attenta, come sempre. Ho scoperto di essere più atletica di quanto tutti si aspettassero.» Me compresa. Si stringe nelle spalle, ricordando la corsa campestre che è stata costretta a fare per scappare dal Platano Picchiatore che aveva deciso di mozzarle la testa. «Vai, forza! Ti vengo a cercare appena ho fatto» le dice, facendole un cenno con la mano, come ad invogliarla ad andare a svolgere il suo lavoro. «Mi raccomando, non cadere in nessun libro, Alice Trova ancora la forza di giocarci sopra. Lo fa sempre, quando è in compagnia di qualcuno o sa di essere osservata. Ha sempre una bella facciata, quando deve, ma mentre si avvia verso il campo da Quidditch, il sorriso perde luce, diventando un'insapore linea retta. Fa freddo e lei si stringe nel maglione che è riuscito a recuperare dalla propria stanza la sera del ballo. Il silenzio l'avvolge per qualche minuto buono, mentre si guarda intorno circospetta, pronta a correre al primo rumore inquietante. Ma, stranamente, riesce ad arrivare al campo senza problemi e le basta socchiudere appena gli occhi per vedere i fuochi divampare dentro i barili di latta. Un sistema che è stato condiviso con il resto della comunità studentesca da alcuni ragazzi di Corvonero. Un'idea geniale per coloro che sono costretti a fare i turni fuori dal castello, che è già di suo estremamente freddo. Un'idea scaturita dopo le prime morti per assideramento, nei primi giorni. Si avvicina ai tre che si trovano intorno ai fuochi e ne riconosce immediatamente uno. Non l'ha cercato fino a quel momento, facendo un passo indietro, per lasciargli, inconsciamente, i suoi spazi, il suo tempo per metabolizzare l'intera faccenda. Il tornare ad Hogwarts per divertirsi una sera soltanto per poi rimanere intrappolato in una roulette russa non è facile da digerire. Ma Dean sembra aver raccolto la sfida con entusiasmo come suo solito. L'ha osservato da lontano, nei giorni precedenti, fin quando non ha sentito il bisogno di parlargli veramente, come facevano un tempo. Per questo lo aveva cercato nel suo nuovo posto. La biblioteca. Ma lì le era stato detto che aveva fatto a cambio con un Corvonero per andare al campo. «E dove potevo trovare Dean Moses, dopo non averlo trovato in biblioteca?» Si annuncia, prima di sorridere anche agli altri due. «Sono venuta a portarvi queste» dice, passando le coperte calde ai tre. Ha un leggero deja-vù nel dare a Dean la sua. Come due anni prima, lei è ancora quella delle coperte e lui quelle di cui ne ha bisogno. Alla fine si volta verso il fuoco, sfregando le mani sopra di esso. «Tutto a posto qui?» Domanda, infine, gettando una veloce occhiata ai due, che sono stranamente in silenzio. "Ehm, noi andremmo, se tu vuoi rimanere qui.." Guarda il Tassorosso che alla fine si è deciso a parlare e annuisce, dopo aver valutato la situazione. «Sì, certo, nessun problema. Rimango io con lui!» I due acconsentono, scrollando la testa, li salutano e si avviano verso l'uscita del campo. Il silenzio piomba su di loro, ma non è un silenzio imbarazzante, che ha il bisogno di frasi fatte per essere riempito, in qualche modo. E' un silenzio quasi piacevole, mentre il fuoco scoppietta sotto le loro mani. «Mi dispiace che tu sia tornato per trovare - si ferma appena qualche istante, per cercare una parola che però non sembra arrivare sulla punta della sua lingua - questo E' lo è davvero, triste, se pensa che potrebbe essere da tutt'altra parte, in quel momento, magari a prendere il sole sulle spiagge di Santa Monica, fino a bruciarsi. E invece è lì, nella notte più buia. «Una nuova avventura da scrivere nel diario di bordo di Dean Moses.» Ridacchia, prima di lanciargli un'occhiata veloce, da sopra la spalla. Torna poi a guardarsi intorno, non scorgendo più tanto bene le figure dei due studenti che si stanno allontandando. «La più strana che ti è capitata nel periodo da collegiale?» Gli domanda, con un sorriso furbo sulle labbra. Ha bisogno di parlare, di sapere come sta, di riempire quel vuoto che ricopre mesi e mesi di silenzio stampa. Un urlo feroce taglia in due l'atmosfera, costringendo Olympia a voltarsi di scatto in quella direzione. "Aiuto. Cazzo, aiuto!" La voce del Tassorosso, di pochi istanti prima, arriva alle loro orecchie. "Cazzo, cazzo, cazzo, Potter, Moses, venite qua!" Uno schiocco sonoro, che la fa rabbrividire nel profondo, prima del nulla. Un silenzio assordante. La rossa si guarda intorno, con la bacchetta puntata verso l'area circostante. Non vede niente, nulla si muove. Ma sa che quei due, se non sono già morti, non se la stanno passando bene. Comincia a camminare verso quella direzione, stando attenta a dove mette i piedi. Ma poi lo avverte, il sibilo strano. «Ch- ma non fa in tempo a finire la domanda, voltandosi appena verso Dean, perché un boccino sfreccia sopra di loro. Olympia alza gli occhi e lo vede. Lo vede planare verso il basso, con un solo obiettivo: centrarli in pieno. «Scappa!!»


