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  1. AresCarrow
         
     
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    Il cuore mi batte forte nelle tempie e su per la gola, mentre corro lungo le rampe di scale che portano in direzione della guferia del castello. Il fiato si è spezzato già alla fine del primo corridoio e mi rendo conto che sto correndo per pura forza di volontà, con i muscoli tesi e la mano che si appoggia al muro ogni volta che c'è da fare una curva, ad accompagnare il gesto nella speranza di non rovinare in terra. Le ombre mi osservano da ogni angolo in cui siano riuscite a rifugiarsi, ma nel farlo, tacciono. Non ho ancora capito cosa le spinga a parlare e cosa a tacere, ma ho il sospetto che una buona metà di ciò che dicano non sia altro che una goccia di veleno fatta scivolare nel mio orecchio, perché nonostante tutto nemmeno io sono tanto scemo da non capire che certe cose hanno un prezzo e che non possono - non possono affatto! - essere spinte da un puro senso di magnanimità nei miei confronti.
    Ciò nonostante, corro.
    Salto un'armatura caduta e mi abbasso di scatto quando, nel passare accanto ad un quadro, un braccio si allunga nel tentativo di afferrarmi. Non mi chiedo nemmeno se quei riflessi siano stata tutta opera mia o se siano di nuovo le voci, quelle delle ombre che mi fissano e mi parlano, a dirmi di abbassarmi. A volte è la reazione che conta più del pensiero; l'istinto più della riflessione. Questa è una di quelle volte, e io non sono che un fascio di muscoli e nervi in puro movimento.
    Scatto, curvo, mi piego.
    Non penso.
    Non da quando la voce più sottile, quella femminile, non mi ha sussurrato da dietro un mobile. Dovresti proteggerla ha detto quella voce, mettendomi la pulce nell'orecchio Mun ha continuato, e come sempre ho sentito un sottile velo di ghiaccio calarmi lungo la schiena - Perché? - ho chiesto loro, strappando un'occhiata incuriosita a Nate. Non voglio nemmeno pensare a quanto gli devo sembrare strano, in questo periodo, ma come faccio a parlargli? Il silenzio è una delle regole, una di quelle da non infrangere, soprattutto prima di capire. Non ho comunque il tempo di riflettere che un'altra ombra striscia vicino al mio piede. Gli altri non le vedono, e mi sono chiesto perché provino allora il bisogno di nascondersi Perché ne ha bisogno una seconda voce, divertita. Poi una terza, e una quarta In Guferia. Perché tu la ami. E quindi. Guferia. L'amiamo noi. E c'era qualcosa in quel tono, un sottile velo di qualcosa che...
    Muoviti!
    ORA!

    Ed è per quello che corro, perché non mi importa. Del velo nella loro voce, del silenzio, delle ombre.
    Amunet. In Guferia.
    E c'era davvero quando mi fiondo lì dentro, per lei.
    Amunet è lì, che mi fisse incuriosita, e in mano ha una pergamena e sopra di lei i gufi aprono le ali, fanno un verso, saltano da un trespolo all'altro. Uno di loro sbatte le ali e si avvicina ad una finestra. Un altro mi fissa, poi continua il proprio pasto. Mi guardo intorno, mentre riprendo fiato, alla ricerca di un pericolo che non pare esserci - Tutto...? Tutto bene? - le domando, e nonostante tutto non riesco a sentirmi stupido. Non dopo quello che ho sentito, che ho visto, che vedo ancora.
    Le ombre tacciono adesso, infide e bugiarde Sei veloce commenta una, ma se c'è altro non lo dice. Non aggiunge altro.
    Quello che non so, quello che gli orologi ormai fermi non mi dicono, è che sono davvero veloce. Troppo veloce.
    Di sette minuti e ventitré secondi, per l'esattezza.
    Il tempo che manca alle sei del pomeriggio.
     
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  2.      
     
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    « Perché continui a provarci.. davvero non capisco il tuo ostinarti. » Attendeva una risposta da giorni. E non aveva intenzioni di demordere. Continuava a provare e riprovare senza poi molti risultati. Ne aveva scritte diverse di lettere, rivolte soprattutto a Deimos. Aveva tentato di chiedergli cosa stesse accadendo, voleva informazioni sul perché il castello fosse impazzito così di punto in bianco. Aveva persino provato ad avvisarlo che il suo amico d'infanzia, Peter, assieme a molti altri, erano rimasti vittime di quanto accaduto durante la notte del ballo. Certo, aveva accuratamente evitato di dirgli che uno dei suoi fidati amici era caduto sotto il colpo della sua bacchetta. Non era certa Mun, che il maggiore dei Carrow avrebbe capito una spiegazione del tipo mi ha guardato male, quindi l'ho lasciato morire dissanguato. Quella morte gravava ancora sulle sue spalle. E gravava soprattutto perché non se ne pentiva. Aveva portato con sé una serie infinita di implicazioni, ma del prosciugarsi di Peter, sembra non importarle minimamente. La penitenza per la più piccola dei Carrow sembrava agire sempre secondo un meccanismo piuttosto vertiginoso. Il più delle volte i sensi di colpa sembravano eluderla, poi arrivavano quei momenti di maggiore realizzazione in cui il dolore delle proprie colpe si manifestava tutto insieme, tutto e maniera violenta. « Voglio solo sapere che cosa sta succedendo. » Ribatte lei con un certo gelo nel tono della voce. Il suo dio continua a non tollerarlo. I rapporti si sono inaspriti dopo la loro riappacificazione. Ryuk è meno tentato di partecipare alla sua quotidianità, e Mun sembra meno incline a lasciarglielo fare. Lei è ancora in debito con lui, e così, ora, i loro rapporti, piuttosto che amichevoli, possono definirsi diplomatici. Sta attendendo il suo Caronte. Sta attendendo il momento in cui la Carrow farà quanto le è stato chiesto di fare. Uccidere il ladro di anime. « Per puro sport.. immagino. » Sta cercando di provocarla, mentre la ragazza rilega l'ennesima pergamena alla zampa del gufo. Fino ad ora non ha ottenuto altro se non il rientro di ciascun biglietto che avesse mandato. Così ci aveva provato diversamente. Aveva tenta di scriverlo diversamente, convinta che forse, chiunque o qualunque cosa stesse controllando la sua posta, la rispediva indietro poiché non rispettava qualche regola di cui non era a conoscenza. Quest'ultimo era una prova. Non c'erano informazioni di alcun tipo e tanto meno domande. Solo un generico biglietto di auguri di compleanno per una sua ex compagna attualmente residente a Londra. « Perché tu volevi uscire da qui dentro non è vero? » Ryuk sa che è l'esatto contrario, sa che mentre tutti si precipitavano verso i cancelli, Mun dal canto suo era corsa controcorrente, decisa di non scappare. Scappare per andare dove? Non c'era nulla per lei là fuori. « E dove saresti andata, Amunet? » Non rispose a quell'affermazione, sbuffando pesantemente. Se pensava di poterla fare arrabbiare, doveva impegnarsi molto, ma molto di più. Sta per dire qualcosa quando un rumore di passi sempre più pronunciato attira la sua attenzione. Corruga appena la fronte mentre si avvicina all'ultima rampa di scale solo per vedersi arrivare davanti niente meno che Ares. Ha il fiatone, segno che ha corso davvero tanto. Ares è veloce, ed è estremamente resistente. Deve arrivare da molto lontano per stare così. Mun non può fare a meno di fissarlo con uno sguardo interrogativo, chiaramente in attesa di qualche delucidazione. Il castello deve aver dato alla testa anche a te. Di gente completamente isterica e fuori di testa ne aveva vista sin troppa negli ultimi giorni. Lei dal canto suo sembrava piuttosto calma. Abbastanza affamata, e chiaramente per niente contenta dell'abbigliamento che le toccava indossare, ma a parte quello, poteva ben poco lamentarsi. Quel casino era la cosa migliore che le potesse capitare. Si evita la gente che è una meraviglia quando si tenta di sopravvivere in ogni istante della giornata. « Tutto...? Tutto bene? » Il suo dio, alle sue spalle ride. Anche una volta quella risata odiosa che per poco non le fa saltare i nervi. Trova tuttavia la pazienza necessaria per sorridergli prima di far volare il gufo sperando che questa volta non ritorni indietro. Se dovesse capitare, saprà che non c'è modo di comunicare con l'esterno. « Sto indossando una camicia di flanella. Secondo te? » Un grande dramma quello. La Sala Comune Serpeverde era ancora bloccata. E lei non ricordava nemmeno da quanto tempo non vedeva una crema idratante e un po' di burro cacao. « Tu piuttosto.. ti vedo di fretta. Ehi ehi, calmati per piacere. » Dice incrociando le braccia al petto, mentre solleva un sopracciglio con fare scettica. Prende la bottiglietta dell'acqua dall'interno della sua borsetta bevendone qualche sorso prima di porgergliela. « Non so se te ne sei accorto, ma qui di tempo ne abbiamo davvero tanto. Dovresti prenderla più alla leggera e risparmiare le energie. » Si stringe nelle spalle osservandolo con attenzione. Cosa c'è che non va, Ares? « Qui comunque non c'è niente. Stavo cercando di capire se le comunicazioni sono interrotte o meno. Niente di più. » Di trappole nemmeno l'ombra. Niente fantasmi, niente armature, niente creature strane. « Fino ad ora tutte le mie lettere sono tornare indietro. »



