The devil and the huntsman

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    Dopo svariati giorni era finalmente riuscito a rientrare nella propria stanza. Una parte di lui aveva additato come fortuna quella che, dopo la morte di Kingsley, lo aveva portato a correre nel proprio dormitorio per recuperare la Mappa del Malandrino e pochi altri oggetti che riteneva necessari o di valore affettivo nel caso in cui fosse riuscito a uscire dal castello. Insomma, pur nella sfortuna aveva avuto comunque una qualche buona stella in cielo a splendere sopra la sua testa. Tuttavia c’erano ancora cose, dentro quella stanza, di cui avrebbe potuto fare buon uso, dato lo svanire delle speranze di uscita. Tra queste, ad esempio, vi era un cambio di vestiti – perché sì, per tutti quei giorni Albus si era tenuto addosso gli indumenti decisamente poco comodi del ballo. Era dunque stato uno dei primi ad entrare in sala comune, quando questa si era aperta, e come una furia si era precipitato in camera propria per occuparla prima che si riempisse di sconosciuti pronti a razziare il suo piccolo santuario. In fretta e furia si era cambiato, mettendo in borsa i pochi altri indumenti che possedeva e racimolando alcuni oggetti utili. In un moto di irrazionalità, poi, aveva pensato a tutti quei suoi scritti chiusi nel cassetto del proprio comodino. Non voleva lasciarli lì, ma portarseli dietro non aveva alcun senso. D’altro canto, però, non voleva nemmeno rischiare che qualcuno li trovasse per sbaglio. E così, raccolti tutti e legati da uno spago, aveva smontato una trave di legno dal pavimento e li aveva nascosti lì sotto, premurandosi di sigillare il tutto. Non erano stati pochi, in quei giorni, a dirgli che il suo era probabilmente uno tra i comportamenti più strani in tutto il castello: si preoccupava di cose piuttosto futili (e ne è una riprova questa ansia di nascondere il proprio lavoro), oppure occupava il proprio tempo a fare le stesse identiche cose che faceva prima che tutta quella situazione esplodesse. Albus Potter non sembrava toccato, almeno all’apparenza, da quei pericoli nascosti dietro ogni angolo. Cercava di evitarli il più possibile, e in genere adottava la linea di non entrare mai in un posto troppo chiuso a meno di una primaria necessità. E dunque tutte le storie sulle aule, sulla stanza delle necessità, sulla rimessa e quant’altro..erano tutte cose che lui aveva sentito, ma che non aveva mai visto in prima persona. Albus si limitava a muoversi per i corridoi, la tenuta, le Sale Comuni e la Sala Grande: tecnica che si era rivelata piuttosto efficace, in particolare grazie all’aiuto della Mappa in suo possesso. Ovviamente nei suoi movimenti era incappato più di una volta in trappole, ma ne era uscito sempre abbastanza bene, avendo affrontato pericoli di per sé minori a quelli che si annidavano in tanti altri luoghi del castello che aveva invece deciso di evitare per partito preso. Albus, dunque, stava bene. Quanto meno a livello fisico. Psicologicamente parlando, quello era un altro paio di maniche, e non erano state poche tra le persone a lui più vicine a ritenere strana la sua quiete, quasi fosse una bomba a orologeria in procinto di scoppiare. Ma non lo aveva fatto, non ancora, almeno.
    Una volta finito il proprio lavoro in stanza, si era lasciato cadere sulla sedia della scrivania, spianandovi sopra la Mappa del Malandrino come era solito fare tutte le sere, o comunque ogni volta che ne aveva occasione. Non sapeva di preciso cosa pensasse di ottenerne, forse era alla ricerca di un qualche schema ripetitivo. Sì, forse quello. Ma la Mappa non segnava in alcuna maniera l’attivarsi di una trappola, e dunque l’unica maniera a sua disposizione per capire quale posto fosse sicuro e quale meno, era quella di cercare il luogo in cui si trovava il maggior numero di persone, o analizzare da quale punto la gente scappasse. Come ogni sera, dunque, osservò il defluire di tutte quelle persone all’interno della Sala Comune, richiudendo la Mappa solo dopo essersi assicurato che tutti i suoi cari fossero al sicuro dietro le porte di Serpeverde. A quel punto, la sua stanza era stata ormai già popolata da tanti altri: chi conosciuto e chi no. Aveva quindi tirato su di sé una coperta, rannicchiandosi sulla seggiolina di legno e appoggiando il capo sulla scrivania per prendere sonno.
    Non seppe di preciso quante ore passarono, ne’ se riuscì sul serio ad addormentarsi o piuttosto fosse rimasto in uno stato di labile dormiveglia. Seppe solo che a un certo punto, costretto dalla scomodità di quella posizione, voltò il capo per appoggiarlo dall’altro lato, incontrando con lo sguardo un oggetto di cui aveva completamente dimenticato l’esistenza in quei giorni: il libro di Pozioni di Amunet Carrow. Da quando la mora glielo aveva restituito, Albus aveva provato in tutte le maniere a decifrare quell’enigma, impilando tomi su tomi alla ricerca di una spiegazione. Alla fine, pochi giorni prima del ballo, aveva perso le speranze e l’aveva lasciato lì, sulla propria scrivania. In realtà non aveva proprio gettato la spugna: semplicemente era stato occupato, distratto da troppi altri avvenimenti per concentrarsi in quello strano codice senza via di uscita. Si era detto che lo avrebbe ripreso dopo la festa, ma ovviamente, dopo la festa non era nemmeno stato sfiorato dall’idea di quel libro, con tutte le cose che erano capitate. Si ritrovò dunque a osservarlo di sottecchi, perdendo pian piano il sonno mano a mano che la sua testa cominciava ad addentrarsi in quei pensieri. Alla fine, resosi conto che oramai dormire gli sarebbe stato impossibile, tirò un profondo respiro e si drizzò a sedere, facendo scivolare il libro verso di sé e aprendolo in quelle pagine che oramai conosceva a memoria. Risolvi il puzzle.
    Un vicolo cieco, come al solito. Un altro sospiro lo portò a voltare pagina, tamburellando le dita in un moto inconscio contro il bordo della scrivania. Improvvisamente, come un fulmine, gli tornò in mente il messaggio che Mun gli aveva mandato in quel codice a entrambi conosciuto. Fu probabilmente la disperazione a portarlo a ripeterlo, questa volta però seguendo i numeri indicati accanto ai nomi della lista. Ci volle poco per rendersi conto che le parole prodotte non avevano alcun senso. E così, più andava avanti a battere le dita, più allentava il ritmo, sconsolato. Nell’allentarsi, tuttavia, la sorda melodia di quel battito cominciò ad apparirgli stranamente familiare, quasi si trattasse di una canzone che aveva già sentito da qualche parte. Aveva quasi finito di riprodurla quando l’allarme della sirena lo fece sussultare, svegliando tutti i presenti nella stanza. Come se avesse una molla sotto le gambe, schizzò in piedi, mettendosi il libro sotto braccio e uscendo di corsa.

    Stava correndo un rischio rispetto ai suoi soliti spostamenti. Aveva ripromesso a se stesso di non infilarsi mai in spazi troppo chiusi, ma la curiosità di scoprire se la sua intuizione fosse corretta o meno lo stava letteralmente divorando dall’interno. Così, a passo spedito, si era diretto verso l’aula in cui solitamente venivano tenute le prove del coro della scuola. Non si chiuse la porta alle spalle, lasciandola sfessurata, ma si precipitò subito verso il pianoforte al centro della sala, accarezzandone i tasti prima di cominciare a seguire le direttrici melodiche che i numeri gli avevano dato. Erano tutte date e orari, ma sembravano nascondere al loro interno qualcosa di più, qualcosa di probabilmente inconscio, ma che non era sfuggito al suo orecchio quando ne aveva tamburellato le sequenze sul legno della scrivania. Suonava e scriveva. Ogni nota veniva trascritta su una di quelle pagine bianche lasciate in fondo al libro. E alla fine ne ottenne uno spartito. Non ne aveva mai visto uno simile, una melodia tanto perfetta da sembrare quasi inumana. Avvicinò meglio lo sgabello al pianoforte, umettandosi le labbra prima di iniziare a suonare la canzone per intero. La ripeté più e più volte sino a quando non tornò a galla nella sua memoria il luogo in cui l’aveva udita. Nel sogno. Lo strano luogo onirico di quella stanza sinistra in cui aveva visto Mun e altri volti. “I got idea man..” cominciò, sopra le note del piano, senza nemmeno chiedersi per quale ragione il testo di quella canzone inesistente stesse riaffiorando alla sua memoria. “You take me for a walk..under the sycamore trees.” Un brivido corse lungo la sua schiena nel cantare, facendogli avvertire la netta sensazione che qualcosa di spaventoso si insidiasse in quella melodia. Si forzò tuttavia a continuare, remando contro il disgusto che sembrava montargli ad ogni tocco di pianoforte. “The dark trees that blow baby..in the dark trees the blow..” Corrugò la fronte, piegato da uno sforzo che davvero non aveva idea da dove provenisse. Era stancante quanto il più oneroso degli incantesimi. “And I’ll see you and you’ll see me and I’ll see you in the branches that blow in the breeze..” le ultime note cominciarono a sbiadire sotto le sue dita, direttamente proporzionali al ritorno delle suo forze “..under the sycamore trees.” Scostò le mani dal piano, prendendo qualche respiro profondo prima di alzare lo sguardo dai tasti, posandolo sul libro aperto di fronte a sé. Quasi saltò sullo sgabello nel notare quel piccolo e inspiegabile cambiamento nelle pagine che ormai aveva imparato a conoscere a memoria. Sotto il disegno di Mun erano comparsi due simboli nuovi: 死神. Era poco, forse era un nulla, ma era pur sempre un punto di partenza, e soprattutto una lingua. Con un fervore febbricitante cominciò a raccogliere maldestramente le cose che aveva sparso in giro, ma nella fretta la sua mano andò a colpire la bottiglietta d’acqua aperta che aveva messo accanto al libro. “No! Cazzo cazzo cazzo..!” La riprese troppo tardi: oramai la maggior parte del liquido era già stato versato e colava sui tasti del piano. Il vero problema, tuttavia, stava nel fatto che fosse finito pure sul libro. Ma a interrompere le sue imprecazioni fu la visione dell’ennesimo cambiamento sulle pagine. L’acqua, infatti, era andata a imbrattare il punto in cui Mun aveva inciso il proprio disegno, ma non appena le prime gocce avevano toccato l’inchiostro, questo si era ritratto, correndo dall’altra parte della pagina (la parte asciutta) a una velocità impressionante. “Ma che..?”

    La seconda tappa era stata la biblioteca. Ci aveva messo un po’ ad arrivarci, dato che il preside di cui portava il nome aveva ben deciso di uscire dal proprio quadro e sbarrargli la strada con l’intento di farlo fuori. Mettiti in fila, Silente: ho decisamente più diritti io di farmi fuori da solo di quanti ne abbia tu. E fu forse proprio la forza derivante dal sentirsi così vicino allo svelamento dell’enigma a fargli attraversare quei corridoi con la carica di un toro in corrida, eliminando i propri ostacoli uno a uno con una decisione impressionante. Una volta giunto in Biblioteca, dunque, aveva per prima cosa tirato fuori il primo dizionario utile, decifrando i simboli apparsi nel libro fino a tradurli nel loro alfabeto. Shinigami. Era piuttosto certo che qualcuno tra i suoi cugini più nerd sapesse il significato di quella parola, ma non potendo rivolgersi a nessuno di loro fu costretto a castare l’incantesimo di ricerca tra gli scaffali dell’ambiente, richiamando a sé ciò che ne venne fuori. Due tomi. Si rimboccò le maniche della camicia, si mise a sedere con la schiena contro uno scaffale, e senza ulteriori indugi si calò nella lettura.

    Ci era voluto un po’, ad Albus, per convincersi che ci fosse anche solo un uno percento di possibilità che Amunet Carrow non lo stesse prendendo per il culo nella più elaborata delle maniere. Una parte di sé era dell’idea che quella fosse davvero l’unica spiegazione plausibile, e che magari si trattasse di un bello scherzone architettato dalla ragazza e dal suo degno compare Douglas per farsi qualche risata alle sue spalle. L’altra parte, tuttavia, aveva letto nello sguardo di Mun quanta serietà e soprattutto quanta paura vi risiedesse. Albus non credeva nei tipici mostri sotto al letto, e non credeva nemmeno a tutte quelle storie di strani demoni e divinità; tuttavia negli ultimi tempi aveva visto davvero troppe cose strane succedersi l’una dietro all’altra per ignorare anche solo la possibilità che ciò che aveva letto fosse quanto meno una metafora per qualcos’altro. Si sentiva uno sciocco. Anzi. Si sentiva uno sciocco paranoico e pure pazzo. Ma aveva davvero una scelta? Poteva negare qualcosa di ciò che aveva visto? Soprattutto quando in uno di quei due libri aveva letto testuali parole: ‘lo Shinigami, come qualsiasi altra creatura demoniaca, è idrofobo’. L’acqua sembrava essere un elemento ricorrente in quei testi, e si classificava come una delle principali barriere contro l’occulto di origine oscura. E lui aveva visto con i suoi stessi occhi cosa era accaduto nel momento in cui l’acqua si era rovesciata sul disegno.
    Non sapeva se quella fosse la soluzione giusta, e a dirla tutta non sapeva nemmeno se fosse una soluzione o solo il principio di un’ulteriore enigma. Nel dubbio, però, prese i libri con sé, infilandoli nella tracolla ed estraendone la Mappa del Malandrino. “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.” Le linee presero piede sulla pergamena, tracciandone i confini del castello. Tra di essi gli occhi di Albus andarono alla ricerca di un nome specifico e quando lo trovarono, si drizzarono subito sulla strada di fronte a sé, pronti a raggiungere la destinazione indicata.

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    Era sola. Il che non poteva che essere un bene, per il genere di discorso che li aspettava. Non appena intravide la chioma corvina accelerò il passo, sbucandole al fianco. “Ciao.” esordì, più schietto del solito. Le rivolse un sorriso decisamente innaturale per il tipo di rapporto che avevano, assicurandosi però di catturare la sua attenzione prima di convogliarla sulla tracolla, lì dove stava facendo battere le dita in una sequenza ben precisa. Riva est. Dieci minuti. “Hai per caso visto la Morgenstern? Mi era stato detto che c’era bisogno di una mano per i corpi.” disse, come se nulla fosse, guardandosi pure intorno quasi stesse cercando l’ex Grifondoro. “No? Vabbè, fa niente. Vedrò di trovarla. Ci si vede in giro, Carrow.”
    Dieci minuti era il tempo necessario a recuperare una barca dalla rimessa e remare il più velocemente possibile fino alla riva est, lì dove aveva chiesto a Mun di aspettarlo. La scelta di quella specifica riva non era affatto fortuita, perché si dava il caso che fosse la sponda concava, e dunque quella maggiormente circondata da acqua. Non sapeva se il piano avrebbe funzionato, e in realtà non sapeva nemmeno se ci fosse effettivo bisogno di tutte quelle precauzioni, ma nel dubbio aveva preferito prenderle. Sì, anche il prendere due strade diverse era una precauzione, perché la prudenza non è mai troppa a quanto pare. E così, vogata dopo vogata, era arrivato alla riva scelta, si era accostato, e aveva fatto cenno a Mun di salire sull’imbarcazione. “Dobbiamo essere veloci. Potremmo essere divorati da un momento all’altro se il kraken di turno decide di unirsi alla festicciola.” Una volta salita, Albus riprese a remare in silenzio fino a quando non ritenne di trovarsi approssimativamente al centro del lago. Solo allora, dopo essersi guardato intorno con aria circospetta, ritirò i remi in barca, estraendo poi dalla tracolla i due libri presi in biblioteca e il volume di Pozioni datogli da Mun. Per prima cosa aprì il manuale “I numeri non sono solo date e orari. Sono una canzone.” Estrasse dunque lo spartito, ponendoglielo sotto gli occhi “Questa canzone sembra attirare..qualcosa. O quanto meno stanarlo..rivelarlo..chiamalo come ti pare. Fatto sta che suonandola mi ha dato questa parola.” E lì puntò l’indice sui caratteri giapponesi, passando poi ad aprire uno dei volumi della biblioteca alla pagina che aveva segnato. Solo a quel punto sollevò lo sguardo negli occhi di Mun, puntandoglielo dritto nelle pupille. “E’ lui?”
     
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    « Sento odore di rabbia. Ti stai già pentendo, non è così? » Non si era mai pentita. Mai, nemmeno una volta. Qualunque cosa facesse, sembrava che i sensi di colpa per le malefatte più degeneri della sua vita, le stessero sfuggendo da sotto i denti. Questo quanto meno ciò che si raccontava deliberatamente. Era giusto. Non è una colpa. E' un dono. Riusciva a sentirsi in colpa per le cose più stupide, per gli amori mancati, per le bugie più innocenti, riusciva a sentirsi in colpa persino per aver mangiato un cornetto di troppo a colazione, ma mai una volta che si fosse coscientemente pentita per tutta quella marasma caotica che la circondava inesorabilmente. Non si era sentita in colpa per aver ucciso Judas Leroy, nemmeno il giorno in cui Albus Potter aveva fatto di tutto pur di portarla a pensare il contrario; nonostante Ryuk avesse provato a tentarla di provare rimorso nel aver deciso quale vita avesse un valore maggiore, Mun non aveva demorso, quasi come se quel quaderno le desse effettivamente il diritto di decidere chi valesse di più. Una mera illusione. E non si era pentita nemmeno quando, a mozzichi e bocconi glielo aveva confessato. Per quale ragione, non lo sapeva nemmeno lei. Continuava a convincersi che lo avesse fatto per liberarsi il petto da uno dei troppi pesi che vi si annidavano in quel cuore. Una silenziosa confessione di un'assassina spietata, alla persona meno incline a capirci qualcosa. Questo si era raccontato; Potter è troppo stupido per capire il peso di queste azioni, e quindi se anche dovessi raccontarglielo per filo e per segno, non capirebbe. Il Potter scemo, il Potter ritardato. Cosa ne potrà mai capire. Come mettere una bomba atomica nelle mani di un bambino di quattro anni. Non aveva capito il peso delle sue azioni, finché non aveva percepito la paura negli occhi di Ryuk, il suo silenzio morboso durato settimane, il tormento a cui l'aveva sottoposta come una forma di punizione. Poi era arrivato il momento della riappacificazione. « Sei stata ingenua. Ora sistema le cose. Sono pronto a perdonare la tua insolenza. Sta arrivando una grande bufera. Avrai modo di ripagarmi per la mia bontà d'animo. » Ora aveva la certezza che il suo dio della morte era al corrente di quanto a lei e ai suoi compagni sarebbe accaduto di lì a poco. Sapeva che Beatrice Morgenstern avrebbe sgozzato spietatamente Edmund Kingsley, e sapeva che le conseguenze di quell'atto sarebbero state quanto mai inaspettate. Inaspettate al punto di circondarli dalla morte nelle sue più effimere manifestazioni. Circostanze perfette per far scomparire un'anima di troppo. Una scomoda, una che chiaramente aveva scompigliato qualunque macchinazione in precedenza posta in essere dal suo personale Caronte. Ne aveva di cose da dire Ryuk in proposito, ma il più delle volte era chiaro agli occhi di lei che l'immonda creatura decideva deliberatamente di non dirle. Quasi come se avesse paura di cosa lei vi avrebbe letto tra le righe. Mun non si era mai davvero preoccupata di Ryuk, non l'aveva mai messo alla prova, non aveva mai provato a contraddirlo o confutare quanto lui le raccontasse. Non ha mai cercato di scardinare le convinzioni che lui rimetteva premurosamente nell'animo di lei. Perché in realtà, di Ryuk, Mun aveva una paura folle, seppur tendesse a non dimostrarglielo. E negli ultimi tempi, il suo dio, le aveva confermato che le sue paure erano quanto mai fondante. Non era un caso il fatto che lei non avesse mai provato a contraddire o mettere alla prova le regole scritte sul Death Note, non era un caso il fatto che lei avesse deciso deliberatamente di non sapere nulla oltre a quanto lui le avesse chiesto di fare. Voleva uscirne, voleva liberarsi di lui, ma al contempo, provare anche soltanto a chiedere aiuto, le faceva paura. Mun non parlava, non per paura della morte, ma per paura di non morire e assistere a un'agonia perpetua. Quell'essere le aveva già dimostrato di esserne in grado, torturarla fino al punto di farla uscire di testa, quando meno se lo aspettava; a volte per pochi istanti, altre volte per intere giornate. Fisicamente era perfettamente sana, psicologicamente provata fino allo sfinimento. Ryuk era in una posizione di netto vantaggio, ma ciò che non aveva considerato era il capriccio umano, l'orgoglio che spinge i figli di Dio a fare cose stupide e irrazionali, pur di prevalere sul prossimo. Un capriccio e una stupida lite di troppo, aveva scardinato tutto.

