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    er bacchetta


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    Per settimane si era preparato - col corpo, con la mente e con il cuore - per il ritorno a Hogwarts. Un'unica consapevolezza l'aveva accompagnato, la certezza di stare tornando al castello col piede di guerra. Era una battaglia quella a cui era pronto ma non avrebbe immaginato neppure nei suoi sogni più fervidi ciò a cui stava andando incontro: Greagoir era sempre stato un sognatore, nel bene e nel male, e aveva passato gli ultimi giorni a immaginare i più svariati scenari. Le più fantasiose immagini avevano solcato la sua mente, si era visto addirittura scalare il palco e rubare la corona di reginetta del ballo a Missy! Perché di quella misura erano i problemi del fabbricante di bacchette, dall'alto della sua vita perfetta: non vincere una stupida competizione scolastica, vedersi portato via titolo e dignità, vedere il suo ex tra le braccia di un'altra. Perfino nell'aiutare la ribellione sottobanco, fornendo loro tutte le bacchette di cui avevano avuto bisogno, la dorata vita di Greagoir Olivander aveva continuato a scorrere placida e tranquilla, movimentata solo dai continui sopralluoghi dell'Inquisizione d'istanza a Diagon Alley. Non avevano mai trovato niente, malgrado tutti i sospetti, e ogni volta erano stati costretti ad uscire dalla bottega con la coda tra le gambe e un broncio quasi infantile sul viso. A veder il proprio passato con gli occhi del presente, Greg pensò a quanto stupido fosse stato, a quanto fosse stato bambino. Capriccioso come in fondo era sempre stato, aveva voluto tutto: sentirsi adulto, sentirsi un eroe dalla parte di quella ribellione clandestina, sentirsi ancora il perfetto Olivander che Hogwarts aveva imparato ad amare in sette anni. Sentirsi ancora Greg, solo Greg, per una persona con cui aveva rovinato tutto. Lui, inaspettatamente, continuava ad essere una variabile importante delle proprie scelte, Lui riusciva ad influenzarlo nonostante la lontananza. E, ironia della sorte, proprio accanto a lui varcò il confine che separava la sua vecchia vita, rosea e placida, dalla nuova realtà che sarebbero stati costretti a vivere. Insieme. Insieme quando il preside Kinglsey, che aveva avuto modo di conoscere durante il corso della serata, era stato ucciso dando il via ad una serie di eventi di cui, glielo lesse in faccia, neppure Rocket era preparato. Entrambi avevano orbitato intorno al nucleo della rivoluzione, ma erano stato attori marginali, contingenze; entrambi si erano ritrovati catapultati in una guerra che avevano scelto, sì, ma senza esserne veramente preparati. Una chiamata alle armi imprevista. Eppure, nella prima notte che li vide sigillati dentro il castello di Hogwarts, né Greagoir né Rocket si tirarono indietro. Spalla contro spalla, bacchetta alla mano, affrontarono l'uno accanto all'altro il nemico comune, vestito dei panni degli ultimi Inquisitori rimasti all'interno della scuola di magia intenti ad attaccare chiunque si parasse loro davanti. Superarono loro così come superarono la notte; solo alle prime luci dell'alba si ritrovarono uno accanto all'altro, stanchi e sgualciti, confusi. Insieme.