    Edited by #DeathNote - 25/11/2017, 00:17
     
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  3. AresCarrow
         
     
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    C'è silenzio, e la cosa mi piace ancora meno delle incitazioni a correre più veloce che le ombre mi lanciavano fino a poco fa. Non silenzio assoluto, ovviamente, perché ci sono le domande di Amunet, il fischio del vento più in alto e il verso di tutti i volatili che saltano da un ripiano all'altro, a malapena disturbati dalla nostra presenza. Non mi è mai piaciuto questo posto, puzza di guano, ma è una puzza di cui adesso mi riempio i polmoni a grandi boccate mentre cerco di riprendere fiato.
    Sei minuti e quindici, e io non lo so.
    - Ho le stesse mutande da due giorni - rispondo a mia sorella nel tornare a guardarla, come se anche quello spiegasse tutto. Nessuno di noi è esattamente un esempio di eleganza, soprattutto coloro che hanno dovuto cercare un cambio di vestiti in una Sala Comune non propria, ma nonostante quello Mun riesce comunque ad avere una parvenza di ordine, perfino in quella versione da "montanara trascurata". Non ho mai faticato a capire il motivo per cui la sua fila di pretendenti si allunghi da qui fino alla Foresta Proibita - Comunque ti dona - aggiungo. Non riesco ad essere tranquillo.
    Cinque minuti e cinquantacinque, e io non so nemmeno quello.
    Allargo le braccia e scuoto le spalle, a lasciarle intendere che è meglio se lascia perdere. Vorrei raccontarle tutto, ma il silenzio è stata una delle prime cose che le ombre mi hanno imposto e comunque non sono sicuro di come potrebbe prenderla. Il rifiuto di Amunet è uno dei miei terrori più grandi. La fisso, in silenzio, e prendo la bottiglia d'acqua che mi porge. Qualsiasi cosa le dicessi in quel momento suonerebbe falsa e artefatta, e la convincerebbe solo a chiedermi più di quanto io possa dirle.
    Bravo.
    E' un sussurro che arriva dall'alto, dalle ombre nascoste fra le travi del soffitto, e io resisto a fatica all'impulso di porre una domanda che suonerebbe strana, fatta al vuoto - Ti cercavo - ammetto restituendole la bottiglia. Una verità vaga è comunque meglio di una pronta bugia - Volevo vedere se stavi bene - e di nuovo silenzio.
    Tre minuti e otto.
    - Sei sicura? Le cose sono abbastanza strane e... - mi avvicino ad una delle pareti, la scruto per un istante e poi passo ad altro. Probabilmente non c'è modo in cui potrei individuare una trappola da solo, se ci fosse, eppure ci provo comunque. Male non fa - Non ho più scritto a Daimos, sai? Nemmeno a mamma - dico, spostando l'attenzione su qualcosa che ci tenga occupati entrambi. Forse è per quello che mi hanno portato lì. Non per salvarla, ma per aiutarci in qualche modo. Comunque le avevo detto che non lo avrei fatto, ma non sono sicuro che Mun ci abbia creduto - Cosa pensi che abbiano detto loro? Là fuori intendo, a tutti -
    Un minuto, spaccato, e io ancora non so niente.
     
