Grifondoro, non Grifoni

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  1. AresCarrow
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    - Ti accompagno io -
    Credo siano state le prime parole che ho pronunciato, questa mattina, affiancandomi ad una Malia che si era detta intenzionata a vedere cosa ci fosse in direzione delle torri. A qualcuno spettava quel compito, e di sicuro avviarmi con lei in quella direzione sembrava essere più affascinante che ritrovarsi condannato a fare da balia agli studenti più giovani per tutta la giornata, a coccolarli e ad ascoltarne le legittime paure. Credo che a tutti dovrebbero spettare i compiti più adatti a loro, e a me di sicuro non può toccare di consolare nessuno, ne di tranquillizzare qualcuno circa il nostro futuro più prossimo. Non credo che ne sarei in grado, mai, ma soprattutto non adesso, con tutta la verità che mi è toccata di ingoiare in questi pochi giorni. La verità sul mondo che mi circonda e i sussurri che mi scivolano costantemente fra le tempie posso accettarli, come poso accettare le ombre che mi sfiorano e le trappoli mortali da cui siamo circondati, ma la verità su Tallulah...su Maze...su Amunet, perfino. Mia sorella.
    Non potevano dirti nulla continuano a ripetermi le ombre, eppure non era un argomento che sono pronto ad affrontare, e così preferisco concentrarmi sul presente, sulla realtà in cui siamo immersi e sulle possibilità che abbiamo di uscirne. Siamo tutti intenti a cercare una via di fuga dalla scuola, un modo per sopravvivere e salvarci, forse, ma anche per tornare al mondo esterno. E' un pensiero che mi fa sorridere. Forse ci affanniamo inutilmente e non ci sono soluzioni a quell'enigma, se non quella di attendere che la scuola ci finisca tutti, uno dopo l'altro.
    Non so quanto la cosa mi importi, ma in ogni caso preferisco andare alla morte con la bacchetta in mano che aspettarla, quasi implorandola, seduto inerme in un angolo del castello.
    Di sicuro, ho il tempo di riflettere mentre il tempo pare rallentare e il grifone in fondo al corridoio avanza di un passo fissandoci, non posso lamentarmi che i miei desideri non siano stati ascoltati. Volevo una grifona tutta per me, e se anche la bestia non è affascinante come Malia non posso escludere del tutto che non si tratti di un esemplare femminile della sua specie. Avrei dovuto specificare. Grifondoro, non Grifoni. E in quanto al resto...se era la possibilità di morire con la bacchetta in mano, che volevo, combattendo magari, anche in quello sono stato esaudito.
    La bestia ruggisce, avanzando ancora di un passo. Ci punta, quello è sicuro.
    Non morirai sussurra una delle ombre scivolandomi fra i piedi.
    Stai pronto.
    Fai quello che ti diciamo.
    Sono un piccolo esercito che si muove dietro i mobili e nelle pieghe degli arazzi, occhi che sbirciano dall'oscurità e voci sussurranti che non posso evitare di sentire. E di ascoltare.


    E pensare che tutto quello che volevo era di passare qualche momento in pace, con lei, un po' come al ballo.
    Mi era piaciuta la sensazione che mi aveva dato tenerla stretta per qualche momento, come se avessi trovato il mio piccolo occhio di ciclone in mezzo ad un uragano assolutamente personale, e per qualche momento era stato di nuovo così mentre parlavamo del più e del meno alla ricerca di un passaggio sicuro verso le torri. C'era stato qualcosa di assolutamente normale nell'imbarazzo che ho provato nel trovarmi da solo con lei, tanto naturale da dimenticarmi per un attimo quello che ci circonda - Perdonami se ti ho rapita, probabilmente avresti avuto più piacere di farlo con qualcun altro - sono perfino arrivato a dirle mentre imboccavamo una delle scale e l'anticipavo per tutta la rampa. L'avevo fatto con calma, serenamente quasi, come se quella semplice realtà non mi pesasse affatto. Un po' lo faceva, lo fa, naturalmente ma non c'era molto da recriminare proprio a lei. E' tutto nella tua testa, lei ha altro in mente ha sussurrato una delle voci, celata nell'ombra di uno scalino. Non gli ho risposto. raramente lo faccio con chi sottolinea l'ovvio - Ma avevo bisogno di passare del tempo con qualcuno di gradevole che non mi... - abbia tradito. Me. La mia fiducia. Qualcuno cui non importa nulla di me, ma a cui potrebbe importare, se le cose fossero diverse. Un'illusione, magari, ma un'illusione dolce - ...pesi. Non so se capisci - ed erano state le ultime parole, prima di imboccare il corridoio.
    Quel corridoio.


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    Il grifone - la grifona, nella mia testa - è entrata da una delle finestre e ci ha puntato da lì.
    Restate fermi.
    - Resta ferma - dico a Malia, mentre lentamente scivolo a coprirla alla vista della bestia. Cerco lo sguardo del Grifone, alla ricerca di un minimo di esitazione, o di dubbio. Non ne trovo. Cazzo...