    L'ultima stella è comparsa sulla sua schiena non più lontano di un paio di giorni fa. Ce ne è una di troppo. Quella dell'Inquisitore morto la notte in cui tutto è cominciato. Ma ce ne è anche una in meno. Al posto della stella di Judas Leroy ora c'è solo una macchiolina leggermente più biancastra. Nemmeno l'ombra di una stella. Ryuk osserva il suo capolavoro con una punta di ammirazione, mentre la Carrow riemerge dalla vasca colma d'acqua bollente nel Bagno dei Prefetti. Non le fa senso essere di nuovo là; se possibile, il posto, ripulito a dovere, sembra quasi portare in auge una qualche forma di gratificazione nell'animo della Carrow. Non sa se sia la sua o semplicemente influsso della divinità della morte che porta sulla spalla, ma è una sensazione che la rende stranamente orgogliosa. Il ricordo di quel luogo sembra esser stato macchiato più di una volta nella sua memoria, in svariate declinazioni, eppure, nonostante tutto, lei insiste nel tornarci. Non c'è modo perché si neghi un bagno caldo, e nemmeno tutti i fantasmi del castello le impediranno di goderselo in santa pace. Non ha particolari intoppi, vuoi perché la maggior parte degli abitanti di Hogwarts sono stati attirati lontani dal bagno, oggetto di imprevisti allagamenti, vuoi perché più di una persona ci è rimasta secca negli ultimi tempi. Il Bagno dei Prefetti pare affogare chiunque non abbia l'intelligenza necessaria per domarlo nei suoi momenti di maggiore effusione. Ma Mun rischia, convinta che, se Ryuk le permette di concedersi quel bagno, è perché può concederselo. Ora è seduta sul bordo della piscia, mentre applica sulle gambe lisce la sua crema idratante di fiducia, rubata magistralmente nel suo covo non più lontano di un paio di giorni fa giù nei dormitori Serpeverde. Ed è allora che lo sente; il suo artiglio. Percorre lentamente ciascuna stella, dalla nuca, proseguendo verso il basso sulla schiena schiena, continuando poi il percorso lungo quelle profonde cicatrici che imperniano la sua pelle sin da prima che lui fosse comparso nella vita di lei. « Un'opera d'arte.. » Sussurra al suo orecchio con fare malizioso mentre il suo soffio gelato s'insinua tra i suoi capelli. E' solo una sensazione. Ha iniziato a comprendere che non c'è assolutamente nulla di realmente corporeo in Ryuk. Non è nemmeno più certa che le sue interazioni con il mondo esterno siano veritiere oppure solo frutto della sua immaginazione. Ma quelle sensazioni lei le percepisce davvero, e allora chiude gli occhi irrigidendosi istintivamente sotto il tocco gelato di quell'immonda creatura. « ..incompleta. » E nel dire ciò, l'artiglio appuntito preme con maggiore forza contro l'unico punto venuto meno. La stella sbiadita, quella che dopo un paio di giorni, Mun ha visto quasi completamente scomparire. Aveva provato un leggero prurito nella zona interessata in quei giorni, ma non ci aveva fatto caso, finché a farglielo notare non era stata la sua compagna di stanza. Aveva risposto con una scrollata di spalle, seppur, in cuor suo la paura si fosse infittita. L'anima rubata. Bruciava ancora negli occhi di Ryuk, quella sconfitta. E in cambio, chiedeva l'anima che gliel'aveva sottratta. Non capiva come quell'esserino che sembrava non essere capace di far del male nemmeno a una mosca, avesse risvegliato così tanto il suo interesse. Non si capacitava di cosa potesse aver fatto. Perché sì, Potter a parole era bravo, sapeva sbraitare all'infinito, era in grado di tirar giù mezzo Paradiso per far valere le sue opinioni anche quando apertamente sbagliate, ma oltre alle belle parole, restava uno sciocco. Come sciocca era Mun senza il suo taccuino delle meraviglie. Come sciocchi siamo un po' tutti. « Avete sfregiato il mio bellissimo quadro. » Avete. Per qualche motivo quel plurale la fece rabbrividire. Quanto, prima che oltre ad Albus qualcun altro diventi un problema? Quanto, prima che Ryuk si accorga che il vero problema è la sua protetta, decidendo finalmente di sbarazzarsene? Nel dirle quelle parole, preme ulteriormente fino a obbligarla a mordersi il labbro inferiore. Dolore. Le sta facendo del male. Di nuovo. Sente il febbricitante sangue colare lungo la schiena. Un netto sbalzo di temperatura tra l'artiglio di lui e il corpo grondante di calore di lei. Perché seppur Mun fosse ghiaccio, era pur sempre un essere umano. Ancora. « Lo aggiusterò. Te l'ho promesso. » Doveva solo trovare il momento migliore. Una bugia bella e grossa quella che raccontava a Ryuk, perché in realtà Mun non voleva. Aveva preso una decisione, aveva scambiato trenta giorni della sua patetica vita per allontanare da una persona che le ricordava tempi più sereni Judas Leroy, e ora non voleva tornare sui suoi stessi passi. La Carrow odiava l'indecisione, odiava chi non sapesse prendere una posizione, chi viveva deliberatamente a metà, in una zona di penombra. « Oh si, lo farai. Non hai scelta. » Il problema è che non aveva ancora una soluzione. Non aveva la più pallida idea di come metterlo alle strette. Come si fa a mettere alle strette Caronte in persona? « Oggi. » Dice premendo ulteriormente fino a scorticarle la carne. Scava sotto la sua pelle, obbligandola a urlare appena, prima che la stessa voce le muoia in gola. « Shhh, non rovinare il momento. Non vorrai che qualcuno ci senta. » E in tanto, continua a scavare. Scava mentre lacrime amare circondano il volto di lei. « Questo momento è solo nostro bambina. » Ryuk è questo; è il ricordo di ciò da cui è scappata abbandonandosi tra le sue braccia. Lui lo sa. Sa cosa provava prima che lui la sottraesse a quell'infame destino. Conosce i suoi punti deboli, le sue più grandi paure. « Oggi. » E con quell'imperativo, scompare nel nulla, mentre la ragazza si precipita verso il primo specchio. Niente. Non c'è niente là. Nessuna ferita. Ryuk è questo: autoesaltazione e mortificazione; trionfo e terrore.

    « Ciao. » Oggi. Questa la prima cosa a cui pensa nel momento in cui gli occhi di ghiaccio incontrano la figura del giovane Potter. Era strano, decisamente strano. Innaturalmente gentile. « La droga dà, la droga toglie, Potter. » Lo saluta a sua volta con la solita indifferenza. Durante il loro ultimo incontro sembravano aver superato quell'antipatia che nutrivano uno nei confronti dell'altro, per lasciar spazio quanto meno alla collaborazione. Poi lui aveva deciso di fare orecchie da mercante, e la Carrow non poteva certo dire di essersi sentita dispiaciuta del suo gettar la spugna. Rendeva solo il suo lavoro più semplice. « Hai per caso visto la Morgenstern? Mi era stato detto che c’era bisogno di una mano per i corpi. » Ma è allora che la sua attenzione viene sottratta a quel innaturale scambio effimero, per lasciar spazio ad altro. Una sequenza ben precisa che la Carrow riesce a decifrare man mano che avanza. Che cosa stai facendo? Lo squadra con uno sguardo interrogativo, cercando di trovare risposta alle sue domande; risposte che ovviamente non arrivano. « No? Vabbè, fa niente. Vedrò di trovarla. Ci si vede in giro, Carrow. » Riva est. Dieci minuti. Oggi. Deglutisce e si stringe nel pesante cappotto nero, prima di vederlo scomparire esattamente come era arrivato. Si porta i capelli su una spalla prima di appoggiarsi al primo muro utile, fissando con un moto combattuto la propria dieci pollici. Ryuk non c'è, ma è certa che la stia osservando. Il momento perfetto. Lontani da sguardi indiscreti, nessuno se ne accorgerà. Nessuno farà caso alla sua scomparsa. Uno in più, uno in meno, non cambierà certo le sorti del mondo. Ma potrebbe cambiare le mie di sorti. Eppure c'è qualcosa che la frena. Forse la consapevolezza che Albus Potter appartiene appunto a uno dei pochi periodi lieti della sua vita. Forse perché in fondo dei sensi di colpa li prova, per aver già sottratto una persona cara a Fred. Quante ancora gliene farai passare? Quanto ancora gliela farai pagare? Chiude gli occhi mentre si sente la morsa del suo dio stringersi attorno al proprio collo, quasi come se volesse intimarla a non indugiare. Le manca il respiro. « Hai sempre avuto paura di essere debole. Oggi smetti di esserlo. Cominciando da questo. » Si morde l'interno della bocca, stringe i denti e tira un lungo respiro. E' oggi. E allora mentre si stringe le braccia al petto, comincia a scendere velocemente le scale fino al salone d'ingresso e poi fuori verso la riva est. « Dobbiamo essere veloci. Potremmo essere divorati da un momento all’altro se il kraken di turno decide di unirsi alla festicciola. » Per un istante si arresta poco prima di raggiungere l'acqua. C'è qualcosa di strano. Non si è accorta nemmeno di respirare nuovamente in modo naturale fino a quel momento. Si aspetta allora che Ryuk la intimi a impugnare la bacchetta, ma oltre a un ringhio più distante, non c'è assolutamente nulla. Per un attimo rivolge lo sguardo alle sue spalle. E' lì da qualche parte, tra gli alberi, si mantiene a debita distanza. Come l'ultima volta. Ma questa volta è diverso. Questa volta non ne ha motivo, perché si presuppone Mun abbia già acconsentito a dargli ascolto. Lui sa che gli darà ascolto. E' allora perché? Perché mi abbandoni adesso? C'è un momento di pura titubanza nei suoi occhi, ma alla fine decide di seguirlo sulla barchetta non senza un moto di disapprovazione. L'acqua è fredda. Saresti da sopprimere anche solo perché mi sto rovinando l'unico paio di stivali che mi è rimasto. Albus rema; rema sempre più lontano dalla riva e lei non può fare a meno di fissare lo stesso punto da cui ha sentito provenire il ringhio.
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    Viene sottratta da quella maniacale ricerca della sagoma oscura, solo quando il maledetto libro di Pozioni ricompare al suo cospetto. « I numeri non sono solo date e orari. Sono una canzone. » C'è confusione in quello sguardo di ghiaccio. Questo non se lo aspettava. Non le era passato nemmeno per l'anticamera del cervello che ci si sarebbe messo davvero sopra. Se i primi giorni aveva nutrito una certa speranza, man mano che il tempo passava, si era persino scordata di quanto si fossero detti nell'aula di Pozioni. La bacheca, le ronde, Fred, tutte le dicerie, il tenere gli animi a bada, l'avevano portata a dimenticarsi quasi completamente di essersi lasciata deliberatamente un'importante prova alle spalle. Osserva i numeri con un certo sconcerto, per poi avvicinare lo spartito, comparandolo. Non è certo una musicista Mun, ma quelle odiose lezioni di canto che le hanno fatto prendere da bambina, bastano perché possa decifrare lo spartito. La -1; Si - 2; Do - 3. E via così. Ogni successione di numeri nelle date porta a un ritornello che si ripete addirittura due volte nella stessa declinazione. Non una nota fuori posto. « Questa canzone sembra attirare..qualcosa. O quanto meno stanarlo..rivelarlo..chiamalo come ti pare. Fatto sta che suonandola mi ha dato questa parola. » Panico. Lo riconosce. Sa cos'è. Si è ritrovata a disegnarlo, o scriverlo, così tante volte, pur non sapendo lei nemmeno una parola in giapponese. Quella parola tuttavia sapeva scriverla, leggerla e riconoscerla. Ma il peggio deve ancora arrivare. E arriva quando meno se lo aspetta. « E’ lui? » Dopo un iniziale momento di confusione, lo sguardo della Carrow si abbassa sulle pagine leggendo tra le righe. Divinità della morte. Mietitori. Traghettatori. E poi lui. Ha molti nomi Ryuk, e molte manifestazioni. E' molteplice e si manifesta in modi sempre diversi. Attraverso personalità diverse, attraverso sembianze diverse. Ma a lei si è mostrato con uno dei meno conosciuti. Forse perché manifestazioni come il Mietitore, le Moire o Caronte, Thanatos o Azrael, Hel o le Parche, avrebbero attirato troppo la sua attenzione. Ne sarebbe stata più attratta, ne sarebbe stata incuriosita. Ma l'Oriente? Dagli occidentali viene sempre visto come una specie di mondo altro, qualcosa di oltremondo complicato e che non vale la pena di paragonare alle nostre culture. Aveva avuto paura Mun, ma forse non aveva avuto nemmeno poi tanto interesse nel comprendere cosa le stesse succedendo. Le bastava saper morto il drago. E quando l'aveva ottenuto, non poteva che mostrare fedeltà cieca al suo dio. Quanto meno finché non hai tradito la mia fiducia. Mi hai preso in giro. Tutto per quelle dannate lettere. « No, no, no.. » Comincia sfiorando prima le pagine del libro che lui le ha posto per ultimo di fronte, per poi ripercorrere i nomi e le date, lo spartito. Lo sguardo corre vertiginosamente da un punto all'altro. « ..era casuale. » Un lamento colmo di una sensazione di smarrimento inimmaginabile. Il mondo che le crolla addosso in un istante. Lei aveva il potere. Lei aveva una scelta. Lei, Amunet, era guidata unicamente dalle sue libere azioni. Questo si era detto, questo si era raccontata. Di scatto le dita affusolate afferrano la pagina dell'antico libro, strappandole con forza, quasi come se volesse eliminare le prove. Rabbia e smarrimento. Debolezza. E di conseguenza, odio. Odio verso se stessa. Per aver peccato di ingenuità. « Riportami a riva. » Un imperativo categorico, prima di stringere i denti e gettare lo sguardo di ghiaccio in quello smeraldino di lui. « Non ti ho chiesto questo. Non ti ho chiesto.. questo. » C'è non poca agitazione in quel tono di voce. Sapeva troppo. Sapeva tutto. Doveva solo capire il collegamento tra Judas e gli altri nomi. Doveva solo capire che erano tutti morti. Doveva solo capire l'insensato moto della loro morte. Ma Albus era andato ben oltre. Molto oltre. Stringe tra le dita la bacchetta. « Tu dovevi capire cosa è successo a loro. » Dice puntando il dito contro il libro di Pozioni. « Non come.. non questo.. » Il come era una cosa di cui non poteva parlare. E allora perché non si sentiva alcuna morsa attorno al collo. Perché non si sentiva minimamente frenata? « Lascia stare. Dimenticati questa storia. Riportarmi a riva e stammi lontano. » Pausa. « Dico sul serio. Brucialo. Brucia tutto. » Ed è allora, mentre lo sguardo si sposta alle sue spalle che vede l'ombra, insinuarsi tra gli alberi. L'attende, ma non si avvicina. Non riesce a sentirlo, non lo percepisce. E' lontano. Ma c'è. Aspetta. Li aspetta a riva. Aspetta che lei faccia quanto le è stato chiesto. E a lui cosa racconta? Cosa gli dice? Cosa fa? Come si comporta? Il cervello le sta letteralmente implodendo. Ha di fronte l'unica persona che ha capito qualcosa ed è la stessa persona che ha con un target puntato sulla schiena. Di scatto si prende la testa tra le mani, allontanando con poca gentilezza tutta quella moltitudine di robaccia. « Siamo fottuti. » Perché se lo uccide, è fottuta, perdendo la sua unica leva. Potter lo spaventa, o meglio, lo mette in condizione di stare sulla difensiva. Se non lo uccide, sono fottuti entrambi, perché lui un modo per dar loro il tormento lo troverà. E lo farà sempre attraverso di lei. Dove sta il vantaggio di fare una cosa piuttosto che un'altra?




