we only go sdrawkcab

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    Gli sembra di tornare indietro, costantemente. Più fa un passo in avanti, più crede di essere vicino, anche soltanto lontanamente, a ciò che desidera maggiormente, più si ritrova al punto di partenza, se non persino qualche passo indietro. Prima con il contratto con i Falcons, per poi scoprire che non avrebbe mai giocato veramente. Poi con la libertà che Tris gli aveva, infine, consegnato, per poi scoprire che Kingsley aveva giocato d'astuzia, anche in punto di morte. Ancora una volta bloccato, in questo perenne circolo vizioso, in cui è costretto a camminare all'indietro, in cui è costretto a veder sfumare davanti ai propri occhi ogni suo sogno possibile. Per questo motivo in quei primi sei (o forse sette) giorni, Sam non ha fatto altro che vagare per il castello come un'anima in pena. All'inizio, in completa negazione. Ha girato come un matto, alla ricerca di una maledetta uscita aperta, tra quelle che per quattro anni ha attraversato senza alcuna difficoltà per ritrovarsi al di fuori del castello. Ma nessuna, ovviamente, era stata lasciata incustodita. Kingsley, dopotutto, non è mai stato un uomo capace di lasciare irrisolte le questioni. Tutto, all'interno di quella trappola mortale che è diventato il castello, è stato progettato nei minimi dettagli, come ogni cosa passata tra le mani del defunto preside. La sua eredità per loro. In secondo luogo è arrivata la rabbia. Quella travolgente, talmente fisica ed irrazionale, da farlo scagliare ripetutamente, con tutto il corpo, contro il cancello principale, fin quando le mani non hanno cominciato a sanguinare e il viso non ha cominciato a ricoprirsi di ferite più o meno superficiali. Poi è arrivato il momento della contrattazione. Lo scendere a patti con quel dolore che non sembrava volerlo abbandonare. Con quel senso d'impotenza passiva, davanti al quale non poteva far altro che abbassare la testa. E con il volto chino, mentre si era ritrovato da solo, durante un turno al quarto piano, aveva pianto. Forse perché per la prima volta si era reso conto che lì dentro, in quel tranello diabolico, lui può morire. Morire per davvero. Morire come aveva visto fare a quel ragazzino del terzo anno, Baston, di Serpeverde, la cui luce dagli occhi si era spenta velocemente, mentre veniva raggiunto da un fulmine che gli aveva trapassato il corpo, illuminandolo come un albero di Natale, prima di farlo cadere a terra. Morto sul colpo. O come avevano fatto cento altri prima di lui, solo nell'arco dei primi tre giorni. Aveva pianto quando aveva capito che la sua libertà, quella che gli veniva ripetutamente negata, era diventata la sua carceriera. Aveva pianto quando aveva capito che in catene, oltre lui, c'erano tutte le persone a lui più chiare. E dopo aver pianto, è arrivata l'accettazione. Sono passati giorni e alla fine Sam ha accettato quel dolore, facendolo proprio e rimboccandosi le maniche, come meglio gli riesce. Salta da un posto all'altro, si propone sempre per fari anche più di un turno a giornata, ricoprendo quante più mansioni è in suo potere. Un po' perché vuole tenersi occupato, un po' perché vuole tenersi a distanza. Da lei, principalmente. Per questo motivo, quando vengono compilate le tabelle di marcia giornaliere, se lei sta dentro il castello, lui si fa assegnare a qualche area esterna, quando lei è fuori, lui pattuglia il dentro e quando si devono incontrare, per forza di cose, all'interno delle Sali Comuni, di sera, non si va mai oltre qualche occhiata e forse un sorriso incerto, buttato qua e là. E' tornato indietro, al punto di partenza, anche con lei e, per quanto gli possa pesare la cosa, è la cosa più semplice per tutti, specie in una situazione del genere.

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    «Per caso l'hai vista oggi?» Si gira verso Dean, mentre perlustrano l'area intorno alle Serre con la punta della bacchetta illuminata. Incontra lo sguardo ceruleo dell'amico, prima di distoglierlo velocemente. "Chi?" Fa il finto tonto, il cretino. Scrolla la testa, Sam, mentre per qualche istante rimane in silenzio. «Lo sai.» No, in realtà non lo sa, perché lui ha deciso di non parlargliene, ma Dean è sveglio, è il suo miglior amico e si è accorto del macello accaduto tra di loro ancor prima di averlo effettivamente visto sotto i suoi occhi. "Non so di chi tu stia parlando" ribatte lui, con un sorrisetto serafico sulle labbra. Sam storce la bocca e gli dà una gomitata all'altezza delle costole. «Oh e vaffanculo allora. Malia, Malia, parlo di lei. Sbotta esasperato dall'atteggiamento deficiente dell'amico. Lui risponde con una risatina che sembra volerlo prendere per il culo. «Vabbè, lascia perdere. Se mi vuoi far incazzare non è proprio giornata.» Ha già cominciato a risentire degli influssi della luna piena in arrivo. Deve ringraziare il cielo che la Castillo, non si sa come né per quale motivo, ha preparato litri e litri di Antilupo, altrimenti sarebbe un casino un po' per tutti. "L'ho vista stamattina, come l'hai vista te, prima di uscire dalla Sala comune dei Tassorosso." Sam annuisce, ricominciando a muoversi per non morire dal freddo - cosa strana per lui, avendo abitualmente una temperatura decisamente più alta rispetto alla media. "Credo che Tris l'abbia portata con sé a pattugliare i piani alti." Si sente leggermente rincuorato, sapendola con Tris. Così può considerarla viva per tutta la giornata, perlomeno. "Quando finirà questa storia? Hai intenzione di cedere prima o poi?" Per un attimo i loro occhi si incontrano e Sam può vedere in quelli illuminati dell'amico tutta la sincera apprensione che prova nei confronti di quella situazione che mette in imbarazzo un po' tutti loro. «Cedere? Dovrei cedere per fare cosa esattamente? Non c'è molto altro che posso fare, attualmente.» Si stringe nelle spalle, prima di vedere all'orizzonte altri luci. Luci che, è sicuro, non sono ancora visibili agli occhi del biondo al suo fianco. "Fare meno il coglione? Evitarla per poi venire a chiedere a me dove e come sta non mi sembra un buon piano, considerato che non sappiamo quanto rimarremo chiusi qui dentro." E per quanto sopravvivremo. Dean non lo dice, ma Sam è certo che anche lui stia pensando la stessa cosa. Le luci si avvicinano sempre di più, fino a diventare delle figure ben distinte. Due Weasley pronti ad unirsi al turno. «Vabbè, io vado! Credo che dovrei stare in cortile in questo preciso istante.» Nessuno sa per certo quando è il momento di staccare o cominciare un turno, tutti ormai vanno un po' ad occhio. Saluta Dean e gli altri due, prima di avviarsi verso l'entrata del Castello. Passa accanto alla capanna del vecchio guardiacaccia, prima di avvertire il rumore di un battito cardiaco solitario. Si sta avvicinando, così come lo fa il suo profumo. Si guarda intorno. indeciso se spegnere la punta della bacchetta e correre dalla parte opposta. Oppure rimanere. Ed è quello che fa, andandole incontro. Il suo lumos la illumina, infine. Ormai della rabbia che ha provato nei suoi confronti non vi è più traccia sul suo viso. Non c'è posto per quella quando ogni secondo è buono per tirare le cuoia con tanti cari saluti. «Beh, buongiorno...o buonasera Sorride. Quel solito sorriso debole che ormai ha sostituito ogni altra espressione in sua presenza. Quel sorriso che, lentamente, sbiadisce lasciando spazio ad una linea orizzontale. «Dov'è Tris?» La cerca nelle vicinanze, non avvertendone nemmeno il pungente odore. «Prima Dean diceva che gli sembrava di ricordare che avevate il turno insieme..» butta lì, contorcendo il discorso, come se fosse stata tutta un'idea dell'amico quella di parlargli di lei. La guarda per qualche istante e sospira. Cedere per fare meno il coglione. «Quanto è lungo il tuo concetto di "mai"?» Le domanda infine, mordendosi il labbro inferiore, privo del suo solito piercing, questa volta. «No perché pensavo che potremmo dichiarare una tregua, vista la situazione - e smetterla così di mettere in imbarazzo tutti i nostri amici che non sanno più come gestire questa cosa - o magari potremmo trovare una soluzione alternativa.» Gli si illumina lo sguardo. «Possiamo risolverla alla vecchia maniera. A breve ci sarà la luna piena e non credo mi troverai ma più debole di quanto lo sia ora. Quindi se vuoi farmi del male, come sono certo tu abbia voluto farmene, e forse vuoi ancora fare, questo è il momento buono.» La guarda ancora una volta e questa volta sorride davvero. «Fatti sotto!» Cercare di fare un passo avanti prendendosi un pugno in faccia: metodo Scamander 100% confermato.