    Del lento alzarsi del sole nel cielo della mattina nessuno ebbe il minimo sentore, non un solo raggio colpì il viso di Greagoir quando finalmente si svegliò da un sonno che non aveva previsto. Quando si era addormentato? Sbatté appena le palpebre stanche, stropicciandosi gli occhi con le dita, cercando di capire esattamente la situazione. Era buio, ancora. Ricordava distintamente la notte passata a ripassare mentalmente ogni incantesimo d'attacco imparato negli anni, ricordava gli Inquisitori disarmati e abbattuti e ricordava come si fosse trascinato insieme a Rocket nella Sala dei Trofei. I tavoli apparecchiati e pieni di vivande che il preside aveva allestito per la festa erano stati in parte vittima della battaglia arrivata anche là dentro, ma nonostante il macello quello era sembrato loro uno dei luoghi più tranquilli per riposarsi un po'. Ricordava la decisione presa di comune accordo, ormai stanchi; ricordava lui. Mosse il viso ancora in dormiveglia, per riscoprirsi appoggiato col viso al petto di Rocket. Quante volte si era addormentato contro di lui, mentre guardavano uno dei suoi strambi film italiani? Troppe perché una parte di sè non reputasse quel risveglio naturale, prima ancora che tutto riaffiorasse alla coscienza: i tre anni lontani, la vita senza lui, Hogsmeade, i litigi, Ophelia. Aveva perso da tempo il diritto di dormigli accanto e la consapevolezza di questo lo assorbi completamente e con violenza, nel momento stesso in cui scattò a sedere composto sul divanetto su cui si erano seduti solo qualche ora prima. « Scusami, io.. » Mi sono addormentato, sì. Se n'è accorto da solo. Passò una mano tra i capelli spettinati. « Ho dormito molto? Che ore saranno? » Domanda tristemente retorica. Avevano scoperto insieme, solo poche ore prima, che tutti gli orologi della scuola si erano fermati, bloccati.. proprio come loro, chiusi in una grandissima e invisibile sfera di vetro. Se l'avessero scossa, sarebbe apparsa la neve? Avrebbero potuto arrovellarci il cervello in mille e uno modi, senza tuttavia capirci qualcosa. E come fare, dopotutto, se neppure capivano qualcosa di loro stessi? Gettò uno sguardo sul tassorosso, per la prima volta con una calma che non aveva mai avuto da anni: a Hogsmeade la sorpresa del rivederlo non gli aveva dato modo di valutare lucidamente alcunché. Nell'innaturale penombra che li circondava, risaltavano sul viso dello zingaro i tratti induriti del giovane uomo che era, nascosti appena da una barba che aveva visto nascere. Ma la cicatrice sul sopracciglio, i piercing di sempre, le labbra piene e i grandi occhi caldi.. tutto quello non era cambiato, tutto lo riportava al porticato di pietra accanto al cortile, là dove l'aveva baciato per l'ultima volta. Gli somigli così tanto, al mio Rocket.. ma non sei tu. E io non sono più io. Sospirò, abbassando infine lo sguardo che venne attirato da un problema che non aveva dimenticato, ma solo momentaneamente rimosso: la mano di Rocket. Le due dita rotte erano oramai gonfie e violacee, uno spettacolo doloroso alla sola vista, un fastidio che lo stesso Greg sentì sulla propria pelle. « Merlinobbono.. fammi dare un'occhiata. » mormorò, allungando la mano per prendere la sua, con delicatezza, incontrando tuttavia l'ultimo barlume di orgoglio dello zingaro. Come poteva dargli torto? Anche un animale ferito si ritrae di fronte alla minaccia di ulteriore dolore.. e Rocket era un uomo, all'istinto si univano ricordi dolorosi e delusione. Gli sembrava di potergliela leggere in faccia, la delusione, e bruciava come uno schiaffo.
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    « Avevamo detto tregua. » lo incalzò bonariamente, cercando di rabbonirlo con un tenue sorriso; tutt'intorno a loro regnava una calma innaturale, la quiete dopo la tempesta. Privi dell'adrenalina del pericolo, non gli sembrò affatto saggio prendere Dragomir "con le cattive". Certo, in passato aveva funzionato spesso.. ma c'era riuscito con un Rocket tutt'altro che offeso e mai, mai così ferito, nel cuore più che nel corpo. Quando riuscì a convincerlo, prese tra le mani quella di Rocket, sfiorando con tutta l'attenzione del mondo le dita che - sì, non serviva una laurea in medimagia per capirlo - erano rotte in più punti. Un sibilo di dolore sfuggì alla bocca del tassorosso, costringendo Greg a mormorare un "scusa" a fior di labbra. Non era un grande esperto di medimagia ma l'essere stato capitano dei