The calm before the storm

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    E' tornato ad Hogwarts con un semplice intento: provare a diplomarsi. Non per un piacere personale. No. Il suo diploma, in fondo, l'aveva ricevuto già, dalla scuola della vita. Aveva ottenuto il suo foglio di carta girando di città in città, vagando di paese in paese. Il foglio si è riempito di timbri, pian piano, mentre si lasciava alle spalle culture diverse, colori e odori pungenti, chilometri e chilometri percorsi soltanto con un semplice zaino sulle spalle, un sacco a pelo, con una sottile stuoia per non dormire proprio per terra e una borraccia. E' così che Lucas aveva ottenuto il suo pezzo di carta, quello che più contava per lui. Ma a sua madre non era mai bastato, per lei ciò che suo figlio aveva fatto per tre anni non era altro che errant dans le monde, così, per il gusto di fare qualcosa. Per questo Lucas ha deciso di tornare al castello: per far contenta sua madre. Ed è solo mentre si guarda intorno, ficcando una mano all'interno della propria tracolla per tirarne fuori il pezzo di pane che è riuscito a tirar via dalle scorte in Sala Grande la sera prima, che si rende conto di aver fatto una cazzata. Ma una di quelle belle grosse, alla quale non c'è un rimedio. Perché che soluzione si può trovare ad un castello che ha deciso di blindarsi, appena il suo proprietario ha deciso di crepare? Non c'è alcuna via d'uscita. Non c'è niente che si possa fare in
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    una situazione del genere, se non provare a non rimanerci secchi e lui, sull'arte della sopravvivenza, ne sa una o due cose. Stacca un pezzo di pane con i denti, mangiandolo lentamente, non sapendo con certezza quando sarà la prossima volta nella quale riuscirà a fregare qualcosa, senza dover fare un duello all'ultimo sangue con i ragazzini più piccoli. In fondo, lui un po' abituato a far la fame lo è già. Ha sempre viaggiato con addosso nient'altro che i propri vestiti, facendo l'autostop come meglio capitava, accettando la gratitudine del prossimo, senza chiedere mai troppo, cercando di farsi in quattro per ricambiare i favori che il mondo gli faceva, facendolo continuare a camminare sulle sue vie senza morire di fame o di sete. Per questo motivo gli basta poco, poco quanto lo può essere un pezzo di pane ogni tanto. Cammina lungo il corridoio con calma, diretto verso gli esterni, giusto per cambiare un po' l'aria. Passa sotto i numerosi quadri ed è proprio da uno di quelli che una spada fuoriesce, brandita da ser Lancilotto in persona. Lucas non fa in tempo a schivarla che il metallo lo prende in pieno volto, lasciandogli una retta verticale sulla guancia, dalla quale comincia a sgorgare sangue. «Mon Dieu, ma che sei scemo?» Sbraita contro il cavaliere, portandosi una mano al volto. Le dita si tingono di rosso. "Io? Scemo? Come vi permettete messere? Avete appena lanciato il guanto di sfida." Lucas sgrana gli occhi, mentre fa due passi indietro, pronto a scappare. Lancilotto brandisce nuovamente la spada e fa un affondo in avanti, che il biondo evita per il rotto della cuffia. La mano corre verso la tasca, lì dove tiene la sua fidata bacchetta. La sfodera a sua volta e guarda l'uomo armato con sguardo di sfida. «Sei sicuro di volere la guerra, ometto?» Domanda, sorridendo a malapena. Il cavaliere non se lo fa dire due volte e parte all'attacco. Un attacco che Lucas ferma con un bombarda, che lo fa volare all'indietro, quel tanto che basta per dare un certo margine di vantaggio al biondo, che corre via, senza pensarci due volte. Usa il corrimani delle scale, non fidandosi troppo degli scalini, e vi cammina sopra come il trapezista di quel circo, al quale si è unito in Russia, gli ha insegnato. In quattro e quattr'otto si ritrova in infermeria che, a parte qualche poveraccio che sta dormendo su un barella abbandonata qua e là, è completamente deserta. Il ragazzo si fa avanti, inclinando la testa a destra e sinistra per trovare un'infermiera. Niente. Allora si stringe nelle spalle e con disinvoltura, si avvia verso il vassoio degli attrezzi da lavoro, recuperando all'istante del disinfettante