    Ed è lì che la bestia avanza e poi indietreggia, preparando il balzo.
    Non ancora...
    Sussurra una voce.
    Qui.
    Ed è un movimento leggero, qualcosa di più denso che scivola dietro una colonna. Uno spazio minimo, alla sua sinistra, eppure...
    Ora!
    Il Grifone balza in avanti e al contempo tutto pare rallentare. Mi volto verso Malia e le passo un braccio intorno alla vita, ruotando. L'attiro a me, e in terra, in un rotolare scomposto a spingerla verso la colonna che è il nostro misero riparo, cercando di tenermi fra lei e la creatura. Un flusso rabbioso di piume e artigli di passo sopra e accanto, e qualcosa mi colpisce con forza alla schiena, spezzandomi il fiato. Per un attimo la vista mi ondeggia e io mi chiedo, stranamente calmo, se non fosse un artiglio e se io non sia morto. Sarebbe un bell'inganno. Vendere l'anima al diavolo per due soli giorni di scarna protezione.
    Non sembra esserci sangue, però...
    VIA! urlano le voci, e io cerco di scuotere la testaVIA! VIA!
    - ...via... - provo a dire. Alzo una mano, indicando una porta attorno cui le ombre, che lei non può vedere, si accalcano più dense, agitate - ...là... -
     
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    « Perdonami se ti ho rapita, probabilmente avresti avuto più piacere di farlo con qualcun altro. » Aggrotta la fronte, mentre lo segue lungo le scale. Le viene quasi da sorridere di fronte alla scelta bizzarra di termini che il Serpeverde compie: rapita, piacere. No, è difficile provare piacere nel fare qualcosa in queste condizioni, con chiunque sia; ed è pur vero che Ares Carrow non sarebbe stato il primo compagno che avrebbe scelto per questo suo giro di ricognizione verso le torri, per il semplice fatto che lo conosce poco, ma negli ultimi giorni è facile vedere coppie del tutto impensabili girare insieme per il castello. Il pericolo li ha uniti tutti, a discapito delle casate, delle antipatie o dei litigi vissuti.
    « Sempre meglio tu che il Kraken del lago Carrow, non trovi? » gli risponde in un tono quanto meno divertito, mentre sale l'ultimo gradino della rampa che porta all'ultimo piano del castello. « E poi va bene così. È bello variare la propria compagnia, ogni tanto » asserisce convinta, annuendo leggermente con la testa mentre continua a guardare davanti a sé, la bacchetta stretta tra le dita. E di questa cosa è estremamente convinta. Ha trascorso così tanto tempo, negli ultimi giorni, a condividere i propri turni con Tris o con Olympia, che crede quasi di non aver voglia di vederle per un po'. Le adora, per carità, così come vuole bene a tantissime altre persone all'interno di quel posto, ma certe situazioni tirano fuori le parti peggiori di chiunque, e starsi vicino diventa sempre più difficile. Lei lo sa bene, e di tanto in tanto capisce che è il caso di allontanarsi un po', quanto meno per dare ai propri amici un po' di spazio per allontanarsi dai suoi stessi difetti i quali, ne è certa, devono star emergendo in misura nettamente maggiore negli ultimi tempi. Ma succede con tutti, d'altra parte: è un effetto del pericolo continuo, dello stress e della stanchezza. E non c'è altro da fare, bisogna imparare a capirsi, sopportarsi nei momenti di collera e fare dei passi indietro in quelli di incomprensione.
    « Ma avevo bisogno di passare del tempo con qualcuno di gradevole che non mi... pesi. Non so se mi capisci. » Annuisce piano, la mora, mentre gli cammina accanto. Sa esattamente cosa quello voglia dire. Certo, dubita che i suoi amici riescano ad essere insopportabili quanto quelli del Serpeverde - insomma, Sanders, Douglas, Gauthier! Quella combriccola è già un tutto dire - ma sa che ognuno ha i propri momenti.
    « Sì, capisco perfettamente » dice, rivolgendogli uno sguardo veloce, prima di tornare a guardare di fronte a sé. E sta per aggiungere qualcos'altro, qualche osservazione simpatica o presa in giro sulle compagnie di cui di solito Ares si circonda, ma non fa in tempo, perché i suoi occhi incrociano quella figura in fondo al corridoio, e la sua vista le mozza le parole in gola. « Oh, fanculo » riesce soltanto a dire, in un sospiro quasi esasperato, nel realizzare che nemmeno oggi potrà avere una giornata tranquilla. Il grifone si avvicina a grandi falcate nella loro direzione, seppur a passo lento, e questo concede ad entrambi appena qualche istante per pensare lucidamente al da farsi. La mora impugna saldamente la propria bacchetta, il primo incantesimo da scagliare verso la creatura già sulla punta delle labbra, ma si blocca nel momento in cui il Serpeverde si para fra lei e la creatura. Il battito del cuore accelera vistosamente, mentre la vede prepararsi oltre la spalla del ragazzo, e a quel punto capisce di dover colpire. Si scosta più a destra, scappando dalla protezione di Ares e puntando la bacchetta con energia verso la bestia: « Incarcer- » prova a dire, ma non fa in tempo perché la presa intorno alla sua vita le mozza il fiato, rendendola incapace di completare l'incanto. Rotola per terra insieme ad Ares, fino a raggiungere il retro di una colonna, capace di assumere la funzione di scudo per entrambi, anche se in modo un po' debole.