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    « Ho le stesse mutande da due giorni. » Corruga le sopracciglia guardandolo con fare scettica, prima di sciogliersi in un leggero sorriso. « Grazie per questa informazione di cui non volevo assolutamente essere messa al corrente. » D'altronde si sa che Mun ha una fissazione per l'igiene personale; non a caso negli ultimi giorni, seppur costretta a indossare vestiti informi e decisamente non di suo gradimento, ha sfidato le dicerie sul bagno dei prefetti prendendosi lunghe pause fatte di bagni caldi in compagnia di quella macchinetta che parlava a ruota di Ryuk. Si comportava in modo sin troppo normale, Mun; quasi come se non fosse successo niente. I morti non sembravano sconvolgerla, le trappole sembravano non scuoterla minimamente. Quasi come se niente potesse impressionarla davvero. « Comunque ti dona. » Alza gli occhi al cielo, prima di dargli le spalle, saltando su una delle ringhiere della guferia, portandosi le ginocchia al petto. « Ottimo tentativo Carrow, ma credo che questa volta non mi fiderò del tuo giudizio. » Gli sorride, prima di iniziare a fissarsi in modo quasi morboso la manicure, ovviamente distrutta a forza di correre di qua e di là, senza avere la possibilità di rifarsela per bene. Dov'è la sua fidata elfa domestica quando serve? Scomparsa. C'è un che di decisamente innaturale in suo fratello. Mun lo percepisce, tanto da portarla ad assottigliare lo sguardo fissandolo con un che di sospettoso. Al contempo non può fare a meno di non notare, il modo in cui Ryuk le orbiti attorno, fissandolo con un che di estremamente interessato e divertito. Trova tutto ciò davvero fuori dagli schemi. Il suo dio della morte non ha mai provato interesse in Ares; anzi, se possibile, l'aveva sempre trovato la persona meno incline a risvegliare le sue discutibili doti intellettuali. Probabilmente perché Ares non era un agente del caos; era se possibile l'esatto contrario dello scompiglio. Sempre impostato, sempre perfetto, impeccabile in ogni movimento, parola o gesto. « Ti cercavo. Volevo vedere se stavi bene. » Vi farò prendere il numerino, commenta con ironia mentalmente. La gente pensava chiaramente fosse di vetro, e in un certo senso, Mun lo era. Ma fino a quel momento, non si era fatta nemmeno un graffio. Stava se possibile meglio di prima. Tutta quella attività fisica le faceva bene alla pelle. « Sto sicuramente meglio di te. » Commenta nello squadrare il ragazzo dalla testa ai piedi. Sembrava per certi versi esausto. Il solito prode cavaliere che non si fermava nemmeno per un attimo. « E staresti meglio anche tu se smettessi di fare il coglione in giro, correndo come un idiota, preoccupandoti per tutti tranne che per te stesso. » Il tono è amorevole, come sempre, ma è anche accusatorio. In quella situazione, ognuno è per sé. Quanto meno quando loro due devono separarsi. E in quei frangenti, saperlo correre dietro a questo e quell'altro amichetto, la fa stare male. Le energie che hanno sono già poche, le risorse scarseggiano, il cibo soprattutto, e di conseguenza sbattersi troppo per chiunque le sembra stupido. « Ares ti avverto, se ti fai uccidere per chissà quale oca giuliva tu stia inseguendo in questo periodo, dall'altra parte te la vedi con tua sorella, che sarà incazzata come una belva. » Il tono è improvvisamente serio e ben poco tollerante a qualunque forma di discussione.
    « Non ho più scritto a Deimos, sai? Nemmeno a mamma. Cosa pensi che abbiano detto loro? Là fuori intendo, a tutti. » Scoppia a ridere. La loro madre. Chissà come l'avrà presa. Mun ha una teoria piuttosto divertente sul punto. « Secondo me la mamma è disperata perché non può più rompere le palle al suo piccolo cucciolo. » Solleva le sopracciglia in un moto prettamente provocatorio. « Non so cosa potrebbero aver detto loro ma.. » Di scatto si interrompe, mentre un boato inonda di scatto la guferia. La terra trema sotto i loro piedi e gli occhi di lei diventano improvvisamente vigili. Qualcosa non va. Una prima lettera vola dal nulla nella sua direzione. L'angolo di carta le sfreccia accanto a una tale velocità che quando sfiora la sua guancia, la carta la graffia il volto. Arriva il primo verso, e poi un secondo, un terzo. Il primo gufo, vola così vicino alla sua testa che se non scattasse, scendendo dal muretto e abbassandosi, probabilmente quella creatura le avrebbe fatto del male. Lo sguardo si precipita verso quello di Ares, prima di dirigersi nella sua direzione. « Giù! » Le dice pronta a percorrere la scala a chiocciola in discesa, schiantando un gufo che si avvicina sin troppo alla testa del fratello. Non è certa che la via d'uscita sia libera, ma quanto meno devono provarci. In tanto pensa. Pensa a un piano B nel caso in cui quella porta dovesse essere chiusa. E in tanto Ryuk ride. Che cazzo avrai da ridere! Una seconda lettera le sfiora il braccio e poi una terza, provocandole due squarci sulla sottile pelle del braccio. « Incendio! » Lancia quindi verso un gruppo piuttosto corposo di lettere che si stanno dirigendo nella loro direzione, riuscendo a tenere per qualche momento i gufi. E pensare che la guferia era uno dei suoi tempi inespugnabili.




    Edited by #DeathNote - 25/11/2017, 00:16
     
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  5. AresCarrow
         
     
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    Avete presente quella complicità innata fra fratelli, quel senso di confidenza assoluta che è capace di trasformarsi tanto nell'odio più profondo quanto nell'amore più puro, e senza alcun riguardo per le circostanze in cui ciò avviene? E' quel sentimento che mi permette di sorriderle anche in quel momento, mentre smetto di guardarmi intorno alla ricerca di un pericolo che non vedo, di un sorriso malizioso e fintamente innocente che lei è l'unica, o quasi, a conoscere - Cosa ti importa? - le domando, forte di quel sorriso. Non posso più tirarle le trecce, non letteralmente, ma un fratello un modo lo trova sempre - Non sei tu a doverci mettere le mani. E comunque mi lavo - tengo a specificare. Il più è trovare biancheria pulita, soprattutto per uno come me che se lo farebbe tagliare piuttosto che mettere dei vestiti usati da qualcun altro, e non importa quanto a fondo siano stati lavati.
    Questione di classe, suppongo, e anche di un pochino di paranoia.
    - Fai male - commento solo, voltandomi a guardare ancora le pareti della stanza. Lo faccio anche per nascondere il sorriso che si allarga - Dico davvero. Staresti bene da povera - le voglio bene, e quello è il mio modo di dirglielo, e pazienza se mi sto per beccare una scarpa dritta sulla nuca. Sono i rischi del mestiere.
    Dovresti stare più attento...
    Una delle ombre mi riporta all'ordine, e io seguo la direzione da cui è venuta la voce, verso l'alto. Sussurrano, nascosti fra le travi che formano il soffitto della guferia.
    Immaginiamo...
    ...immagino...
    ...scappare...
    dovresti scappare...
    andartene, via.
    Se vuoi che lei sopravviva.

    - Io sto benissimo - le dice e ritorno a guardarla. Certo che voglio che Mun sopravviva. Morirei, per lei, e senza esitare. Morire e ucciderei, purché lei sopravviva, e prego che nessuno mi chieda mai di scegliere fra la vita di mia sorella e quella di tutto il resto del castello perché è senza alcun dubbio che mi caricherei la coscienza di una tale strage - Ma dovremmo scendere, credo. Non mi piace l'aria che c'è qui, e dobbiamo... - non sono abbastanza veloce da inventarmi una scusa, così mi stringo nelle spalle e cerco le parole che più possono risultare sincere - Non mi piace questo posto - aggiungo, ed è vero. Non mi piace perché alle ombre non piace, ma non cambia la sostanza dei fatti. Non mi piace - E comunque sei l'unica persona per cui corra in giro per il castello. Non esistono oche giulive, e comunque non ho nessuna intenzione di farmi uccidere, in nessun senso -
    Nemmeno da un Grifone, per la grifondoro?
    La ignoro, quella voce. Non mi farei uccidere per Malia, quello è poco ma sicuro - Prima o poi si stancherà di non ricevere risposte, o di riceverne di stringate - quelle dettate dall'educazione di base, comunque. Faccio per aggiungere qualcosa, per invitarla a scendere con me, e subito anche, che un furioso frullare d'ali mi comunica nel peggiore dei modi che non ho fatto in tempo.
    Ops!
    Afferro la bacchetta e mi abbasso di scatto, gesto che sarebbe comunque inutile senza l'intervento di Mun. E poi mi chiedono perché io l'adori tanto. Alzo il legno verso un mucchio di lettere ma devo abbassarlo di scatto, un attimo prima che una civetta ci si fiondi sopra per rubarmelo. L'allontano con un calcio rabbioso, sentendo le ossa del volatile spaccarsi contro il mio piede. Peggio per lui - Vapom! - uno sbuffo di vapore bollente sale dalla bacchetta verso il soffitto, travolgendo volatili e lettere senza fare distinzioni. Alcune lettere cadono a terra, inumidite, e le urla acute che provengono dall'alto sembrano troppo quelle di bambini per poterle ignorare a cuor leggero. Cerco di non pensarci - La porta, Mun! Ora! - e mi ci lancio contro, nell'inutile tentativo di aprirla. Ci sbatto contro due volte prima di indietreggiare - Confingro! - casto rapido, nella speranza che basti per distruggere la porta e aprirci un varco.
     