e dei cerotti puliti. Scivola di lato per guardarsi allo specchio, togliendosi momentaneamente gli occhiali da vista. «Cazzo.» La ferita è più profonda di quanto si era aspettato, tanto da non riuscire a tamponarla così facilmente, ma comunque non si perde d'animo. Non si passano tre anni di vita in giro per il mondo, se si è ipocondriaci o facilmente impressionabili dal sangue. Si riporta di fronte al vassoio e lo rovista in lungo e in largo, finché non trova ago e filo. Bingo! Si guarda per qualche istante allo specchio, prendendo un bel respiro, mentre si avvicina la pinzetta a tenere vicine le estremità del taglio e passa attraverso la pelle il primo punto di sutura. Fa una smorfia che gli distorce tutto il viso, fin quando non si abitua alla situazione e continua ad andare avanti, con tanto di imprecazioni in varie lingue del mondo. La porta dell'infermeria si apre alle sue spalle e lui si volta di scatto, con ancora il filo che fuoriesce dalla sua faccia e l'ago a mezz'aria. Non riesce a riconoscerla subito. Gli sembra di ricordarla, quando ancora frequentava Hogwarts. Ma era decisamente diversa, da come se la ritrova ora, di fronte. Inclina il capo, in un evidente segno d'apprezzamento. Per la barba di Merlino se sei cresciuta dannatamente bene! «Fawn Byrne Esclama incredulo, prima di sorridergli, allungando le labbra quel tanto che basta a non procurargli l'ennesima fitta di dolore per via della ferita. «Ti ricordavo alta così» allunga la mano libera, per mimare il livello del suo ricordo. Insomma, la classica esclamazione da vecchietto che ti incontra ogni morte di Papa. La osserva per qualche istante, un po' per sincerarsi che non stia morendo per qualche emorragia in corso, un po' perché vuole veramente ammirarne la pura bellezza. «Però, sempre splendida!» Sorride sornione, prima di voltarsi nuovamente verso lo specchio, per provare a terminare quell'opera d'arte che è certo gli varrà l'ennesima cicatrice indecente. L'ultima che si va ad aggiungere al mazzo di quelle che gli tempestano già il corpo. «Scusa se ti do le spalle, ma devo finire questa roba, altrimenti credo che morirò dissanguato e non dovrebbe essere un bello spettacolo! Oltre al fatto che, credo, mi avresti sulla coscienza.» Guarda il riflesso di lei nello specchio alzando un sopracciglio, prima di ricominciare ad armeggiare con l'ago. «Perché sei qui? Ti serve qualcosa? Posso darti una mano?»
     
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    Non ne poteva più di quel posto e delle sue diavolerie. Non avrebbe mai creduto di poter pensare una cosa simile di Hogwarts, che era stata la sua casa per tutti quegli anni, ma stava cominciando ad averne piene le scatole di quel posto, visto che il suo unico scopo sembrava essere quello di annientarli, non importava in che modo. E che ci stava anche riuscendo. Quanta gente era morta solo negli ultimi giorni? Quanta? Solo a pensare ai numeri, le si gelava il sangue nelle vene. Più che in un posto sicuro, sembrava di essere stati catapultati per direttissima nella testa di un qualche sadico, perché soltanto un malato di mente avrebbe potuto concepire tanta follia tutta assieme. Ma non serviva neanche pensare alle grandi cose, non c'era bisogno di soffermarsi sui morti che non avevano ricevuto una sepoltura o sulla gente che stava diventando man mano sempre più barbara. Per comprendere quanto il tutto fosse a rovescio, bastava ripercorrere gli ultimi minuti della vita della Byrne, la quale aveva, nell'ordine: impedito ad un fantasma di far uscire di testa un ragazzino - continuava a passargli attraverso, lo stronzo - Confuso il suddetto, e poi si era data alla macchia, correndo a rifugiarsi nell'ultimo luogo che avrebbe mai frequentato volontariamente in condizioni normali: l'infermeria. Le bastò una rapida occhiata attorno per rendersi conto che ci fosse già qualcuno dentro, e fece quasi per scusarsi per l'irruzione - ed il probabile spavento che sarebbe potuto derivarne -, ma il ragazzo la batté sul tempo. Le ci volle qualche attimo per rendersi conto che quello che si stava, per dirla in maniera brutale, sostanzialmente ricucendo da solo, altri non era che....