    Edited by survivor` - 9/11/2017, 20:26
     
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    « Dove lo portiamo? » Una veloce occhiata alle proprie spalle e intorno a sé, prima di tornare a guardare i due Tassorosso del quarto anno, e constatare che stanno effettivamente chiedendo consulto a lei. Un sospiro pesante, prima di lasciar cadere lo sguardo sulla figura minuta di Michael Turner, e sui suoi occhi celesti ormai spenti per sempre. Si stava allacciando una scarpa quando una statua di pietra l'ha colpito alle spalle, a quanto le hanno riferito. A Malia non aveva mai fatto particolare simpatia, probabilmente per la sua eccessiva supponenza a lezione, e una volta i due erano perfino finiti a litigare per via di uno stupido fallo a qualche partita di Quidditch. E adesso lei deve decidere che fare del suo corpo. Non sa nemmeno perché i due ragazzi stiano chiedendo a lei che cosa fare. È meno preparata di chiunque altro, lì dentro, ma per qualche motivo, forse per le numerose amicizie tra gli ex allievi ed il suo particolare spirito d'intraprendenza, si è - erroneamente - diffusa la credenza che la Grifondoro sia una figura a cui poter chiedere aiuto in situazioni come queste. Si guarda intorno di nuovo, come alla ricerca di Tris, o di qualcuno che abbia realmente più competenze di lei in materia, e sospira di nuovo nel ritrovarsi da sola.
    Non ne ho idea, vorrebbe rispondere loro, perché sa che qualunque soluzione possano inventarsi sarà del tutto sbagliata, e mai renderà giustizia a quei caduti che non possono ottenere nemmeno il rispetto di un ultimo, dignitoso saluto. Eppure sospira e, dopo aver dato un'ultima occhiata al corpo, « Deve essere coperto » dice, il tono incolore. Non vuole essere così. Non vuole diventare un punto di riferimento per nessuno, lei che ha stento è in grado di tenere a bada se stessa. Vorrebbe dirgli di andare a chiedere consiglio a qualcun altro, ma gli occhi di ghiaccio di Turner le tolgono tutto il coraggio di lavarsene le mani. « Credo che tra un po' si aprirà la Sala Comune... Non fareste in tempo di seppellirlo. Sarà meglio usare roba impermeabile. Fateci sopra qualche incantesimo per renderlo invisibile, inodore, eccetera. E mettetelo lungo il lato ovest del Castello, accanto al muro. » Hanno fatto vari esperimenti in questi giorni, in giro per la tenuta, per verificare l'estensione di certi malefici lanciati da Kingsley e il modo in cui funzionano. Non sono ancora in grado di confermare di aver trovato una zona cieca, eppure lungo quel lato del castello, in un'area non più larga di un metro e qualcosa, proprio accanto al muro, pare non succedere nulla. Per ora. Ma è l'opportunità migliore che hanno, a meno che non vogliano cominciare a trasfigurare i corpi in pietre o rametti, rischiando di combinare disastri. Si stringe nelle spalle, guardando i due ragazzi con fare impotente. « È tutto quello che possiamo fare. Speriamo di ritrovarlo domani mattina. » Serra le labbra, e con queste parole si congeda dai ragazzi, mentre tira su la zip del proprio giubotto e si avvia verso l'uscita. Nessuna parola di conforto per quei visi evidentemente sconvolti, né incoraggiamenti inutili. Anche quando la situazione lo richiede, Malia si sforza con tutta sé stessa di non essere emotiva, di congelare dentro di sé i sentimenti e far prevalere l'aspetto pratico delle cose. È una tattica difensiva, perché se l'intento di Kingsley era quello di lasciarli in una lenta agonia nell'attesa della fine, lei decide di rispondere con prontezza di spirito, pragmatismo e quell'ardore solito che colora tutte le sue azioni. Non tutti sono stati capaci di reagire in questo modo, alle sfide continue di quella nuova condizione a cui sono costretti: non è raro imbattersi in persone in piena crisi isterica, o in preda a qualche attacco di panico apparentemente nato dal nulla. Malia, stranamente, non ha ancora versato una lacrima; ed è quasi ironico pensare che l'ultima volta che ha pianto, l'ha fatto per una stronzata colossale come la storia dei bigliettini al ballo. Forse questa apparente apatia è dovuta al fatto che per lei la morte non è un concetto tanto estraneo: seppur nella sua vita ancora breve, ha già avuto l'occasione di sfiorarla un paio di volte, e di sentire addosso quella paura e quello sgomento paralizzante, di passare notti intere a versare lacrime disperate, di fronte alla prospettiva di lasciare definitivamente questo mondo. Ha avuto modo di sperimentare la dimensione angosciosa e del tutto neutralizzante della malattia; una malattia che, per più di qualche settimana, era certa l'avrebbe uccisa. È arrivata quasi ad attenderla, quella morte, in alcuni momenti, e l'ha conosciuta per bene, da ogni suo lato, attraverso i saluti trascinati a lungo con i propri cari, attraverso le urla disperate del lutto dei vicini, e i racconti tormentati degli altri pazienti. Ha imparato presto cos'è la morte per i vivi. E per quanto la paura resti sempre, naturalmente, è come se sapesse già come gestire quel pensiero, nella sua testa. Non deve far altro che tornare indietro nel tempo.

    « Beh, buongiorno...o buonasera! » Nell'esatto momento in cui la luce di quella bacchetta la colpisce in viso, si ritrova quasi a strizzare gli occhi, leggermente infastidita dall'eccessiva luminosità, alla quale non è più abituata. Il Castello è coperto da una coltre di nebbia ormai perenne, che pare essere in grado di nascondere perfino i raggi solari. Un ulteriore moto di fastidio la colpisce quando, nell'incontrare lo sguardo di Sam, avverte il battito del proprio cuore accelerare, e si ritrova, per appena un istante, a trattenere il respiro. E pensa che lui ha modo di accorgersi di tutto. Probabilmente a certe problematiche, di questi tempi, dovrebbe attribuire meno importanza, ma si conosce abbastanza bene da sapere di non poterci riuscire.
    « Direi meglio buonasera » commenta, l'approccio quasi analitico, mentre stringe le labbra e scruta quel cielo che ormai da giorni ha sempre lo stesso colore. Sta cercando di sviluppare meglio il suo senso dello scorrere del tempo e, per quanto possa essere difficile senza l'aiuto di elementi atmosferici importanti come, ad esempio, il sole, deve ammettere di riuscire a orientarsi, in qualche modo. Nessuno sa con certezza quanto tempo sia passato dal ballo, è vero, si presume circa una settimana, ma è tutto ancora estremamente confuso nelle loro teste.
    « Dov'è Tris? Prima Dean diceva che gli sembrava di ricordare che avevate il turno insieme... »
    Annuisce piano, nel vederlo scrutare alle sue spalle, come alla ricerca della mora. « La trovi al quarto piano » dice in modo spicciolo, facendo spallucce e stringendo la mano intorno alla tracolla della propria borsa. Sforzandosi di non aggiungere altro. Hanno raggiunto una sorta di strano equilibrio, loro due, che consiste fondamentalmente nel non parlarsi, o nel farlo solo quando è strettamente indispensabile, per comunicarsi informazioni necessarie o porre quesiti importanti. Per questo si morde la lingua, quando sta per proseguire il suo discorso e raccontargli nel dettaglio il motivo del suo distacco dal gruppo predefinito, e di come ci siano un paio di ragazzi rimasti pietrificati e di come la Castillo avesse richiesto che qualcuno andasse a recuperare delle piante di Mandragola alle Serre per curarli. Fa un leggero cenno della testa alle proprie parole, come a volervi conferire un che di definitivo, e dare così una conclusione a quella spicciola conversazione prima di allontanarsi, ma lui precede il suo passo.
    « Quanto è lungo il tuo concetto di "mai"? » Aggrotta la fronte, gli occhi che dalle fronde di un albero poco distante vengono puntati in quelli di lui. Dischiude leggermente le labbra, in segno di sorpresa, e non fa in tempo a reagire perché lui ha già ripreso la parola. « No perché pensavo che potremmo dichiarare una tregua, vista la situazione, o magari potremmo trovare una soluzione alternativa. Possiamo risolverla alla vecchia maniera. A breve ci sarà la luna piena e non credo mi troverai ma più debole di quanto lo sia ora. Quindi se vuoi farmi del male, come sono certo tu abbia voluto farmene, e forse vuoi ancora fare, questo è il momento buono. » Resta a guardarlo, dal basso, per un tempo che a momenti le pare infinito. Mentre la sua espressione seria si fa lentamente più dolce, quella linea dritta delle labbra che a un certo punto sembra mutare in una sorta di sorriso. Uno dei problemi di Malia, fondamentalmente, è che non è in grado di portare rancore troppo a lungo, non alle persone a cui vuole un bene dall'anima, per lo meno. È sempre stata un vulcano, Malia, è un nomignolo simpatico che le hanno attribuito fin dal primo anno, ma è anche una perfetta metafora per descrivere le sue reazioni: esplosiva e travolgente al momento X, è capace di quietarsi presto dopo un'eruzione degna di essere definita tale. E così anche con Sam, per quanto abbia cercato a parole di dare alla cosa una linea più definitiva, la cosa nella sua testa si è esaurita in quello schiaffo rabbioso dato in corridoio, e nel giro di pochi giorni quel "mai più" pronunciato in modo tanto solenne ha cominciato a gravare in modo inaspettatamente pesante anche sulle sue stesse spalle.