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    « ..dovremmo scendere, credo. Non mi piace l'aria che c'è qui, e dobbiamo.. Non mi piace questo posto. » Mun alza gli occhi al cielo, alquanto spazientita da quel moto paranoico del fratello. Quella paranoica in famiglia è lei, e si rifiuta a dirla tutta di vedere anche la guferia come un posto in cui non può sentirsi al sicuro. Ha passato le albe a scrivere in quel posto, le è sempre stato un posto caro all'interno del castello, un posto tutto suo, silenzioso, lontano da sguardi indiscreti. Spersso era stato luogo di incontri clandestini con Fred, e per questo, lo aveva molto a cuore, anche ora che tra loro c'era ben poco di tenero. « E comunque sei l'unica persona per cui corra in giro per il castello. Non esistono oche giulive, e comunque non ho nessuna intenzione di farmi uccidere, in nessun senso. » Ryuk alle sue spalle ride a quelle affermazioni, e altrettanto fa Mun, con una nota di puro sarcasmo. « Peccato. » Dice stringendosi nelle spalle. Spero sempre di trovare qualcuna di abbastanza sgradevole su cui scaricare tutti i miei malumori. In realtà, Mun sa, che Ares si trova spesso in dolce compagnia, ma non è mai certa fino a che punto lui provi interessi per loro e viceversa. Le voci correvano prima dello Shame, e sono continuate a correre dopo lo Shame. Ma a dirla tutta, non Mun non ha mai più trovato nessuno contro cui infierire come ai tempi della Potter. Certo, anche in quei casi, i suoi erano per lo più commenti sarcastici, frecciatine insomma - non si sarebbe mai sognata di disapprovare apertamente un legame che il fratello sceglieva deliberatamente di intraprendere, a meno che non avesse un motivo valido per farlo, ma questo non significava che non poteva metterci ogni tanto il suo carico personale di scetticismo. D'altronde, non è che potesse effettivamente parlare. Ha frequentato un Weasley. A tratti anche in tempi piuttosto recenti. « Prima o poi si stancherà di non ricevere risposte, o di riceverne di stringate. » Mun si stringe nelle spalle. E' piuttosto scettica sulla questione. Non succederà lo sappiamo entrambi. Ma preferisce lasciare quanto meno la speranza al fratello, sempre se di speranza si tratti. In un certo qual modo le dispiace vederlo tagliare tutti i ponti con la madre. Seppur loro due non siano mai state grandi ammiratrici l'una dell'altra, l'idea che anche Ares si privi di un legame affettivo così importante, la mette in un certo qual modo a disagio. Non sa nemmeno perché. Forse perché, in fin dei conti, in cuor suo, ha sempre invidiato i sentimenti che lei prova nei confronti di Ares. A volte si è ritrovata persino a bramarli per se stessa.
    Purtroppo o per fortuna, la discussione viene malamente interrotta e così, Mun si ritrova a scendere velocemente le scale, grata forse per la prima volta di non indossare un paio di tacchi. Colpisce qualunque cosa le si avvicini, seppur, più di una volta gli uccellacci riescano a colpirla alle spalle o in testa con una violenza che poco ha della solita affabile indole dei gufi. « La porta, Mun! Ora! » Gli copre le spalle cercando di contrastare i gufi bruciandoli vivi con una serie di Incendio ben mirati, ma quest'ultimi continuano ad arrivare. Un unico secondo per guardarsi alle spalle e rendersi conto che come un po' già sospettava, la loro unica via d'uscita era bloccata. Se fosse stato così facile non sarebbe certo stata una trappola mortale. Pensa Mun, pensa. Si concede in quel momento prima di allontanare altri gufi, con qualche schiantesimo. Ed è allora che arriva. L'idea. Attira il fratello a sé per il braccio, compiendo con la bacchetta con movimento vorticoso che sembra avvolgerli. « Disilludo! » Resta per un istante ferma, portandosi l'indice alle labbra per intimare il fratello a non emettere suono alcuno, mentre le creature, disorientate da quella improvvisa sparizione si disperdono impazzite in tutte le direzione. Camuffati ormai all'ambiente possono muoversi tranquillamente tra i volatili, purché non facciano rumore. A quel punto gli fa cenno di seguirla nuovamente su per le scale. L'unica soluzione sono le finestre ai piani superiori. La distanza con la terra è ampia, ma un modo lo troveranno. Si muovono tra le molteplici creature in silenzio, compiendo passi molto cauti, sperando di non fare rumore. Si sente i grafi sul volto e sulle braccia bruciare, ma non ci fa caso. Ed è allora, mentre arrivano verso uno degli ultimi piani che li vede. Due minuscole creature a terra. Morti. Gli occhi non più presenti nelle loro naturali cavità. Per un istante si ferma, pronta ad andare nella loro direzione, mentre le lacrime le inondano il volto. Una simile atrocità compiuta da creature così docili come i gufi non l'ha mai vista. I ragazzini erano lì, e nessuno ha pensato di aiutarli. Loro non li hanno aiutati. Mun non li ha aiutati. Qualche gufo si sta ancora cibando delle loro carcasse. No, no, no. Non possiamo lasciarli lì. E allora, Mun elude il percorso iniziale verso la cima, per fermarsi sul piano su cui i due bambini sono rimasti intrappolati, avvicinandosi lentamente nella loro direzione. Cerca di tenere a freno i singhiozzi mentre si piega sulle ginocchia esterrefatta.