    «Lucas Weasley?!» Si lasciò andare ad una risata allegra. Quanto tempo era passato, da quando aveva lasciato la scuola. Troppi anni perché trovarselo improvvisamente davanti non fosse un piacevole shock. Che aveva fatto in giro per il mondo? Dove aveva vagato? Ma soprattutto: si era reso conto anche lui di quanto il suo tempismo fosse stato pessimo, benché non l'avesse certamente fatto apposta? « Ti hanno già dato il bentornato, vedo. Chi ha avuto l'accortezza? Armatura, quadro o qualcos'altro?» Ironizzò, in merito alla ferita. Non è che fosse insensibile, ma sapeva bene che una ferita in faccia era decisamente una delle opzioni migliori, considerato l'andazzo generale. Chissà se si era pentito di essere tornato. Non per fare l'avvocato del diavolo, ma lei avrebbe sicuramente preferito una vita in giro per il mondo a tutto quello che stava succedendo al Castello. Certo, la vita nel mondo esterno poteva avere tutti i lati negativi possibili, ma aveva un unico grande pregio agli occhi di Fawn, un qualcosa che tutti avevano sottovalutato fin quando non l'avevano perso: la libertà. E poteva anche trattarsi di uno di quegli stupidi discorsi adolescenziali, ma la libertà era forse ciò che le mancava di più e questa mancanza le pesava enormemente sulle spalle. Ovvio, il cibo che scarseggiava, gli incubi a seguito della passeggiata della salute nella foresta, la paranoia latente erano gravosi anche loro, ma le pesava molto di più non poter scegliere cosa farne di sé stessa. Non poter scegliere quali spazi frequentare, non poter decidere di starsene in pace per qualche ora senza rischiare l'osso del collo era quanto di più angosciante ci fosse in tutto quell'inferno. Si sentiva un animale in gabbia e questo la rendeva nervosa, per quanto si sforzasse di non pensarci. Ed ecco la seconda cosa orribile nella sua personale hit parade: ridursi a non dover pensare. Era un fenomeno comune a quel punto: la gente si trascinava avanti giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto senza nemmeno sapere dove stesse andando di preciso. Hogwarts li stava mettendo alla prova e stava spezzando i più deboli. Il posto più sicuro al mondo si era trasformato in una giungla. Quanti di loro ne sarebbero ne sarebbero usciti interi? Quanti anche nell'animo? Ammesso e non concesso che ne sarebbero usciti, ovvio.
    «Però, sempre splendida! Scusa se ti do le spalle, ma devo finire questa roba, altrimenti credo che morirò dissanguato e non dovrebbe essere un bello spettacolo! Oltre al fatto che, credo, mi avresti sulla coscienza.» Trattenne una risata che spingeva per uscire. Lui se la ricordava alta così, ma non è che fosse poi cambiato molto. Madre Natura o chi per lei, su quello non aveva voluto sentire ragioni: un puffo era, ed un puffo era rimasta. Lo stesso ragionamento, più o meno, si applicava al resto: se si ricordava la bimbetta iperattiva che trovava sempre un modo per ficcarsi nei casini, non aveva le basi per smentire questo suo ricordo. In sostanza era rimasta sempre uguale, solo con qualche esperienza traumatica in più alle spalle. « Non ti preoccupare e pensa a ricucirti. Mio nonno direbbe che le cicatrici fanno macho e che potresti inventarti una storia meravigliosa per giustificarla. Questo si tradurrebbe nella cucitura più brutta nell'intera storia delle cuciture, credo. L'unica cosa che ti dico io, invece, è: pensa a non morire dissanguato per davvero, che poi sarei l'ultima persona con cui hai parlato nonché l'unica sospettata. E sai cosa succederebbe dopo, data la follia che dilaga? Mi brucerebbero al rogo senza se né ma. Visto come cambiano le carte in tavola? Giusto il tempo di morire e saresti tu ad avere sulla coscienza me. »
    Incrociò le braccia al petto: era lei o cominciava a fare freddino, là dentro? Hogwarts non era più un posto particolarmente ospitale o in generale riscaldato nell'ultimo periodo, questo era vero, ma il genere di freddo che sentiva in quel momento era senza dubbio diverso. Del genere che ti entra direttamente nelle ossa e ti fa venire voglia di muoverti, correre.