    Adesso, specie nel contesto in cui si trovano, picchiare Sam è probabilmente l'ultima cosa che vorrebbe fare, e, anzi, di fronte a quell'espressione e a quelle parole le viene quasi da ridere. Così lo fa, piano e in modo quasi impercettibile, sbuffa in un riso breve, dettato forse dal paradosso del momento. O dal sollievo.
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    Un pugno glielo concede, però, sulla spalla; uno di quei pugni leggeri e scherzosi che utilizza per salutare in modo amichevole Dean o Fred o Albus, e che fino a qualche tempo fa rivolgeva anche a lui senza troppi problemi. E Malia, per quanto chiacchierona ed espansiva, è sempre stata una che le cose le dice meglio con le azioni, e dunque in quel gesto tanto naturale e pieno di casualità ci mette tutte le cose che non è in grado di articolare a parole, insieme a quello strano senso di liberazione che sente addosso. È come se, con questo saluto spicciolo, volesse appunto salutarlo di nuovo, ricominciare tutto da capo, e cancellare le brutte parentesi. È consapevole del fatto che non sarà facile né istantaneo, e probabilmente non riusciranno mai a essere com'erano una volta, ma qualunque cosa sarà meglio che evitarsi o addirittura ignorarsi. Gli rivolge un breve sorriso, quasi a voler trovare un altro modo per confermare il proprio gesto, che già di per sé è abbastanza eloquente. « Questo solo perché non ho voglia di lasciarti con un litigio sulla coscienza » dice in tono scherzoso, mentre si porta entrambe le mani dentro le grandi tasche del giubotto pesante, per ripararle dal freddo pungente che avvolge la tenuta. « Non sia mai che domani ci rimetto la pelle e debba restare prigioniera in questo posto anche nella forma di fantasma. » Riderci su. L'unico modo che conosce per sopravvivere a situazioni tanto stressanti. « Dovrei perseguitarti dall'oltretomba per una soffiata e un paio di partite di Quidditch mancate. Sarebbe una cosa un po' penosa. E ridicola. » Come non parlarci quando potremmo morire da un momento all'altro. Non ha fatto altro che pensarlo, in questi giorni, a quanto si stessero comportando entrambi in modo estremamente stupido, eppure non ha avuto il coraggio di avvicinarsi e rimangiarsi le proprie parole. Rotea leggermente gli occhi, fino a puntarli nuovamente in quelli di lui. « Con questo vuoi dire che la mia sberla supersonica non ti ha fatto nemmeno un po' di male? Neanche un pelino fastidiosa? » Gli rivolge un'espressione scettica, che presto si tramuta in vagamente dispiaciuta nell'udire la sua risposta alquanto prevedibile. Quel giorno ha desiderato davvero, con tutta se stessa, fargli del male fisico, o per lo meno avere la percezione che così fosse: e sul momento si è fatta bastare quella guancia lievemente arrossata. Annuisce piano, spostando lo sguardo sull'orizzonte dietro di lui, dal quale riesce a scorgere la chioma di un grande albero che pare avvicinarsi. « Lo immaginavo... Senti, esattamente quanto sei debole al momento? » si ritrova a chiedergli, mordendosi il labbro inferiore, gli occhi fissi in un punto alle sue spalle, mentre istintivamente fa un passo indietro. « No perché secondo me il Platano Picchiatore ci ha appena avvistati e io direi che è il caso di CORRERE. »
     
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    « Direi meglio buonasera » Fa un sospiro, mentre si stringe nel giaccone a vento che ha recuperato il giorno prima nel suo ufficio. Non è facile. Quella situazione non lo è per nessuno. Non lo è per i loro amici in comune che continuano a doversi dividere tra uno e l'altra, quasi costretti a dover prendere una o l'altra parte. Non è facile per Malia, la parte più attaccata da tutta quell'intera soluzione. Ma non è facile nemmeno per lui continuare a seguire la strada che ha deciso di imboccare, sia per lei che per se stesso. Non è facile continuare a fingere che i cinque anni passati insieme non siano esistiti, non è per niente facile ignorarla, così come non lo è vederla e non parlarle, come da lei richiesto. E' un po' tutto una merda, un qualcosa che Sam non è sicuro di saper gestire. « La trovi al quarto piano » Non sa gestire quella freddezza. Per quanto sia bravo nell'essere distaccato e glaciale, alla lunga non riesce mai ad esserlo con le persone alle quali vuole bene davvero. E Malia, sicuramente, ha un posto in prima fila in quel gruppo. «Mh, grazie dell'informazione.» Non mi serve a nulla, ma grazie lo stesso! A vederli da fuori, così impacciati ed imbarazzati, non sembrano neanche loro. La cosa riesce a disturbarlo come mai avrebbe immaginato. Forse perché fin quando non si degnavano nemmeno di una parola, oltre al ciao di pura e semplice cortesia, non c'era la certezza di ciò che c'era al di là del muro. Ma ora Sam comincia a capire. Come se lo schiaffo non fosse bastato a chiarire perfettamente il quadro generale, quel disagio che scivola dall'una all'altro è un qualcosa di fastidiosamente sbagliato. Persino per loro. Persino per i casini che hanno passato. Si gratta la fronte, aggrottando le sopracciglia, leggermente accigliato. Perché deve essere tutto sempre così difficile? E' la domanda che si pone ormai da giorni, appena le sue mani si sono strette intorno alle sbarre del cancello di Hogwarts. Appena aveva cominciato a scuoterle e la coscienza aveva cominciato a prendere nota di quell'orribile verità, di quella voce che continuava a vorticargli intorno, senza che lui vi credesse. Tutto così dannatamente difficile. Anche quando c'era, c'era quasi, l'universo, in qualche modo, doveva fargliela pagare. E il silenzio che segue la sua proposta di essere picchiato sembra la perfetta risposta del cosmo. Sei un deficiente? Ci dispiace, prova a richiamare domani. Magari sarai più fortunato. E' già pronto a fare un passo indietro, cosciente che c'è ben poco da fare. Che i suoi stupidi approcci per tentare di rimediare in parte al casino che ha fatto non sono nient'altro che questo: inutili. Rassegnato all'evidenza dei fatti. Ancora una volta spaventato di fronte ad un possibile rifiuto. Ma alla fine, Malia sbuffa, accennando una risata e il mondo sembra tornare a girare per il verso giusto. E gli dà pure un pugno, veloce e indolore, al quale però lui risponde portandosi una mano sopra la spalla, massaggiandosela, come se il colpo fosse stato veramente doloroso. Accenna anche una smorfia, che lascia però subito spazio ad un sorriso ben più ampio e sincero. « Questo solo perché non ho voglia di lasciarti con un litigio sulla coscienza » E' felice che non abbia perso la sua vena ironica, persino in una situazione del genere. Ma d'altronde, questa è una cosa che Sam sapeva sarebbe successo. Conosce la storia della ragazza che ha di fronte, sa come non si è fatta abbattere da nulla. Né dall'attacco di un mannaro, né da una malattia potenzialmente letale, né tanto meno dall'ultimo triste e per nulla simpatico scherzo del vecchio preside. « Dovrei perseguitarti dall'oltretomba per una soffiata e un paio di partite di Quidditch mancate. Sarebbe una cosa un po' penosa. E ridicola. » La guarda, stringendo le labbra in un sorriso contratto, cercando di capire quanto può permettersi. Deve ancora capire bene quali siano i limiti di quel loro nuovo rapporto. Non sa se è ancora tutto a posto, non sa se sono tornati come prima dell'enorme cazzata che ha fatto. Non sa bene cosa sono, ma sentirla ritirare fuori il discorso con così tanta leggerezza riesce a tranquillizzarlo. Fa una smorfia divertita, passandosi l'indice sul labbro inferiore, prima di rispondere. «E i 250 punti tolti dove li metti? Pensavo di aver dato il meglio di me con quella presa di posizione disciplinare.» Alza le sopracciglia, sciogliendosi infine in un sorriso che sembra dare lo stop a tutto quel macello. Da questo momento in poi si riparte. «Comunque non ti abbattere così facilmente, Stone. Non sarai un qualcosa di misticamente e magicamente indistruttibile, ma credo che te la caverai piuttosto bene. Hai la testardaggine come super potere. Non ti avrò sulla coscienza per molto, molto tempo. E' più probabile che sarai te a seppellire me.» Tranquilla che riuscirai a resistere a tutto questo meglio di molti altri. Conficca una mano nelle tasca del giaccone, mentre con l'altra continua ad illuminare l'oscurità che li avvolge. « Con questo vuoi dire che la mia sberla supersonica non ti ha fatto nemmeno un po' di male? Neanche un pelino fastidiosa? » Pensa bene a cosa risponderle. Darle una leggere soddisfazione che possa aiutare in qualche modo la sua causa oppure essere tremendamente sincero? «Non proprio. Non quanto lo è stata nell'orgoglio, perlomeno.» Non quanto lo era stata nel rendersi conto di averla fatta soffrire, ancora