    Edited by #DeathNote - 1/12/2017, 12:36
     
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    "Riportami a riva." Boom. Il sangue nelle vene di Albus si gelò, facendo affiorare sul suo sguardo diversi colori, simbolo della confusione che lo stava pervadendo. "Come, scusa? Mi hai fatto fare tutta questa roba e ora te ne esci così? Mi avevi persino promesso che avresti fatto ricerche sul mio..problema." Innumerevoli pensieri cominciarono a susseguirsi l'uno dietro all'altro nella testa del ragazzo, in un misto di rabbia, delusione, odio, sconfitta. Si era impegnato, aveva dato il massimo per risolvere quel puzzle che lei gli aveva posto, e ora la Carrow sembrava voler gettare tutte le pedine fuori dalla scacchiera senza motivazione alcuna. La bruciante sensazione di essere stato preso in giro cominciò a irrorarsi dalle sue vene come un forte calore, colorandogli il viso di rosso e portandolo a serrare la mascella e stringere i pugni fino a far diventare bianche le nocche. Mi ha preso per il culo, ovviamente. E come minimo non si è nemmeno disturbata di mantenere fede alla sua parte del patto. "Non ti ho chiesto questo. Non ti ho chiesto.. questo." Era agitata, tanto agitata quanto un animale spaventato che si trova di fronte alla freccia puntata del cacciatore che lo ha braccato per giorni nella foresta senza tregua. Ma in quell'agitazione c'era spavento, uno spavento che sarebbe sfuggito solamente a uno sciocco e che in virtù della sua stessa esistenza andò a insinuare il sospetto in Albus che quella di Mun non fosse in fin dei conti una presa per il culo. Aveva davvero scavato troppo a fondo. I suoi occhi si sgranarono, lasciando ancora una volta che diversi colori si susseguissero in un carosello di pura confusione. "E' tutto vero." mormorò, assottigliando le palpebre nel pronunciare quelle parole. Non era una domanda. Era un'asserzione. Lo shinigami, la canzone..non erano una metafora. In qualche maniera, una che a lui sfuggiva, erano reali, e avevano a che fare con Mun. E Fred non lo sa. Perché era evidente come la luce del sole che non lo sapesse, altrimenti avrebbe già dato di matto. Fred non era il tipo di persona che riusciva a tenere una cosa del genere imbottigliata dentro di sé senza esplodere, o senza quanto meno dare a vedere - a lui che lo conosceva come le sue tasche - che qualcosa non quadrasse nel suo comportamento. "Tu dovevi capire cosa è successo a loro. Non come.. non questo.." "Non mi hai dato indizi, Carrow. Non mi hai dato aiuti. Non mi hai nemmeno detto in che direzione guardare. Come cazzo facevo a sapere cosa tu volessi o meno se non ti sei nemmeno presa la briga di dirmelo?" Si ritrovò a dire quelle parole una in fila all'altra, veloci, alzando il tono di voce in un moto di agitazione. "Lascia stare. Dimenticati questa storia. Riportarmi a riva e stammi lontano. Dico sul serio. Brucialo. Brucia tutto." Scosse il capo con convinzione, allontanando quell'ipotesi. No, non aveva alcuna intenzione di passarci sopra, non a quel punto delle cose, non quando in ballo c'era un pericolo di così immensa portata. "Non lo farò, Carrow. Te lo puoi scordare." fu dunque la sua risposta, ceduta con fermezza, a dispetto del tremolio nervoso che scuoteva le sue mani. Non sapeva con precisione cosa ci fosse sotto tutta quella pila caotica di enigmi, ma sapeva che un fondo di verità, un filo conduttore, lo aveva trovato. Era lì, su quelle pagine che lei aveva strappato con tanta violenza. E in realtà non sapeva nemmeno per quale ragione si sentisse in obbligo di perseguire quella strada, ma dentro di sé lo avvertiva come un dovere, come un qualcosa che semplicemente non poteva non fare. "Siamo fottuti." Sì. Qualcosa dentro di lui gli diceva che il territorio in cui si era addentrato non gli avrebbe di certo portato felicità, ma quella stessa cosa gli diceva anche di tendere una mano in direzione di Amunet. Non perché tenesse a lei in maniera particolare, non perché era pur sempre una delle persone più care a Fred, ma perché era la cosa giusta da fare, e perché in fin dei conti glielo doveva. Rimase in silenzio per qualche istante, prendendo un respiro profondo nel mordicchiarsi l'interno del labbro inferiore con indecisione. Forse riportarla a riva e bruciare tutto sarebbe stato più semplice, ma dimenticare? Chiudere un occhio? Conviverci? Quello non poteva farlo. Si passò stancamente una mano sul viso e tra i capelli, voltandosi poi di nuovo in direzione della concasata. "Senti.." riprese piano, sporgendosi appena "..qualsiasi cosa significhi questa pila di roba, qualsiasi cosa tu abbia fatto..è evidente che ti stia facendo del male. Riconosco uno stillicidio quando ne vedo uno, e tu ne hai tutta la parvenza." Un altro respiro, cercando di attirare a sé quanta calma possibile. Congiunse le mani, nella speranza di arrestarne il tremolio, ritrovandosi comunque a martoriarsi freneticamente le dita dal nervosismo che tentava di reprimere quanto meno in apparenza. "Volente o nolente mi ci hai trascinato dentro. Magari avresti voluto da me altri risultati, ma è andata diversamente e non è colpa di nessuno." Si strinse nelle spalle, abbassando per un istante lo sguardo sulle proprie mani alla ricerca di parole. Secondo te avrei voluto scoprirlo, Mun? Non avrei preferito dormire sonni tranquilli, con un problema in meno sulle spalle? Secondo te, a saperlo prima, non avrei scelto di rimanere nell'ignoranza per non ritrovarmi nella posizione di dover mentire a Fred? Perché è chiaro che queste cose io non potrò dirgliele..ancora una volta, l'ennesima. Stava per dirle quelle parole, ma decise improvvisamente di prendere il discorso da un'altra angolazione, risollevando lo sguardo e sistemandosi meglio a sedere, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. "Ti ricordi di Judas Leroy?" Come poteva dimenticarlo?! "Quella sera, quando hai fatto..qualunque cosa tu abbia fatto, mi hai salvato la vita. Inizialmente, quando me lo hai confessato, non te lo nego: ho provato disgusto. Essere in vita perché qualcun altro è morto al posto mio? Persino se era la persona peggiore sulla faccia della Terra?" scosse il capo "Non ci avrei dormito la notte. Però quella sera, Mun, tu di persone ne hai salvate due." Abbassò appena il capo, cercando di incontrare lo sguardo della Serpeverde. Rimase in silenzio, senza nemmeno rendersi conto del fatto che le sue mani si fossero improvvisamente calmate, domando l'agitazione che lo aveva pervaso poco prima. "Jay è vivo grazie a te. E' vivo perché io non sono morto, e dunque grazie a te." Sottolineò quelle tre parole con decisione, senza abbassare mai lo sguardo di un centimetro, mentre pian piano i suoi occhi riprendevano il naturale colore ceruleo. "Qualsivoglia fossero le tue ragioni, quella sera tu non hai chiesto il mio parere quando hai deciso di aiutarmi. Lo hai fatto e basta. E adesso io non sto chiedendo il tuo parere. Che ti piaccia o no, farò la stessa identica cosa che hai fatto tu, e a questo punto non puoi nemmeno biasimarmi. Buttami pure addosso tutta la merda che vuoi, se vuoi, ma ti avverto già da ora che non funzionerà." fece una pausa, scrutando il volto di lei "Questa storia può andare in due modi soltanto: o la risolviamo insieme, oppure troverò il modo di venirne a capo da solo. E per esperienza ti dico che certi pesi non si possono portare in solitaria." Se fossi stato meno stupido ed orgoglioso, anche io avrei chiesto aiuto quando ne avevo l'occasione.
     
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    « Come, scusa? Mi hai fatto fare tutta questa roba e ora te ne esci così? Mi avevi persino promesso che avresti fatto ricerche sul mio.. problema. » Prova una forma ineguagliabile di mortificazione nel sentirsi mettere in discussione. E' raro che la Carrow venga dipinta come una persona che non mantiene la sua parola. I Carrow hanno molti difetti, ma quello di non tenere fede a un accordo non è uno di quelli. In definitiva si tratta di qualcosa su cui Mun ha indagato; pur barcollando al buio era arrivata ad intuire molte cose su quanto Potter avesse fatto, cose che a dirla tutta, le era ancora difficile dipingere in un contesto generale. Era chiaro che Potter avesse sottratto un'anima. Le ci era voluto poco a capire cosa quel me ne avete rubata una significasse. Nelle pagine introduttive del Death Note si leggeva a caratteri cubitali "Alla fine tutti gli umani, senza eccezione, moriranno. Dopo la loro morte, il posto dove vanno è la Loggia Nera. 10. Il proprietario non può parlare del Death Note." Ciò significava che le vite che Mun sottraeva, avevano una destinazione ben precisa; non era chiaro ai suoi occhi cosa la Loggia Nera fosse, ma era chiaro che qualunque cosa fosse, Albus Potter ne aveva sottratta una, quella di Judas Leroy. Non era chiaro dove Judas Leroy fosse finito di conseguenza, ma era piuttosto scontato che ovunque si trovasse non era il posto in cui il suo dio della morte si aspettava che fosse. Era altrettanto chiaro ai suoi occhi il fatto che, qualunque cosa Potter avesse fatto, doveva trarre le sue origini nella notte a Hogsmeade. Il libro di Pozioni era rimasto in suo possesso per molto tempo prima che quell'incontro tra loro avvenisse, ma Ryuk non aveva mai dato segni di comportamenti di dubbia natura. Dopo quella sera oltretutto, Albus aveva manifestato sintomi di un'intossicazione alimentare piuttosto strana. Oltre al fatto che da quel che ricordava, intossicazione alimentare e Albus Potter erano due concetti in aperta collisione, poiché il giovane aveva uno stomaco in grado di metabolizzare persino i pezzi di piombo - e questo era facile da notare dal modo in cui ingurgitava cibo a non finire, anche di natura piuttosto discutibile, durante le loro cene a quattro. E se anche fosse, i sintomi a lei descritti suonavano davvero sospetti. Tutto ciò a sostegno del fatto che quella sera aveva segnato quasi una specie di rito di passaggio. Troppe contingenze una dietro all'altra sono la cifra stilistica del fatto che né lui era matto, né lei era paranoica. Quando poi di mezzo c'è un quaderno della morte e un traghettatore di anime, le contingenze semplicemente non esistono. Nulla è casuale. E Ryuk evidentemente ha ragione a temerti. Aveva provato a scervellarsi per capire cosa potrebbe aver fatto di diverso durante quella sera. Ma a dirla tutta, non c'era nulla di effettivamente normale in quella conversazione che avevano portato avanti. L'insolito modo di comunicare senza davvero comunicare era già di per sè fuori da ogni schema. Tuttavia, non potendo effettivamente dare un nome alle cose, non era certa di cosa lui avesse capito, di quanto avesse intuito e quanto sarebbe riuscito a trarre dalle informazioni che lei le aveva servito. Era per questa ragione che gli aveva chiesto di risolvere il puzzle. Doveva semplicemente ripetere la stessa operazione, comprendere che quei nomi avevano subito un destino simile a quello di Judas. Il loro flusso nel tempo si era fermato. A quelle ore, in quelle specifiche date. Con modalità sempre diverse, verosimili, ma pur sempre insolite. Se Mun e Albus fossero stati in grado di replicare qualunque cosa avessero fatto a Hogsmeade con un occhio più attento ai particolari, forse sarebbero arrivati a capire i loro ormai comuni problemi. Questo il piano da mentalista, fallito miseramente. Questa la grande architettura posta in essere dalla sua eletta quanto ingenua mente. Non immaginava potesse scavare così affondo, non immaginava che sarebbe potuto arrivare a quelle conclusioni, forse perché in fin dei conti nemmeno lei era conscia di avergli lasciato tra le mani uno strumento talmente potente e un indizio talmente grosso. E ora il cuore le batte talmente forte che se lo sente quasi scoppiare nel petto. Non ha la più pallida idea di come gestirà questa situazione. La soluzione migliore sarebbe la strada di Ryuk; fare ciò che le ha chiesto. Ma non ci riesce. Mun non riesce a rinunciare alla sua unica leva contro il suo dio, e non riesce a sottrarre Potter a questa terra, forse anche per altri motivi, motivi reconditi che traggono le loro radici da molto lontano, e da persone collaterali. E' talmente agitata che gli occhi le si sgranano oltremisura, girovagando sulla superficie del Lago Nero in un moto di estrema confusione e terrore. « E' tutto vero. » Il suo silenzio assenso, non fa altro che confermare le sue ricerche, e così, persino la rabbia di lui nei confronti di quel categorico diniego iniziale si stempera. Mentalmente si sente stupida. A lungo Mun ha pensato che nulla potesse più spaventarla, non dopo aver condiviso mesi e mesi in compagnia di quell'ombra mostruosa. Ma ora sa che di quell'ombra non ha visto niente. Sa che sia molto più di una semplice ombra. E sa che Potter deve lasciar perdere prima che le cose precipitino ulteriormente. « Non lo farò, Carrow. Te lo puoi scordare. » Una presa di posizione ferrea, quella che getta sul piatto il giovane Potter. Era ovvio il suo nervosismo, tanto quanto lo era quello di lei. Due animaletti spaventati in un gioco di pedine mastodontiche. Lei stringe i pugni di rimando. « Allora non mi stai ascoltando! Non te lo sto chiedendo. » Ma anche quella della Carrow è un'imposizione altrettanto prepotente. Ryuk è suo nel bene e nel male si appartengono. « È una cosa mia. Non hai il diritto di immischiarti! Credi che essere figlio del prescelto ti dà il diritto di ficcare il naso in cose che non ti riguardano? Lui è mio. E' roba mia. » E' il mio tesoro. E in quel momento appare chiaro il potere che il dio della morte ha su di lei. Ryuk le ha dato uno scopo. L'ha resa speciale, l'ha resa diversa dalla massa e ora, seppur una parte di lei tendi in ogni modo a liberarsene, l'altra ne è aggrappata con le unghie e coi denti. C'è una forma di dipendenza patologica in quel tono di voce, nel modo in cui le vene sul collo candido di lei si gonfiano e nel modo in cui gli occhi sembrano incupirsi fino a urlare il grado di pericolosità di quel minuscolo esserino. Più il tempo passa, più Mun appartiene a Ryuk. Nello spirito e nella carne, lui la possiede. « Senti.. qualsiasi cosa significhi questa pila di roba, qualsiasi cosa tu abbia fatto..è evidente che ti stia facendo del male. Riconosco uno stillicidio quando ne vedo uno, e tu ne hai tutta la parvenza. » Abbassa lo sguardo e non riesce a fare a meno di sentirsi a disagio. La sua mente non riesce a mettere a fuoco niente in quel momento. La testa martoriata da una serie infinita di domande. Alcune persino estremamente stupide e insensate. « Volente o nolente mi ci hai trascinato dentro. Magari avresti voluto da me altri risultati, ma è andata diversamente e non è colpa di nessuno. » Posso fidarmi? Voglio fidarmi? Devo fidarmi? Cosa ne sarà di noi e dei nostri cari? Come combatti una cosa che non vedi? Da dove inizi? Come si inganna un dio della morte? Perché l'unico nemico che non verrà mai sconfitto è la Morte. Quello è un conflitto che perdiamo nel momento esatto in cui veniamo alla luce. « Ti ricordi di Judas Leroy? » Non è una cosa che potrebbe scordarsi. L'odore di quella pioggia di mezza estate sembra ancora riecheggiare nella sua mente. « Quella sera, quando hai fatto..qualunque cosa tu abbia fatto, mi hai salvato la vita. Inizialmente, quando me lo hai confessato, non te lo nego: ho provato disgusto. Essere in vita perché qualcun altro è morto al posto mio? Persino se era la persona peggiore sulla faccia della Terra? Non ci avrei dormito la notte. Però quella sera, Mun, tu di persone ne hai salvate due. » Lo sguardo di lei saetta in quello di lui, finalmente in grado di canalizzarsi su un terreno fertile. Qualcosa di positivo. Qualcosa che vale la pena ascoltare. Speranza. Aggrotta le sopracciglia decisamente confusa, con fare interrogativo.
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    « Jay è vivo grazie a te. E' vivo perché io non sono morto, e dunque grazie a te. » E se possibile, diventa ancora più confusa. « Jay.. » Cerca di passare in rassegna tutti i volti che conosce, tutti i nomi, tutte le persone, ma sul momento non le dice nulla. « ..chi diavolo è Jay? » Si tormenta le nocche con fare spazientito, non sapendo esattamente come dovrebbe reagire a quell'informazione. In quel momento, salvare Albus le era sembrata un'azione così egoistica. Voleva farla pagare a quel maiale di Leroy. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di farlo scomparire. Era un prepotente e un bullo e pensava che la sua posizione poteva permettergli di trattare i ragazzini al campo estivo in qualunque modo gli piacesse. « Qualsivoglia fossero le tue ragioni, quella sera tu non hai chiesto il mio parere quando hai deciso di aiutarmi. Lo hai fatto e basta. E adesso io non sto chiedendo il tuo parere. Che ti piaccia o no, farò la stessa identica cosa che hai fatto tu, e a questo punto non puoi nemmeno biasimarmi. Buttami pure addosso tutta la merda che vuoi, se vuoi, ma ti avverto già da ora che non funzionerà. » Lei scuote la testa e l'agitazione torna. Torna tutta assieme. In modo più incalzante di prima. « No, no, no. Tu non capisci.. » « Questa storia può andare in due modi soltanto: o la risolviamo insieme, oppure troverò il modo di venirne a capo da solo. E per esperienza ti dico che certi pesi non si possono portare in solitaria. » Scoppia a ridere. Una risata decisamente esausta. Scuote la testa e si passa una mano tra i capelli. « Ti prego! Smettila di fare l'eroe. » Pausa. « Scommetto che ti fa sentire da dio. Hai finalmente trovato un giocattolino più rotto di te. » E' questo ciò che vorrebbe lui; questo ciò che Ryuk le direbbe di dire se potesse avvicinarsi. Sei orgoglioso di me? E' questo ciò che le detta la metà marcia. Si morde l'interno della bocca mentre si tormenta i capelli fino a conficcare le unghie nello scalpo con violenza. Vorrebbe strapparsi la pelle, scuoiarsi viva, ; morire lì sul colpo sarebbe più facile. « Andrò dritta al punto: non puoi. » Negli occhi di lei, erti in quelli di lui c'è qualcosa di difficilmente interpretabile. Un fatale odio verso qualcosa di indefinito. Un attaccamento morboso verso qualcosa di cui paradossalmente deve e vuole liberarsene. « Sei già morto, capisci? Tu dovevi morire quel giorno. Non è successo. Ma adesso sei stato reclamato e l'unica cosa che si frappone tra te e quattro assi sotto terra è il mio stringere i denti. » Un'altra pausa, tempo in cui deglutisce. « Non rendermela più difficile di quanto non lo sia già. Non obbligarmi a fare qualcosa che non voglio fare. » Scuote la testa mentre il tono si fa quasi implorante. « Sarebbe così facile mettere fine a tutto questo.. nessuno ci farebbe caso. » E nel dire ciò stringe il manico della bacchetta rimasta fino a pochi istanti prima accanto a sé. Fa per puntargliela conto; pochi istanti tempo in cui realizza che ci sarebbero così tanti modi per farlo. Veloce, indolore. « Ma non posso togliergli anche te.. » Un ammissione che la porta ad abbassare la bacchetta di colpo mentre sposta lo sguardo di lato. Non dopo Abigail. Senza contare il fatto, che tolto Ryuk, Potter resta pur sempre un innocente. Avrà i suoi difetti, farà i suoi sbagli come chiunque altri, ma non per questo merita di morire. « Diventerebbe tutto.. inutile. Credi che mi sia piaciuto tenere all'oscuro così tante persone? Ferirle, allontanarle. » Fred. Ares. Deimos. Jolene. Scuote la testa. « Questa è una cosa che non vorrei cadesse nemmeno nelle mani del mio peggior nemico. E mi dispiace - mi odio - per averti messo in questa situazione. » Lo sguardo si erge nuovamente sulla sponda alle spalle di Albus. Lui è lì. Attende. So che mi stai aspettando. « Ho mentito.. così tante volte. E l'ho fatto perché è questo ciò che succede quando non faccio ciò che mi viene chiesto. Qualcuno ci rimette. Io non voglio che tu ci rimetta - oltretutto per uno stupido capriccio, per una stupida lite dettata dall'orgoglio; perché se tu ci rimetti.. ci rimettono tanti altri. Innocenti. Ci rimettono persone che amo anche io tanto quanto ami tu. » Chiude gli occhi scoccando la lingua contro il palato. Ed è allora che stringe le dita attorno al manico della bacchetta. « Ed è per questo che tu devi dimenticare. » Definitivamente.