    « Sto bene, stavo scappando da un fantasma da brava Grifondoro quale sono.» Rispose comunque alla sua domanda, scuotendo leggermente la testa. Il freddo non accennava ancora ad andarsene e lei aveva proprio una brutta sensazione addosso. Che la foresta l'avesse resa troppo sensibile? Paranoica? Tutto poteva essere. « Ma sono io o fa più freddo del solito? Comunque, io per sicurezza mi sbrigherei. Quanto ti manca? E non pensare di poterti lavare le mani dal raccontarmi che hai combinato in giro per il mondo, straniero. Aveva detto alla fine che ancora sorrideva. In fondo poteva davvero essere paranoia, la sua. Giusto? Sì, doveva essere così.
     
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    «Lucas Weasley?!» Le loro risate si uniscono in una sola nota melodiosa. E' bello rivedere finalmente qualcuno di amico. Un viso che, nonostante tutto, non abbia perso il suo solito colorito o la sua luminosità travolgente. E quello di Fawn è ancora bello e raggiante come Lucas l'ha sempre ricordata, ancor prima di partire per il suo lungo viaggio spirituale. « Ti hanno già dato il bentornato, vedo. Chi ha avuto l'accortezza? Armatura, quadro o qualcos'altro?» Un angolo delle labbra si inarca verso l'alto. E' bello davvero trovare qualcuno che sia disposto ancora ad ironizzare e ridere delle loro disgrazie. «Ser Lancillotto, quinto piano, quadro con le nobili donzelle di Camelot che tentano di comprarsi il suo amore, offrendogli doni da portare in guerra.» Le spiega, mentre riprende ad armeggiare con ago e filo, come se nulla fosse. Fa qualche smorfia ogni tanto, arricciando il naso quando l'anestetizzante che si è passato sulla ferita sembra non essere arrivato in profondità tanto quanto invece arriva l'ago con il quale tenta di ricucirsi. «Si è fatto prendere un po' la mano per tentare di conquistare il cuore di Ginevra, del dipinto di fronte. Povere fanciulle, lui loro non le guarda nemmeno. Sempre a puntare all'irraggiungibile. Siamo proprio dei deficienti noi maschi quando ci mettiamo il giusto impegno.» Prosegue, con un mezzo sorriso, mentre la guarda dallo specchietto che usa per non portarsi via direttamente tutto l'occhio. «Certo è che gli è andata male. Devi vedere come stava ridotto, alla fine.» Scoppia a ridere. Nei suoi fantasmagorici racconti, c'è sempre il momento in cui si arriva al "Ah, ma devi vedere come stava l'altro." E' un must, con uno come Lucas. Specie in una situazione tanto tragica, dove non gli rimane che fare dell'ironia, di crearla, anche dove è evidente che non ci sia. « Non ti preoccupare e pensa a ricucirti. Mio nonno direbbe che le cicatrici fanno macho e che potresti inventarti una storia meravigliosa per giustificarla. Questo si tradurrebbe nella cucitura più brutta nell'intera storia delle cuciture, credo. L'unica cosa che ti dico io, invece, è: pensa a non morire dissanguato per davvero, che poi sarei l'ultima persona con cui hai parlato nonché l'unica sospettata. E sai cosa succederebbe dopo, data la follia che dilaga? Mi brucerebbero al rogo senza se né ma. Visto come cambiano le carte in tavola? Giusto il tempo di morire e saresti tu ad avere sulla coscienza me. » Si ferma appena un attimo, prima di infilare per le ultime due volte l'ago nella pelle della sua guancia. Poi scuote la testa e le lancia un'occhiata da sopra la spalla. «Fawn, cara, dove credi di essere finita? Nel decimo secolo d.C. in pieno Medioevo?» Le domanda, con un'evidente sfumatura derisoria nella voce. «Il rogo è così antiquato. Sicuro ti impiccherebbero. Avresti privato il mondo di questo bel faccino, mi sembra il prezzo minimo da pagare per una simile perdita.» Sistema l'attrezzatura appena usata, buttando via batuffoli di ovatta sporca e l'ago, prima di