una volta. Si stringe nelle spalle, schiarendosi la voce, come a voler prendere tempo per cercare un discorso migliore sul quale far vertere la discussione. Non nota immediatamente lo sguardo furtivo che Malia lancia oltre le sue spalle, ma riesce a percepirne il rumore, in lontananza. Un rumore sinistro e grottesco che gli fa accapponare la pelle. « Lo immaginavo... Senti, esattamente quanto sei debole al momento? » Sam assume quell'inconfondibile faccia che nei film babbani hanno gli attori che si ritrovano ad avere le spalle il diretto interessato degli insulti che hanno appena finito di buttar fuori. Oh non dirmelo, è dietro di me? Non è vero? « No perché secondo me il Platano Picchiatore ci ha appena avvistati e io direi che è il caso di CORRERE. » Fa un sospiro, che può essere scambiato per uno sbuffo scocciato. «Ieri l'ha incontrato Dean. Mi domandavo quando avrei avuto il piacere di fare la sua conoscenza. Che cazzo però, sempre i momenti meno opportuni!» Lo sente arrivare e ha pure il coraggio di continuare a blaterale, prima di seguire il consiglio di Malia e cominciare a correre. A caso. Si lancia una veloce occhiata alle spalle, constatando quanto il dolce arbusto sia felice di vederli. Insomma, un piacere assolutamente non ricambiato. Corre come un pazzo, dimenando le sue fronde e usando le radici sradicate come delle fruste. «Per di qua» urla a Malia, cercando di ragionare sul percorso più veloce e meno dispendioso di energie per seminarlo in breve tempo. Con la bacchetta alzata pronta ad illuminargli il sentiero, Sam decide di fare il giro lungo, intorno al castello. Non può continuare a girare a vuoto in eterno si dice mentalmente, mentre comincia a sentire la fiacca prendergli ogni fibra del corpo. Rallenta il passo, lo sente alla perfezione, ma cerca di non darlo troppo a vedere. Lancia un'occhiata strana a Malia, ma non le dice nulla. Scrolla il capo e continua ad andare avanti, girando l'ultimo angolo del castello. Prova a pensare di usare la bacchetta per evocare un incantesimo di Disillusione su entrambi, per prendere le sembianze della facciata del castello. Ma sa benissimo che, se già prima gli risultava essere un
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    incanto difficile da replicare, ora come ora è probabile che soltanto una sola porzione del loro corpo si mimetizzerebbe con i mattoni in pietra. Nelle più rosee previsioni. Allora continua a correre, imperterrito, sentendo finalmente il fiato rompersi, liberandogli così lo sterno da quella sensazione opprimente che aveva cominciato a bruciargli dentro. Poi la vede all'orizzonte: la casa del Guardiacaccia. Non sa se può funzionare, non sa come agisce quella trappola del demonio, ma spera vivamente che il Platano non si accorga della loro presenza all'interno della casupola. Ancora qualche metro, dai cazzo Sam, non ci puoi rimettere il culo per colpa dell'Antilupo! Così si costringe ad andare avanti, ancora e ancora, scendendo lungo la collina, buttando i piedi dove capitano. Sperando di non inciampare o prendere buche, nel mentre. «Alohomora» dice, puntando la bacchetta contro la porta della casa. La apre con forza, girandosi poi a guardare la mora, con apprensione e agitazione. «Forza, Malia sbrigati, dentro!» La intima, dandole una leggera spinta per spingerla all'interno dell'abitacolo. La segue a ruota, sbattendo la porta dietro le sue spalle. Vi punta nuovamente la bacchetta contro, sussurrando un Colloportus preventivo. Si rende perfettamente conto che chiudersi dentro non fa alcuna differenza se il Platano decide di buttarla giù a suon di radici e fronde. Ma è perlomeno qualcosa. Prova ad evocare anche un Incanto Gnaulante, tanto per aggiungere carne al fuoco. Poi si volta verso la mora e si porta un dito davanti alle labbra. Silenzio! Sembra dirle, prima di avvicinarsi alla finestra che dà sul davanti della casa. L'indice sposta appena la tendina scolorita, per poter osservare meglio la situazione. I suoi sensi non avvertono alcun rumore sinistro ed è soltanto allora che tira un respiro di sollievo. Stringe gli occhi, lasciando andare la tenda, per poi voltarsi e scivolare giù lungo il muro, sedendosi a terra, stremato. Cerca di riprendere fiato, respirando a fondo, mentre avverte un dolore corrergli lungo il corpo. Si passa il braccio sulla fronte, così da togliere lo strato di sudore che vi si è formato sopra. «Che bello il regalino anticipato di Kingsley, eh?» Domanda infine, tra un respiro e l'altro. «Troppo gentile! Mi chiedo quando la carta igienica comincerà a diventare un tappetino di chiodi degno di un fachiro o una foglia di orticaria. Sarebbe il colmo.» Un sorriso si allarga sulle sue labbra. Riesce ancora a trovarci qualcosa da ridere. Nonostante tutto. E' sempre così che ha cercato di affrontare le cose, persino quando gli è stato fatto il dono. Trovare qualcosa di buono per il quale ridere. «Sai che rodimenti di culo epici poi.» Scuote la testa, appoggiandola poi al muro alle sue spalle. «Dio che casino Mals» commenta poi, con le palpebre socchiuse. «Se davvero sarai tu a seppellirci tutti, come credo che sarà..- comincia, inclinando appena il capo verso di lei - per l'ennesima volta, mi dispiace. Non volevo ferire te, non consciamente perlomeno.» Oh che belle scuse del cazzo! «Almeno così non sarò costretto nemmeno io a tormentarti fino alla fine dei tuoi giorni. Sei libera, Stone.»



     
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    Non è mai stata particolarmente brava o capace di leggere le persone o di capire a fondo le loro emozioni; eppure in questo frangente le è sufficiente un'occhiata al viso di Sam per scorgere l'evidente sollievo che gli distende i lineamenti, nell'avvertire quel pugno leggero e scherzoso scontrarsi con la sua spalla. Pian piano sente sciogliersi nei loro brevi sorrisi quella tensione che entrambi dovevano star accumulando da giorni, e quell'imbarazzo che, seppur ancora palpabile nei loro sguardi, inizia a fare spazio ad un velo di sincerità. Malia lo osserva con una certa discrezione, in quel sorriso a labbra strette, e crede di poter trovare, in fondo ai suoi occhi chiari, una nota della confidenza e dell'affinità che hanno sempre condiviso, anche quand'erano due perfetti sconosciuti. Non hanno mai saputo avere vie di mezzo, loro.
    « E i 250 punti tolti dove li metti? Pensavo di aver dato il meglio di me con quella presa di posizione disciplinare. » Inclina leggermente la testa di lato, mentre lo guarda dal basso inarcando un sopracciglio. E nel vederlo sorridere, così candidamente, come non lo vede fare da mesi nella sua direzione, crede per un attimo di avvertire qualcosa contorcersi nello stomaco. Ed è pazzesco come, dopo tutte le cicatrici, le ferite, le battaglie combattute ed i lutti subiti, il corpo di Malia Stone sia ancora in grado di percepire quelle tipiche sensazioni da ragazzina infatuata. Nel modo più semplice e naturale possibile.
    Si stringe nelle spalle, rivolgendogli a sua volta un breve sorriso. « Lo sai che dei punti me ne è sempre importato poco » asserisce, distogliendo per un attimo lo sguardo dal suo. « Così come poco mi importa delle punizioni date dal professor Scamander. Ma le partite da passare in panchina... quelle erano la punizione di Sam, non è vero? Per questo mi hai fatta arrabbiare tanto. » Parla con tranquillità e naturalezza, senza nessuna particolare inflessione nella voce, guardandolo dal basso. Come se volesse, semplicemente, mettere un paio di puntini sulle i. L'incazzatura è ormai passata già da un pezzo, sostituita da pensieri ben più gravi e urgenti: non c'è tempo di preoccuparsi del Quidditch o di una stupida punizione, né di litigi vari o di problemi di cuore, quando tutti loro si ritrovano a rischiare costantemente la propria vita, giorno dopo giorno.
    « Comunque non ti abbattere così facilmente, Stone. Non sarai un qualcosa di misticamente e magicamente indistruttibile, ma credo che te la caverai piuttosto bene. Hai la testardaggine come super potere. Non ti avrò sulla coscienza per molto, molto tempo. E' più probabile che sarai te a seppellire me. » A quelle parole sorride, in maniera quasi istantanea. Nonostante il tono divertito che le colora, la mora riesce comunque ad avvertire una certa nota di sincerità; e per un istante, per qualche motivo, le ritorna in mente quel pomeriggio in quella stanza d'ospedale, e quelle lettere d'incoraggiamento che, in buona parte, erano state tra i motivi principali che non le avevano fatto abbandonare la speranza di poter guarire. Perché c'era qualcuno che, in fondo, in lei ci credeva. Sta per dire qualcosa, probabilmente con il suo tono sarcastico, ma presto vengono interrotti.