    Edited by #DeathNote - 25/11/2017, 00:16
     
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  7. AresCarrow
         
     
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    E' bello scherzare con Mun, e lo è soprattutto in questa situazione in cui non ci sarebbe nulla su cui scherzare. Le battute su mamma sono una perla di normalità incastonata in un collier di orrori, ridotte al grado di scenetta da una quotidianità particolarmente ingrata di suo. Non voglio pensare che ogni volta che scherzo con lei potrebbe essere l'ultima, o che ogni ora che passiamo all'interno del castello è una possibilità in più di vedermene privato per sempre. Quello mi ucciderebbe, più di qualsiasi altra cosa. Ecco, nonostante l'ansia che nutro per il crescente pericolo mi rendo conto che, così come non è mai esistito un mondo in cui uno dei due esisteva senza l'altro, una parte di me trova impossibile l'idea che un giorno potrebbe invece succedere - Vedrò di trovarti una candidata adatta per farti sfogare, allora - le dico in risposta, prima che il turbine di carta e piume che ci investe inizi a proporre una soluzione ai miei dubbi.
    Una trappola che ci facesse fuori entrambi, infatti, porrebbe fine alle nostre vite esattamente come sono iniziate: insieme.
    Continuo a lanciare incantesimi a tutto ciò che si muove, con precisione e senza rabbia. La mia bacchetta abbatte con lucida determinazione lettere e gufi in egual misura, foriera di una morte gelida e decisamente iniqua. Non sono io a ucciderli, mi dirò più avanti, quando tutto sarà finito. E' stato colui che ce li ha scagliati contro l'autore della loro morte. Mi blocco solo quando Amunet mi afferra, attirandomi a sé. Se lo facesse qualsiasi altra persona probabilmente mi ribellerei, esiterei, ma di fronte al suo gesto posso solo assecondarla. Ho imparato da tempo a capirli, quei momenti, e ogni suo movimento non fa che dirmi "ti spiego dopo".
    E faccio bene.
    L'incanto di Mun ci disillude perfettamente, facendoci sparire dai sensi - non sono sicuro che sia la sola vista, quella cui si affidano - di tutto ciò che ci punta. Resto fermo, con la bacchetta pronta, a rifiatare mentre le lettere iniziano a vorticare intorno come squali in cerca di una preda e gufi e civette corrono a posarsi sui rispettivi trespoli. Di colpo cala il silenzio, nell'ambiente, un silenzio carico di aspettativa. Un silenzio che attende solo una scintilla. Annuisco al suo cenno e la seguo, il più silenziosamente possibile, lungo le scale che ci portano ai piani superiori, in direzione delle finestre. Ripenso all'altezza ci separerà dal suolo una volta lì, ma è un pensiero che scaccio subito: una gamba rotta è comunque meglio di quello che ci farebbero i gufi.
    Quasi le sbatto contro quando si ferma. Esito un attimo prima di seguirne lo sguardo, e anche così ci metto un momento prima di capire quello che sto guardando. Il respiro mi si ferma in gola e la bocca si fa subito secca. Se fossero adulti sarebbe diverso, ma le figure che guardo sono troppo piccole per appartenere a quelle di due adulti. Deglutisco a vuoto, troppo preso dalla visione per fermare Amunet in tempo. La seguo verso i corpi mentre lei gli si lascia cadere accanto, in ginocchio, e noto con orrore uno dei gufi che si volta di scatto, ruotando la testa verso il punto dove Amunet si è appena inginocchiata. Allarga le ali, le sbatte una volta e apre il becco, pronto a gridare.
    Zittiscilo!
    Non penso nemmeno a cosa faccio, ne odo davvero quella voce. Non serve. La mia mano cala di colpo sulla testa del volatile, lo attira all'interno dell'incantesimo che mi disillude e ne torce rapidamente il collo. Al crack che rimbalza per sala risponde un mio timore, ma nessuno degli altri volatili sembra identificare il punto da cui è partito il rumore. Poso in terra la carcassa, delicatamente, e passo intorno ad Amunet. Non voglio toccarla, ho paura che si metta a gridare, ma so che non si muoverà di lì finché non avremo una soluzione. Per un momento sono tentato di schiantarla e di portarla fuori di peso, volente o nolente. Respingo un conato nel notare i segni nella carne dei ragazzini, le loro orbite vuote, e cerco di respirare a fondo una volta, poi due, nel tentativo di scacciare quel nuovo incubo. Ci riesco solo concentrandomi su quello che devo fare. Per loro è tardi, per me e Amunet no.
    Mi guardo intorno, poi poso lentamente la bacchetta ai piedi del primo ragazzino. Devo concentrarmi un attimo me dopo qualche secondo, lentamente, dei rami iniziano a fiorire del legno del pavimento, allungandosi fino ad avvolgere il corpo in un guscio che i gufi non possano violare. La guardo, mentre lentamente l'incantesimo prende forma sotto i nostri occhi. Torniamo a prenderli dopo.
     
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    Non riesce a trattenere le lacrime, Mun, mentre guarda quei corpicini martoriati, a tal punto che non si accorge nemmeno del gufo che evidentemente deve aver sentito la sua presenza. Per un istante sgrana gli occhi rendendosi conto di non poter scattare troppo in fretta. Se tenta di fare qualcosa, il suo incantesimo di disillusione si spezza, se non fa niente, sarà comunque inutile. Ed è Ares allora ad andarle in soccorso, afferrandolo velocemente e torcendoli il collo. Quel crack improvviso la obbliga a chiudere gli occhi e respirare affondo. Stringe i denti e cerca di fermare i conati di vomito che evidentemente stanno lì lì per arrivare. Le mani di lei, sfiorando i braccini esili del bambino più vicino. Non ha il cuore di lasciarli lì. Ma se ci restano, sicuramente lei e Ares finiranno nella stessa situazione. Si sente bloccata, Mun; bloccata dall'idea che altre di quelle creature possano martoriarli ulteriormente. Ed è sempre Ares a venirle in soccorso. Proprio mentre sta vagando in modo caotico con lo sguardo sui loro corpi pallidi, rametti fiorenti iniziando a sbocciare dal pavimento in legno, fino a creare una specie di barriera naturale attorno alle esili salme. Per un istante le lacrime sembrano voler fuoriuscire con più violenza, ma è allora che Mun si copre gli occhi, respira profondamente, si prende un secondo e poi annuisce. Sa cosa Ares vuole dirle. Non hanno tempo da perdere. Il suo incantesimo non durerà in eterno e non hanno la più pallida idea di quanto tempo passerà ancora prima che i gufi tornino docili. E allora si alza di scatto, facendo leva sul braccio di lui, dirigendosi nuovamente verso la rampa di scale. Fino in cima sempre più in alto, finché il suo sguardo ceruleo non incontra le prime finestre. La fuori, sulla tenuta tutto tace. E' tutto buio. La fitta foschia si è alzata ulteriormente. Storce il naso per un secondo, mentre sale sul cornicione, guardando verso il basso. Le altezze non le sono mai piaciute. Sanno di pericoloso, di instabile, di poco rassicurante. Si morde il labbro inferiore mentre si costringe a pensare a una soluzione. Lei non salterà. Non senza una giusta rassicurazione. Contro quelle rocce che si stagliano alla base della torre potrebbe succedere di tutto. Rompersi l'osso del collo sarebbe persino una liberazione. La potrebbe considerare come opzione. Ma Mun non è da sola. C'è Ares con lei, e se per la propria morte non ha paura, non permetterà che ad Ares succedeva qualcosa. E poi la soluzione arriva, ed è insita proprio in quelle rocce. Getta uno sguardo eloquente al fratello, prima di mostrarle tre dita. Al mio tre. Tre. Due. Uno. E così salta; e nella caduta, seppur sia tentata di chiudere gli occhi, rivolge la bacchetta verso il basso, mentre l'incantesimo di disillusione si spezza. « MOLLIARE! » Gira poco prima di toccare terra. E così Ares e Mun atterrano sul morbido. Le rocce sono ora molli, flessibili, e per un secondo si rende conto che sono la cosa più confortevole contro cui ha poggiato la testa da quando tutto il casino è cominciato. Resta quindi lì per un secondo guardando verso l'alto. Le creature nella torre continuano a emettere suoni raccapriccianti. Una parte di sé torna a pensare ai quei volti martoriati mentre un brivido le percorre la schiena. « Fanculo a Edmund Kingsley e a tutta questa situazione. » Inizia improvvisamente rendendosi conto di aver trattenuto tutta quella adrenalina in corpo per tutto quel tempo. Si passa una mano tra i capelli ed è arrabbiata, così tanto che tutta la sua razionalità se ne va a quel paese. « Ecco chi abbiamo appoggiato in tutti questi anni, Ares! » Ma che cosa ti prende, Mun. E' solo frustrata, e arrabbiata, ed è stanca di dover correre come una gallina senza testa di qua e di là per cercare di vedere una nuova alba. Un'alba che comunque non sembra voler arrivare. Sta letteralmente uscendo di testa. E poi ci sono quei discorsi; quei discorsi che il loro gruppo fa di continuo. La morte di Edmund Kingsley è stato un grande torto. Il più grande sostenitore di quella teoria è Nate. E deve ammettere che per un po', nemmeno Mun l'ha biasimato. Perché Kingsley era espressione del loro status quo, dei loro privilegi, di tutto ciò che la loro società e il loro mondo rappresentava. « La prossima volta che uno dei tuoi amici parla ancora di Santo Edmund si becca una pala sulle gengive. La stessa pala con cui mi è toccato seppellire più di un cadavere. » Stringe i denti rendendosi conto che avesse così tanto bisogno di esplodere. Semplicemente tirare fuori quanto si era tenuta dentro dal ballo in poi. « Questa roba è malata. E noi gliel'abbiamo permesso. La nostra famiglia gliel'ha permesso Ares. » Di scatto stringe i denti scuotendo la testa. « Quando usciamo di qui, io getto la spugna. Ho finito. Non ne posso più.. » Di cosa? Di tutto. Nemmeno lei sapeva cosa intendesse di preciso.