    Il grifone nel frattempo è balzato in avanti con una furia brutale, e la mossa repentina di Ares ha evitato ad entrambi di venire crudelmente sbranati al suo arrivo. Resta ferma dietro la colonna, stringendo le dita intorno al maglione del ragazzo per avvicinarlo di più a sé, in modo da offrirgli maggiore copertura e farlo così sfuggire al raggio d'azione della bestia, mentre si allunga con il collo per osservarne i movimenti con cautela. Per un attimo sembra sparire alla loro vista, in un silenzio che permette alla Grifondoro di sentire il proprio battito accelerato nelle orecchie. E poi arriva. Un colpo di coda vigoroso, la fa sussultare, tanto da lanciare un urlo spaventato, ma non la sfiora, bensì colpisce Ares. Prontamente, punta la bacchetta verso il pavimento antistante alla belva, e lancia un Confringo non verbale in grado di far esplodere un paio di mattonelle sul suo muso, così da dar loro un attimo in più per pensare. Si guarda intorno, indecisa, e il suo pensiero, che vaga da tutte le parti, viene interrotto dalla voce di Ares, che nel frattempo sta indicando qualcosa alle sue spalle. Si volta, e non appena vede la porta chiusa si alza all'impiedi, di fretta, per poi tirare il ragazzo verso di sé per un braccio. « Forza. Dobbiamo sbrigarci » gli intima, aiutandolo ad alzarsi, mentre con lo sguardo torna a monitorare i movimenti del grifone, che sta scuotendosi il muso e guardandosi intorno, in un attimo di disorientamento, per poi tornare all'attacco. E allora corrono, concentrando tutta la forza che hanno in corpo sulle loro gambe, verso quella porta chiusa che ora pare essere la loro salvezza. Una volta raggiunta spingono i manici di entrambe le ante, spalancandola, per poi richiudersela con un grande tonfo alle spalle, appena prima che la bestia li segua, in quella sua furia omicida. « Colloportus! » casta prontamente, verso gli infissi della porta, che paiono illuminarsi un attimo, per poi tornare normali. Un tonfo. Il grifone sta provando a sfondarla, e non è detto che non ci riuscirà. Alle loro spalle, un lungo corridoio che pare non avere fine. « Non reggerà a lungo » dice, guardando il ragazzo, mentre la porta accanto a loro è scossa da un'altra vibrazione. « Dobbiamo sbrigarci, e correre. Sei ferito? Pensi di riuscirci? » domanda, apprensiva, un passo già in direzione del corridoio. Prega che la risposta del Serpeverde sia affermativa perché, altrimenti, se provasse a correre con lui in braccio sa con certezza che diverrebbero entrambi un delizioso pasto per il grifone.
     
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  3. AresCarrow
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    Quanto meno sono al di sopra del Kraken nella scala di valori della Stone.
    E' un primo barlume di consapevolezza che però, invece di essermi di gradimento, mi infastidisce forse più del necessario, e anche se fingo di non conoscerne il motivo quella di mentire a me stesso è una cosa che sono talmente poco abituato a fare che la verità mi lampeggia nel centro della testa come un'insegna al neon: mi infastidisce perché, fra i due, quella normale è lei. Non la conosco quasi, non abbiamo parlato che in poche occasioni, non abbiamo mai trascorso insieme del tempo prima di ora...è affascinante, quello sì, ma non è il tipo di fascino che si possa giustificare con altro se non con l'idea che mi sono fatto di lei e che ero solo ansioso di verificare.
    Ero, ovviamente, perché le mie priorità sono cambiate negli ultimi giorni e se anche fossi stato in procinto di scordarmelo il grifone che è apparso e ci ha aggredito è un ottimo modo per riportare la realtà della situazione attuale alla mia attenzione.
    Mi alzo e per un attimo, sento le gambe cedere. Alzo una mano, le chiedo un istante e poi ci riprovo. E' un gesto di pura forza di volontà, e le ginocchia tremano come di fronte ad uno sforzo ben maggiore del sollevare il mio semplice peso. Ricomincio a respirare mentre sento il grifone dietro alle mie spalle che frena, sbatte contro il muro e si gira di nuovo verso di noi, e quasi preferisco non farlo. Ogni respiro che traggo è un dolore lancinante alla schiena.
    CORRI!
    Un'ombra si agita, trema e si infila sotto la porta che ho appena indicato a Malia. Lei la apre e io ci inciampo dentro, rotolando sulla schiena e prendendo aria a grandi boccate.