     
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    "E dove potevo trovare Dean Moses, dopo non averlo trovato in biblioteca?" la voce di Olympia parve distrarlo di colpo dalla sua interessantissima conversazione con gli altri due compagni di ronda. E per interessante si intende che stavano parlando di quanto cazzo facesse freddo a ogni ora. E dunque del tempo. E dunque per nulla interessante. Si voltò a guardare la rossa, lanciandole uno di quei suoi soliti sorrisoni più brillanti del sole di mezzogiorno. "Sono una persona abitudinaria, ormai dovresti conoscermi." disse, allargando appena le braccia come a sottolineare quella mezza verità. In realtà Dean era una delle persone meno abitudinarie del mondo: non viveva alla giornata, ma addirittura al minuto. Tuttavia quella situazione al castello sembrava aver reso ormai tutti prevedibili: ci si spostava sempre nei luoghi in cui ci si sentiva più al sicuro, cercando un tipo di certezza che oramai non esisteva più. Nessun posto era più sicuro di un altro, non in maniera concreta. Ma lo era in virtù di ciò che ciascuno vi metteva di proprio. Dean aveva sempre trovato conforto nei libri e nel quidditch: e dunque i templi di queste due cose erano i suoi porti sicuri. Ci si aggrappava come si poteva alle fila del passato, ai ricordi, a ciò che aveva fatto sentire bene. Una protezione inconscia da quell'enorme voragine ignota che erano diventate le loro vite appese a una fune in procinto di spezzarsi. "Sono venuta a portarvi queste." Per un istante, nel posare lo sguardo sulle coperte, la mente di Dean ritornò al lontano ricordo di qualche anno prima. Quando risollevò gli occhi in quelli di Olympia, un messaggio diverso pareva stagliarsi in quelle iridi cerulee. Ci sembrava la fine del mondo, ai tempi, ma il fondo non finiamo mai di toccarlo..immagino. Stirò tuttavia un sorriso, prendendo una coperta e avvolgendosela attorno alle spalle prima di riprendere a sfregarsi le mani di fronte al bidone nel quale avevano appiccato il fuoco per scaldarsi. "Tutto a posto qui?" Non fece in tempo a rispondere. "Ehm, noi andremmo, se tu vuoi rimanere qui.." "Sì, certo, nessun problema. Rimango io con lui!" sorrise ai due ragazzi, salutandoli con un cenno del capo prima di rivolgersi nuovamente alla Grifondoro. "Tutto a posto e niente in ordine." disse dunque, cercando di spruzzare un po' di ironia in quella tragedia che era ormai diventata la vita al castello. "Mi dispiace che tu sia tornato per trovare..questo!" Sebbene non ci fosse nulla da ridere, lo fece lo stesso, scuotendo appena il capo prima di stringersi nelle spalle con un certo fare di accettazione. Perché Dean accettava, sempre, tutto quanto. In fin dei conti, aveva davvero senso fare altrimenti? Puntare i piedi? Rinnegare ciò che è evidente di fronte agli occhi? No, non lo aveva. "Figurati. Non che ci fosse di meglio dall'altro capo del mondo." Il sorriso morì sulle sue labbra nel fissare il fuoco, rimembrando il panico, le strade deserte, la sfilza di amici che aveva visto morire giorno dopo giorno in quegli ultimi mesi, e quelli a cui non aveva avuto nemmeno la possibilità di dire addio. "Lì fuori sta andando tutto a puttane. Almeno qui ho trovato qualcosa..o qualcuno." Che è pur sempre meglio del nulla più totale. "Una nuova avventura da scrivere nel diario di bordo di Dean Moses." "Cazzo, me ne dovrò comprare uno nuovo con tutta la roba che mi capita un giorno sì e l'altro pure." rise a quella verità, sollevando entrambe le sopracciglia come a volerla sottolineare ulteriormente. "La più strana che ti è capitata nel periodo da collegiale?" A quella domanda mise subito su un fare pensieroso, sollevando gli occhi al cielo nel ripercorrere tutte le cose strane, divertenti e paradossali che sembravano andare naturalmente incontro a un tipo di personalità come la sua. Tuttavia non fece in tempo ad aprire bocca, ancora tutto intento a rinfrescarsi la lista, che un urlo agghiacciante lo fece sussultare, facendogli cadere la coperta dalle spalle nel movimento di voltarsi di scatto verso la provenienza di quel suono, sguainando la bacchetta di fronte a sé. "Aiuto. Cazzo, aiuto! Cazzo, cazzo, cazzo, Potter, Moses, venite qua!" Di istinto le poggiò una mano sulla spalla. "Non correre." disse piano, quasi sussurrando. Conosceva la trappola del campo da quidditch, ne aveva sentito parlare a profusione e gli era già capitata una volta. La cosa peggiore che si potesse fare era proprio entrare nel panico, ma presto o tardi sarebbe giunto il momento in cui l'essere più veloci diveniva una necessità impellente. "Ch-" il primo sibilo, che non gli diede tempo di dire nulla prima che lei stessa si accorgesse di cosa stava per capitare. "Scappa!!" Di corsa si buttò sul primo fascio di scope poggiate agli spalti, lanciandone una ad Olympia. "Lo so che non è esattamente il tuo elemento, ma è l'unica maniera. Prima i boccini, poi i bolidi. E quelli ti ammazzano, Olympia, fidati." Possono farlo persino durante una normale partita di quidditch, figuriamoci. Il secondo strumento che prese fu una mazza da battitore, questa volta senza lanciarne una identica a Olympia. Sapeva che se lo avesse fatto non sarebbe andata a finire bene. "Tu sei brava con gli incantesimi, io ti copro le spalle con questa." e nel dirlo, dandosi una spinta per spiccare il volo, sventolò la mazza di ferro, sferrando un sonoro colpo al primo bolide diretto verso di lui. "Visto? Prendilo come un gioco.." Sbem. Un altro bolide colpito. "Come premio, se vinci, rimani in vita. E' un sacco conveniente, fidati."
     
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