    Edited by #DeathNote - 1/12/2017, 12:36
     
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    "Ti prego! Smettila di fare l'eroe. Scommetto che ti fa sentire da dio. Hai finalmente trovato un giocattolino più rotto di te." Sorrise a quelle parole, scuotendo il capo tra sé e sé. L'eroe..questa proprio mi mancava. Albus e l'eroismo erano due cose tanto distanti da potersi quasi dire inconcepibili all'interno della stessa frase, se non per negazione. Non aveva mai sentito il richiamo istintuale a fare del bene fine a se stesso, per lo più perché convinto del fatto che il concetto di bene non potesse essere reperibile all'interno dell'umana natura, non nella sua forma più pura e disinteressata. Quando sentiva le persone parlare di suo padre, di quanto fosse stato il paladino della giustizia di cui il mondo magico aveva bisogno, Albus non vedeva quell'immagine che gli veniva tratteggiata; no, lui vedeva la figura di un uomo che nella vita aveva fatto determinate scelte, e alcune di esse si erano rivelate giuste. Ma era simbolo del bene assoluto, quell'uomo? No, non lo era. Harry Potter era stato il prescelto, e lo era stato in maniera egregia, ma poi non era riuscito ad essere un buon padre: e se non sei un eroe agli occhi di tuo figlio, esserlo a quelli di un mucchio di estranei non ha valore alcuno. L'eroismo, agli occhi del Serpeverde, altro non era se non un sostantivo privo di significato materiale, senza esempi nella realtà. L'eroe era frutto di invenzione, del bisogno di salvezza che tutti abbiamo intrinseco in noi stessi. Ogni persona vorrebbe sapere che in giro, da qualche parte, c'è un eroe pronto a sacrificarsi per il mondo intero. Ma non è così semplice, non è mai, e gli uomini di per sé sono troppo imperfetti per essere eroi. Albus, lui era quanto di più lontano ci fosse dall'eroismo. "Se pensi che il mio sia un atto di eroico altruismo, Carrow, vuol dire che non hai ascoltato una parola di ciò che ho detto." disse soltanto, con tono piatto, sollevando un sopracciglio con aria scettica. "Andrò dritta al punto: non puoi. Sei già morto, capisci? Tu dovevi morire quel giorno. Non è successo. Ma adesso sei stato reclamato e l'unica cosa che si frappone tra te e quattro assi sotto terra è il mio stringere i denti. Non rendermela più difficile di quanto non lo sia già. Non obbligarmi a fare qualcosa che non voglio fare. Sarebbe così facile mettere fine a tutto questo.. nessuno ci farebbe caso. Ma non posso togliergli anche te.." Sollevò il mento, conscio di cosa lei stesse insinuando. Fred. Poteva lanciargli addosso merda a badilate, ma Amunet Carrow non avrebbe mai fatto nulla che potesse nuocere realmente Fred. Non tanto per l'eventualità di venire scoperta, ma perché lei stessa non sarebbe riuscita a sopportare il dolore che avrebbe letto nello sguardo del Grifondoro. Fred ne aveva sopportate tante, e come tutti loro, si reggeva ancora per miracolo, senza sapere quale o quando il colpo di grazia sarebbe arrivato. "Diventerebbe tutto.. inutile. Credi che mi sia piaciuto tenere all'oscuro così tante persone? Ferirle, allontanarle. Questa è una cosa che non vorrei cadesse nemmeno nelle mani del mio peggior nemico. E mi dispiace - mi odio - per averti messo in questa situazione." Mi dispiace. Due parole che negli ultimi giorni aveva sentito sin troppe volte. Almeno tante quante gli era stato detto 'fatti aiutare'. Cose dette da un luogo di affetto, che Albus capiva benissimo, ma che ora cominciavano a diventare leggermente irritanti nella loro continua ripetizione. Albus aveva sempre amato le parole, era bravissimo a usarle, e credeva nella loro forza in maniera cieca; ma ce ne stavano alcune che, per lui, erano insopportabili. Le scuse, le promesse, i sentimenti pronunciati in tre sillabe, le frasi fatte. Cose di cui chiunque era in grado di riempirsi la bocca per farsi bello, ma che all'atto pratico difficilmente venivano dimostrate. Figuriamoci! L'ultima persona che gli aveva detto 'fatti aiutare' era stata la stessa che per dimostrarlo lo aveva fatto sbattere per un anno dentro a un riformatorio. Alla faccia dell'aiuto! Col mi dispiace di Mun, Albus Potter - sebbene avesse scelto di non dirlo ad alta voce - ci si puliva letteralmente il culo. "Ho mentito.. così tante volte. E l'ho fatto perché è questo ciò che succede quando non faccio ciò che mi viene chiesto. Qualcuno ci rimette. Io non voglio che tu ci rimetta - oltretutto per uno stupido capriccio, per una stupida lite dettata dall'orgoglio; perché se tu ci rimetti.. ci rimettono tanti altri. Innocenti. Ci rimettono persone che amo anche io tanto quanto ami tu. Ed è per questo che tu devi dimenticare." Rimase in silenzio. Guardò la bacchetta, poi alzò lo sguardo su di lei, con gli occhi azzurri intonsi da nubi di turbamento. D'altronde le strade erano due: obliviarlo, e dunque di per sé eliminare da Albus la preoccupazione stessa - poiché non ha senso aver paura di ciò che non è -, oppure non obliviarlo e dunque dargli implicitamente retta. In ogni caso, per lui sarebbe stato comunque tanto di guadagnato. Se avesse dimenticato, la cosa sarebbe finita lì e basta, e per lui sarebbe diventato un nulla. Nel caso contrario, invece, avrebbe avuto la possibilità di sdebitarsi con Mun e fare ciò che Fred avrebbe voluto che lui facesse. Dunque rimase in silenzio, a fissarla e basta, tranquillo di fronte a ciascuna delle due ipotesi che gli si ponevano davanti, senza sollevare la propria bacchetta a difesa. Nulla? Sollevò un sopracciglio, sospirando e scuotendo subito
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    dopo il capo. "Tu non mi oblivierai." disse piattamente "E lo sai perché? Perché non vuoi farlo." si strinse nelle spalle, come a sottolineare quella semplice affermazione "Altrimenti lo avresti già fatto. O sbaglio?" L'interrogativo si pose tanto nel suo tono di voce quanto nel suo sguardo ceruleo, spinto a scuotere una risposta da Mun, in qualsivoglia maniera lei intendesse palesarla. "Non avresti avuto bisogno di fare tutto questo bel discorso. Come non avresti nemmeno sentito la necessità di farmi avere quel libro, non una, ma ben due volte." Una semplice constatazione dei fatti, tanto lineare quanto logica. Non c'era bisogno di essere esperti di psicanalisi per capirlo. "Uccidermi, lo hai detto tu stessa, non puoi - o meglio, non vuoi - farlo. Il che ti lascia davvero poche possibilità." Si prese il tempo necessario a lasciarla riflettere su quelle parole, frugando nella tasca del giacchetto di pelle per estrarne l'ultima delle sigarette che Fawn gli aveva dato, l'ultima sigaretta vera in suo possesso. Se l'era conservata per un momento di necessità, e a quanto pareva era arrivato. Così l'accese, sbuffando la prima nuvola di fumo mentre si sistemava meglio a sedere, incrociando le braccia al petto. "Qui mi sembra, Carrow, che l'unica persona a rimetterci veramente sia tu. In entrambi i casi. Non raccontiamoci stronzate: nel quartetto, io e te siamo sempre stati gli egoisti. Ci raccontiamo le favole della buona notte per pulirci la coscienza dalla merda che spaliamo in giro, ma in fondo si riduce sempre a noi stessi." sbuffò un altro tiro, continuandola a guardare negli occhi senza fare una piega "Perché anche isolarsi, come facciamo noi, è una forma di narcisismo. Ma io, per tua sfortuna, non sono Fred, e non verrò ogni giorno a suon di orologio sotto la tua finestra, a chiederti di calare la treccia per galoppare verso il tramonto. Quindi obliviami ora, se devi, perché se ti aspetti di essere implorata o anche solo convinta ad accettare un aiuto, allora quel libro lo hai dato alla persona sbagliata." Lo doveva fare, Albus. Sentiva di doverla aiutare come se fosse un incarico affidatogli esplicitamente. Ma non poteva obbligarla, e non era il tipo di persona che spingeva la gente, convinto com'era che non ci fosse peggior sordo di chi non voleva sentire. In ogni caso, anche se avesse voluto obbligarla, come avrebbe potuto? Con che mezzi? Siamo uomini, e per quanto questa condizione si riveli spesso una fregatura, il libero arbitrio non ce lo toglierà mai nessuno.
     
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    « Tu non mi oblivierai. E lo sai perché? Perché non vuoi farlo. Altrimenti lo avresti già fatto. O sbaglio? » Quelle parole sembrano riportarla all'ordine. Decorum, lo chiamano; idoneità di stile. Lucidità di azione, correttezza. E in quella correttezza, se deve interrogarsi sulle ragioni remote delle sue azioni, Mun sa che Albus ha ragione. Una parte di sé, vuole convincersi che non è così, che non ha bisogno di aiuto, che non è lieta di poter parlare, seppur in minima parte, con qualcuno di tutta quella merda che sta letteralmente inondando la sua vita. Ma in cuor suo sa che non è così; forse inconsapevolmente ogni traccia che si sia lasciata alle spalle, doveva portare a questo. Forse lei stessa voleva arrivare a quel risultato. Al poter finalmente vuotare il sacco con qualcuno, sfogarsi, cercare di risolverla, una volta per tutte. In qualunque modo dovesse finire. « Io.. volevo.. » Tu cosa Mun? Cosa volevi? Non sa cosa voleva; non ha mai saputo cosa volesse. Da due anni a questa parte fa alcune cose che le appartengono totalmente e indiscutibilmente, altre invece che sembrano semplicemente guidate in una direzione di cui non conosce minimamente il punto di arrivo. Ci sono stati giorni in cui si è sentita completamente fuori controllo, come se la vita stessa le sfuggisse dalle mani, come se non avesse alcun potere decisionale riguardante il proprio destino. Consegnare quel libro ad Albus Potter era stata una delle poche cose che Mun aveva fatto contro il moto di paura che sembrava montarle in petto ogni qual volta il suo dio della morte dissentisse. Una delle poche volte in cui l'aveva apertamente sfidato. « Non avresti avuto bisogno di fare tutto questo bel discorso. Come non avresti nemmeno sentito la necessità di farmi avere quel libro, non una, ma ben due volte. » Man mano che le considerazioni di lui vanno avanti, Mun si schiarisce le idee, fa mente locale. Cerca di trovare un qualche punto di incontro tra le sue esigenze, e il bisogno quasi morboso di non immischiare nessuno in quella faccenda. Non si può avere tutto. E allora cosa fare? Niente? In cuor suo sa che, probabilmente un Potter inconsapevole, non avrebbe certo intimorito meno, Ryuk. Un Potter consapevole - se lo avesse scoperto - lo avrebbe certo messo ulteriormente sulla difensiva, e avrebbe premuto affinché la sua protetta facesse il suo dovere molto più di quanto non avesse già fatto. Ma gli avrebbe davvero salvato la vita? Probabilmente no. Le avrebbe fatto guadagnare temp, ma nulla di più. Si profilava già le varie scuse una volta tornati sulla sponda. Non ce l'ho fatta. Lui le avrebbe dato della stupida, l'avrebbe mortificata, e il gioco delle pressioni sarebbe ricominciato da capo. « Uccidermi, lo hai detto tu stessa, non puoi - o meglio, non vuoi - farlo. Il che ti lascia davvero poche possibilità. » Chiude gli occhi e scuote la testa, ben decisa a eliminare quell'ipotesi dalla lista. Resta in silenzio per tutto il tempo che divide quelle parole dalle seguenti, continuando a martoriarsi le mani innervosita dalla delicatezza stessa del compito che le spetta. Decidere. « Qui mi sembra, Carrow, che l'unica persona a rimetterci veramente sia tu. In entrambi i casi. Non raccontiamoci stronzate: nel quartetto, io e te siamo sempre stati gli egoisti. Ci raccontiamo le favole della buona notte per pulirci la coscienza dalla merda che spaliamo in giro, ma in fondo si riduce sempre a noi stessi. » Corruga la fronte, cercando di snocciolare le sue parole. Deglutisce abbassando lo sguardo. « Perché anche isolarsi, come facciamo noi, è una forma di narcisismo. Ma io, per tua sfortuna, non sono Fred, e non verrò ogni giorno a suon di orologio sotto la tua finestra, a chiederti di calare la treccia per galoppare verso il tramonto. Quindi obliviami ora, se devi, perché se ti aspetti di essere implorata o anche solo convinta ad accettare un aiuto, allora quel libro lo hai dato alla persona sbagliata. » Sopra a quelle ultime parole tuttavia non riesce a passarci sopra. Emerita testa di cazzo. Tirare fuori ancora quella storia, soprattutto quando lui sa ormai come sono andate le cose, le risulta una pillola difficile da mandare giù.
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    « Tu sei un grandissimo stronzo. » Il tono di voce tremante. E non c'è rabbia, non è nemmeno un'accusa. Forse non sa come funziona la testa di Albus Potter, ma qualcosa ci ha capito. E se pensa che molti gliele facciano passare lisce, solo per evitare lo scontro, o solo perché pensano che lo scontro con lui non ne valga la pena, Mun non rientra in nessuna delle due categorie. A te la verità non te la sbatte mai nessuno in faccia eh? « Con te funziona sempre così non è vero? Ferire piuttosto che ammettere che di qualcosa t'importa ogni tanto. » Mai passare sopra all'orgoglio. Mai scendere dal piedistallo. Anche quando le sue azioni dimostrano tutto il contrario. Anche quando persino le sue parole, dimostrano l'esatto contrario. « Perché devi rigirarmi la frittata? Prima sei pronto a scavalcarmi e andare da solo su questa strada - che si tratti di altruismo o cercare di sdebitarsi - e poi.. no Mun, fai quello che ti pare. » Scuote la testa, non riuscendo a trattenere un sorriso sarcastico. « Perché se sono io a chiedere il tuo aiuto esplicitamente, se questa merda va storta un giorno, se dovesse succedere qualcosa di terribile, se qualcuno dovesse farsi del male, potrai appunto raccontarti la bella favoletta della buonanotte in cui è tutta opera mia e tu ti sei ritrovato costretto a sdebitarti. » Proprio perché erano egoisti, narcisisti, perché era più facile dipingersi come le povere vittime della situazione piuttosto che ammettere che a volte buttarsi in un impresa suicida ha semplicemente senso. Non è colpa di nessuno se le cose sono andate in una determinata maniera. L'hai detto tu stesso, Potter. Una piccola lite apparentemente insignificante era sfuggita loro di mano in maniera spropositata e sicuramente, se qualcuno era da biasimare, quello era Ryuk, lo stesso essere che ora dava loro il tormento, direttamente o indirettamente che fosse. E attraverso loro, attraverso Mun, avrebbe potuto ferire tante altre persone. Fred, lo stesso Albus, tutta la sua famiglia, Ares, tutta la loro famiglia, i loro amici. Perché per quanto soli, non siamo mai davvero soli e le nostre azioni hanno conseguenze sugli altri. « Ti stavo chiedendo il permesso di farlo.. » Di frugare in quella testa che chi la capisce è bravo. Esordisce di scatto dopo una pausa di riflessione piuttosto lungo. « ..non mi aspettavo certo di essere implorata. E anche se fosse.. » Si stringe nelle spalle prima di incrociare le braccia al petto. « Dopo tutto quello che hai letto ti risulta così difficile credere che io possa aver paura? Che magari - dico solo magari - sono terrorizzata da questa cosa e ho bisogno di sapere che se sali su questa barca ne sei certo al cento per cento? » Un indiretta ammissione, un'indiretta ennesima richiesta d'aiuto. « Se il tuo approccio è mortificarmi, tirare fuori in ballo cose.. » S'interrompe di scatto deglutendo. Non vuole parlare di quella storia. Non vuole parlare di lui. Non vuole ammettere che l'ha fatta uscire di testa ritirare fuori il discorso di Fred. Non dopo gli ultimi trascorsi. Ci sta male, Mun. E per quanto cerchi di ignorare quella sensazione di fastidio, quest'ultima torna ogni volta, anche nelle situazioni meno opportune. Smettila di fare la ragazzina, non è questo il momento di fare la donna ferita. Fruga improvvisamente tra i fogli, schiaffandogli di fronte le pagine strappate dal libro. « ..non puoi. Questa cosa ce l'hai nella testa Albus. E' come un cancro. Sfrutta le tue debolezze. Fa leva su ciò che ti fa più male. A volte non sai più cosa vuoi tu e cosa vuole lui. Se vuoi rischiare il culo per questa roba, devi sapere che potresti ritrovarti anche a dovermi convincere, forse anche implorare, perché stai certo che lui è intelligente ed è estremamente furbo, e sa essere molto convincente.. » E poi, è proprio per questo motivo che questa storia è iniziata. Perché lui ha sfruttato il mio orgoglio, la mia debolezza. Ryuk l'ha convinta a uccidere per prevalere in una stupida lite. E poi, l'ha ingannata. Quante volte non le ha fatto passare cose terribili per interventi divini. Quante volte non l'ha allontanata dalle poche persone che effettivamente simboleggiavano un'ancora di salvezza per la sua sanità mentale. Mun ha sempre avuto una propensione all'isolamento, ma il suo Caronte, quella propensione l'ha sfruttata, fino a renderla paranoica, debole. Per molto tempo ha pensato di avere il controllo; si è convinta che Ryuk non potesse entrare nella sua testa, ma in un modo tutto suo, ci stava riuscendo, ogni giorno un po' di più. « ..e si arrabbierà. Tanto. » Si ritrova di fronte a quella consapevolezzache la porta per un istante a ritirarsi nuovamente. Sgrana gli occhi e lascia vagare lo sguardo di ghiaccio sulla superficie oscura delle acque che li circondano. Non c'è alcun ringhio all'orizzonte. Nessuna voce. Lui non c'è, seppur riesca a vedere la sua ombra a intermittenza sulle sponde. Ora è sparito. Ma sa che è lì da qualche parte. Ci aspetta. Comparirà quando meno se lo aspetta. « Se il tuo orgoglio vale così tanto, dammi il permesso di cancellare ciò che sai, e tutto tornerà come prima.. » Tranne per un'anima rubata. E un dio della morte pressante e impaziente.