Corvonero per un'intera stagione e averne fatto parte per i restanti anni gli aveva dato modo di vedere cosa un bel bolide può fare contro una mano messa male. Con le reminiscenze del campo da gioco, appellò con la bacchetta un pezzo di legno buttato sul pavimento, proveniente da uno dei tavoli rotti dalla battaglia. Con un Reducio non verbale perché fosse delle giuste dimensioni e un Ferula, iniziò a bloccare le dita lesionate. « Qua ci vorrebbe un po' di Ossofast.. come ai vecchi tempi. » A malapena trattenne un sorriso dei suoi, ricordando i momenti in infermeria insieme. Un tassorosso e un corvonero bloccati su letti adiacenti, dosi industriali di pozione Ossofast per via de n po' de danno e un legame nascente. Ma il sorriso morì sul viso di Olivander, quando incrociò gli occhi duri del ragazzo. Occhi feriti, malgrado tutto. Occhi capaci di perdonare, sì.. ma quando? A che prezzo? « Ho combinato un casino.. me ne vergogno tantissimo. » mormorò, il capo chino sulla mano del tassorosso, continuando a fasciarla con cura perché le dita fossero strette contro la stecca, ma non troppo. Chi l'avrebbe mai detto? Lui, Greagoir Olivander, il ragazzo perfetto, mortificato per aver toppato alla stragrande. « Avevi ragione.. su tutto. Hai sempre avuto ragione. » Sul fatto che volevo la guerra. Sul fatto che non sei un estraneo. Strinse con cura l'ultimo lembo di garza e ripose, a lavoro ultimato, la bacchetta nella giacca. Non aveva più scuse oramai, fu costretto a sollevare gli occhi e a guardarlo dritto in faccia. Rivedeva in lui la propria vergogna. « Magari dopo possiamo avvicinarci in infermeria, una boccetta di Ossofast ci sarà sicuramente! » Non cambiare discorso, Olivander. Sarebbe stato così semplice fingere che nulla fosse accaduto, non avere colpa, tornare ad essere il principe azzurro senza macchia e senza peccato capace di compiere solo gesti carini e puliti. Tornare ad essere quel Greagoir di cui Rocket si era innamorato, tanti anni prima. Esisteva ancora? Esistevano ancora? « Puoi perdonarmi? Non dico subito.. un giorno, magari.. » gli chiede, punzecchiandolo sul suo lato tenero. Un Rocket orgoglioso e arrabbiato era un Rocket che non sentiva ragioni, ma con le carezze si ammorbidiva sempre. L'aveva sempre fatto, lo conosceva dopotutto. Gli sorrise teneramente, inclinando appena il viso: « Facciamo pace? »



    Edited by Wand Boss - 15/11/2017, 23:58
     
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    'sono stati gli zinghiri'
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    Non si aspettava tutto questo, Rocket. Quella serata sembrava esser uscita fuori da uno dei suoi peggiori incubi. A partire dalla presenza di Greagoir al ballo, che l'aveva ferito nello spirito e nel corpo, e poi...tutto il resto. « Sentimi bene, smettiamola. Ok? Non voglio sentire nient'altro: io qui da solo non ti lascio. » Non ti lascio. Con delle semplici parole, quella parete di ghiaccio che gli aveva stretto il cuore in una morsa in tutte quelle ore, aveva iniziato a sciogliersi. Un barlume di speranza aveva illuminato il suo umore nero, la speranza di poter tornare come prima. Almeno un po', forse per solo qualche ora. Soltanto un momento, gli sarebbe bastato. Era stanco di quella guerra interna che avevano creato. Stanco di tutte quelle cattiverie che erano arrivati a pensare, dire o fare. Il suo cuore era incapace di odiare la persona che forse più di tutte aveva amato, e anche solo quel minimo sentore di rancore nei suoi confronti, lo opprimeva. Così aveva accettato di dargli ascolto, nonostante l'orgoglio da zingaro ferito non l'avrebbe certo messo da parte così facilmente. Ma erano in guerra, e Rocky sapeva cosa volesse dire. L'aveva provato sulla sua stessa pelle, il dolore. Non era certo un ragazzino come tanti altri che aveva visto scappare terrorizzati qua e là attraverso i corridoi, e proprio per questo, sapeva quanto si trovassero in pericolo. L'Inquisizione non scherzava. L'aveva sottovalutata per tanto tempo, ed aveva sbagliato a farlo. Per colpa della sua negligenza, per colpa della sua fiducia nel prossimo, in quel governo che sì odiava ma che mai avrebbe creduto capace di simili azioni, molta gente a cui voleva bene aveva perso la vita. E non l'avrebbe permesso un'altra volta. Non adesso, non con lui, non poteva permettersi errori. Poteva esser offeso quanto voleva, poteva convincersi di odiarlo con tutto sè stesso per tutto il tempo