richiudere il cassetto del carrellino mobile. «Ma su una cosa tuo nonno ha ragione: questa cicatrice ha già una storia tutta sua e diventerà la migliore che ho a disposizione nel ventaglio.» La sua mente già sta seguendo i labirintici percorsi creati dalla fantasia che non gli è mai mancata, architettando uno scenario decisamente più valoroso di "Ser Lancillotto ha tentato di farmi a fette, brandendo la spada dall'intelaiatura di un quadro." Quello che gli viene in mente è un racconto decisamente più da macho, come direbbe il nonno di Fawn. Qualcosa che possa rendere giustizia a quella cicatrice che è certo non lascerà il suo viso tanto facilmente. Per questo, si fionda verso la vetrina dei medicinali e delle pozioni, alla ricerca di qualsiasi unguento che possa fare al caso suo. Alla fine trova una pomata, a base di Essenza di Dittamo. Con una smorfia soddisfatta torna allo specchio. « Sto bene, stavo scappando da un fantasma da brava Grifondoro quale sono.» Annuisce, con una mezza risate ad accarezzargli le labbra. Non vuole deriderla, non è un mistero che chiunque, anche i più coraggiosi e baldanzosi, messo davanti ai pericoli che il castello mette a disposizione, si ritrova a scappare, verso l'esatta parte opposta. «Beh, sembra proprio che siamo qui più o meno per lo stesso motivo. Non ti senti già meglio nel non essere sola?» Le domanda, mentre prende a spalmarsi quell'unguento verde sulla faccia. Un unguento che puzza, tanto. Tanto da fargli storcere il naso e costringerlo a fermarsi, per riprendere fiato, voltandosi verso di lei. «Merde, è peggio del Camembert de Normandie che mia nonna si ostina a propinarci ogni santissimo anno, a Natale.» Si ritrova a commentare.
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    « Ma sono io o fa più freddo del solito? Comunque, io per sicurezza mi sbrigherei. Quanto ti manca? E non pensare di poterti lavare le mani dal raccontarmi che hai combinato in giro per il mondo, straniero. Si guarda intorno, mentre le labbra si arricciano all'infuori, in un'espressione scettica. «E' freddo come al solito?» Domanda retorica. Si stringe nelle spalle, mettendosi in ascolto di quella sensazione che ha preso la sua compagna di casata, mentre si passa una mano a raccogliere i capelli lunghi in un codino basso.«Ma non credo di essere totalmente attendibile, riguardo questa questione. Mi sono abituato al freddo. In Tibet ho dormito per quattro notti di seguito su una stuoia, dentro un sacco a pelo rattoppato su più punti. Il tutto in una tenda da campeggio che aveva spifferi ovunque. Tutto perché volevo arrivare in cima al Langtang.» Così, come lei gli ha chiesto di fare, le lancia quella piccola storiella, che non ha niente di troppo approfondito o dettagliato, ma che comunque è una piccola perla, ai suoi occhi, mentre il ricordo di quelle giornate torna alla sua memoria. Con i suoi profumi, i suoi colori e il freddo congelante al quale si era dovuto abituare, per forza di cose, per non morire assiderato. Si volta nuovamente verso il mobiletto sul quale ha appoggiato la pomata infernale e ne richiude il tappo, velocemente. Appena in tempo per sentire la porta dell'infermeria chiudersi con un tonfo micidiale. Si volta, di scatto, quasi si aspetti di trovare un nuovo ferito pronto ad essere soccorso. Ma non c'è nessuno. Lancia un'occhiata corrucciata verso Fawn, prima di tirar fuori la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e inforcare nuovamente gli occhiali da vista. Fa qualche passo verso la porta, circospetto, fin quando la sua mano non si chiude sopra la maniglia, l'abbassa e niente. Chiusa. Ermeticamente. «Okay. Cara Fawn, non c'è un modo facile per dirlo, ma sono abbastanza certo che ci abbiano chiusi dentro.» Il tono