    Edited by #DeathNote - 1/12/2017, 12:52
     
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    "Tu sei un grandissimo stronzo." Albus Potter, signore e signori, era un grandissimo stronzo, e chiunque lo chiamasse tale non incontrava mai l'opposizione del soggetto in questione. Albus sapeva di essere un grandissimo stronzo, e ormai aveva imparato a conviverci tranquillamente. Per gli altri, di tanto in tanto, risultava ancora un problema: Albus ha una faccetta d'angelo che potrebbe ingannare persino la persona più attenta, ma gli basta aprire bocca per confutare ogni dubbio sulla propria natura. Lui, dal suo canto, vedeva l'accezione di stronzo come qualcuno che veniva definito tale in virtù della propria tendenza a dire esattamente ciò che pensava senza indorare la pillola per rabbonire il prossimo. E sì, è un fottuto pugno nello stomaco quando la gente adotta questo comportamento, ma quanto meno è reale. Non è che poi un giorno ti svegli e vieni a sapere dal tuo amichetto di merende che Albus Potter ti ha spalato merda alle spalle. No, lui se deve dirti una cosa te la dice in faccia, e se non ti piace oppure urta la tua sfera emotiva, il problema è il tuo. Atteggiamento decisamente opinabile, come tutti quelli che adottava il Serpeverde, ovviamente. Poiché non siamo sempre obbligati a dire esattamente ciò che pensiamo al prossimo, e spesso scegliere le parole potrebbe essere inteso non tanto come falsità ma come genuino interesse nei confronti del proprio interlocutore. Ma in fin dei conti, ognuno ha il suo carattere, e ognuno ha la propria percezione di determinati tratti caratteriali. Albus sicuramente non aveva una personalità facile a rapportarvisi, ma nemmeno Mun poteva dire lo stesso. "Con te funziona sempre così non è vero? Ferire piuttosto che ammettere che di qualcosa t'importa ogni tanto. Perché devi rigirarmi la frittata? Prima sei pronto a scavalcarmi e andare da solo su questa strada - che si tratti di altruismo o cercare di sdebitarsi - e poi.. no Mun, fai quello che ti pare." sollevò l'indice, con un sorrisino sardonico, come a voler puntualizzare qualcosa. "Prima, esatto. Prima che minacciassi di obliviarmi se non avessi fatto i tuoi comodi." Capisci Carrow che è una differenza sottile, ma cambia un po' di carte in tavola. Non posso continuare una crociata da solo se nemmeno me la ricordo. "Perché se sono io a chiedere il tuo aiuto esplicitamente, se questa merda va storta un giorno, se dovesse succedere qualcosa di terribile, se qualcuno dovesse farsi del male, potrai appunto raccontarti la bella favoletta della buonanotte in cui è tutta opera mia e tu ti sei ritrovato costretto a sdebitarti." Una secca risata, in un colpo solo. Un singolo AH dai toni sarcastici. Questo ciò che uscì dalla bocca del ragazzo, esterrefatto mentre scuoteva il capo con una certa incredulità. "Ma vaffanculo, Carrow." sbottò all'improvviso, piccato da quelle accuse. Di sicuro Albus Potter non era una persona carina e accondiscendente, ma nessuno poteva dire che fosse uno che andava a rinfacciare l'aiuto che tendeva al prossimo. "Lo sappiamo entrambi che pur di chiedere una mano ti caveresti entrambi gli occhi con due cucchiai della tua preziosa argenteria, ma non ci provare nemmeno a scaricare la colpa del tuo fottuto orgoglio su di me." Il mio basta e avanza da solo. Niente, non ce la facevano proprio, quei due, a non entrare in qualche maniera in contrasto. Era più forte di loro: avevano caratteri troppo simili e punti di vista troppo diversi. Strabiliante, però, come riuscissero a litigare persino in una situazione in cui entrambi, fondamentalmente, volevano la stessa identica cosa. "Ti stavo chiedendo il permesso di farlo.." Ah quindi ne vuoi pure un altro di vaffanculo! Chiedi e ti sarà dato. "..non mi aspettavo certo di essere implorata. E anche se fosse..Dopo tutto quello che hai letto ti risulta così difficile credere che io possa aver paura? Che magari - dico solo magari - sono terrorizzata da questa cosa e ho bisogno di sapere che se sali su questa barca ne sei certo al cento per cento?" Sollevò un sopracciglio con aria scettica. "Disse quella che faceva 'il mio tesssoro'. Non smetti mai di confondermi, te lo concedo." "Se il tuo approccio è mortificarmi, tirare fuori in ballo cose..non puoi. Questa cosa ce l'hai nella testa Albus. E' come un cancro. Sfrutta le tue debolezze. Fa leva su ciò che ti fa più male. A volte non sai più cosa vuoi tu e cosa vuole lui. Se vuoi rischiare il culo per questa roba, devi sapere che potresti ritrovarti anche a dovermi convincere, forse anche implorare, perché stai certo che lui è intelligente ed è estremamente furbo, e sa essere molto convincente..e si arrabbierà. Tanto. Se il tuo orgoglio vale così tanto, dammi il permesso di cancellare ciò che sai, e tutto tornerà come prima.." Scosse il capo, alzando per un istante gli occhi al cielo come a voler interrogare un'entità superiore. Stava ridacchiando, per via di quelle parole. Perché continuavano a girare intorno a un orto che aveva palese necessità di essere zappato, ma nessuno dei due aveva intenzione di rimboccarsi le maniche per primo, perché rimandare e scaricare la colpa è sempre la scelta più facile, e fornisce un'ottima via di uscita nel caso in cui ce ne sia bisogno. "No, Carrow, non te lo do il permesso. Se vuoi farlo lo fai, ma non provare nemmeno per un istante a farla passare come una mia scelta, ok? L'hai detto tu stessa: lui è roba tua. E la roba tua è anche tua responsabilità, non mia, non di Fred, solo tua. E non ho alcuna intenzione di renderti il sonno più leggero affinché tu possa raccontarti la notte che di te me ne sono lavato le mani come Ponzio Pilato." Sarebbe un sacco facile così, vero? Scosse il capo, come uno schiocco di frusta, fissandola dritta negli occhi con una certa fermezza. "No, non è così che andrà. Io il mio aiuto te l'ho messo su un piatto d'argento sin dal momento in cui ti ho fatta salire su questa fottutissima barca nella speranza che - se anche solo un minimo di ciò che è su quel libro si fosse rivelato vero - il tuo amichetto ne sarebbe rimasto fuori. Avrei potuto fare mille altre cose. Avrei potuto far finta di nulla e non dirti un cazzo, oppure avrei potuto ridarti il tuo manuale e dirti che non volevo averci niente a che fare. Da quanto mi risulta non l'ho fatto. Anzi, ti ho detto esplicitamente di volerti aiutare." Sbuffò il tiro di sigaretta con un certo nervosismo, lasciando che il fumo venisse portato via dal vento gelido. "Tutta questa scenetta, Carrow, era solo per aiutare te, non certo perché mi andasse di fare una gita in barca. Io avrei mille altre cose migliori da fare. Ma tu cosa fai? Ti interroghi sul mio orgoglio e sul mio grado di convinzione?! Ti rendi conto da sola di quanto suoni assurdo." Lanciò il mozzicone di sigaretta nelle acque del lago, tanto perché ormai l'inquinamento non è che fosse più questo gran problema. "Io le mie carte le ho messe in tavola fin da subito. Quindi ora tocca a te prendere una cazzo di posizione a riguardo. Accettare oppure obliviarmi. Le responsabilità dobbiamo prendercele entrambi, altrimenti la cosa non funziona."
     
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    « No, Carrow, non te lo do il permesso. Se vuoi farlo lo fai, ma non provare nemmeno per un istante a farla passare come una mia scelta, ok? L'hai detto tu stessa: lui è roba tua. E la roba tua è anche tua responsabilità, non mia, non di Fred, solo tua. E non ho alcuna intenzione di renderti il sonno più leggero affinché tu possa raccontarti la notte che di te me ne sono lavato le mani come Ponzio Pilato. » Non c'era modo di arrivare a un qualche punto di incontro. Due forti opposti. Nessuna avanzata, ma nemmeno alcun patto di non belligeranza. Nessuna tregua. Nessun sbilanciamento. Solo un continuo pizzicarsi, su questioni evidentemente volte a mettere l'altro nella condizione di fare un passo indietro. Il gran problema di Potter e la Carrow era che tendevano a circondarsi di persone accondiscendenti. Se tu non vieni incontro a me, non c'è niente da fare. Un chiaro atteggiamento che tenevano entrambi a prescindere dal fatto che ormai si trovavano in un ballo in cui chi per un motivo, chi per un altro, volevano portare avanti. Manifestavano intenzioni simili, ma di andarsi incontro non c'era nemmeno l'ombra. Forse perché entrambi avevano la testa affogata di problemi, di drammi, di sin troppi eventi collaterali che avevano scosso le loro vite. Sopravvissuti in mezzo a tanti altri sopravvissuti, perché se lo erano loro, altrettanto si poteva dire delle persone che li circondava, con l'unica differenza, che altri, la loro sopravvivenza non tendevano a ostentarla. Mun e Albus, dal canto loro, erano volubili, sin troppo per il loro stesso bene - a volte troppo per la loro stessa sopravvivenza. « No, non è così che andrà. Io il mio aiuto te l'ho messo su un piatto d'argento sin dal momento in cui ti ho fatta salire su questa fottutissima barca nella speranza che - se anche solo un minimo di ciò che è su quel libro si fosse rivelato vero - il tuo amichetto ne sarebbe rimasto fuori. Avrei potuto fare mille altre cose. » E sono quelle parole ad attirare la sua attenzione, portandola a corrugare la fronte, mentre avvicina a sé le pagine strappate, scorrendole con gli occhi, con maggiore attenzione. « Avrei potuto far finta di nulla e non dirti un cazzo, oppure avrei potuto ridarti il tuo manuale e dirti che non volevo averci niente a che fare. Da quanto mi risulta non l'ho fatto. Anzi, ti ho detto esplicitamente di volerti aiutare. » Il resto del dramma, Mun lo ascolta, ma in maniera più approssimativa, concentrata com'è nel cercare di capire come ci è arrivato a quella considerazione. Non si era chiesta fino a quel momento, perché il suo dio, non si fosse ancora fatto vedere. Idrofobo. Quella parola risalta ai suoi occhi in maniera particolare, prima che gli occhi di ghiaccio, prendano a osservare l'ambiente attorno a loro. Acqua. Sono circondati dall'acqua. Ma quella teoria ha senso fino a un certo punto nella sua mente. Cerca di ripercorrere mentalmente tutte le volte in cui si è trovata sotto un getto d'acqua. Non le ha mai parlato in quei momenti. Forse perché non riusciva a farlo. Non è mai riuscito a entrarle in testa. E seppur a volte sotto un leggero getto d'acqua sia riuscita a intravvederlo, la sua presenza era sempre.. meno pregnante. Per un istante, il suo umore pare ammorbidirsi, mentre lo sguardo scivola in quello del ragazzo di fronte a sé con una certa eloquenza. « Tutta questa scenetta, Carrow, era solo per aiutare te, non certo perché mi andasse di fare una gita in barca. Io avrei mille altre cose migliori da fare. Ma tu cosa fai? Ti interroghi sul mio orgoglio e sul mio grado di convinzione?! Ti rendi conto da sola di quanto suoni assurdo. » Altro dramma, che la Carrow, sembra eludere, seppur lo stia ascoltando. Abbassa nuovamente lo sguardo sulle pagine strappate, continuando a scorrerle in modo incessante. « Io le mie carte le ho messe in tavola fin da subito. Quindi ora tocca a te prendere una cazzo di posizione a riguardo. Accettare oppure obliviarmi. Le responsabilità dobbiamo prendercele entrambi, altrimenti la cosa non funziona. » Se su una cosa, Potter ha ragione, quella è l'idea di chiedere aiuto. La Carrow, piuttosto che chiedere una mano, si taglierebbe entrambe le proprie. In parte, forse, è per questo che le risulta così difficile accettare l'idea che qualcuno desideri aiutarla. Forse perché ha sempre bisogno di un perché, esplicito. Perfettamente in linea con la sua idea di logica. In realtà, quanto le ha esposto, ha persino un sacco di logica, ma non riesce comunque a comprendere come, dopo tutto ciò che gli ha gettato sul piatto, lui sia comunque pronto a rischiare. Sei proprio un Potter, non c'è niente da fare. Sempre pronti a gettarvi nella gabbia del leone. E questo conferma quanto io abbia ragione a dire che sei stupido. Forse non il tipo di stupidità che la Carrow desiderava convincersi che Potter custodisse, ma pur sempre una forma di intrinseca stupidità. E' tuttavia pronta a salvarlo dalla sua stessa dose di cieco coraggio? E' davvero così altruista, la Carrow? E' disposta a perdere davvero la sua unica leva contro Ryuk solo per tenere al sicuro il miglior amico di una delle persone più care che custodisce nel proprio animo? No. Non lo è. Mun non è una brava persona, non è altruista. Non potrebbe esserlo nemmeno se si sforzasse, semplicemente perché ha imparato, con la morte del padre, che se lei non si prende cura di se stessa e non sfrutta ciò che l'ambiente le consegna tra le mani, nessun altro ci penserà a lei al posto suo. E se anche qualcuno ci pensasse di spontanea volontà, lei comunque non concederebbe a nessuno la possibilità di invadere i suoi spazi personali, a meno che non sia funzionale al suo tornaconto personale. In una parola sola, Mun è una fottuta egoista. E al momento è alquanto disperata. E sta crollando su se stessa, come un ammasso di rovina che sta lì lì per cedere. Ha esaurito le cartucce a forza di conciliare le sue debolezze con quello che le forze altre presenti nella sua vita vogliono che lei faccia. Ed è stanca. Stanca di rendersi conto che ogni mese, si avvicina sempre di più alla morte. E' stanca di pensare che a forza di andare avanti così morirà, e anche presto. Non ha ancora visto niente, non ha ancora sperimentato nemmeno un decimo di ciò che un essere umano dovrebbe sperimentare. Ha così tanti piani, e sogni nel cassetto, e sta morendo, ed è stanca di farsi ammazzare. Abbassa quindi i fogli, sospirando profondamente. Prima di parlare di cose serie, ha intenzione di mettere in chiaro due cose due. Perché non sia mai che la dà vinta a questo idiota patentato, definizione che gli ha affibbiato già da parecchio. « Prima di tutto, evita di pizzicarmi su argomenti e persone di cui chiaramente sai troppo poco, Potter. » Un sorriso amaro si dipinge su quelle labbra rosse che hanno tutta l'aria di voler sputare veleno. Si trattiene, mordendosi l'interno del labbro inferiore. « Non me lo devi neanche nominare, capito? » C'è rabbia in quelle parole. E c'è sofferenza, e risentimento. « Altrimenti inizieremo ad affrontare un discorso che abbiamo lasciato in sospeso un paio di mesi fa in biblioteca. Quello su paroloni come la responsabilità; sui vari Giuda, i Ponzio Pilato e compagnia ballante. » E no, per carità questo non rende di lei Gesù. Solo ex vittima - perché ormai, Mun, certo vittima non è più; nemmeno lei avrebbe la presunzione di elevarsi a quel rango, visti i trascorsi. Mun ha scelto. Forse la vita più facile. O semplicemente l'unica effettiva che avesse.
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    « Non sono una gallina, per tua sfortuna. Quindi non aspettarti che io annuisca ai tuoi commenti del cazzo mirati ad autoesaltare l'intellettualismo becero che ostenti. » Pausa. « Fred Weasley è un argomento off limits in questa faccenda. » Categorico. « Sempre se tutto questo nominarlo non nasconda un qualche debole che serbi anche tu nei suoi confronti. Sarebbe la prima cosa che avevamo in comune. » Oltre a un dio della morte a cui chiaramente stiamo relativamente poco simpatici. « Siccome io resto fuori dalle tue questioni, gradirei che tu facessi altrettanto. A fare l'insospettabile terapista di coppia arrivi tardi. » A quel punto deglutisce e abbassa nuovamente lo guardo sulle varie pagine. Afferra tra le mani e inizia a sottolineare le parti che sa per certo siano vere, cancella quelle che appartengono a qualche leggenda, e resta a storcere il naso ponendo un segno di domanda sopra le cose che in realtà nemmeno lei conosce. « Ok.. allora.. questo.. » E dicendo ciò indica la barca e ciò che li circonda. « ..funziona. Il che significa che abbiamo uno scudo. » Dicendo ciò erge gli occhi nuovamente alle spalle del ragazzo, verso le sponde del lago, là dove ha intravisto l'ombra. « Ma non possiamo né restare sotto una cupola d'acqua, né restare qui per sempre. Anche perché non è certo il luogo più sicuro al mondo. » Sospira. « Ci sono delle regole. Cose che non posso menzionare.. altrimenti.. » E dicendo ciò scorre l'indice lungo il collo per fargli capire che determinate cose erano un finish line assicurato. « Però in realtà mi sono spesso chiesta se siano vere o meno. Fino a che punto queste cose possano effettivamente agire sul nostro mondo. Sto iniziando a realizzare che in realtà potrebbe essere soltanto qui.. » Si tocca istintivamente la tempia mentre lo sguardo si perde sulla superficie del lago. « ..vuole farmi credere il contrario, ma credo che abbia bisogno di me, ecco perché potrebbe mentire.» D'altronde l'ha già fatto. L'ha già ingannata. Più di una volta. Si stringe nelle spalle. « Tutto questo casino è iniziato a Hogsmeade. » Inizia mettendo sul piatto tutto il ragionamento già fatto in precedenza sul punto. « Avevi già prima il libro, ma non è successo niente. » Continua a, gettando lo sguardo in quello di lui, per tentare di capire se la sta seguendo. « Dopo quella sera.. pare tu gli abbia sottratto qualcosa. Un'anima. Lui è un traghettatore, giusto? C'è scritto qui. Porta le anime in una determinata direzione. Io so dove le porta. » Credo di esserci stata.. in un certo qual modo. Prima di conoscerlo. Perché Mun, per colpa del padre è quasi morta più di una volta. « Di per sé non dovrebbe essere un'entità maligna. Di questi esseri, mi pare - » E dicendo ciò scorre tutti i vari nomi che a entità come Ryuk le credenze danno. « - scrivono un po' tutte le credenze. Sono creature imparziali. Allo scoccare naturale del termine di ciascuno di noi.. non fanno altro che accompagnarci. Ma qui il naturale scoccare del tempo non sussiste. Ha cambiato scopo. » Si stringe nelle spalle, scoccandogli un'altra occhiata eloquente. « Perché? Perché la Morte dovrebbe appoggiarsi a un essere umano? Perché dovrebbe avere a cuore dove le anime vengono traghettate? E soprattutto perché proprio adesso? La morte dilaga ovunque.. da quel che sappiamo le città sono state quasi completamente rase al suolo. » Tante anime. Una in più una in meno non dovrebbe fare la differenza. Sospira lungamente. « Se lo capiamo, possiamo fare qualcosa. Se capiamo cosa vuole da me, e perché detesta così tanto te, abbiamo un vantaggio. » Ha da aggiungere un'unica cosa, in merita a quanto si sono detti. Storce appena il naso incrociando le braccia al petto. La questione più pressante. « Ma ora la cosa più urgente è.. cosa mi aspetta quando scenderai da questa barca vivo e vegeto? » Di scatto all'idea le mani prendono a tremarle. E così, è costretta a stringere i pugni in maniera spropositata, finché le nocche non diventano pallide come la luna nel cielo. Lo sguardo scorre istintivamente la canzone che lui ha scritto in fretta e furia su uno spartito disegnato a mano. Quella è la cosa più strana. E' stata lei? L'ha fato inconsapevolmente? Era nuovamente il suo inconscio a chiedere inesorabilmente aiuto? O era stato Ryuk? No. Ryuk non poteva essere. Le date le ha scelte lei. Le ore le ha scelte lei. Ma è stata davvero una scelta casuale?