    Sempre i momenti meno opportuni. Lo pensa anche Malia, tra sé e sé, appena prima di cominciare a correre nella direzione opposta rispetto a quella del Platano Picchiatore, che avanza verso di loro a grandi falcate - se in questo modo possono essere definiti gli slanci violenti e rabbiosi delle grosse radici dell'albero secolare. Mantiene la luce della propria bacchetta accesa, mentre corre a perdifiato lungo la tenuta, senza avere un preciso piano in mente se non quello di scappare. Si accorge ben presto di star semplicemente seguendo il percorso tracciato da Sam, il quale, nonostante la presunta debolezza causata dall'arrivo imminente della luna piena, rimane comunque più rapido di lei. Si ritrova a scagliare qualche incantesimo a caso alle proprie spalle, senza prendere la mira né dar troppa attenzione all'eventuale riuscita di questi. Corre a perdifiato, quello scricchiolio sinistro ed incredibilmente minaccioso costantemente alle sue spalle che la costringe a sforzarsi sempre di più, ad allungare la falcata, a calcolare ogni mossa per non rischiare di inciampare e finire dunque per essere schiacciata da quei rami tentacolari. Mentre continua a correre nella semioscurità, il respiro sempre più ansante, e un dolore ormai forte all'altezza delle costole che la costringe inevitabilmente a rallentare il passo, scaglia un altro Confringo alle proprie spalle, nonostante la quasi completa certezza dell'inutilità della cosa. Non è brava in queste cose. È discreta nei combattimenti, e quando i propri avversari possono essere affrontati, in qualche modo, ma fuggire non le riesce bene per nulla. Non è in grado di pensare lucidamente a cosa sia meglio fare o a quale sia la direzione giusta da prendere per seminarlo. Fortunatamente Sam sembra avere un percorso più chiaro in testa, e quando comincia a discendere rapidamente la collina alla base della quale si erge la casa del Guardiacaccia, Malia lo segue a ruota, prima ancora di capire quale sia il suo piano. La discesa le dona velocità e, anziché procedere con cautela per evitare qualche caduta, i suoi piedi seguono il profilo del terreno scosceso senza timore, conducendola rapidamente fino alla porta della capanna, senza mai farle perdere l'equilibrio. Lancia un ultimo sguardo alle proprie spalle, mentre Sam è impegnato ad aprire la porta, e perlustra con gli occhi l'orizzonte creato dalla collina. Non scorge però l'enorme albero da nessuna parte. « Forza, Malia sbrigati, dentro! » Sposta lo sguardo dalla collina alla casa, dalla porta ora spalancata, e non indugia oltre prima di seguire il consiglio del ragazzo, rifugiandosi all'interno insieme a lui.
    Lo sente castare qualche incantesimo difensivo sulla porta e sull'abitazione in generale, mentre lei, il corpo leggermente piegato in avanti e le mani ferme sulle ginocchia, ansima ancora, e si sforza di riprendere fiato. « Ma che... cazzo... » comincia, tra un respiro profondo e l'altro, ma quando solleva il capo incontra l'espressione cauta di lui, che gli intima di tacere per qualche istante ancora. Non è ancora capace di muoversi, perché solo adesso riesce ad avvertire tutta l'adrenalina che ha in corpo trasformarsi in dolore fisico, all'altezza del fianco sinistro, sul quale posa la propria mano, per volerlo attutire. Nel frattempo guarda il ragazzo osservare dalla finestra la situazione all'esterno. Non dice nulla, si lascia sedere per terra, ma è facile capire dai suoi movimenti e dal suo leggero sospiro di sollievo che, almeno per ora, sono salvi. Una volta ripreso fiato anche Malia compie qualche passo in avanti e sbircia oltre il vetro, giusto per accertarsi con i propri occhi che sia tutto a posto. « Se dovesse tornare » comincia, a voce bassa, mentre anche lei si accomoda per terra con le spalle al muro, accanto a lui « lo sentiresti, no? Tipo col tuo super-udito eccetera... » Domanda forse un po' scema, ma sente il bisogno di accertarsene, per potersi tranquillizzare del tutto. O quanto meno per non dover controllare ogni due secondi dalla finestra.
    Resta in silenzio, le gambe strette al petto, a perlustrare con lo sguardo la stanza di fronte a sé. Non c'era mai entrata prima. L'ambiente, avvolto nella penombra, non è particolarmente accogliente: è anzi un po' sporco e angusto, ricolmo di cianfrusaglie e oggetti che non sa riconoscere, eppure in questo momento le pare la cosa più vicina ad una dimora.
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    Sente Sam, accanto a sé, cercare di riprendere fiato, anche lui visibilmente stanco dallo sforzo fisico fisico appena fatto. Le sembra di aver corso per anni, eppure, a conti fatti, non deve essersi trattato di un tempo più lungo di dieci o quindici minuti al massimo. « Che bello il regalino anticipato di Kingsley, eh? Troppo gentile! Mi chiedo quando la carta igienica comincerà a diventare un tappetino di chiodi degno di un fachiro o una foglia di orticaria. Sarebbe il colmo. » Ridacchia, mentre con una mano si tiene la pancia ancora un po' dolorante. Fortunatamente, pensa tra sé e sé, c'è qualcuno ancora capace di trovare la nota comica dei fatti, proprio come lei. « Sai che rodimenti di culo epici poi. »
    Annuisce piano, lo sguardo un po' perso di fronte a sé, come se avesse già davanti quell'immagine tanto divertente, un sorriso lieve che incurva le sue labbra. « E in quel caso, visto che si parla di carta igienica, direi che lo sarebbero anche proprio letteralmente. » Scambia con lui uno sguardo veloce d'intesa, prima di ridere sommessamente. Le è mancato anche questo.
    Sospira, appoggiandosi meglio al muro alle sue spalle e stringendo tra le dita le proprie caviglie, mentre guarda la condensa del proprio fiato dipanarsi di fronte a sé. Adesso che è di nuovo ferma, ricomincia ad avvertire addosso quel freddo pungente e quella dannata umidità che la penetra fino alle ossa. « Dio che casino Mals. Se davvero sarai tu a seppellirci tutti, come credo che sarà... » si volta a guardarlo, e incontra i suoi occhi chiari. « per l'ennesima volta, mi dispiace. Non volevo ferire te, non consciamente perlomeno. Almeno così non sarò costretto nemmeno io a tormentarti fino alla fine dei tuoi giorni. Sei libera, Stone. » Serra le labbra, in un'espressione indecifrabile, mentre sposta lo sguardo di fronte a sé. Più volte, nell'ultimo mese, si è domandata il motivo di un atto che ai suoi occhi è stato incredibilmente inopportuno, se non addirittura quasi cattivo. E il pensiero che Sam l'avesse fatto proprio per ferirla l'ha sfiorata, è vero, seppure ci fossero altre possibilità in gioco, come quella che alla fine le confessa. Se voleva mettere a repentaglio la relazione tra Amunet e Fred, se così può essere chiamato ciò che li lega, si ritrova a pensare, non è stata una gran mossa; perché quei due ci riescono benissimo da soli, a mandare tutto a quel paese, senza bisogno di un aiuto esterno.
    Fa spallucce, mentre torna a guardarlo, le sopracciglia inarcate verso l'alto. « Ho come la sensazione che io e te finiamo sempre per tormentarci a vicenda in ogni caso, anche da vivi. » Un angolo delle labbra si solleva automaticamente, e la voce di lei presto si abbandona alla breve risata provocata da quella constatazione tanto spicciola quanto vera. E forse piacevole. È bello sentire che c'è ancora, dall'altra parte, una porta lasciata aperta per lei, nonostante tutto. Che la lontananza degli ultimi due mesi, forse, non è stata sofferta solo da lei. « E comunque... lascia perdere. Stai parlando con un'esperta del fare cazzate e combinare macelli: se non ti perdonassi questa sarei davvero un'ipocrita. » Annuisce, concedendogli una leggera e amichevole gomitata. Sbagliamo tutti, prima o poi. « A me dispiace per come ho reagito. Cioè, non per lo schiaffo, quello te lo sei meritato tutto, eh. Dico per la scenata in generale, il fatto che ho urlato davanti a tutti quanti eccetera... » Sospira, per poi scuotere leggermente la testa. Sta chiedendo scusa, ma sa bene che in cuor suo non avrebbe potuto fare altrimenti, non nello stato mentale in cui si trovava in quel momento. Aveva desiderato umiliarlo con tutta se stessa, come si era sentita umiliata lei da tutti quanti, e questo, Sam, doveva averlo capito. « Comunque, adesso tutte queste stronzate non hanno più importanza » risolve alla fine, sollevando lo sguardo per specchiarsi nei suoi occhi, resi scuri dalla penombra della stanza. Quanto le sembrano futili e senza senso, quelle discussioni su Shame e su chi ha scopato con chi, ora che sono costretti a lottare giorno dopo giorno per la sopravvivenza. « Possiamo far finta di nulla e dimenticarci di tutto quanto, per favore? E intendo proprio tutto tutto, anche la parte di te che dici che non puoi più parlarmi perché non vuoi farmi soffrire, eccetera. Che poi, tanto per dire, chi è che ti aveva dato il permesso di decidere una cosa del genere? Saranno anche cazzi miei no? Vabbè. » Si stringe nelle spalle, scuotendo leggermente la testa, mentre recupera la borsetta a tracolla che ha abbandonato sul pavimento accanto a sé, e comincia a frugarvi all'interno alla ricerca di qualcosa. Resta in silenzio qualche istante, mentre il suo braccio scompare quasi completamente all'interno della borsetta, il labbro inferiore stretto tra i denti nello sforzo della ricerca; e finalmente, qualche attimo dopo, riesce a tirarla fuori. Una singola sigaretta, che si rigira tra le mani come un piccolo tesoro perduto. « Mi è rimasta soltanto questa » dice, portandola sotto i suoi occhi perché la possa distinguere nell'oscurità. Aveva pensato di fumarla uno di questi giorni, in un momento di pace, ma l'idea di condividerla con lui le piace decisamente di più, e le sembra un modo carino per suggellare quella pace appena sancita. « So che sarebbe meglio, e sicuramente più nel nostro stile, fumare altro, ma certi stronzi si sono fregati tutte le scorte mie e di Olympia. E comunque, vista la situazione, non sarebbe il caso di perdere la lucidità. » Gliela porge, in attesa che sia lui ad accenderla. Come ai vecchi tempi.