    CORRI!
    ALZATI!
    VAI!

    Non mi chiedo nemmeno per quale motivo siano tanto agitate, è la porta che trema a rivelarmelo. Mi giro, punto le mani sul pavimento e mi metto in ginocchio. Un nuovo colpo alla porta, e una voce che sussurra Meno due proprio lì, accanto al mio ginocchio. Ecco un'altra cosa che non mi chiedo, mentre alzo lo sguardo verso di lei e mi obbligo a rivolgerle un sorriso. Non un gran sorriso, devo ammettere, non sono mai stati il mio forte, ma qualcosa che spero appaio ottimista, pieno di fiducia e magari anche un po' divertito. Folle, probabilmente, ma l'adrenalina che mi corre nelle vene rende davvero quel momento migliore di molti altri. Meglio dell'attesa, di sicuro, e dell'inedia - Non lo so, ma ci pensiamo dopo - dico, e di nuovo quella fitta alla schiena. Spero sia una costola. Spero non abbia bucato un polmone - Tu vai avanti, e io dietro - e probabilmente quell'atto di galanteria non le piacerà, ma al diavolo. Se devo morire afferrato da un grifone, che almeno sia guardando il suo fondoschiena.
    Mi raddrizzo e parto, dietro di lei. Un colpo alla porta, quindi ne manca solo uno - A destra, laggiù, e poi su... - giù! - ...giù, scusa. Giù per...le scale - due rampe, poi a sinistra. Terza porta sulla destra - Due...due rampe. Poi a sinistra -
    Prego.
     
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    « Non lo so, ma ci pensiamo dopo. » Lo ringrazia mentalmente per quella dimostrazione di tenacia, perché, glielo confermano perfettamente quei continui scossoni sulla porta, non hanno molto tempo per indugiare ancora, né trovare un modo per medicarlo. Malia poi non è particolarmente esperta in quest'ambito, e anzi forse riuscirebbe a fare più danni che altro; dunque spera vivamente che la ferita del ragazzo non sia tanto grave da peggiorare con quella corsa a perdifiato che sono costretti a intraprendere. « Tu vai avanti, e io dietro » dice lui, e a quella sorta di gentilezza Malia non fa molto caso sul momento, troppo concentrata sul pensiero di togliere le tende da quel luogo il prima possibile.
    « Non importa, basta che andiamo! » sbotta, strattonandolo per un braccio, dopo aver udito l'ennesimo ringhio dall'altra parte della porta, i cui infissi quasi contemporaneamente prendono a tremare. Cominciano a correre, allora, a perdifiato, senza guardarsi mai indietro. Malia procede senza una meta effettiva, a caso, si infila dove riesce a trovare un imbocco che sembra portare a qualcos'altro, ad un luogo sicuro. Non è certa di dove stia andando con esattezza, ma capisce che deve proseguire verso il basso, perché l'ultima cosa che vuole fare è rimanere intrappolata in cima a qualche torre con quel grifone alle calcagna, senza possibilità d'uscita. Più si allontanano e meglio è, si ripete tra sé e sé, quando comincia ad avvertire quella stanchezza che le rende difficoltoso andare avanti, e che a tratti la fa rallentare. Di più. Se, in qualche modo, quella bestia è relegata al luogo in cui l'hanno incontrata, come i gufi lo sono alla Guferia ed il Platano Picchiatore lo è alla tenuta esterna del castello, ad un certo punto smetterà di inseguirli, e riusciranno a seminarlo. O, per lo meno, lo spera.
    Nel frattempo, non capisce esattamente che modo o secondo quale logica, eppure Ares riesce a darle delle direttive sul percorso da seguire. « A destra, laggiù, e poi su... giù, scusa. Giù per... le scale. Due...due rampe. Poi a sinistra » Annuisce piano, mentre continua a proseguire per quella strada, col respiro corto ed un dolore già forte all'altezza delle costole. Lei, dal suo canto, non conosce altrettanto bene questa zona del castello, e dunque esegue alla lettera tutti i suoi ordini, fidandosi ciecamente di quello che dice. Parla con una tale determinazione e sicurezza da far sì che la giovane Grifondoro eviti di dubitare in alcun modo dell'affidabilità dei suoi suggerimenti. E allora svolta a destra dietro l'angolo del corridoio che hanno appena percorso a velocità, per poi scendere giù due rampe di scale. E svolta a sinistra, esattamente come lui le ha consigliato. A questo punto non si ferma a chiedere ulteriori suggerimenti, e sta per procedere per la strada che più la aggrada, prima che Ares le dia una nuova direttiva. Decide di ascoltarlo, allora, e si ritrova ad aprire una porta nel piccolo corridoio in cui hanno svoltato, e ad aspettare che lui la segua prima di richiudere la porta alle loro spalle, e sigillarla con un ulteriore Colloportus.