    Edited by #DeathNote - 1/12/2017, 12:42
     
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    La bambina nuova. Era così che Albus e i suoi amichetti l'avevano chiamata dal momento in cui era entrata in classe, guardandola con il fare circospetto che solo dei bambini di cinque anni possono rendere veramente. L'asilo magico non era un luogo da tutti, più che altro perché costava un occhio della testa rispetto a quelli normali, ma il vantaggio stava nel non far scandalizzare le maestre al primo segno di magia accidentale; e dunque, per Albus, si era rivelato più che necessario, essendo lui uno di quei bambini che di magie accidentali ne faceva a vista d'occhio. Ovviamente l'alto prezzo comportava il ridotto numero di studenti, e anche la specificità della classe sociale a cui questi appartenevano. Tutti ricchi, tutti di buona famiglia, tutti abbastanza viziati. Ma Albus? Lui, signori miei, era il re dei viziati. Unico figlio maschio dei Potter, otteneva dal padre sempre ciò che voleva: aveva l'ultimo modello di qualsiasi cosa, aveva sempre tutte le figurine dei maghi famosi e dei giocatori di Quidditch, aveva gli snack migliori, i giocattoli più belli e quant'altro. E di tutte queste cose era estremamente geloso, mentre al contrario non si faceva alcun problema a prendere quelle degli altri senza chiedere il permesso. Si potrebbe dire che, per usare un termine tecnico del campo scientifico in questione, Albus fosse un bambino scassacazzi. 'Mio papà ha salvato il mondo magico, quindi se stai qui è grazie a lui. Non c'è di che. Per pegno dammi il tuo giocattolo e stai pure zitto': una frase che, in maniera diversa e più consona al linguaggio di un bimbo in età da asilo, si potevano sentire con un'allarmante frequenza dal piccolo. E il primo che andava a piangere dalla maestra poteva pure star certo che il mezzano dei Potter gli avrebbe fatto pagare gli interessi.
    Ma tornando a noi: la bambina nuova era Amunet Carrow, con i suoi codini che già gli ispiravano antipatia a pelle. Inizialmente l'aveva ignorata, o più che altro l'aveva tenuta d'occhio per capire se la sua antipatia fosse fondata o meno. Testardo com'era, ovviamente, qualsiasi cosa lei facesse era segno del fatto che la giustizia divina richiedeva che quei codini venissero tirati. E infatti così faceva. Quando Albus prendeva qualcuno in antipatia, sapeva diventare un vero e proprio tormento. E per la Carrow non aveva fatto alcuna eccezione: le tirava i capelli, le prendeva i giocattoli, si rifiutava di stare in fila per due assieme a lei quando gli veniva chiesto, e più in generale ne faceva di cotte e di crude alle spese della povera bimba. Malaugurato caso volle, però, che durante un colloquio, una delle maestre riferisse tutto ciò niente meno che al suo adoratissimo papà. Harry, ovviamente, fu intransigente sul punto, e non appena tornò a casa mise il figlio in punizione, togliendogli tutti i giocattoli per una settimana. Smacco. Vergogna. Provocazione. Se all'epoca avesse saputo il significato di tale locuzione, sicuramente Albus avrebbe detto: alea iacta est. Nella sua testa, chiaramente, era tutta colpa di Mun, dall'inizio alla fine; e così, l'indomani, arrivato all'asilo, arrivò di gran carriera alle spalle di una Carrow che giocava tutta tranquilla con la propria Barbie magia del Natale nuova di zecca (per intenderci: l'edizione limitata bellissima che tutte le bimbe volevano), gliela prese dalle mani e con estrema crudeltà le staccò la testa sotto gli occhi impotenti della compagna. "Sei una pupù." furono le sue pesanti parole di accusa prima di andarsene.

    Passa il tempo, la gente cambia, l'eloquenza migliora, ma Potter e la Carrow - quanto meno nel modo di comunicare tra loro - erano rimasti quei due bambini dell'asilo che puntavano i piedi per le cose più stupide, sfruttando qualsiasi espediente pur di darsi contro. Un difetto comunicativo, una sorta di incompatibilità di fondo dovuta al loro essere davvero fin troppo simili. Non erano in grado di smussare i propri angoli e gettare la spugna, ne' tanto meno di fare il passo di maturità necessario a dire 'ok, lascio perdere perché altrimenti stiamo qui fino all'anno prossimo'. No, loro la merda se la dovevano lanciare tutta fino alla fine, e sia mai che uno dei due si ritirasse dalla polemica! Una presa di posizione fatta e finita, quella di non darsi soddisfazione e volerla sempre spuntare in qualche maniera, anche quando non c'era nulla su cui spuntarla. E infatti Albus non rimase sorpreso dall'ennesima risposta per le rime della Carrow. "Prima di tutto, evita di pizzicarmi su argomenti e persone di cui chiaramente sai troppo poco, Potter. Non me lo devi neanche nominare, capito?" Che per lui era praticamente un aperto invito a tirarlo fuori ogni tre per due solo ed esclusivamente perché lei gli aveva detto di non farlo. "Altrimenti inizieremo ad affrontare un discorso che abbiamo lasciato in sospeso un paio di mesi fa in biblioteca. Quello su paroloni come la responsabilità; sui vari Giuda, i Ponzio Pilato e compagnia ballante." Oh, perché quando vi siete lasciati non ti ho fatto una carezzina, povera stella? Perdonami se la mia vita non ruota attorno a te, Carrow. Non lo disse, ma sollevò gli occhi al cielo in maniera abbastanza eloquente da farglielo capire. Perché in fin dei conti, loro, quel discorso lo avevano già affrontato e Potter non aveva di certo avuto peli sulla lingua a riguardo. "Non sono una gallina, per tua sfortuna. Quindi non aspettarti che io annuisca ai tuoi commenti del cazzo mirati ad autoesaltare l'intellettualismo becero che ostenti. Fred Weasley è un argomento off limits in questa faccenda. Sempre se tutto questo nominarlo non nasconda un qualche debole che serbi anche tu nei suoi confronti. Sarebbe la prima cosa che avevamo in comune. Siccome io resto fuori dalle tue questioni, gradirei che tu facessi altrettanto. A fare l'insospettabile terapista di coppia arrivi tardi." Sorrise, sbattendo le ciglia con un fintissimo quanto provocatorio fare angelico. "Ma come, Carrow? Una ragazza informata come te, con la spiccata presunzione di sapere sempre tutto, dovrebbe sapere anche di star rivolgendo l'accusa giusta al cugino sbagliato." Sospirò, stringendosi nelle spalle. "Mi sarebbe davvero piaciuto fare da terapista di coppia, ma da quel che mi ricordo, una coppia è formata da due persone..non da tre, o sbaglio?" Per vostra informazione, sì, sapeva benissimo di aver detto delle cose che chiamarle infami sarebbe riduttivo, e sapeva altrettanto bene che non sarebbero piaciute nemmeno a Fred e Hugo se solo avessero avuto modo di sentirle. Un colpo basso, il suo, sicuramente, ma quella conversazione sembrava portare i due interlocutori solo a ciò. Il vaso di Pandora: così lo aveva chiamato lui stesso, qualche mese prima, durante il loro scambio in biblioteca. E in effetti qualsiasi cosa riguardasse le dinamiche tra loro e le varie persone che gli ruotavano attorno, sembrava portare nient'altro che tremendi mali. Quel vaso, Albus non aveva voluto aprirlo proprio per evitare di dire cose che dentro di sé in parte pensava, ma che sapeva anche essere un bel colpo sui genitali alle persone che normalmente faceva di tutto pur di proteggere. E infatti si pentì quasi immediatamente di aver pronunciato quelle parole, ma l'orgoglio gli imponeva di mantenere il punto, e così si limitò a sollevare il mento e un sopracciglio con aria apatica. "Le tue questioni di cuore non mi interessano, Carrow, e se nomino colui che non deve essere nominato è perché la famiglia, per me, ha un valore. Mi pare di capire che lui di tutto ciò non sappia nulla. Dunque sto agendo alle sue spalle, cosa che mi fa non poco schifo, ma che dal modo in cui parli non pretendo che tu capisca. Se vuoi fare battutine sagaci su incesti e compagnia ballante - cosa che davvero reputo un autogol clamoroso - accomodati pure, non saresti la prima ne' l'ultima. Ma ricordati sempre.." ..che sono l'unica persona in questa cazzo di scuola che sta cercando di aiutarti. Questo almeno, era ciò che avrebbe voluto dirle. Ma per un motivo o per un altro non lo fece. Avrebbe potuto, e forse avrebbe persino chiuso il discorso mettendo in chiaro i ruoli in quella situazione. Ma sarebbe davvero stata la cosa migliore? Ne valeva davvero la pena, rinfacciarle l'aiuto che lui stesso le aveva teso solo per spuntarla un'altra volta? Forse quella potrebbe sembrare la frase meno offensiva tra tutte quelle che le aveva rivolto, ma scelse comunque di non dirla, di risparmiarsi almeno quell'uscita. E allora, per quella volta, decise di fare anche lui un autogol, inclinando appena il capo con aria vagamente ironica. "..che qualsiasi cosa tu dica, lo stai dicendo all'assassino della tua Barbie magia del Natale. E non c'è niente che tu possa fare a riguardo." Per solo un attimo, lo sguardo di Albus si colorò di una vena divertita e spensierata a quel ricordo, ma fu solo per un breve istante prima di riprendere la propria natura, avvicinando a sé uno dei due tomi.
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    "Ok.. allora.. questo..funziona. Il che significa che abbiamo uno scudo." annuì, aggrottando la fronte con aria concentrata. "Ma non possiamo né restare sotto una cupola d'acqua, né restare qui per sempre. Anche perché non è certo il luogo più sicuro al mondo. Ci sono delle regole. Cose che non posso menzionare.. altrimenti.." Altrimenti addio. Annuì una seconda volta, sforzandosi a lasciarla finire prima di fare ulteriori domande. "Però in realtà mi sono spesso chiesta se siano vere o meno. Fino a che punto queste cose possano effettivamente agire sul nostro mondo. Sto iniziando a realizzare che in realtà potrebbe essere soltanto qui..vuole farmi credere il contrario, ma credo che abbia bisogno di me, ecco perché potrebbe mentire." In seguito a ciò venne la ricapitolazione di ciò che era successo ad Hogsmeade quando si erano incontrati, nonché quando la problematica aveva davvero cominciato ad affiorare nel mondo di Albus. "Dopo quella sera.. pare tu gli abbia sottratto qualcosa. Un'anima. Lui è un traghettatore, giusto? C'è scritto qui. Porta le anime in una determinata direzione. Io so dove le porta." Strabuzzò gli occhi con aria interrogativa. "Io? Un'anima? E come gliel'avrei rubata, di grazia?" Una risata sarcastica affiorò spontaneamente dalla sua gola. Questo è assurdo. "Di per sé non dovrebbe essere un'entità maligna. Di questi esseri, mi pare, scrivono un po' tutte le credenze. Sono creature imparziali. Allo scoccare naturale del termine di ciascuno di noi.. non fanno altro che accompagnarci. Ma qui il naturale scoccare del tempo non sussiste. Ha cambiato scopo. Perché? Perché la Morte dovrebbe appoggiarsi a un essere umano? Perché dovrebbe avere a cuore dove le anime vengono traghettate? E soprattutto perché proprio adesso? La morte dilaga ovunque.. da quel che sappiamo le città sono state quasi completamente rase al suolo. Se lo capiamo, possiamo fare qualcosa. Se capiamo cosa vuole da me, e perché detesta così tanto te, abbiamo un vantaggio. Ma ora la cosa più urgente è.. cosa mi aspetta quando scenderai da questa barca vivo e vegeto?" Sospirò, chiudendo il tomo con uno schiocco secco e portandosi una mano al mento con fare pensoso. Non era poco da digerire, tutto ciò che lei gli aveva appena detto. Per giunta l'idea di avere un bersaglio disegnato sulla propria schiena non facilitava le cose, almeno non dal suo punto di vista. Rimase in silenzio a lungo, così a lungo che gli parve un'eternità, e forse lo fu. Teneva lo sguardo puntato sullo specchio d'acqua del lago come se nascondesse in sé una risposta che a lui sfuggiva. E in effetti una risposta c'era, una che entrambi sapevano, ma che evidentemente non volevano pronunciare. "E se non lo facessi?" chiese di colpo, sollevando poi lo sguardo eloquente negli occhi della concasata. "Se non scendessi da questa barca vivo e vegeto, intendo." A quel punto il suo sguardo si spostò verso la fitta boscaia della foresta proibita. "C'era tutto, tutto quello che vedi ora. Solo morto, abbandonato, freddo. [...] Perciò non ci andare, a meno che non sia strettamente necessario." E lui, a Fawn, aveva promesso di non andarci. Ma non è forse proprio quella una situazione di stretta necessità? "Almeno per un po', fino a quando non riusciamo a risolvere quanto meno una di queste domande e guadagnarci una leva."
     
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    « Ma come, Carrow? Una ragazza informata come te, con la spiccata presunzione di sapere sempre tutto, dovrebbe sapere anche di star rivolgendo l'accusa giusta al cugino sbagliato. Mi sarebbe davvero piaciuto fare da terapista di coppia, ma da quel che mi ricordo, una coppia è formata da due persone..non da tre, o sbaglio? » Potter dà il meglio di sé, non c'è che dire, e la Carrow ovviamente non apprezza dal canto suo, perché in fin dei conti quello è un colpo autoinflitto. Albus che parla tanto della famiglia, che le ha specificato più di una volta che avrebbe preso le loro parti qualunque cosa fosse successo, ora si ritrovava a sbilanciarsi e in modo non del tutto onesto. « Oh, questo Potter, è giocare sporco con le armi sbagliate. Voglio vedere se avresti le palle di rivolgere le stesse parole ai diretti interessati. » E forse ad avercele ce le aveva, ma certo quella storia non sarebbe finita bene per loro. Quelle erano davvero questioni delicatissime, su cui slisciare era la cosa migliore. Un vaso di Pandona senza fine, il crudo destino di cui si era avvolto quel gruppetto. Segreti, parole non dette, e drammi a non finire. Ciascuno di loro aveva così tante cose in sospeso che non era nemmeno chiaro da dove dovessero iniziare. « Magari glielo diciamo insieme. Sarei proprio curiosa di vedere come reagiscono i tuoi fratelli di sangue a quello che realmente pensi su di loro. » Frasi gettate sul momento, ma che chiaramente, proprio per la loro spontaneità e irrequietezza dovevano avere un fondo di verità. Dire che la Carrow provasse una punta di soddisfazione di fronte a ciò era poco. Anche in paradiso ci sono problemi. Chi l'avrebbe detto; il marcio lo trovi dove meno te lo aspetti. E lei, a modo suo, agente del caos per eccellenza, adorava veder sfaldarsi le maschere, più di qualunque altra cosa. Era bello veder crollare l'ipocrisia delle persone un pezzo alla volta. E forse, Amunet era in primis la più grande ipocrita che il destino avesse rivomitato nel mondo, ma in fin dei conti, finché si trovava ancora in una posizione di superiorità, poteva ancora crogiolarsi nella presunzione di trovarsi al di sopra. La non necessità di ricreare legami poi così forti, come quelli che effettivamente Albus, Fred e Hugo aveva, la metteva in quel momento al di sopra. E anche se in realtà entrambi erano ridicoli e nessuno dei due poteva sentirsi in diritto di dire alcunché, ci fu un momento in cui la Serpeverde si sentì in netto vantaggio sul suo avversario. « Le tue questioni di cuore non mi interessano, Carrow, e se nomino colui che non deve essere nominato è perché la famiglia, per me, ha un valore. Mi pare di capire che lui di tutto ciò non sappia nulla. Dunque sto agendo alle sue spalle, cosa che mi fa non poco schifo, ma che dal modo in cui parli non pretendo che tu capisca. Se vuoi fare battutine sagaci su incesti e compagnia ballante - cosa che davvero reputo un autogol clamoroso - accomodati pure, non saresti la prima ne' l'ultima. Ma ricordati sempre.. che qualsiasi cosa tu dica, lo stai dicendo all'assassino della tua Barbie magia del Natale. E non c'è niente che tu possa fare a riguardo. » Oddio santo, e io questo deficiente l'avrei anche difeso davanti a Betty Branwell. « Lascia che ti chieda una cosa: tu agli occhi di Betty vorresti mai apparire una completa merda? » Gli scocca un'occhiata eloquente prima di scuotere la testa. « Non rispondere. A quella poveretta gliene avrai fatte passare di tutti i colori, ma nemmeno tu vorresti essere guardato come lui guarderebbe me se sapesse. Tutto. » Quel tutto che a dirla tutta non aveva ancora confessato nemmeno a Potter. Ma lui era diverso; Albus non era coinvolto quanto Fred, e di natura non era propenso a fare domande. Fred dal canto suo non avrebbe mollato la presa finché non avrebbe capito ciascun dettaglio. Perché seppur loro quattro non fossero più un gruppo, seppur le coppie fossero scoppiate, un substrato ci sarebbe sempre rimasto. Forse avrebbero continuato a cascarci ancora e ancora, semplicemente perché per una qualche ragione, i conti non riuscivano a chiuderli. E finché c'erano questioni in sospeso, finché il vaso di Pandora, continuava ad fluttuare sopra le teste di quei quattro, avrebbero continuato lungo quel masochistico cammino che sembrava non andare da nessuna parte.