    Ti prego, torniamo indietro, si ritrova a implorarlo mentalmente, mentre stringe di più le ginocchia al petto e osserva dal basso il suo profilo, avvolto dall'oscurità. A quando era tutto più facile.




     
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    « Se dovesse tornare lo sentiresti, no? Tipo col tuo super-udito eccetera... » Riesce a ridere, mentre il dolore al petto va sempre più diminuendo, man mano che gli è più fattibile respirare a pieni polmoni. «Ho castato anche un Incantesimo Gnaulante, ma sai com'è, ho passato Incantesimi e non so nemmeno io il perché. Quindi non sono certo che si attiverebbe, se il simpatico alberello decidesse di entrare nel cerchio protettivo.» Risponde, lasciando che la testa si muova lungo la parete, per inclinarsi appena verso di lei. Per guardarla nell'oscurità che quella casupola gli sta donando. La tranquillizza, tornando a guardare lo spazio che li sta accogliendo. Sta donando loro un po' di pace, un po' di riposo ma anche un momento da soli. Un momento che Sam non è certo verrà regalato loro nuovamente tanto presto. Così si crogiola in quelle risate che riescono a scaturire dalle battute che riescono a fare, anche dopo aver rischiato l'osso del collo per colpa di un albero che, se non espressamente istigato, era rimasto sempre lì, fermo, a pattugliare la tenuta del castello. Riescono a trovare qualcosa per cui sorridere, qualcosa che faccia da diversivo alla loro attenzione, distogliendola in parte da ciò che stanno vivendo. Perché è più facile sdrammatizzare per due come loro, ce l'hanno nel DNA. Sempre avuto, in ogni frangente doloroso delle loro corte esistenze. Per questo Sam ha apprezzato fin da subito la compagnia di Malia Stone. Perché è positiva, è una carica esplosiva, che non si abbatte, che cerca sempre la positività. Perché Malia riesce a migliorare le giornate a chiunque si trovi nei suoi paraggi. Non importa quanto sia giù, quanto gli eventi le si abbattano addosso, cercando di arrestare la sua camminata a testa alta, lei riesce sempre a dire o fare qualcosa di divertente, non importa cosa. Perché quando c'è una crisi, Malia alla fine non si blocca. Va avanti e solitamente riesce a portarsi dietro anche chi ha intorno.
    « Ho come la sensazione che io e te finiamo sempre per tormentarci a vicenda in ogni caso, anche da vivi. » Le sorride di rimando, lasciando scivolare il capo verso di lei, mentre il petto ha ripreso ad alzarsi e abbassarsi lentamente, come dovrebbe fare di norma. «Dannati alla tortura eterna, sia da vivi, che da morti. Ha un che di Shakespeariano.» L'idea di averla per sempre tra i piedi, stranamente, non lo infastidisce perché averla intorno gli è sempre piaciuto, in fondo. In un modo o nell'altro. « E comunque... lascia perdere. Stai parlando con un'esperta del fare cazzate e combinare macelli: se non ti perdonassi questa sarei davvero un'ipocrita. A me dispiace per come ho reagito. Cioè, non per lo schiaffo, quello te lo sei meritato tutto, eh. Dico per la scenata in generale, il fatto che ho urlato davanti a tutti quanti eccetera... » Ed eccoli lì, nuovamente a chiedersi scusa. Nonostante tutto, nonostante tutte le cazzate, nonostante le cattiverie che si dicono in faccia, Malia e Sam riescono sempre ad arrivare a quel punto finale: domandare scusa e ripartire da lì, azzerando tutto. «Hai urlato talmente forte da far concorrenza alla Signora Grassa e al suo canto lirico. Sono certo che se fossi andata a controllare, avresti constatato di essere riuscita anche a spaccarle il calice di champagne, a tre piani di differenza.» Si passa la lingua sul labbro inferiore, prima di ridacchiare insieme a lei, seguendo il loro solito schema per tendersi una mano dopo i litigi: scherzarci su, per esorcizzare tutto il dolore che si sono causati a vicenda. Ridiamo sopra a tutto quanto e passiamo oltre. Sam ha sempre pensato che, in un modo o nell'altro, quelle risate servano a risanare le ferite. Per questo è ancora lì, pronto a trovare un nuovo motivo per sorridere e farle fare lo stesso. « Possiamo far finta di nulla e dimenticarci di tutto quanto, per favore? E intendo proprio tutto tutto, anche la parte di te che dici che non puoi più parlarmi perché non vuoi farmi soffrire, eccetera. Che poi, tanto per dire, chi è che ti aveva dato il permesso di decidere una cosa del genere? Saranno anche cazzi miei no? Vabbè. » Gli sembra così lontana quella sera al capanno del materiale giù ai campi da Quidditch. Riesce a ricordare a malapena persino la discussione accesa che hanno avuto lì, per colpa dell'accaduto nei Bagni dei Prefetti. Scrolla la testa, con una smorfia, cercando di allontanare quel pensiero che cerca con prepotenza di farsi largo in mezzo agli altri. Si concentra quindi su quello che le aveva detto. E' un'amicizia che non può andare, non così. Non con me che ho le idee confuse, non con te che continui ad accontentarti. Perché tu non puoi e non devi accontentarti. Ed era scappato, come lei le aveva urlato dietro. Ti riesce sempre benissimo, scappare, non è vero? La guarda cercare qualcosa nella borsa, la fronte corrucciata, mentre tenta di capire. Hai ancora le idee confuse? Che cazzo vuoi dalla vita? Che cazzo vuoi da lei? Rimane in silenzio, non le risponde, la guarda rapito dai suoi movimenti, confuso di facciata, ma non per il motivo che potrebbe intuire lei. « Mi è rimasta soltanto questa. So che sarebbe meglio, e sicuramente più nel nostro stile, fumare altro, ma certi
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    stronzi si sono fregati tutte le scorte mie e di Olympia. E comunque, vista la situazione, non sarebbe il caso di perdere la lucidità. »
    E' una cosa totalmente da Malia, quell'offerta di pace. Un angolo delle labbra si alza senza volerlo, mentre gliela ruba dalle mani, per portarsela alla bocca. «Sono tre giorni che non fumo. E' dalla notte di Halloween che non tocco un goccio di alcol» prende a dire, con la sigaretta stretta tra le labbra che lo costringe a parlare strano. Si avvicina la bacchetta alla punta e le dà fuoco. Ne prende un grande tiro, per poi poggiare nuovamente la testa all'indietro, gli occhi chiusi rivolti verso l'alto. Riesce a sentire il fumo scendere lungo la sua gola, riesce persino a percepire il punto di arrivo, prima di essere ricacciato fuori, in una nuvola rada di fumo grigiastro. «Non chiederei altro che un po' di erba in questo momento.» Prende un altro tiro, prima di passarle la sigaretta e guardare di nuovo il soffitto. «Non chiederei altro che perdere completamente i sensi.» Sono giorni che non dormo niente, mi manca la mia vita, mi manca avere soltanto diciannove anni, mi manchi tu. La guarda e un sorriso beffardo si palesa sulle sue labbra. «Lo sai che avevo scelto te come capitano di Grifondoro?» Le confessa così, a bruciapelo. La poca luce di quella luna piena perenne entra dalla seconda finestra di fronte a loro e gli illumina il viso, così da rendere palese anche l'ilarità che ha raggiunto finalmente i suoi occhi. «E no, non c'era alcun favoritismo, soprattutto considerato il mio orgoglio ferito. Lo sai perfettamente che in quella squadra nessuno avrebbe meritato più di te.» Soprattutto con Fred Weasley fuori dai giochi. Ma questo chiaramente non lo può dire ad alta voce. «Con il senno di poi, pensavo lo dovessi sapere. Non hai mai giocato nel ruolo vero e proprio, ma lo sei. Malia Stone, nuovo capitano della squadra.» Abbozza una risata, mentre chiude una mano a pugno, per poi portarsela alla bocca, fingendo che sia un microfono. «Ci dica signorina Stone, tutta Hogwarts è all'ascolto. Come ci si sente nelle sue nuovi vesti?» La intervista, ripassandole il fantomatico aggeggio babbano. Così come è stato fatto a lui, nella sua prima intervista ufficiale, appena divenuto giocatore dei Falcons. Una decina di giornalisti che gli si erano accalcati intorno, ruggenti, ognuno pronto a strappargli lo scoop migliore. Erano state poche le domande sul Quidditch vero e proprio. Scamander, dov'è la principessa? Com'è stato tornare dall'Isola che non c'è? In che rapporti è con la Windsor? Che ha intenzione di fare? Come ci si sente ad essere costantemente baciato dalla fortuna? Fortuna? Quale fortuna? Si era domandato poi, quando era stato costretto a varcare nuovamente i confini del castello, non più come atleta professionistico ma come professore. Se l'era posta svariate volte