    Edited by #DeathNote - 1/12/2017, 12:46
     
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  9. AresCarrow
         
     
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    Non riesco a provare dispiacere per i due studenti che ho appena avvolto in un feretro di rami, non con la stesso dolore che Amunet sembra mostrare. Non so se sia il continuo contatto con la morte di questi giorni ad avermi reso più insensibile, o l'insieme di cose che va sommandosi nella mia anima giorno dopo giorno, o forse la semplice consapevolezza di come quel dispiacere minacci di essere un peso per la sopravvivenza mia e delle persone che mi sono state affidate, e se un giorno, quando saremo al sicuro e avrò avuto il tempo di digerire tutto quello che sta succedendo, queste mura di ghiaccio crolleranno e tutto il lutto mi investirà in una volta sola, travolgendomi. Non lo so, anche se una parte di me lo spera, a salvare almeno in parte la mia stessa umanità.
    Il resto di me, invece, semplicemente se ne frega.
    Anche queste elucubrazioni sono un peso, soprattutto in un momento in cui sono in piedi sul davanzale di una finestra, pronto a gettarmi con mia sorella sul mare di rocce che mi attende cinque piani più sotto, nella speranza che basti a salvarci dallo stormo di gufi impazziti che vorrebbe divorarci una beccata alla volta. Il vento che sale dal Lago mi taglia il viso, gelido, portando con sé quell'odore di alghe e acque putrescenti che aleggia sull'area ormai stabilmente. Voglio davvero preoccuparmi della mia umanità quando ancora non so se arriverò a cena? A volte penso che nostro padre avesse ragione, a definirmi il più debole dei suoi figli.
    Scaccio quei pensieri con forza e annuisco al cenno di Mun, pronto a gettarmi con lei senza nemmeno sapere cosa abbia in mente. Non è solo fiducia, quanto piuttosto l'assoluta certezza che non mi metterebbe mai in pericolo in quella maniera se non fosse sicura di quello che sta facendo. Posso solo sperare che la sua non sia una sicurezza mal riposta, e che il suo primo errore non sia proprio quello che ci trasformerà in una marmellata di Carrow. Così salto, con lei e quando me lo dice lei.
    L'atterraggio è morbido, ma mi strappa comunque il fiato dai polmoni. Rotolo sulle rocce ora delicate, ammortizzando il colpo e mettendomi subito in ginocchio, lo sguardo alto verso le finestre della guferia. Attendo che i gufi ci piovino addosso, furibondi, ma a quanto pare sono anch'essi relegati allo spazio cui Kingsley ha dedicato loro. Mi lascio cadere al suolo, ancora molle, solo quando sono sicuro che non ci sia più pericolo. Delle ombre non c'è traccia, forse per via dell'aria aperta. Non lo so, non sono sicuro di niente - Sono anche amici tuoi - scandisco lentamente, la schiena sulla roccia e lo sguardo rivolto ad un cielo ormai incapace di darci speranza - Tutti abbiamo seppellito cadaveri, e tutti abbiamo rischiato di diventarlo: per ora mi interessa solo non essere il prossimo, che sepellirai, ed evitare di dover seppellire te - è la cosa più simile ad un rimprovero che avrà da me per quello che è successo pochi minuti prima, troppi piani più sopra. Ne siamo usciti, e non ha senso incazzarmi per il modo in cui ha anteposto due cadaveri alla nostra vita. Mi rimetto seduto, lentamente, e mi giro verso di lei - Sai che c'è, Mun? Non mi importa. Prendi quella pala e spaccala sui denti di Nate, se vuoi, o di Thomas, o di ...di chi vuoi, davvero...se ti aiuta, fallo, ma poi smettila. Penseremo a cosa fare quando saremo fuori di qui quando saremo fuori di qui, non un attimo prima. Che senso ha? - scuoto la testa. Ok, ci siamo sbagliati ed Edmund Kingsley era in realtà un pazzo omicida che ha deciso di renderci la vita un inferno per non aver saputo evitare che lui perdesse la sua, e poco importa se comunque chi ci ha messo in questa situazione lo ha fatto con leggerezza, senza pensare a quali potevano essere le conseguenze: ormai è fatta - Te lo ripeto: l'unica cosa che mi interessa è che tu sopravviva finché non troviamo il modo di uscire di qui. Poi decideremo come comportarci. Con la nostra famiglia, con questi ribelli, con i nostri amici...ma dopo. Fuori -
    Per ora dovevano solo arrivare al giorno dopo.
    E a quello dopo.
    E a quello dopo ancora.
     