    « E se non lo facessi? Se non scendessi da questa barca vivo e vegeto, intendo. » Il colpo di genio a cui Mun risponde istintivamente scuotendo la testa. Segue lo sguardo del ragazzo che si erge sulla Foresta Proibita alla sua sinistra. E poi, lo sguardo di ghiaccio torna a cercare lo sguardo di lui, chiaramente in moto di disapprovazione. Ecco, l'ho rotto. Le rotelline di Potter funzionano meno del solito. E non aveva poi tutti i torti a pensarlo. Le voci sul conto della Foresta parlavano chiaro su quanto si consumasse tra quelli alberi. Un mannaro o un ragno gigante sembrava l'ultimo dei problemi di chiunque una volta addentratisi là dentro. A sparirne lì dentro, ce ne erano tanti; non altrettanti erano coloro che tornavano, anzi erano una netta minoranza. « Almeno per un po', fino a quando non riusciamo a risolvere quanto meno una di queste domande e guadagnarci una leva. » Sta facendo sul serio.
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    Incrocia le dita, posando il mento sulle nocche con fare riflessivo. La cosa peggiore è che anche Mun sta considerando la cosa. Non con la stessa serietà con cui lo sta facendo lui, ma lo sta facendo. Sono decisamente più fuori di testa di te, anche solo per considerarlo. « Quindi, fammi capire: io non ti faccio fuori, continuiamo a rischiare entrambi, non sappiamo nemmeno se la cosa funzionerà, ma ti lascio finire comunque nel tranello del diavolo. » Annuisce, con fare convinta, seppur è chiaro quanto tutto ciò sia intriso di ironia. « E' l'idea peggiore che poteva venir fuori. » Ed è anche l'unica. Altra ironia e una calma chiaramente solo apparente. Perché è chiaro che le sue rotelline stiano ora lavorando cercando di elaborare tutto quanto. E gli scenari sono davvero pessimi in ogni caso. « Ergo io resto comunque sola lì fuori a cercare risposte che chiaramente sono stata bravissima a trovare fino ad ora, mentre tu te ne vai a rischiare di crepare in qualunque momento.. in un posto di cui sappiamo meno di quanto sappiamo su questo essere qui. » Sospira guardandolo con un'aria fintamente divertita. « Genio! » Un'esclamazione colma di sarcasmo, che Mun non cerca nemmeno di nascondere. Scuote la testa chiudendo per un istante gli occhi. Non riesce nemmeno a crederci di considerare davvero quell'idea. Eppure.. « Sei sicuro? » Per un istante il tono si ammorbidisce. Si sente una merda Mun, anche solo per considerare di permettergli di fare una follia tale. Quella cosa avrebbe influito su molte persone e avrebbe condizionato non poco le loro vite, sempre se non fosse risultata vanificata dalle troppe cose che non sapevano e che potevano andare storto. « Perché deve essere credibile. » E non so davvero come faremo in modo che lo sia. « Se non dico niente a nessuno, inizieranno a cercarti.. e sappiamo che c'è chi non smetterà mai di farlo. » Accidenti, comunque vada, finché non troveranno un corpo, è probabile che non lo facciano in ogni caso. E questo li mette chiaramente sulla lista di veri e propri mostri. Solo dei mostri potrebbero sottoporre inutilmente così tante persone a una situazione del genere. « Se dico qualcosa, sorgeranno domande. Già mi immagino i capetti e il loro terzo grado. Perché siamo qui da soli? Di certo la storia di come ti parlo di un dio della morte nell'unico posto in cui non può sentirci prima che tu venga ucciso dal kraken, non regge. » Le domande le avrebbero fatte, perché Potter era un essere fastidioso, circondato da troppi ficcanaso che avrebbero preso i grandi per esaurimento finché non si sarebbero messi a indagare. Già immaginava la Potter a tempestarla di domande, per non parlare di Fred e Betty, la Stone e chissà quanti altri ancora. « E perché io mi sono salvata senza un graffio? » La bugiarda patologica ha difficoltà a trovare una storia convincente. O forse, le ipotesi più convincenti sono tutto fuorché percorribili perché Mun le accetti. « Se questi fiutano che posso averti fatto fuori io, finisco in qualche cella a marcire finché non usciamo da qui dentro. » Perché è ciò che avrebbero fatto i salvatori della patria, se avessero anche solo sospettato che qualcuno stia nuocendo al prossimo più di quanto non facciano già le trappole. « E a quel punto dovrai uscire allo scoperto e tutti, compreso il nostro amico, scoprirà la verità. » Sempre che lui non sia in grado di scoprirla comunque. Ryuk le aveva dato spesso l'impressione di sapere molto, tanto, sin troppo. « Senza considerare la crudeltà di questa facenda.. » Scuote nuovamente la testa, ben consapevole di quanto sia terribile una cosa di quel tipo. Cosa farebbe Mun se scoprisse che uno dei suoi cari è scomparso nel nulla? Ares, Fred, Maze, Nate. Ne sarebbe devastata. « ..è pesante. » Si ritrova a dire infine sotto voce, senza nemmeno tentare di nascondere la preoccupazione e il tormento che quella scelta porta con sé.


     
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    "Quindi, fammi capire: io non ti faccio fuori, continuiamo a rischiare entrambi, non sappiamo nemmeno se la cosa funzionerà, ma ti lascio finire comunque nel tranello del diavolo. E' l'idea peggiore che poteva venir fuori. Ergo io resto comunque sola lì fuori a cercare risposte che chiaramente sono stata bravissima a trovare fino ad ora, mentre tu te ne vai a rischiare di crepare in qualunque momento.. in un posto di cui sappiamo meno di quanto sappiamo su questo essere qui. Genio!" Sollevò un sopracciglio a quel fiume di commenti sarcastici che, dentro di sé, non poteva che vedere come completamente fuori luogo oltre che inutili. Cominciava a chiedersi, il nostro Albus Potter, per quale ragione non avesse semplicemente mandato tutto alla malora e fatto finta che quella storia non fosse altro che uno scherzo. C'era poco da fare: il team dei due Serpeverde, sulla carta, avrebbe pure potuto essere vincente, ma la loro impossibilità comunicativa risultava insormontabile come ostacolo. "Almeno io ho messo sul piatto qualcosa." A differenza della tua idea inesistente, che scommetto sia sicuramente più geniale di qualsiasi cosa io possa dire o fare; proprio così, a prescindere. Scosse il capo, arricciando il naso in una smorfia di puro scetticismo. Per quanto orribile fosse l'ipotesi che aveva tirato fuori, non vedeva davvero molte altre alternative. Se qualcuno doveva rischiare la pelle, tanto vale che si trattasse di uno solo dei due, e non di entrambi. Sarebbe stato decisamente più stupido il contrario. "Sei sicuro?" Il suo sguardo si fece più serio, risollevandosi nelle iridi della concasata. "Perché deve essere credibile. Se non dico niente a nessuno, inizieranno a cercarti.. e sappiamo che c'è chi non smetterà mai di farlo. Se dico qualcosa, sorgeranno domande. Già mi immagino i capetti e il loro terzo grado. Perché siamo qui da soli? Di certo la storia di come ti parlo di un dio della morte nell'unico posto in cui non può sentirci prima che tu venga ucciso dal kraken, non regge." Fair enough. Di certo trovare una motivazione logica a come lui fosse sparito, e in particolar modo alle circostanze connesse a quell'evento, non era un gioco da ragazzi. Tutti al castello sapevano quanto lui e la Carrow mal si sopportassero, e non avrebbe destato pochi sospetti il fatto che fosse proprio lei quella ad averne avvistato la sparizione. "E perché io mi sono salvata senza un graffio? Se questi fiutano che posso averti fatto fuori io, finisco in qualche cella a marcire finché non usciamo da qui dentro. E a quel punto dovrai uscire allo scoperto e tutti, compreso il nostro amico, scoprirà la verità. Senza considerare la crudeltà di questa faccenda.. è pesante." Si passò una mano sul viso stanco, cercando di venire a capo di tutti quegli interrogativi. Una mano, Carrow? Ogni tanto, sai, così, giusto per dire. "Lo so che è pesante." fu il suo commento secco, prima di piombare ancora una volta nel silenzio della concentrazione, fissando lo sguardo sull'acqua del lago su cui pesava una grossa coltre di nebbia sempre più fitta. Quanto meno possiamo essere quasi certi che nessuno ci abbia visti qui, ed è già qualcosa, in queste circostanze. Il problema principale, ai suoi occhi, stava nello scegliere se darsi per scomparso o per morto. In entrambi i casi sarebbe stato crudele, ma quanto meno con la prima ipotesi avrebbe lasciato uno spiraglio di speranza nei suoi cari, esponendosi tuttavia al pericolo che andassero a ficcare il naso un po' troppo a fondo. D'altra parte, però, la morte era una cosa troppo definitiva, che avrebbe schiacciato più di una persona. E per cosa, poi? Per ricomparire eventualmente con tanto di 'Sorpresa!' No, non poteva fare una cosa del genere a Olympia, a Fred, a Betty, a tutti i suoi amici e famigliari. Quanto ancora voleva girare il coltello nella piaga dell'affetto che nutrivano per lui? "Forse è meglio non far menzione del lago. Fa sorgere troppe domande a cui nemmeno la cazzata meglio architettata suonerebbe plausibile come risposta." Scosse il capo, come a sottolineare quel concetto. Rimase qualche altro istante in silenzio prima di riprendere parola. "Potresti dirgli che mi hai visto entrare nella foresta, hai provato a seguirmi, ma non sei riuscita a trovarmi e non te la sentivi di proseguire oltre da sola. Al tuo amico, invece, potresti portare questa come prova." e nel dire quelle parole estrasse dalla tracolla la Mappa del Malandrino. "Quando è chiusa può sembrare la più innocua delle pergamene, quindi non avresti alcun problema a nasconderla dagli altri. Inoltre, a me lì dentro non servirebbe comunque, mentre a te potrebbe tornare utile." Per me lo è stata. Fissò la pergamena vuota per qualche istante di troppo, guardandola con un moto di tristezza nel cederla a qualcuno che non fosse parte della sua famiglia. Senza contare il fatto che, senza di essa, all'interno della foresta, probabilmente non avrebbe avuto alcun modo di sapere se le persone che aveva a cuore fossero ancora in vita o meno. "Una volta lì, poi, ci penserò io a nascondermi o a depistare chiunque dovesse venire a cercarmi." si strinse nelle spalle, con un mezzo sorriso amaro "Sono pur sempre un metamorfomagus." E forse questo è il momento buono per imparare sul serio a metterlo a frutto. "Ti chiedo solo un paio di cose." nel dirlo riportò nuovamente lo sguardo a Mun, serio come non mai. "Mentre non ci sono, prenditi cura di loro. Tutti quanti. Tienili d'occhio per conto mio: a questo serve la Mappa. E in secondo luogo - a proposito di questa - .." fece una pausa, inumidendosi appena le labbra "..quando uscirò..se uscirò..restituiscimela. Ci tengo. E' una cosa di famiglia."
     
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    « Forse è meglio non far menzione del lago. Fa sorgere troppe domande a cui nemmeno la cazzata meglio architettata suonerebbe plausibile come risposta. Potresti dirgli che mi hai visto entrare nella foresta, hai provato a seguirmi, ma non sei riuscita a trovarmi e non te la sentivi di proseguire oltre da sola. Al tuo amico, invece, potresti portare questa come prova. » Non è convinta della versione che il ragazzo le fornisce, e quindi scuote la testa pronta a ribattere, ma prima che possa a farlo, Albus Potter le mette sotto il naso la sua preziosa Mappa. La Carrow solleva un sopracciglio con fare confuso, mentre lo sguardo cerca spiegazioni in quello di lui. « Quando è chiusa può sembrare la più innocua delle pergamene, quindi non avresti alcun problema a nasconderla dagli altri. Inoltre, a me lì dentro non servirebbe comunque, mentre a te potrebbe tornare utile. Una volta lì, poi, ci penserò io a nascondermi o a depistare chiunque dovesse venire a cercarmi. Sono pur sempre un metamorfomagus. » Lei annuisce a sguardo basso. Perché tutta quella situazione ha quasi il sapore di un addio? Si morde d'istinto l'interno delle guance, cercando qualcosa di eloquente da dire, ma viene preceduta dal ragazzo, prima che lei possa dire qualunque cosa. « Ti chiedo solo un paio di cose. Mentre non ci sono, prenditi cura di loro. Tutti quanti. Tienili d'occhio per conto mio: a questo serve la Mappa. E in secondo luogo - a proposito di questa - quando uscirò..se uscirò..restituiscimela. Ci tengo. E' una cosa di famiglia. » Scuote la testa di fronte a quelle parole chiudendo per un istante gli occhi. « Uscirai. » Una convinzione, una certezza che nessuno dei due può avere; ma Mun decide di crogiolarsi in quella sicurezza. Sta mandando una persona deliberatamente a morire. Dovrebbe essere diventata un'abitudine, eppure in quel momento non sembra affatto la stessa cosa. « E la riavrai. » Continua, issando lo sguardo in quello di lui. « E tornerai a scorrazzare in giro e a fare l'essere infinitamente fastidioso quale sei. » Ha qualcosa di davvero deplorevole quel momento. Un po' perché Mun riesce a percepire con quanta amarezza Potter si separi del suo prezioso aggeggio, un po' perché capisce la tristezza intrinseca in quel momento di realizzazione. Albus sta abbandonando tutte le persone a lui care. Si sta privando del compito di badare silenziosamente alla loro salvaguardia, e la sta ponendo nelle mani di Mun. Per la prima volta da quando tutto il casino è iniziato, la Carrow si sente responsabilizzata. Ha un compito; ha qualcosa per cui trascinarsi giù dal letto. « Farò del mio meglio. » Continua stringendosi nelle spalle. « Ed è proprio per questo che cercherò una versione della storia migliore. » Migliore dell'ipotesi che lui ha messo sul piatto. « Non è necessario attirare nella foresta altra gente senza mo.. » Senza motivo. Si interrompe prima di concludere quella frase. La cosa peggiore che avrebbe potuto dire, l'ha già detta. Abbassa istintivamente lo sguardo, mentre attira a sé la Mappa che lui le porge. La osserva senza poi molta convinzione. Sospira affondo mentre si passa una mano tra i capelli e allora impugna d'istinto la bacchetta, incantando i remi affinché li conducano verso una direzione ben precisa: la sponda del lago che s'insinua direttamente nella foresta. Lascia che i remi si muovano nelle acque scure del lago, mentre sprofonda in un silenzio tombale. Un silenzio agonizzante che ha tutta l'aria di una marcia funebre. Sta portando un'ipotetica carcassa verso la propria tomba ed è pronta a farlo, senza remora alcuna. Pare non aspettasse altro che un modo per liberarsi di Potter. Stai facendo il suo gioco sembra sussurrarle una vocina nella sua testa. Mun non ha esitato un secondo prima di accogliere la proposta di Albus, quasi come se, non stesse aspettando altro che una via di uscita. Sempre intenta a prendere la strada più facile, quella strada che, volente o nolente l'avrebbe spedita dritta dritta nella sua confort zone. Lasciare che gli altri patiscano per lei, quasi come se, lei fosse in diritto di subire meno di altri, era un atteggiamento che ormai le era entrato sotto la pelle. Per una qualche ragione Mun era certa di poter scaricare le proprie colpe su qualcun altro, quando in realtà l'unico problema era lei. Ci aveva provato con Fred, per tanto tempo. Mi ha lasciata e mi ha costretta a fare qualcosa che non volevo fare. Questo si è raccontata per un tempo infinito. Ma non era colpa di Fred se suo padre l'aveva sottoposta a quelle crudeltà, e non era colpa di Albus e Betty per aver pensato prima di tutto a loro stessi, per aver badato ai propri problemi scegliendo in piena autonomia quanto il loro cuore desiderasse fare. Mun stava scaricando su tutti loro, su tutti e tre, colpe che non avevano, che potevano avere. Non era colpa di nessuno se Mun continuava a vivere nel passato, se continuava a vivere aggrappata a speranze labili e spiegazioni fuori da ogni logica. Stringe quindi i denti e deglutisce, scuotendo improvvisamente la testa. « Non posso farti questo. » Una realizzazione a cui arriva mentre la barchetta si ferma ai confini con la foresta proibita. « Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. » Ha provato Mun ha raccontarsi il contrario. Ha provato a raccontarsi la storia di come fosse colpa di Potter se Ryuk la tormentava; ma mai, nemmeno una volta si era raccontata la storia di come il problema l'aveva creato lei. Perché non aveva avuto la forza d'animo per respingerlo, per non accettare le sue richieste. « Il problema non sei tu. » Sono io il problema. Il problema l'ho portato io tra noi. Ed è da egoisti lasciare che sia lui a pagarne le conseguenze. Per tutto quel tempo Mun ha cercato di chiedere aiuto, ma è rimasta inerme, senza fare nulla, in attesa che qualcuno riuscisse a indovinare in qualche modo i suoi problemi. Ma il mondo non gira così. Nessuno si cura di te, se non sei il primo a curarti di te stesso. Ci aveva capito più Albus di cosa la tormentasse in due settimane di quante ne avesse capite lei in due anni, e questo perché Mun non ci aveva nemmeno mai provato. Non aveva fatto nulla, per capire, per contrastarlo. Perché aveva sempre paura, e aveva sempre un alibi, e una scusa, e qualche bella storiella da propinarsi prima di andare a dormire. Mun voleva salvarsi, ma non faceva poi niente per arrivare a un risultato se non colpire parti terze. « Stiamo facendo il suo gioco. Ti sto mandando a morire. Quanta gente è uscita da lì dentro? » Scuote la testa ispirando profondamente, cercando di mantenere la calma. Non essere stupida, non è il momento di frignare.
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    « E per cosa? Ci sono persone che contano su di te là fuori. » Su Mun invece? Non c'è nessuno per cui sia effettivamente indispensabile. Per i suoi fratelli sarebbe solo una preoccupazione in meno, quanto ai suoi amici, non è indispensabile a nessuno di loro. Sua madre la odia, e non si può dire che abbia vere e proprie prospettive se anche Hogwarts dovesse sbloccarsi. La sera in cui i cancelli si erano aperti, era forse l'unica persona a tentare disperatamente di rifugiarsi nel castello piuttosto che tentare di scappare. « Cosa mi racconterò questa volta se non dovesse funzionare? E' colpa di Potter perché è morto? Mi ha promesso di risolverla e poi è morto? » Si stringe nelle spalle mentre le lacrime sono lì lì per sgorgare. « Come quando mi racconto che è tutta colpa di Fred. » Scuote la testa passandosi le mani sul volto. « Io l'ho lasciato entrare perché un Fred quindicenne non ha avuto il coraggio di amare una ragazzina stupida e debole. » Ti rendi conto di quanto sia assurdo e patetico? Come se Fred potesse davvero fare qualcosa contro suo padre. Come se chiunque tra Fred, Albus e Betty potesse davvero fare qualcosa a quei-tempi. « Saresti il capro espiatorio perfetto. Mi dai il tormento da quando ho quattro anni, e l'unico periodo in cui siamo andati d'accordo è finito di merda. Ma non è giusto. » E la giustizia era una di quelle cose con cui Mun sembrava stranamente ossessionata. Ma non è così che deve andare. E ci ha lasciato addosso una serie infinita di strascichi. Dicendo ciò tira su col naso passandosi la tracolla attorno alla spalla raccogliendo la propria bacchetta. E di scatto gli allunga la mappa, pronta a essere lei colei che abbandona la barca. « E tanto per essere chiari se non ci rivediamo.. » Dice infine, cercando di sdrammatizzare, seppur ormai il suo umore sia calato non indifferentemente. « ..era barbie magia delle feste. E quell'anno era introvabile. »