quella domanda ma solo in quella situazione riesce a scorgerla, un po'. E' una fortuna trovarsi lì, al fianco delle persone a cui più tiene al mondo. Spera per suo padre, per la sua famiglia al di fuori, ci sono volte che pensa anche a Charlie, si domanda dove sia, ma in cuor suo sa che anche lei sta bene e che, alla fine, è giusto che non sia con lei. E' giusto essere lì. Perché se lì dentro Dean e Tris ci dovessero rimettere le penne, lui non si sarebbe mai perdonato il fatto di non esserci, con loro, fino alla fine. Guarda Malia, la fissa per un istante interminabile e capisce che quelle idee, di cui si era riempito tanto la bocca al campo da Quidditch, non sono così più così tanto confuse. Se deve arrivare la fine, preferisce smettere di fare il coglione e aspettarla al suo fianco. Per quanto possa fare male permetterle di fargli provare la sua mancanza, dovesse succederle qualcosa, preferisce di gran lunga esserci, per poi non doversene pentire in futuro. Alla fine, sente di esserci, di essere arrivato ad una conclusione. Ci ha messo tanto, forse troppo tempo, ma l'ha capito di essere pronto ad andare avanti. Di concedersi di avvicinarsi a Malia, senza sentirsi in difetto nei confronti di Charlie. Di starle vicino, di desiderarla, senza provare quel profondo senso di colpa. Non c'è più. In quel momento, ci sono solo loro due in quella casa ormai disabitata. Così si riporta il pugno chiuso alle labbra e i suoi occhi chiari si puntano in quelli di lei. Sembra che non abbiano alcuna intenzione di voler scivolare via. «Abbiamo fatto una marea di cazzate, io e te, è vero. Ma è anche vero che ci giriamo intorno da quasi quattro anni. E siamo ancora qui, di nuovo. E non voglio passare un altro attimo a tenerti il muso o, peggio, tenerti a distanza. Permettimi di esserci, almeno questa volta. Torniamo indietro.» Concorda con lei alla fine, mentre un sorriso gli piega le labbra. Non sa nemmeno cosa vogliano dire quelle parole, non sa dove vuole arrivare veramente, sa solo che ha bisogno di mettere un punto e andare a capo. E' quello che gli serve, in una situazione del genere. Sii qui con me. «Quindi ora, credo proprio che ti bacerò, se non ti dispiace.» Ma il tempo di rispondere non glielo dà, perché lui è fatto così. Le alza il viso, passandole l'indice sotto il mento e copre le sue labbra con le proprie. Si fa strada sopra di esse con la solita naturalezza, quella che ha sempre caratterizzato ogni loro bacio. Perché alla fine si riconoscono sempre, in un modo o nell'altro. E' un contatto profondo, che dura però poco, perché lui scivola all'indietro con il suo solito sorriso sprezzante a caratterizzargli il volto. «Dichiarazioni in merito, signorina Stone?» Il microfono che velocemente passa a lei. Permettimi di esserci.


    Edited by wanheda‚ - 28/11/2017, 10:35
     
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    « Hai urlato talmente forte da far concorrenza alla Signora Grassa e al suo canto lirico. Sono certo che se fossi andata a controllare, avresti constatato di essere riuscita anche a spaccarle il calice di champagne, a tre piani di differenza. » Dischiude le labbra, mentre strabuzza gli occhi e mette su un'espressione scioccata, ma, inevitabilmente, non può che seguire la sua risata contagiosa. Lo colpisce al braccio con un pugno, più per mostrare una certa teatralità che per altro.
    « Ritiro tutte le mie scuse! » dice incrociando le braccia al petto, e fingendosi estremamente piccata. Ma anche in questo caso il suo piccolo teatrino non dura più di qualche momento, giusto il tempo che è in grado di resistere nel trattenere una risata. Lo guarda dal basso, mentre con la bacchetta accende la sigaretta che lei gli ha offerto e ne aspira il primo tiro, per poi emettere il fumo grigiastro nella penombra di quella casetta, nella quale sono immersi. Malia pensa che è bello ritrovarsi anche in questa semplicità disarmante: in quei gesti banali e meccanici, in quelle abitudini costruite negli anni, nelle ore trascorse a chiacchierare, nelle pause dallo studio pressoché inesistente e nei sabati sera a Hogsmeade con tutti gli altri. Rivede, in qualche modo, i vecchi Sam e Malia in quei gesti che riprendono a fare con una naturalezza incredibile, nel passarsi la sigaretta in modo così automatico e sincronizzato, senza quasi farci caso, nel lanciarsi sguardi silenziosi e farsi colpire all'improvviso da quegli attacchi di risate incontrollabili. È facile, ritrovarsi. E Malia, nel ritrovare Sam, ritrova anche un po' di più se stessa. Forse è tornata al punto di partenza, ma per ora va bene così.
    « Sono tre giorni che non fumo. E' dalla notte di Halloween che non tocco un goccio di alcol »
    Sospira, lei, appoggiando la testa al muro alle sue spalle. « Idem. Ma nel mio caso direi che è un bene » scherza, gettando uno sguardo al soffitto. Sam di sicuro deve ricordare le condizioni in cui era ridotta alla fine di quella sera: così incapace di camminare che aveva dovuto portarla in braccio lui fino al cancello. Che poi l'impresa eroica si fosse alla fine rivelata pressoché inutile è un altro paio di maniche, resta il fatto che il ragazzo ha comunque avuto il piacere di assistere agli effetti che quell'ubriacatura ha avuto sulla Stone.
    « Non chiederei altro che un po' di erba in questo momento. Non chiederei altro che perdere completamente i sensi. » Prende la sigaretta dalle sue mani, senza smettere di guardare il suo profilo. Riesce a notare la stanchezza dei suoi lineamenti, le occhiaie evidenti sul suo viso, l'espressione visibilmente esausta. E lo capisce alla perfezione, perché anche lei negli ultimi giorni si è ritrovata a provare quel forte desiderio di trovare un sonno profondo, d'intorpidire i sensi: annullare ogni sensazione e chiudere tutti i ponti con l'esterno, e con quella realtà nefasta che li circonda. Far finta che non esista niente di tutto ciò.
    Si stringe nelle spalle, mentre aspira dalla sigaretta, e rimane qualche istante ad osservare il fumo dipanarsi nello spazio di fronte a sé. « Se vuoi posso sempre darti una botta in testa, eh... Magari funziona, stavolta. » E alla fine scherzarci su resta sempre la cosa migliore da fare, su tutto. Forse perché è stanca di mantenere quella serietà continua, forse perché resta una cosa naturale, fra loro, sdrammatizzare anche nelle situazioni più tragiche. Perché hanno bisogno di una pausa da tutta quella morte e quella distruzione, una tregua che quelle quattro mura di legno e quello spazio angusto stanno concedendo loro, almeno per un po'. E forse il pericolo incombe, sempre, ma Sam e Malia si concedono di non pensarci, giusto per qualche attimo. Ed evadono.
    « Lo sai che avevo scelto te come capitano di Grifondoro? » A quelle parole si volta a guardarlo, un po' confusa, aggrottando le sopracciglia in modo quasi automatico. « E no, non c'era alcun favoritismo, soprattutto considerato il mio orgoglio ferito. Lo sai perfettamente che in quella squadra nessuno avrebbe meritato più di te. Con il senno di poi, pensavo lo dovessi sapere. Non hai mai giocato nel ruolo vero e proprio, ma lo sei. Malia Stone, nuovo capitano della squadra. » Resta con gli occhi puntati su di lui, un sorriso quasi incredulo che si allarga sulle sue labbra. Prende un altro tiro dalla sigaretta che ha tra le dita, le sopracciglia corrugate. È sorpresa, e in qualche modo incuriosita, per ciò che ha detto e per il modo in cui l'ha fatto. Annuisce piano, mentre gli dà ragione: da parte sua, pur essendo modestamente consapevole di essere l'unica scelta saggia come nuovo capitano della squadra - con la sola eccezione plausibile di Fred - si era anche convinta di aver bruciato tutte le sue possibilità dopo aver assestato una cinquina in pieno volto al professore di Volo davanti a tutta la scuola. Ed è vero, queste cose adesso non valgono più nulla - perché chissà se riuscirà mai a salirci di nuovo, su una scopa - ma nella sua testa quelle parole assumono comunque una certa importanza, più per il fatto che sia Sam a pronunciarle che per il loro effettivo significato. « Ci dica signorina Stone, tutta Hogwarts è all'ascolto. Come ci si sente nelle sue nuovi vesti? » Si ritrova a ridacchiare, nel notare il pugno chiuso di lui proteso nella sua direzione, a mo' di microfono. Dopo aver preso un ultimo tiro gli passa la sigaretta, così da potersi concentrare sulle proprie dichiarazioni.