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    Trema Mun, è impoverita nello spirito come non lo è mai stata. Ogni certezza che avesse sta scivolando via ogni giorno un po' di più, e lei, ha come l'impressione di essere intrappolata in una specie di vortice senza fine. Un cane che si morde la coda; si lascia coinvolgere dalle sue convinzioni per poi restarne perennemente delusa. Si butta capofitto, per poi scoprirsene disincantata. « Sono anche amici tuoi. » Lo sono, e seppur faccia fatica ad ammetterlo, Mun vuole a ciascuno di loro sin troppo bene. Ha scoperto di potersi seriamente preoccupare per qualcun altro, e seppur viva in quel continuo stato di apatia, non c'è momento in cui non si chieda come effettivamente loro prendano tutta quella situazione. « Tutti abbiamo seppellito cadaveri, e tutti abbiamo rischiato di diventarlo: per ora mi interessa solo non essere il prossimo, che sepellirai, ed evitare di dover seppellire te. » Lo sa, Mun, che Ares ha ragione, e sa anche che non ha diritto di rinfacciargli nulla. Non è colpa sua se le cose stanno andando male, non è colpa di Ares se lei non riesce a restare intera. Non è colpa di nessuno se Mun semplicemente a orrori del genere non è più pronta. Pensava di essere pronta a tutto, che nulla la spaventasse, che una volta avuti una serie infinita di incontri ravvicinati con la morte, la morte non l'avrebbe più intimidita. E invece ne era terrorizzata. Aveva paura che ogni giorno potesse essere l'ultimo, perché nonostante tutto aveva sin troppe questioni in sospeso lì, e morire in quel momento sarebbe significato non concluderne nemmeno una. « Sai che c'è, Mun? Non mi importa. Prendi quella pala e spaccala sui denti di Nate, se vuoi, o di Thomas, o di ...di chi vuoi, davvero...se ti aiuta, fallo, ma poi smettila. Penseremo a cosa fare quando saremo fuori di qui quando saremo fuori di qui, non un attimo prima. Che senso ha? » E' duro, Ares, nei suoi confronti, e questo forse la giovane Caposcuola non se lo aspettava nemmeno. E' abituata a veder piegare la gente il capo di fronte a lei. E' circondata da una serie infinita di persone accondiscendenti, di persone che pensano possa essere fatta di vetro. Ares per primo l'ha trattata per un tempo infinitamente lungo come se potesse spezzarsi dinanzi ai suoi occhi. « Te lo ripeto: l'unica cosa che mi interessa è che tu sopravviva finché non troviamo il modo di uscire di qui. Poi decideremo come comportarci. Con la nostra famiglia, con questi ribelli, con i nostri amici...ma dopo. Fuori. » Lei scuote la testa, mentre si rialza, indietreggiando di parecchi passi. Forse è l'adrenalina, forse è tutta quella situazione, forse è il fatto che si è tenuta tutto dentro per tanto, sin troppo tempo. Dal ballo in poi, tutto era andato storto. Era arrivata a fare cose che non pensava nemmeno di essere capace a fare.
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    Forse è la tensione, appunto, ma alla fine, scoppia a piangere. Mentre si raggomitola su se stessa, piegandosi sulle ginocchia. « Dopo? » Chiede tra singhiozzi mentre la rabbia sembra assalirla come mai prima di allora. « Ti do una notizia: forse non c'è un dopo. E non puoi controllarlo. Non puoi prevedere a chi capiterà. Quindi continuerò a sbraitare quanto mi piace e pare. Perché forse domani non ne avrò più l'occasione. » Di scatto prende a fissarlo, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime. L'idea che potrebbe davvero succedere, che potrebbe davvero succedergli qualcosa la trincera dentro. « Io non ci riesco. » Un ammissione che fa male. Qualcosa che i suoi ultimi comportamenti lo hanno ampiamente dimostrato, seppur non sia mai stata in grado di ammetterlo a voce alta. « Non riesco a vivere la giornata. Non riesco a vivere nel momento. » Perché se così fosse, ora forse sarebbe al sicuro insieme al ragazzo che ama, starebbe con i suoi amici. Se Mun riuscisse a sopravvivere, invece che sognare una vita che non arriverà mai, si lascerebbe semplicemente andare, invece di ergere più muri del solito. Lascerebbe alle spalle i suoi soliti risentimenti, le vergogne, le preoccupazioni, e cercherebbe semplicemente di lasciarsi trasportare da qualunque cosa il destino dovesse portarle dinanzi. Amunet Carrow, maestra e maniaca del controllo, anche quando tutto è fuori controllo. « Siamo cresciuti male. Tutto ciò in cui credevamo.. è una bugia. Noi siamo una bugia. » Io sono un bugia. Mun sa di esserlo, e non solo perché la sua vita è imperniata di una serie infinita di bugie raccontate a fior di labbra, ma anche perché il loro bellissimo mondo fatto di feste e sfarzi altro non è che un'ipocrisia bella e buona. « Io non voglio sopravvivere così. Ho bisogno di qualcosa di autentico.. » ..qualcosa di vero a cui attaccarsi. Qualcosa che avesse senso in tutto quel marasma. « E non c'è niente di autentico; non in me, o in ciò che ci circonda. » Si stringe nelle spalle, Mun. « Forse è meglio lasciar perdere. » Ed è allora che lo vede ancora. Ryuk, ancora una volta fluttuante con vivido interesse attorno ad Ares. Un ghigno stampato in volto. « Forse è meglio non lottare. »


     
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  11. AresCarrow
         
     
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    Non credo di ricordare quando è stata l'ultima volta che l'ho vista piangere.
    Sdraiato sulla schiena la osservo alzarsi e, dopo qualche attimo appena, crollare. Non me lo aspettavo, nonostante gli attimi vissuti in guferia, e subito non so come comportarmi. Mi metto seduto e la guardo, mentre le sue parole mi soffiano addosso come un vento tagliente. E continuo ad alzarmi, con un movimento lento, impassibile in volto e incerto nel cuore. Non credo esista al mondo una persona che ami più di lei. Non c'è niente di sessuale o di fisico, ovviamente, e probabilmente salterei alla gola di chiunque osasse anche solo pensare una cosa del genere, e proprio per quello l'amore che provo per lei è il più puro che si possa provare. Non c'è nessuno, nessuno, che non ucciderei per Amunet, e questo comprende anche me stesso. Che lei ricambi o meno, che per lei sia la stessa cosa, non ha mai avuto la minima importanza per me.
    Credo che sia questo che abbia visto Tallulah, in me, questo che l'ha spinta a proporre proprio per me per proteggerli: perché so già come si fa e so già come ci si sente a considerare qualcun altro più importante di me stesso. E, cosa ancora più importante, so già cosa si prova ad aver fallito e a desiderare con tutto me stesso di poter rimediare.
    Ed è su quella ferita che le parole di Mun gettano sale, ed è un sale che brucia come il fuoco.
    - Allora sbraita quanto ti pare -
    Mi ci vuole un secondo per rendermi conto che sono mie le parole che sono saltate fuori fra di noi. Lì, a galleggiare nell'aria. Di nuovo, è un tono che non ricordo di aver mai usato con lei.
    - Non ci aiuterà, ma puoi fare anche quello oltre che colpire Nate con una pala - aggiungo, ed è come aver mosso un primo passo su una china scivolosa. Se c'era un momento per fermarsi era quello ma io l'ho mancato, ed ora sto rotolando verso valle. Non è stato un periodo difficile solo per lei. Il mio mondo è cambiato in tutti i sensi, dalla sera del ballo. Le ombre sono una parte di quel cambiamento, la fame e il freddo un altro. I continui pericoli, un altro ancora. Ma posso farcela, quello lo so, o almeno voglio crederci. Posso farcela finché ce la fa anche lei, finché resto concentrato sull'obiettivo, finché ogni mia giornata è tesa allo scopo di non morire e di non far morire almeno loro, almeno quelli che contano qualcosa - Te la do io una notizia, Amunet: non è una novità per nessuno che siamo cresciuti male. Devo ricordarti com'era il posto da cui veniamo? - è un colpo basso, lo so, ma preferisco vederla arrabbiata che disperata. E poi non credo che saprei fermarmi, ormai - E se non posso prevedere a chi capiterà, posso comunque fare di tutto perché non capiti a te. E sappi che ho intenzione di farlo, Amunet. Oh, se ho intenzione di farlo. Perché non abbiamo scelta, e questa è l'altra notizia. Non ci hanno chiesto il permesso e non ci hanno chiesto di collaborare. Ci hanno chiusi qui dentro e basta - scandisco le ultime parole, lento. Non sto urlando, non ho alzato la voce, non ho perso il controllo. Però qualcosa monta, ed è come osservare lo sfiato di una pentola a pressione. Sibila e scotta, e richiama senza dubbi a ciò che è andato crescendo all'interno. Muovo un passo verso di lei, e poi un altro - E tu lotterai, Amunet, e non mollerai. Perché se non lo lotterai tu lotterò io per entrambi, a costo di farmi ammazzare da una qualsiasi di quelle stupide trappole. A costo di non dormire, Mun, a costo di non mangiare, non lavarmi e non andare nemmeno in bagno pur di non perderti d'occhio un solo momento da qui a quando ti porterò fuori da quel cancello in spalla, là dove potremo ancora scegliere una cosa qualsiasi della nostra vita. E allora sarai libera di fare quello che vorrai, anche di odiarmi e non vedermi più, ma fino a quel momento - un attimo di pausa, mentre avanzo ancora. Mi fermo ad un passo da lei, abbastanza lontano perché non ci siano minacce nella mia vicinanza - Adesso guardarmi negli occhi e dimmi che pensi davvero che non lo farei, se ci fossi costretto -
     