     
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    "Uscirai. E la riavrai. E tornerai a scorrazzare in giro e a fare l'essere infinitamente fastidioso quale sei." Sorrise appena, abbassando un po' il capo nella speranza di nasconderle quanto poco fosse sicuro di quelle parole che lei aveva appena pronunciato. Di ciò che lo attendeva dall'altra parte della foresta, Albus non aveva sentito che voci, spiegazioni vaghe e attanagliate da un profondo terrore. Non aveva idea di cosa avrebbe trovato, e per ogni persona che era riuscita ad uscirne, ve ne erano almeno altre dieci che ci avevano lasciato la vita lì dentro. Albus aveva sperato tante volte di essere un'eccezione, un individuo per cui le regole subivano sempre uno strappo, ma quella volta non ne era tanto sicuro, e una parte di lui sapeva quanto quel piano fosse suicida. Ma era anche l'unica opzione. "Farò del mio meglio. Ed è proprio per questo che cercherò una versione della storia migliore." cercò di rendere il suo sorriso leggermente più sentito, sollevando ancora una volta lo sguardo sulla ragazza. "Lo so." disse semplicemente, con onestà. A dirla tutta non sapeva per quale ragione si stesse fidando della Carrow, la stessa persona che gli aveva praticamente confessato un omicidio - e dati i recenti sviluppi, sospettava che quello non fosse l'unico. Si fidava e basta, almeno in quella circostanza. Perché purtroppo o per fortuna, un atto di fede è in questo che consiste: non è mai a senso unico, e se lo richiedi a un altro, inevitabilmente dovrai farlo anche tu a tua volta. Un salto nel buio senza ombra di dubbio, quello che entrambi stavano facendo nei confronti l'uno dell'altra. Un salto che avrebbe potuto rivelarsi non solo rischioso, ma addirittura fatale. Avevano però altre scelte? "Non è necessario attirare nella foresta altra gente senza mo.." Aggrottò per un istante le sopracciglia alla sua titubanza, rimanendo tuttavia in silenzio mentre la compagna procedeva a prendere la Mappa e incantare i remi della barca affinché li conducessero alla sponda indicata. Non proferì parola, probabilmente perché non aveva nulla da dire, e un po' perché il groppo alla gola si intensificava man mano che i contorni boschivi si mettevano maggiormente a fuoco in quella coltre di nebbia. « Leaving the things we lost, leaving the ones we've crossed. I have to make an end so we begin. To save my soul at any cost. » Sapeva quanto fosse ingiusta quella decisione nei confronti di tutte le persone che tenevano a lui, e sapeva quanto fosse ancora più crudele tenerle all'oscuro di tutto, lasciarle nell'agonia di credere perduto un fratello, un cugino, un amico, la persona amata. Ebbe un tonfo al cuore nell'immaginare i visi di Olympia, Betty, Fred e Fawn. L'ennesima tortura che infliggeva alle persone a lui più care. Quanto prima che capiscano che io non ne valgo la pena? Una domanda che si poneva da fin troppo tempo, ogni qualvolta si ritrovasse a compiere un'azione orribile ai loro danni, pur avendo in realtà il solo scopo di proteggerli tutti. Albus sapeva quanto forte fosse il loro affetto nei suoi confronti, ma sapeva anche di non meritarselo, o quanto meno di metterlo costantemente a dura prova fino a quando non sarebbe inevitabilmente arrivato il giorno in cui qualcuno avrebbe detto basta, che non era più disposto a soffrire, a pagare un prezzo così spropositatamente alto. Albus annegava da una vita, e non voleva l'aiuto di nessuno, ma c'era chi glielo dava lo stesso..o almeno ci provava. Prima o poi, però, anche quelle persone si sarebbero stancate; principalmente perché se vuoi affogare, affoga pure, ma non portare tutti giù insieme a te. E il giovane Potter, volente o nolente, quello faceva: trascinava la gente che gli si avvicinava troppo nel proprio gorgo autodistruttivo, ferendola a dismisura fino a ritrovarsi le mani completamente macchiate di sangue. E il fatto che nessuno dei suoi cari avesse ancora avuto la forza di lasciarlo semplicemente a sé stesso, non faceva altro che distruggerlo ogni giorno di più. L'amore rende ciechi: e tutti quelli che lo provavano per Albus erano tali, al punto di non vedere quanto sconveniente fosse l'acquisto che avevano fatto con lui. Lui lo sapeva, ed era il primo ad ammetterlo, ma nessuno sembrava ascoltarlo.
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    "Non posso farti questo." si riscosse a quelle parole, drizzando meglio la schiena e mostrando un'espressione interrogativa alla Serpeverde. "Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Il problema non sei tu." Confuso, ancora una volta, sollevò un sopracciglio. "Stiamo facendo il suo gioco. Ti sto mandando a morire. Quanta gente è uscita da lì dentro? E per cosa? Ci sono persone che contano su di te là fuori." Nel ricollegare velocemente i puntini, il moro si ritrovò a scuotere vigorosamente il capo, come a voler allontanare le considerazioni di Mun. Non voleva mandarla lì dentro, non voleva guardare Fred negli occhi, leggervi la disperazione dell'aver perso la persona che amava e non dire nulla. Semplicemente non poteva farlo, non era capace a mentire. 'Sì, Fred. Io c'ero quando lei è entrata nella foresta di sua spontanea volontà. Cosa ho fatto, dici? Nulla. Un bel nulla. L'ho lasciata andare indisturbata con una bella pacca sulla spalla e un buona fortuna'. Senza contare che Mun aveva un fratello, il quale non si sarebbe dato pace prima di arrivare al fondo della questione: tanto inarrestabile che prima o poi avrebbe fiutato qualcosa di marcio in quella situazione. Ares Carrow poteva sembrare una persona tranquilla, ma era palpabile in lui quanto quella calma fosse solo apparente, proprio come la quiete prima della tempesta, e la sua imprevedibilità avrebbe potuto mettere tutto a rischio. "No, Mun, non posso farlo. Non questo." provò a dire, ma venne bruscamente interrotto. "Cosa mi racconterò questa volta se non dovesse funzionare? E' colpa di Potter perché è morto? Mi ha promesso di risolverla e poi è morto? Come quando mi racconto che è tutta colpa di Fred. Io l'ho lasciato entrare perché un Fred quindicenne non ha avuto il coraggio di amare una ragazzina stupida e debole. Saresti il capro espiatorio perfetto. Mi dai il tormento da quando ho quattro anni, e l'unico periodo in cui siamo andati d'accordo è finito di merda. Ma non è giusto. E tanto per essere chiari se non ci rivediamo.. era barbie magia delle feste. E quell'anno era introvabile." Stava già cominciando a prendere le sue cose, ma prima che potesse mettere piede fuori dalla barca, Albus la bloccò, stringendo una mano intorno al suo polso, fermo nel suo intento. "Non è colpa di nessuno, Mun." disse veloce, puntando gli occhi tinti di verde dritti nei suoi. "Non è colpa mia, non è colpa di Fred, ma non è nemmeno colpa tua. Abbiamo fatto tutti delle scelte del cazzo. Scelte che eravamo troppo piccoli e stupidi per prendere. Non ne conoscevamo le conseguenze." Strinse di poco la presa sul suo polso, come a voler sottolineare la serietà di ciò che le stava dicendo. "Non è colpa tua se quella..cosa si è approfittata di te quando era più semplice farlo." Lasciò la presa, deglutendo nel mandare giù la pillola amara di un orgoglio che si trovava necessariamente a dover mettere da parte. "Ti ho voltato le spalle una volta.." e guarda cosa ne è venuto fuori "..non ho intenzione di commettere lo stesso errore. Sai benissimo che lì dentro ci sarà solo lui con te, e sospetto che sia proprio ciò che lo farebbe più felice." Ho fatto un sacco di errori in questi anni. Ho fatto sempre le cose sbagliate per proteggere le persone giuste. E tu con ogni probabilità sei la persona più sbagliata che ci sia, ma se di una cosa sono certo, è che questa sia la cosa giusta da fare. "Hai detto che ci sono persone qua fuori che contano su di me. E' vero. E allora mentre non ci sono sarà su di te che dovranno contare. La fiducia non funziona se è solo a senso unico. Tu ti sei fidata di me, anche solo inconsciamente. Io adesso mi sto fidando di te. E' l'unica maniera in cui possiamo vincere." « We fight every night for something. When the sun sets we're both the same. Half in the shadows, half burned in flames. We can't look back for nothin'. Take what you need say your goodbyes. I gave you everything. This darkness is the light. »
     
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    Amunet Carrow è una sopravvissuta; la sopravvivenza l'ha resa una persona arida dentro, estremamente razionale, incessantemente fiera del suo ergersi su un piedistallo solitario, lontano dagli occhi altrui. Eretto a prova d'artista affinché nessuno possa scalfire la sua immagine. Le crepe della sua personalità erano a dir poco invisibili. Studentessa modello, figlia e sorella esemplare, amica risoluta, ma pur sempre attenta e sempre calibrata. Sapeva sorridere quando fosse necessario, calcolando il piegarsi delle sue labbra al millimetro; sapeva comportarsi nell'alta società, onorare il rango e la classe a cui apparteneva, sapeva dimostrasi fiera del sangue che le scorreva tra le vene. Ma in fin dei conti, Mun era sempre stata una foglia al vento, perché sono le persone che maggiormente ostentano la loro perfezione a godere di un grado più ampio di disfunzionale personalità. La Carrow era disfunzionale, rotta, perché dietro il sipario, oltre il palcoscenico che tutti volevano vedere, e tutti ammiravano, c'era tutto lo sporco, il losco. Un complesso, quello, che Mun ha sempre voluto perdere per strada. Il riscatto, il perdono - dimenticare - sono cose che in cuor suo ha sempre desiderato ardentemente. Sganciarsi dal circolo vizioso in cui volente o nolente era entrata; gettare alle ortiche quanto sapientemente aveva costruito, per scoprire cosa ci fosse oltre quel palcoscenico, in platea, tra le migliaia di anime che lei non riusciva a raggiungere più di quanto non potessero farlo loro. Quella le era sembrata l'occasione migliore. Senza nemmeno accorgersene, Albus Potter le aveva dato l'occasione di scendere in platea, guardarsi intorno, scoprire che oltre quel fluttuante mondo di organza e sete impreziosite, ci fosse altro. Solidarietà, supporto, fiducia. E mentre è pronta a lasciare la barchetta, forse anche e soprattutto per dimostrarsi di aver imparato la lezione, si sente bloccare da dita calde calde che ci attorcigliano attorno al suo polso. « Non è colpa di nessuno, Mun. » Sgrana gli occhi appena mentre lo sguardo di ghiaccio saetta da quel gesto negli occhi di lui, piuttosto contrariati. « Non è colpa mia, non è colpa di Fred, ma non è nemmeno colpa tua. Abbiamo fatto tutti delle scelte del cazzo. Scelte che eravamo troppo piccoli e stupidi per prendere. Non ne conoscevamo le conseguenze. »
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    Sospira lungamente scuotendo la testa. Si considerava una persona previdente, pensava di avere tutto sotto controllo, e invece era stata ingenua ed estremamente stupida. Ha giocato con la morte e la morte gliel'ha lasciato credere. Ma non puoi ingannare la Morte. « Non è colpa tua se quella..cosa si è approfittata di te quando era più semplice farlo. Ti ho voltato le spalle una volta.. non ho intenzione di commettere lo stesso errore. Sai benissimo che lì dentro ci sarà solo lui con te, e sospetto che sia proprio ciò che lo farebbe più felice. » Abbassa lo sguardo, Mun. Probabilmente ha ragione, ma non può saperlo. Quel piano folle è giocato completamente su supposizioni. Su un'unica ipotesi sembrano tuttavia concordare pienamente. Devono starsi lontano, il più possibile. Uno dei due deve sparire, in un modo o nell'altro. Guadagnare tempo. Ingannare il dio della morte, il dio dell'inganno. Ma a quel gioco, Mun ci aveva già provato a giocare: ingannare la Morte. E non era andata bene, anzi se possibile aveva complicato ulteriormente le cose. « Hai detto che ci sono persone qua fuori che contano su di me. E' vero. E allora mentre non ci sono sarà su di te che dovranno contare. La fiducia non funziona se è solo a senso unico. Tu ti sei fidata di me, anche solo inconsciamente. Io adesso mi sto fidando di te. E' l'unica maniera in cui possiamo vincere. » Resta per un istante in silenzio, tempo in cui si morde le guance. Lo sguardo vaga sullo specchio d'acqua. Fiducia; un concetto così lontano dalla giovane Carrow. Lo professa spesso, ma non ha mai pensato di fidarsi effettivamente di qualcuno. La fiducia è preziosa, costa molto, tanto concederla quando averla, e il più delle volte è un buco nell'acqua. Nella vita di Mun ha portato più delusioni che altro e per questo anche solo il suono della parola, la mette a disagio, sugli attenti, la obbliga irrimediabilmente a ritirarsi, a chiudersi in se stessa, a rifugiarsi sul suo piedistallo, sulla sua isoletta deserta in mezzo a quel mare burrascoso che è la vita. Adesso o mai più, Mun. Devi prendere una decisione. L'isoletta la attende, il palcoscenico dai mille orrori è lì, pronto per lei. Ma Mun, decide per una strada diversa, e inaspettatamente, lascia che le dita si stringano attorno al gomito del ragazzo attirandolo appena a sé. Le braccia si stringono attorno alle sue spalle e lei lo abbraccia. Un silenzioso grazie. « Se dovesse succedere qualcosa non me lo perdoneranno mai. » Betty e Fred. Non me lo perdoneranno mai e io non avrò il cuore di guardarli negli occhi e mentirli spudoratamente. E non me lo perderò nemmeno io. E qualunque debito tu pensi di avere nei miei confronti, non verrà mai saldato. « Farò del mio meglio. » Dice quindi mentre si stacca, permettendogli di prepararsi. « Li terrò al sicuro. » Se me lo permetteranno. Perché di una cosa è certa; Mun non è Albus. Non è la figura rassicurante e amichevole che lui sa in ogni caso essere con loro. Non ha la sua tolleranza, il suo grado di pazienza nel ascoltarli e consigliarli, e probabilmente non ha nemmeno altrettanto coraggio di passare oltre i suoi stessi limiti e pregiudizi nei loro confronti. Infine si libera la spalla dalla tracolla che ha appresso e gliela passa. « Un po' di scorte. Non c'è molto, ma dovresti trovare qualche pozione che potrebbe farti comodo. C'è del cibo e acqua. E qualche libro.. semmai dovessi averne l'occasione. » I libri che Mun ha sottratto sotto il naso di Moses in biblioteca. Qualche antidoto e pozione rigenerante. Scorte base, il poco che si è impegnata di raccattare qua e là senza fare a botte in Sala Grande con i più piccoli. Avrebbe ricominciato da zero, ma quanto meno, aveva un motivo valido per farlo. « C'è una casetta sull'albero a poche miglia da qui; si trova in una radura a ovest rispetto all'ingresso principale. Ogni giorno quando senti il rintocco del Banchetto, fatti trovare là. Troverò un modo per farti avere altre scorte. » Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto, ma un modo lo avrebbe trovato. « Se dovessi avere bisogno di aiuto o di cose particolari, usa il Patronus. » Lo sguardo di lei si fa estremamente serio e imperativo. « Chiamami, capito? Non correre rischi inutili. » Come se non ne stessi correndo già abbastanza. Raccatta quindi d'istinto i libri che lui ha raccolto, e incantando la tasca del proprio cappotto li fa entrare a forza. Di quelli avrà ancora bisogno. Perché adesso sta tutto a lei. Annuisce infine, cercando di sembrare il più rassicurante possibile. Fingere è la cosa che meglio sa fare. Se ci riesce non lo sa. Ma certo quanto meno ci prova. Aspetta che lui scenda dalla barchetta. Affonda le mani nelle tasche, mentre lo vede darle le spalle e poi di scatto, poco prima di toccare i remi della barca i polpastrelli tastano qualcosa in particolare. Sorride appena, seppur vi sia amarezza nelle pieghe di quel riflesso involontario. « Ehi, Potter! » E dicendo ciò lascia penzolare per qualche istante l'ultimo pacchetto di Chesterfield che è riuscita a raccattare nella propria stanza prima che altri potessero svaligiargliela. E quindi glielo lancia. « Non c'è di che. » Dice infine prima di toccare i remi con la bacchetta, lasciando che questa si allontani dalla sponda, per iniziare a dirigersi verso la parte opposta del lago. Nel tragitto, non può fare a meno di osservare maniacalmente lo stesso punto. Ormai troppo lontana per percepire movimenti, fissa quindi la sponda inutilmente. Lo sguardo si posa per un istante sulla mappa che stringe ancora tra le mani. Non so cosa sia peggio tra i ragazzini e la foresta, si dice per un istante forse più per sdrammatizzare che altro.

    Giunta a destinazione, salta sul molo giù alla Rimessa. E non le ci vuole molto prima che la ombra oscura la affianchi. Deglutisce per un istante, ergendo lo sguardo tormentato sull'inquietante figura. « E' fatta. » Dice di scatto prima di stringere i denti. « Marcirà sul fondo del lago, per la tua gioia. » Ryuk ride, seppur assottigli lo sguardo per un istante, quasi come se volesse studiarla. E lei quasi volesse evitare domande al riguardo, lascia penzolare la mappa di fronte ai suoi occhi. Una cosa di cui non si separerebbe mai di spontanea volontà. « Sapevo di poter contare su di te. » I lunghi artigli si stringono attorno al suo gomito, volendola quasi attirare a sé. « Ora qui dentro non avrai più nulla da temere, bambina. » E questo è ciò che le fa più paura. « E' in arrivo una bufera. Rientra al più presto. » E questa è la storia di come i bambini ingannarono la Morte.

     
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