    Si volta, poi, ad osservare lo spazio in cui si ritrovano: si tratta di un salottino piccolo e angusto, con al centro un paio di divani probabilmente vecchi e impolverati, ricoperti da dei teloni bianchi. Un tavolino da tè, un piccolo caminetto spento poco lontano e qualche quadro vuoto alle pareti.
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    Immagina che anche alcuni personaggi dei ritratti abbiano deciso di levare le tende. Sospira, quasi di sollievo, quando nota, in fondo alla stanza, una piccola scala a chiocciola che deve portare al piano inferiore, anche se non sa esattamente dove. Non aveva mai messo piede in questa stanza: Hogwarts è così immensa e labirintica che ci sono miliardi di ambienti che loro studenti non hanno mai visto, dunque lo scovare, di tanto in tanto, e per caso, questi luoghi che sembrano dimenticati da tutti non è una rarità. Avvicina l'orecchio alla porta, ancora un po' ansimante, portandosi una mano sullo stomaco per cercare di quietarsi in qualche modo, e tenta di ascoltare dall'altra parte. Nulla. Non si sente nulla.
    Si volta verso Ares, inspirando ed espirando profondamente. « Secondo me l'abbiamo seminato » dice, un tono quasi speranzoso della voce. « Ma non possiamo esserne certi. Comunque, per adesso è lontano. » Annuisce piano, mentre avanza di qualche passo nella sua direzione, e sussurra. Devono stare attenti anche al rumore più minimo, per capire quando e se scappare. « Non possiamo rimanere a lungo, in ogni caso. Ma per adesso dobbiamo capire cosa ti sei fatto alla schiena. Girati e fammi vedere » dice, convinta, una volta più vicina a lui, costringendolo a voltarsi e a darle le spalle, mentre nel frattempo comincia a frugare all'interno della propria borsetta a tracolla. Dovrebbe avere del dittamo, da qualche parte... Spera possa essere utile. Se si tratta di una ferita, potrebbe sicuramente tamponare in quel modo. Ma se c'è qualcosa di rotto, non ha idea di cosa si dovrebbe fare, né quanto potrebbe essere effettivamente grave. E la prospettiva comincia a spaventarla sempre di più.

     
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  5. AresCarrow
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    - Quella! -
    Le indico quando vedo la porta giusta, limpida ai miei occhi quanto le ombre che vedo scivolarvi sotto, fluide, ad indicarla. Ho solo un attimo di timore, quando vedo Malia spalancarla e gettarvisi dentro - E se fosse una trappola? Se si aprisse nel vuoto o al cospetto di qualcosa di, se possibile, ancora peggiore del grifone che ci segue? - che la seguo, i muri una sfocata macchia di colore intorno ai miei occhi. Varco la soglia, e dall'altro lato non c'è nulla che ci incenerisce, ci elettrifica o ci aggredisce. Ho giusto un momento per gioirne prima di estrarre la bacchetta e puntarla, senza nemmeno guardarmi intorno, verso la porta che Malia ha appena incollato - Gemino - casto, e una seconda porta si somma alla prima, poi una terza e infine una quarta, come pagine di un libro che si poggiano con un tonfo una sull'altra, ognuna con il proprio stipite ad infilarsi nel muro.
    Ansimo, la bacchetta ancora alzata a difendermi, mentre aspetto di sentire quell'urto che invece pare non arrivare.
    Malia si avvicina alla porta, figura incantevole che invade il mio campo visivo, e vi rimane il tempo necessario a controllare che nulla transiti lungo il corridoio « Secondo me l'abbiamo seminato » dice infine, e io annuisco. Attendo ancora un attimo, i sensi all'erta, prima di abbassare lentamente la bacchetta. Dal corridoio non sembrano arrivare rumori, ne pare che le ombre abbiano qualcosa da dire. Cerco di coglierne dei movimenti con la coda dell'occhio, ma se sono ancora in giro si sono nascoste bene. Ogni tanto lo fanno, spariscono e basta - Probabile - ammetto infine con una certa dose di prudenza, voltandomi poi a guardare la stanza in cui siamo finiti.
    Sbatto le palpebre mentre lo sguardo vaga su ciò che ho di fronte, scivolando su tutto e non fermandosi su niente, e anche se i quadri sono vuoti, i divani coperti e il caminetto spento ci metto giusto qualche istante a rendermi conto di conoscerla, quella stanza, di esserci già stato. E sorrido, di un sorriso spontaneo che non ho modo di fermare, così come siamo soliti sorridere solo di fronte alle cose che hanno in significato particolare, per noi. Quanto tempo è, che non vengo fino a qui? Dal secondo anno, forse, o magari dall'inizio del terzo. Mi muovo verso il camino, sentendo ma non ascoltando quello che mi sta dicendo Malia - Sì, dammi solo un secondo - ansimo mentre mi avvicino al caminetto. Lo fisso, guardo la legno impolverata e bruciata per metà che qualcuno si è scordato all'interno, e poi lo accendo con un colpo di bacchetta. Forse non la cosa più prudente di quel mondo, con un Grifone che si aggira nei corridoi fuori di qui, ma nel farlo mi rendo conto che, in tutta onestà, non me ne frega niente.