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    « Allora sbraita quanto ti pare. Non ci aiuterà, ma puoi fare anche quello oltre che colpire Nate con una pala. » Piangere non è una cosa che Mun fa ben volentieri. Non è una cosa che fa spesso. Nemmeno con Ares. In generale piange da sola, nel buio della sua stanza, quando nessuno può vederla. Ma se lo fa, la sua dose di egocentrismo e bisogno di attenzioni pretende che venga trattata con delicatezza quando accade. Ares non le da ciò che vuole; non le da la vicinanza e l'affetto umano che forse sta bramando intensamente sin da quando la prima trappola è scattata. Nemmeno lui riesce a capire che, in quel momento, per la prima volta, Mun non vuole essere lasciata a sbrigarsela da sola. Reagisce quindi nel modo esattamente contrario a quello che si aspetterebbe. E allora, di scatto, la più piccola dei gemelli si frena. « Come scusa? » Tira su col naso, mentre si asciuga gli occhi, inclinando appena la testa di lato. Non è in sé Mun. Tutto il controllo che per tanto tempo ha chiamato a raccolta nei suoi giorni migliori, se ne sta andando a far benedire. « Te la do io una notizia, Amunet: non è una novità per nessuno che siamo cresciuti male. Devo ricordarti com'era il posto da cui veniamo? » Solleva un sopracciglio con fare scettico mentre gli occhi di ghiaccio di lei si tingono di una rabbia altrettanto glaciale. « E se non posso prevedere a chi capiterà, posso comunque fare di tutto perché non capiti a te. E sappi che ho intenzione di farlo, Amunet. Oh, se ho intenzione di farlo. Perché non abbiamo scelta, e questa è l'altra notizia. Non ci hanno chiesto il permesso e non ci hanno chiesto di collaborare. Ci hanno chiusi qui dentro e basta. E tu lotterai, Amunet, e non mollerai. Perché se non lo lotterai tu lotterò io per entrambi, a costo di farmi ammazzare da una qualsiasi di quelle stupide trappole. A costo di non dormire, Mun, a costo di non mangiare, non lavarmi e non andare nemmeno in bagno pur di non perderti d'occhio un solo momento da qui a quando ti porterò fuori da quel cancello in spalla, là dove potremo ancora scegliere una cosa qualsiasi della nostra vita. E allora sarai libera di fare quello che vorrai, anche di odiarmi e non vedermi più, ma fino a quel momento. » Scuote la testa Mun, mentre se lo vede arrivare sempre più vicino. « Adesso guardarmi negli occhi e dimmi che pensi davvero che non lo farei, se ci fossi costretto. » Scoppia a ridere di fronte a quelle parole, mentre sia passa una mano tra i capelli corvini. Una risata amara, intrisa di tutta la delusione, tutto il malessere che sta accumulando da sin troppo tempo. Mun sta sempre zitta. Mun sta sempre bene. Qualunque cosa succeda, lei le persone le allontana, le tiene a debita distanza. Non si sbilancia. Non piange, non ride, non si altera. Mai. Ci si è dovuto mettere Edmund Kingsley perché la ragazza iniziasse a parlare, perché iniziasse a dire quanto pensasse, quanto in realtà preservava nel suo cuore da sin troppo tempo.
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    « E' proprio questo il tuo problema, fratello. » Il tono di voce apertamente sarcastico, mentre indietreggia istintivamente per squadrarlo dalla testa ai piedi. « Per uno che fino a poco fa diceva di voler impedire che il suo sia il prossimo corpo a essere seppellito dalla propria sorella, sei piuttosto confuso. Perché questo tuo atteggiamento, questo tuo cercare di proteggere me e chi ti sta a cuore più di quanto tu sia disposto a proteggere te stesso, ti porterà dritto in una fossa. » Indietreggia di un altro passo, mentre lo sguardo tinto di delusione e terrore si posa in quello di lui. « Cosa ti ho detto prima di andare al ballo? Cosa ti dico sempre? Ricordati che sei pur sempre un Carrow. » Scuote la testa mentre un sorriso sarcastico le si dipinge sul volto. « Beh, forse non hai recepito il messaggio, quindi cercherò di spiegartelo con più chiarezza. Tu hai paura di essere un Carrow perché pensi di essere come Lui. Oh fratello, se c'è una mela che è accaduta vicina all'albero quella non sei tu e non è nemmeno Deimos. » Deglutisce pesantemente pronta a gettare la spugna. Perché stanno morendo, un po' alla volta, e allora non ha più senso crogiolarsi nella dimensione sicura di tutta quella landa di bugie. « Guardami negli occhi, Ares. Tu non sarai mai la mela caduta più vicina all'albero, perché tu non sei in grado di comprendere la prima lezione dell'essere un Carrow. Ama te stesso più di quanto ami chiunque altri. » Più di tua sorella, più dell'amore della tua vita, più di tua madre. « Non puoi amare nessun altro se non ami te stesso prima di tutto. Non puoi proteggere nessun altro se non proteggi prima di tutto te stesso. E tu Ares, non lo stai facendo. » Compie una leggera pausa. Sa di essere dura con lui, ma si rende conto che il tempo delle gentilezze è finito. « Vuoi sapere cosa significa amare te stesso più degli altri? Significa uccidere tuo padre per proteggerti, anche a patto di far del male a qualcun altro. Io l'ho fatto. Significa odiare la ragazza del tuo ex così tanto da lasciarla stesa su un pavimento di sangue e non provare rimorso. Io l'ho fatto. Significa pretendere di vivere o morire secondo i tuoi termini. Io lo sto facendo. E se voglio creperò con o senza il tuo permesso, perché io mi amo abbastanza da non stare dietro a nessuno. » Stringe i denti ormai cosciente del fatto che le sue siano parole scaturite da un fuoco oscuro che brucia dentro di sé e che prescinde da lei. Ryuk ride, di fronte a quelle parole, si diverte nel vederla così fredda, spietata, snaturata. « Vuoi fare il cane da guardia? Non sarò io a impedirtelo Ares. Ma non lo farai a me. Fallo a chi ti ci ha reso. Fallo alla Weasley, alla quale vai dietro come se fossero finite le ragazze sulla faccia della terra e ai nostri amici per i quali daresti ben volentieri la vita. » A quel punto azzarda un passo nella sua direzione puntandogli il dito contro. « Chiediti però prima se loro farebbero altrettanto per te. Nate, Thomas, Rocky, Fitz e compagnia ballante. Morirebbero per te? Tallulah Weasley morirebbe per te? » Scoppia a ridere. « Guardati intorno. Questo posto sta tirando fuori il peggio di noi tutti. Il tuo altruismo, per quanto circoscritto è mal riposto. Ma se questa è la strada che vuoi perdere, la prenderai lontano da me, perché io non mi porterò sul cuore anche i sensi di colpa delle tue scelte del cazzo. » Dicendo ciò gli volta le spalle, chiudendo gli occhi. Quelle parole hanno fatto male in primis a lei. Ma Ares ne aveva bisogno. Non riusciva più a sopportare l'idea di vederlo sempre intento a rischiare la propria pelle per persone che non avrebbero fatto altrettanto per lui. Al solo pensiero di immaginarselo farsi del male per colpa di qualcuno di loro, si sente mancare di spirito. Ma Mun non può decidere per lui; ciascuno deve avere la propria scelta, decidere per se stesso, e Mun non può cambiare Ares. Solo lui può farlo, se vorrà. Inizia quindi a muovere i primi passi verso il castello, ormai esausta di quel loop. Ogni momento una copia di una copia di una copia.


     
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11 replies since 13/11/2017, 17:45   203 views
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