piatto, che cerca di non avere alcuna sfumatura per non allarmarla più di tanto. Anche se dovrebbe farlo, visto e considerato che è sicuro che sia l'ennesima trappola. «Il castello. E' lui che ci ha chiuso dentro. Sai com'è, per divertirsi un altro po'.» E lui riesce ad ironizzare. Ancora. What's wrong with you, Luke? «Sì, insomma, tutto bello ed interessante, ma dovremmo trovare un modo pratico e veloce per uscire.» Fa in tempo a finire la frase, che il rumore, inconfondibile, di una motosega arriva alle sue orecchie. Di male in peggio. Da dietro la tenda di uno dei lettini compare una figura grigiastra. Ha macchie più scure che gli imbrattano il camice sbrindellato e una motosega, appunto, in mano. E' un fantasma, chiaramente. Lo spirito di un infermiere morto nel castello, ipotizza il biondo. «Beh, bonsoir!» Il biondo si precipita verso Fawn e le chiude il polso in una stretta ferrea, per tirarsela dietro, mentre il fantasma si butta in avanti, per raggiungerli. «Il nostro nuovo amichetto non è tanto felice di vederci. E se lo è, lo dimostra male. Ma essendo un fantasma non penso riuscirà a farci molto con quell'affare. Non può trapassare la materia organica.» E in quel momento, il simpatico trovatello trapassa da parte a parte un materasso. «Come non detto.» Comincia a correre, verso la parte opposta, lanciando un paio di schiantesimi, volti a beccarlo in pieno. Ma è un fantasma e solo un zuccone come lui può pensare di atterrarlo con un semplice incantesimo. «Oh bene, perfetto. Saremo la sua cena. Non credo di essere tanto buono in brodo, ma forse allo spiedo farei la mia porca figura.» Scrolla la testa. «No okay, scusa. La smetto. Non possiamo permetterci di essere cotti in salmì. Non renderebbe giustizia al tuo squisito bouquet.» Merde. Il fantasma comincia a fare a pezzi mobilio a caso, mentre emette dei rumori nauseabondi e raccapriccianti. «Ok, giuro, la smetto. Fawn, mi serve la tua testa. Pensa.» E dicendo questo, la spinge verso una piccola stanzetta, la cui porta sembra aperta. Ci si chiude dentro. Come in ogni film horror babbano dove alla fine i protagonisti muoiono. Parfait. Si guarda intorno, cercando qualche attrezzo del mestiere per tentare di trovare qualcosa da usare contro il fantasma. Alla fine brandisce un aggeggio composto da una cannula stretta, che termina in una pipetta rossa, dalla forma abbastanza conosciuta. «Che dici? Se tentiamo una manovra d'emergenza, facendogli un un clistere per liberarlo dall'evidente rodimento di culo che ha, ci lascerebbe in pace?» Povera Fawn, con chi sei andata a capitare.
     
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    Due erano le verità assolute, nonché i pilastri che reggevano quel momento. Primo: la spiccata capacità di Fawn Byrne di cacciarsi nella peggior situazione possibile a quel punto non poteva più reputarsi soltanto una capacità: era da considerarsi un vero e proprio talento, considerate le statistiche; secondo: EddyKing, o chi per lui, doveva avere una concezione tutta sua di divertimento. Per intenderci ed essere al contempo sottili, se quella era la sua lunghezza d'onda generale, probabilmente a casa aveva anche una cella frigorifera dove tenere le sue fiamme perché non potessero mai lasciarlo o qualcosa del genere. Perché tanta acidità gratuita, si chiederanno i nostri lettori? Bene, immaginate questa scena: due poveri amici che non si vedevano da qualcosa come un quarto di vita - affermazione da prendere circa alla lettera - si stavano amabilmente, e piuttosto rapidamente visto l'andazzo, aggiornando sulle proprie vite, si stavano facendo un simpatico riassunto di cosa potessero essersi persi nelle puntate precedenti, ed eccola. Ecco cosa? Ecco la sorpresa meno sorprendente dell'intero