    Perfino Malia è diventata all'improvviso un personaggio secondario, in quei miei ricordi.
    Mi poggio al bordo in pietra del camino, facendo per alzare il braccio sinistro verso l'alto. Mi blocco quando una fitta di dolore mi attraversa la schiena, da quel lato, strappandomi un gemito. Odioso - Non sta sanguinando, vero? - le domando, pur sapendo che probabilmente è così. Non lo sento umido, il che significa che si tratta solo di una botta. La mia mente lo sposta immediatamente nelle problematiche "non urgenti". Anche se fosse tanto grave da aver rotto qualcosa, e non lo credo, non potremmo comunque farci molto. Mi limito quindi a cambiare braccio e a infilare la mano destra invece nella sinistra in un piccolo varco quasi invisibile dietro le pietre che formano la cappa, là dove entra nel muro. E' più scomodo, così, ma riesco comunque a tirare fuori quello che le mie dita sfiorano appena. In ordine lancio sul divano più vicino due libri - due romanzi per ragazzi - e una fiaschetta - Non pensavo ci fossero ancora... - c'è una piccola dose di meraviglia, nella mia voce, mentre mi avvicino al divano. Osservo i libri dall'alto, scuotendo appena la testa al me stesso di dodici anni, e sollevo invece la fiaschetta. La svito con una certa fatica, annuso il contenuto e lo porgo a Malia - Sembra ancora buono, ma non ne è rimasto molto - aggiungo, fingendo di non vedere il suo sguardo incuriosito.
    Per qualche attimo almeno.
    Bevo un sorso e mi siedo, approfittandone per prendere un attimo di respiro - Ok, temo sia un po' imbarazzante - devo ammettere mio malgrado, mentre una risatina scende dalla cappa del camino come fuliggine la mattina di Natale. Non spariscono mai, del tutto - E' davvero un sacco che non ci vengo e...ho girato molto il castello, da solo, i primi anni che ero qui. Prima di...beh, di fare amicizia, immagino. Mai stato bravo, in quello - e supponeva che Malia se ne fosse ormai accorta da sola. Ma cosa poteva fargli? Prenderlo in giro? Ridicolo, se messo in confronto alla situazione in cui vivevano - Insomma, mi piaceva questa stanza, io ero piccolo e i quadri erano gentili e...venivo qui quando c'era troppo casino per stare da soli, in giro, a leggere, a studiare o anche solo per il gusto di stare da solo. Era la mia casetta sull'albero - e di nuovo sorrido di me stesso, prendendomi in giro io per primo. Immagino sia un'immagine triste, a suo modo, ma le ore passate lì sono fra le cose più piacevoli che io mi ricordi, al castello. Non ci ho mai portato nessuno. La guardo, leggero - Forza, Grifondoro, puoi iniziare a sfottere - e le passo ancora la fiaschetta. Perfino quella, a suo modo, ha la sua storia.
     
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    « Sì, dammi solo un secondo » Malia inarca le sopracciglia, incredula, mentre ancora è costretta ad ansimare per la corsa mozzafiato che ha appena affrontato. Lo guarda, visibilmente confusa da quella sua improvvisa voglia di sostare in quel punto che, per quanto paia tranquillo e privo di insidie al momento, Malia è certa che non sia esattamente il più sicuro del castello. Non con un Grifone alle calcagna, per lo meno.
    « Un... secondo...? » domanda, scettica, i palmi stretti intorno alle ginocchia, mentre è leggermente piegata in avanti per cercare di riprendere il respiro. Non è stata mai velocissima nella corsa; non sarà una lumaca, certo, ed è pur sempre una ragazza un po' iperattiva, ma correre non è decisamente il suo forte. Solleva di nuovo lo sguardo, per spiare Ares, che al momento sembra completamente sottratto alla realtà, perso in chissà quale dimensione della sua testa. Oh, non adesso, pensa tra sé e sé, mentre una smorfia d'impazienza gli colora il viso. Questo è l'ultimo momento al mondo in cui è opportuno che cominci a fare lo strambo come solo lui è in grado di fare. E la giovane Grifondoro non ha in corpo quella tranquillità capace di poter sopportare una cosa del genere, ora come ora. Se ora, oltre che con le piante, comincia a parlare anche col mobilio, giuro che lo porto dalla Branwell a fare qualche seduta spiritica. Lo guarda avvicinarsi lentamente al camino della stanza, come rapito da chissà quali pensieri, e stringe il labbro inferiore tra i denti quando sente il suo lamento di dolore. Ecco, appunto. Scuote la testa al suo interrogativo, avvicinandosi un poco per osservare meglio il tessuto della maglia che il ragazzo indossa e constatare che, effettivamente, è asciutto. « Non sanguina, Ares, ma... potrebbe essersi rotto qualcosa. Puoi evitare di fare movimenti bruschi? Se devi prendere... Te lo prendo io... » ma non fa in tempo ad accostarsi che lui ha già fatto da sé, senza minimamente ascoltare i suoi consigli. Sbuffa, decisamente contrariata, e sta per aggiungere qualcos'altro quando si blocca, nel vederlo tirar fuori dai mattoncini del camino una piccola fiaschetta impolverata, probabilmente vecchia di anni. Aggrotta le sopracciglia, vagamente incuriosita dalla cosa, e incrocia le braccia al petto nel vederlo annusare e poi bere il contenuto, con grande tranquillità. Scuote vivacemente la testa, quando gliene offre un po', incontrando il suo sguardo. « No, grazie. Non ho proprio voglia di bere alcol e compromettere i miei riflessi quando abbiamo appena scampato l'attacco di un Grifone, che chissà dov'è finito, e potremmo incappare in qualunque tipo di trappola. Ti facevo più responsabile di così, onestamente. » Chissà perché tanta acidità. Prende un enorme respiro, la giovane, distogliendo lo sguardo, e puntandolo piuttosto su un tavolino impolverato, poco più in là, ospitante una partita di scacchi cominciata e mai finita, evidentemente. Forse è così poco amichevole perché, semplicemente, è appena sfuggita da un Grifone pronto a sbranarli entrambi, e non ci si può davvero aspettare di meglio da qualcuno che ha appena rischiato di rimetterci la pelle, per l'ennesima volta in un tempo davvero breve, tra l'altro.