    Si avvicina di più col viso alla sua mano, per poi schiarirsi la gola con fare teatrale, e assumere un'espressione che presume essere da donna vissuta. « Per prima cosa voglio ringraziare l'impeccabile professor Scamander per avermi investita di questa carica importantissima. Sono sicura che è stato colpito dalla mia prontezza di spirito, oltre che dal mio innegabile talento sul campo. » Finge di asciugarsi una lacrima sulla guancia, commossa, sforzandosi di non ridere troppo. « Mi sento... mi sento completa! Finalmente ho tutto ciò che desideravo, posso comandare a bacchetta i miei compagni di squadra e avere una spilla tutta mia. » Sta per fare una battuta sul poter finalmente avere accesso al Bagno dei Prefetti in modo legale, ma riesce a bloccarsi in tempo, fortunatamente. Sposta lo sguardo di fronte a sé, verso un'immaginaria folla di gente che ascolta le sue dichiarazioni, mentre si porta una mano sul cuore. Così, per aggiungere un po' di pathos. « Prometto che la mia sarà la squadra più memorabile di sempre. Schiacceremo i nostri avversari - soprattutto i Serpeverde, ora che giocano senza la loro superstar - faremo impazzire Amunet Carrow per la storia dei turni al campo da Quidditch, devasteremo gli spogliatoi dei Corvonero giusto per farli piangere e chissà, magari nel tempo libero risolveremo pure quella questioncina della fame nel mondo. Questo io vi prometto - sempre che il Platano Picchiatore non decida di ridurmi in una sottiletta prima... Oddio, che hai? Non mi dire che ti sei commosso sul serio. » Quando si volta nella direzione di Sam, per guardarlo con quella sua occhiata carica d'ilarità e divertimento, si ritrova per un istante spiazzata di fronte allo sguardo intenso che sta ricevendo, e che le pare poco in linea con la giocondità del momento. Aggrotta dunque le sopracciglia, in un'espressione interrogativa, mentre segue con gli occhi il microfono che si avvicina alle labbra di lui.
    « Abbiamo fatto una marea di cazzate, io e te, è vero. Ma è anche vero che ci giriamo intorno da quasi quattro anni. E siamo ancora qui, di nuovo. E non voglio passare un altro attimo a tenerti il muso o, peggio, tenerti a distanza. Permettimi di esserci, almeno questa volta. Torniamo indietro. » E nel giro di qualche attimo, il tempo di un paio di battiti di ciglia, l'atmosfera intorno a loro cambia completamente. Rimane a guardarlo in silenzio, i suoi occhi scuri fermi in quelli verdi di lui, ancora troppo incredula per capire il significato di quello che le sta dicendo. Ma lui sorride e lei fa lo stesso, di riflesso, o forse per istinto. L'istinto, come sempre, che resta avanti a qualunque cosa, e mentre il suo cervello cerca di processare le frasi di lui, il suo cuore sta già battendo forte nella cassa toracica. « Quindi ora, credo proprio che ti bacerò, se non ti dispiace. » E ora, sebbene quasi sussulti nel sentirlo pronunciare queste parole, rimane in silenzio e immobile. Perché lui non le dà il tempo di replicare, proprio come si aspettava. Non le chiede alcun permesso, l'avverte semplicemente, prima che le sue labbra si uniscano a quelle di lei, nella solita irruenza che lo contraddistingue. E a Malia piace fin troppo quest'aspetto del suo carattere, quest'impetuosità imprevedibile che è sempre stata capace di spiazzarla, in ogni situazione. Anche ora, mentre sfiora la sua guancia con il palmo della mano, e mentre le sue labbra accarezzano quelle morbide di lui con una certa naturalezza, riesce a meravigliarsi di quel contatto, così familiare eppure così diverso; non dettato dalla passione bruciante di un momento particolarmente intenso, come forse è capitato più volte tra loro, ma da una lunga attesa, fatta di silenzi e di sguardi a distanza. Per una volta non è incendio ma una carezza, capace di scioglierle il cuore e renderle le gambe molli; è quella tenerezza disarmante che non pensava di poter trovare in lui, e nemmeno in sé stessa. In loro. E quando Sam si allontana, troppo presto per i suoi gusti, si ritrova ancora con gli occhi socchiusi e quell'espressione sognante, forse un po' da ebete, dipinta sulla faccia. « Dichiarazioni in merito, signorina Stone? »
    Lo guarda, mentre quel sorrisino vittorioso che conosce fin troppo bene si forma sulle labbra di lui. E non è facile lasciare Malia Stone senza parole, lei che possiede una delle parlantine più conosciute di tutto il castello, ma in questa disciplina Samuel Scamander sembra in grado di eccellere ormai da tempo. Si morde il labbro inferiore, incapace di nascondere quel sorriso che va formandosi sulle sue labbra, mentre guarda dal basso i suoi occhi chiari. Dichiarazioni su cosa? Sul bacio o sul fatto che riesci sempre a prendermi in contropiede, qualunque cosa fai? Nel dubbio, e poi perché non è davvero in grado di esprimere a parole quello che prova, si concede un'ultima battuta di spirito. « Non male. Penso che per te le labbra di Dean siano impareggiabili, ma tu non sei niente male, Scamander. » E con questo, ed un ultimo sorriso sardonico, chiude il discorso, perché le sue dita si stringono intorno al lembo del suo giaccone per strattonarlo nella sua direzione, mentre una mano sale fin dietro alla sua nuca e lo spinge nuovamente nella sua direzione, per riprendere quel contatto a cui lui ha dato fine troppo bruscamente, e che non le è bastato per niente. Non dopo mesi passati a guardarsi da lontano, a litigarci, a urlare, a odiarlo con tutta sé stessa ma a finire sempre per desiderarlo, a discapito di tutto, con molta più intensità. Così lo bacia ancora, avida, approfondendo di più quel contatto, il cuore che nella cassa toracica batte all'impazzata e uno strano senso di leggerezza dentro. Per un momento riesce davvero a dimenticarsi di tutto. Di Kingsley, delle trappole, della morte, di quella brutta ferita che ha sulla gamba, della fame, della stanchezza, del lavoro che ancora c'è da fare, del pericolo, delle attese estenuanti, del Platano Picchiatore che non sa più dov'è. Ci sono soltanto loro due nascosti nella penombra che con i baci e le carezze riescono a rivelarsi molto più di quanto potrebbero con discorsi campati in aria. Ci sono solo i loro respiri quasi affannati che si mischiano, quei paia d'occhi che s'intrecciano a quella distanza breve e si guardano con la verità dentro. E ci sono i sapori delle loro labbra che si mischiano, e all'improvviso uno strano senso di urgenza alla base dello stomaco. Stammi vicino subito, perché forse non avremo altre possibilità.
    E tutto le ritorna addosso. Quello che c'è là fuori le rientra negli occhi mentre lo sta guardando, a pochi centimetri dal suo viso, le dita che carezzano delicatamente la barba ispida sulla guancia. Si morde il labbro inferiore, prima di emettere un respiro quasi impercettibile. « Non ti azzardare a rimetterci la pelle, in questo posto » si ritrova a dire, a un soffio dalle sue labbra. Gli occhi fissi nei suoi. « Altrimenti ti uccido. » E vorrebbe suonare divertente, con queste parole, ma il tono greve con cui le pronuncia, e il fatto che non riesca a sorridere mentre lo dice, non rendono quelle parole simpatiche come a lei piacerebbe. È solo un'ironia amara, carica di tristezza e preoccupazione. L'hai detto tu, che vuoi esserci. Fai di tutto perché sia così. Lo stringe di più a sé, allora, mentre posa le labbra sul suo collo e vi lascia un bacio leggero, per poi affondarvi con il viso. Resta in silenzio per attimi che le sembrano interminabili, le braccia strette intorno a lui mentre si concede qualche istante per respirare il suo profumo, così familiare. Che le ricorda così tante cose. Torniamo indietro. « Dormi con me, stanotte » dice ad un tratto, in un sussurro sottile, il respiro che s'infrange contro la sua pelle. E domani, per favore, risvegliati accanto a me.

    And I've been feeling everything
    from hate to love, from love to lust,
    from lust to truth,
    I guess that's how I know you.
    So I hold you close to help you give it up.

     
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