creato: l'ennesima trappola che si attivava. Per intenderci: Fawn Byrne era sul punto di sommergere il povero Weasley di domande. Nella fattispecie, stava per chiedergli se fosse effettivamente riuscito a scalare il Langtang, e come fosse andata, e tutte quelle cose lì. Avrebbe anche potuto fare qualche esilarante commento sulla pomata, o sul fatto che nessuno l'avrebbe mai impiccata perché era sempre stata un tipetto veloce e che in extremis avrebbe potuto fare gli occhi dolci al boia, ma no. Era ovvio che, nel piano del mai una gioia dell'ormai stecchito preside, questo genere di conversazioni triviali non fossero comprese. Cosa sembrava essere incluso nel pacchetto, invece, comunque lo si girava? Esatto: l'attivazione di trappole a sproposito. I suoi sensi di ragno Cherokee non avevano fatto cilecca nemmeno quella volta, a quanto pareva: erano chiusi in Infermeria. Lasciò che il compagno andasse a controllare da sé, ma i sovracitati sensi le dicevano che tutto quello sbattere di porte non fosse casuale e che quindi fossero finiti dritti dritti in una delle mille trappole disseminate per l'edificio. Sbucavano come erbacce, ormai: non facevi in tempo a renderti conto dell'esistenza di una ed evitarla che ne appariva un'altra, se possibile meno simpatica della precedente. «Okay. Cara Fawn, non c'è un modo facile per dirlo, ma sono abbastanza certo che ci abbiano chiusi dentro. Il castello. E' lui che ci ha chiuso dentro. Sai com'è, per divertirsi un altro po'.» Per l'appunto. Cosa aveva detto? Non si faceva in tempo ad uscire da una trappola che subito appariva una sua controparte. Non volevi farti stecchire da un fantasma o un quadro impazzito? Nessun problema! La scuola offriva una scelta vastissima di come tirare le cuoia: bastava solo chiedere! O trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, cosa che avevamo appurato essere un talento della giovane. «Ed eccoci ad un'altra puntata di: Hogwarts ha una concezione distorta delle cose! Oggi ospite: Seven minutes in Heaven! Mi sento moralmente in dovere di far notare al mondo che non è così che funziona questo gioco. Che strani sti inglesi, oh.» Commentò con un tono molto meno spaventato di quanto non sarebbe stato normale. D'altra parte, però, tutti quegli attentati alla vita cominciavano a diventare piuttosto ripetitivi. E si sa, no? Se si ripete uno schema troppe volte, questo finisce per scatenare la reazione opposta. E così, invece di spaventarsi - come sarebbe forse stato lecito - la Byrne si era ritrovata a provare un misto di fastidio ed irritazione. Insomma: aveva fatto appena in tempo a levare le tende e salvarsi dalle grinfie di un fantasma, non faceva in tempo a riprendere propriamente fiato, ed ecco che arrivava qualche altra stronzata. Tipo effetto domino. Tutta quella situazione aveva davvero del tragicomico. Ergo, tanto valeva prenderla sul comico e dimenticarsi il prefisso tragi da qualche parte. Sinceramente immaginarsi chiunque ci fosse dietro come una specie di adolescente angsty, che riciclava giochi aggiungendovi un twist di cattivo gusto, nella sua ottica aiutava ad uscirne con un po' pù di dignità. O, questo nel peggiore dei casi, a morire sapendo di aver detto una cosa dannatamente divertente. Quando il suo sguardo si posó sul fantasma, la sua ipotesi parve diventare più plausibile, nonostante la follia. Solo un teenager poteva pensare che un riadattamento di terz'ordine di Silent Hill potesse essere un'idea simpatica. Bisognava pure insegnargli il senso dell'umorismo a questi inglesi, cose dell'altro mondo! Si lasciò trascinare via da Lucas, comunque, sempre perché quella di morire era una prospettiva che ancora non l'allettava più di tanto, per quanto la cosa potesse suonare sorprendente.