    « E' davvero un sacco che non ci vengo e...ho girato molto il castello, da solo, i primi anni che ero qui. Prima di...beh, di fare amicizia, immagino. Mai stato bravo, in quello. » Si guarda intorno, un po' distrattamente, mentre lui parla. È vero, Ares non sembra essere un tipo particolarmente loquace, ma Malia sente che, per lo meno con lei, ha acquistato un certo tipo di confidenza. Non si parlano spesso, è vero, entrambi impegnati a frequentare gruppi di persone completamente diversi, anche nel caos di questi giorni, eppure quando si ritrovano da soli riescono, bene o male, ad intavolare un discorso. Vero è che Malia Stone, semplicemente per com'è fatta, riuscirebbe a far parlare perfino il mobilio di una stanza, ma questa è un'altra storia. « Insomma, mi piaceva questa stanza, io ero piccolo e i quadri erano gentili e...venivo qui quando c'era troppo casino per stare da soli, in giro, a leggere, a studiare o anche solo per il gusto di stare da solo. Era la mia casetta sull'albero. Forza, Grifondoro, puoi iniziare a sfottere. »
    Nonostante la paura, e nonostante l'adrenalina ancora in circolo nel corpo, quelle parole riescono a farla sorridere intenerita, per un istante. Sospira, e nel frattempo decide di sedersi sul piccolo divanetto impolverato al centro della stanza: del ruggito del Grifone non sembra udirne alcuna traccia, e Ares, dalla sua, non sembra volersi muovere assolutamente da quel luogo per almeno un po', dunque tanto vale sfruttare l'occasione per riposarsi. E concedere al proprio sedere di toccare una superficie morbida, considerato che negli ultimi giorni non ha fatto altro che dormire per terra, pur di lasciare divani, poltrone e letti agli studenti più piccoli. Si stringe nelle spalle, guardandolo dal basso, mentre lascia aderire la propria schiena al divano. « Perché dovrei sfotterti? Questo è senza dubbio più normale di parlare con una pianta » ridacchia con fare bonario, per fargli capire che sta scherzando. « Ed è una cosa normale, suppongo. È bello avere un posto speciale all'interno della scuola. » Lei, di luoghi importanti, in quel posto, ne ha decisamente tanti. Ci sono così tanti ricordi impressi tra quelle mura, e in ogni angolo del castello, che perfino adesso, quando quest'ultimo tende loro trappole mortali in qualunque momento, risulta per lei impossibile detestarlo del tutto. Il Campo di Quidditch, la Sala Comune Grifondoro, la camera che lei, Olympia e Tris hanno condiviso per anni, finanche un luogo angusto e triste come i sotterranei, hanno ospitato alcuni tra i momenti più belli e intensi di tutta la sua vita, che, se anche volesse, non riuscirebbe mai a dimenticare. Annuisce piano, tornando a guardare il ragazzo, e stringendosi poi nelle spalle. « Vuoi o non vuoi, ci siamo cresciuti qui dentro. È un pezzo di noi. Non c'è niente di stupido o ridicolo nell'essere affezionati a qualcosa, o a qualcuno. » Le sembra così sbagliato vergognarsi di quello che si prova. Forse questa sua visione è soltanto una conseguenza del suo modo d'essere, che la costringe ad accettare i suoi sentimenti, non potendoli nascondere in alcun modo agli occhi estranei. Gli rivolge un sorriso. « Ehi, però sei diventato bravo a fare amicizia, con gli anni. No? Per carità, non che le persone che tu frequenti siano il massimo, ma è pur sempre qualcosa. Non svilire così tanto le tue capacità: sei di sicuro più alla mano di gente come Douglas o Montgomery... »
     
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  7. AresCarrow
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    - Un secondo, sì - le rispondo, ignorando volutamente il tono fra il perplesso e l'irritato con cui mi ha posto quella domanda, e anche se vorrei saperla tranquillizzare sull'essere ormai in salvo so che non c'è parola che le permetterebbe di sentirsi più serena in un frangente simile. Nemmeno io lo sono del tutto, a dire il vero, eppure la verità è una e soltanto una: ora che sono finito in quel posto non c'è un solo modo in cui me ne possa andare senza prima aver verificato quello che mi è balzato in mente. Non è una cosa che riguarda solo le ombre e il motivo per cui, fra tutti gli angoli del castello, hanno pensato che potessimo trovare la salvezza proprio lì, ma anche, e forse di più, il motivo per cui non ci sono mai più tornato. Quando ho smesso di avere bisogno di un rifugio sicuro di quel genere? Quando la mia sicurezza ho iniziato a trovarla negli allenamenti e non più nelle pagine di quei libri?
    I secondi passano mentre faccio quello che devo, rendendo sempre meno probabile il riapparire della bestia o lo scattare di altre trappole oltre a quella che mi porto dentro. Forse Malia ha davvero ragione, e abbiamo seminato il grifone. Mi fermo giusto un attimo, dopo aver estratto libri e fiaschetta, e guardandola con un'espressione fra il leggero e il...cosa? Divertito? Intenerito? Scuoto appena la testa, cercando di tranquillizzarla - Non credo sia rotto. Non fa così tanto male - le dico. Una frattura sarebbe più dolorosa, e anche se il male è più acuto adesso che l'adrenalina sta scendendo non è ancora così tanto pungente da far temere davvero una rottura. Forse una piccola, composta - E anche se fosse non potremmo farci niente: mi dovrei tenere il dolore comunque finché non raggiungiamo gli altri, quindi tanto vale cercare di pensarci il meno possibile. "Preoccupati solo di ciò che puoi cambiare" - cito, e quello di sicuro non potrebbero cambiarlo in quel momento.
    Mi volto e mi siedo sul divano accanto a lei, bevendo un'altra breve sorsata dalla fiaschetta. I miei occhi continuano a tornare di lei e, stavolta, hanno chiaramente una sfumatura divertita. Sono gli occhi di un gatto che ha appena visto qualcosa di divertente solo per lui - Schizzinosa? - le domando a punzecchiarla un poco, e poso il piccolo contenitore sul tavolino di fronte a me. Sarebbe un brutto colpo, quello, decisamente un ostacolo piuttosto corposo da superare. Indico la scala a chioccola che scende, dal lato opposto della stanza rispetto alla porta - Quella scende per tre piani da qui, fino all'ultimo corridoio vicino all'aula di Incantesimi. Sbuca dietro l'arazzo della vittoria di Will il Breve contro l'orda dei Troll di Hug L'ammazzaVedove - strano nome, quello. Chissà perché un troll avrebbe mai dovuto poi girare ad ammazzare le vedove - Ad una sola rampa di scale di distanza dal punto in cui siamo partiti. E comunque è solo un sorso. Fai conto che mi serve per il dolore - e poi, come Rocket aveva già avuto modo di sperimentare, ce ne voleva davvero molto di alcool prima che i miei riflessi venissero annebbiati. I vantaggi di un padre maniaco, violento e fissato.
    Mi appoggio con la schiena ai cuscini del divano, lasciando fra me e lei tutto lo spazio vitale di cui può avere bisogno. Rifletto per un attimo, su quella cosa dell'alcool. E' sempre così con i pensieri: sono chiari nella mia testa, ma quando poi si tratta di metterli in parole è tutta un'altra storia - E poi non intendo dargliela vinta al punto da rinunciare ai pochi attimi tranquilli cui posso ambire solo per vivere nella paura - e lo dico tanto a me stesso quanto a lei, e a Coloro Che Ascoltano. E' anche di loro che parlo, e di Tallulah, e di Kingsley.
    - Dicono che è per farle crescere meglio, che gli fa bene - obietto, ma è altrettanto scherzoso. Immagino che il fatto che parli poco, di mio, renda ancora più difficile credere che possa farlo da solo, come tutti, sovrappensiero - E grazie...beh, immagino. Era un complimento, vero? - le domando divertito. In effetti Nate e Tom, pur essendo due persone eccezionali sotto ogni punto di vista, non possono di sicuro definirsi "alla mano" - No, dai...sono fantastici, quei due. Dici così perché non li conosci: credo siano pochi gli amici migliori che si possano avere - annuisco - Beh, il massimo è Rocket probabilmente, ma lui, lo sai, è un po'... - lasciamo correre, com'è. Si sa, com'è - Pochi ma molto, molto buoni, diciamo -
     
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6 replies since 8/11/2017, 12:30   112 views
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