    «Il nostro nuovo amichetto non è tanto felice di vederci. E se lo è, lo dimostra male. Ma essendo un fantasma non penso riuscirà a farci molto con quell'affare. Non può trapassare la materia organica.» Gli lanciò un'occhiata dubbiosa appena prima del suo: «Come non detto» Ecco, qui le venne davvero da ridere. Forse stava impazzendo, forse era l'adrenalina oppure ancora tutta la tensione accumulata in quei giorni, cercando di sopravvivere, ma fece fatica a reprimere una risata. Risata che, in ogni caso, rimase ad aleggiare nel tono della risposta riservata al povero Lucas. « Sì, beh... sarebbe stato davvero troppo facile. Della serie: "salve, disturbo? Oh, vedo di sì. Scusate, sono morto e mortificato. Arrivederci!" » Si voltò solo per lanciare un qualche incantesimo offensivo oltre la propria spalla, nella fuga disperata verso un posto sicuro. Per quanto si potesse parlare di posti sicuri in quel contesto, ovvio. Solo una volta all'interno della stanzetta, si rese conto di quanto effettivamente tragicomica fosse quella situazione. Ricapitolando: si stavano nascondendo in infermeria, da un fantasma con una motosega vera . E questa descrizione presa da sola poteva anche non sembrare troppo divertente, ma se si considerava che la Byrne fosse scappata da un fantasma per finire dritta dritta nelle grinfie di un altro fantasma, la componente comica di quel che stava accadendo aumentava in maniera davvero esponenziale. Oppure, sempre attenendoci alla tesi di prima, la povera Fawn stava davvero uscendo di testa. Comunque stessero le cose, le veniva sempre più da ridere. E ci avrebbe anche provato a contenersi, davvero, se solo non le fosse arrivata alle orecchie questa esatta battuta: . «Che dici? Se tentiamo una manovra d'emergenza, facendogli un un clistere per liberarlo dall'evidente rodimento di culo che ha, ci lascerebbe in pace?» Si trovò a dover soffocare le risate, che chiunque a quel punto avrebbe probabilmente giudicato fuori luogo, con la manica del maglione. Certo, quello di fare un clistere ad un fantasma non era un piano propriamente attuabile, però lei non poteva fare a meno di trovare il tutto esilarante. Magari si trattava dei primi sintomi di un qualche male incurabile, ma tra la teenager con la passione per Silent Hill, il sospetto che i fantasmi di Hogwarts avessero sviluppato un mezzo fetish per la sua persona e il clistere appunto... Aveva letteralmente le lacrime agli occhi dal ridere. Si impose di ricomporsi soltanto perché c'era un effettivo rischio di morte, nemmeno troppo basso a giudicare dai rumori provenienti dall'esterno. E meno male che Lucas aveva detto di aver bisogno della sua testa. Povero ingenuo!
    « Okay, allora, senti » Riuscì a dire, senza ancora arrischiarsi ad allontanare troppo il braccio che aveva usato come isolante anti-risate dalla bocca « per quanto l'immagine del clistere sia davvero molto pittoresca, penso che... » Okay, forse era troppo pittoresca: si trovò a dover mandare giù un'altra risata. Avanti: non poteva mica morire dal ridere sul serio. Che razza di morte era? Cosa avrebbero scritto sulla sua lapide? « ...penso che l'essenziale sia riuscire a togliergli quell'affare di mano. O quantomeno a distrarlo abbastanza da non poterlo usare. » Lasciò vagare lo sguardo per la stanzetta per qualche secondo, come se farlo potesse portarla all'Illuminazione sulla Via di Damasco. La verità era che stava pensando ad un diversivo: i fantasmi erano creature incorporee, e su questo non ci pioveva. Tuttavia scoraggiarsi in partenza era inutile: nessuno era davvero invincibile, giusto? Riportò lo sguardo sull'amico: « prima di tutto ci serve un diversivo. Sarà una madamina incazzata, ma è pur sempre una madamina. Il che vuol dire che se dobbiamo uscire di qui, dobbiamo farlo col botto. Anche letteralmente, se preferisci. .» E a giudicare dai rumori in aumento, avrebbero dovuto nell'arco di qualche minuto. E no, non importava che fosse un uomo, il fantasma: per lei sarebbe rimasto la madamina « Poi non lo so. Proviamo a tenerlo in un solo posto della stanza in qualche modo. Petrificus, Confundus, incantesimi a caso finché non crepa una seconda volta o la porta non si apre. Magari non possiamo stecchirlo, ma possiamo tenerlo fermo. O rallentarlo.» Aveva parlato velocemente ma, si sperava, in modo abbastanza chiaro da non fargli perdere pezzi importanti del suo piano geniale. O suicida. Questo non stava a lei stabilirlo. Certo era che non potessero restare lì dentro per sempre, fantasma o meno. Anche perché quest'ultimo sembrava più che intenzionato a farli a brandelli comunque. Tanto valeva provare a rendere il compito arduo, no?

    Edited by hanaemi} - 3/1/2018, 14:42
     
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3 replies since 11/11/2017, 11:21   129 views
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