che gli andava, per una vita intera se necessario!, ma la sua vita valeva più di qualsiasi altra cosa. Più delle stronzate, dell'orgoglio e di quelle parole ormai remote che tanto l'avevano ferito. Al di là di tutto, Greagoir Olivander rimaneva Greg. Avrebbe ucciso, pur di proteggerlo. Ed era stato un Rocket completamente consapevole di ciò che avrebbero affrontato, quello che aveva combattuto al fianco di Olivander in quella notte. Avevano corso assieme ai lupi, proteggendosi e proteggendo chi ne aveva bisogno, spalla contro spalla, insieme. L'uno a sopperire alle mancanze dell'altro, sfruttando i rispettivi punti di forza con un unico obiettivo: non vedere l'altro morire. Perchè quello, nessuno dei due l'avrebbe mai sopportato. Quello avrebbe fatto più male di qualsiasi frecciatina, dito spezzato o messaggio minatorio. Sarebbe stata la fine, la vera fine. [...] Giunti dinnanzi alla sala dei trofei, l'unico luogo che in un momento del genere, a battaglia pressochè finita, era sembrato loro il posto più sicuro dove riposarsi, il Tassorosso non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte. Notte che, oltretutto, sembrava non avere fine. Era rimasto lì, Rocket, lo sguardo fisso sulla porta ed un ringhio sommesso a scuotergli il petto tutte quelle volte che sentiva qualche rumore farsi più vicino. Persino quando Greagoir alla fine si era addormentato, rannicchiato accanto a lui su di uno dei divanetti della sala, il Tassorosso era rimasto sveglio per tanto altro tempo ancora. Lo sguardo che di tanto in tanto si soffermava sul ragazzo a suo fianco, lo stesso ragazzo che, un trenta Ottobre ormai fin troppo remoto, era stato il suo ragazzo. Tanto tempo era trascorso da allora, e tanto sembravano esser cambiati loro, con le loro vite ed i loro caratteri. Eppure era con lo stesso sguardo di quel lontano 2011 che Rocky lo osservava dormire: sguardo assorto, innamorato, con un leggero sorriso a distendergli le labbra. E quel sorriso l'aveva accompagnato anche quando, accucciatosi contro Greagoir a causa di quella temperatura che sembrava scendere ogni secondo che passava, o forse per semplice abitudine, alla fine anch'egli aveva ceduto alle braccia di Morfeo. Stranamente sereno, nonostante tutto.

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    Un movimento attira la sua attenzione, e apre gli occhi di scatto, Rocky, sobbalzando appena. Si guarda attorno, visibilmente confuso, prima di metabolizzare ogni cosa. Sala dei trofei, Hogwarts fottuta, Greagoir...Greg! Cala lo sguardo in automatico, ed un sospiro di sollievo innalza leggermente il suo petto non appena lo vede. Proprio lì, poggiato su di lui, gli occhi chiusi mentre dorme ancora. Nonostante l'orgoglio, che man mano che riacquista lucidità comincia a riaffiorare, assieme al dolore alla mano ed al ricordo di tutto il pre-battaglia, non riesce a sentirsi a disagio in una situazione del genere. Quella posizione anzi gli inonda la mente di tanti di quei ricordi, che non può fare a meno di sorridere sommessamente e sinceramente, il Tassorosso, mentre con la mano sana sfiora il viso dell'altro, scostandogli alcuni ciuffi di capelli dalla fronte. Gli era sempre piaciuto guardarlo dormire, tutte quelle volte che si era addormentato prima di lui durante le loro serate dedicate al cinema italiano. Ed è strano, è tutto così strano. E' il suo Greg, ma al tempo stesso sembra non esserlo affatto. Riconosce quei meravigliosi lineamenti dei quali si era innamorato, riconosce le labbra sottili, la pelle chiara e liscia ed i capelli biondissimi..Eppure c'è qualcosa di diverso. Quello strato di barbetta, ad esempio, o quel cipiglio dettato da una maturità decisamente nuova ai suoi occhi. E' passato davvero così tanto tempo? Improvvisamente, Greg apre gli occhi, e si scosta immediatamente, scattando a sedere. « Scusami, io..Ho dormito molto? Che ore saranno? » Alza lo sguardo stanco verso di lui, Rocket, e si stringe nelle spalle. Non ha idea di che ore siano. Aveva deciso di aspettare l'alba per addormentarsi, ma l'alba non era mai giunta. Non sa come sia possibile; forse non hanno dormito per nulla. Forse hanno dormito così tanto che è di nuovo notte. « Non ne ho idea. Ma è ancora notte » Asserisce, lanciando un'occhiata verso la vetrata della sala « Quindi forse non hai dormito così tanto... » Mormora, tornando a guardarlo, il tono di voce appena freddo. I postumi della sua sfuriata lasciano ancora delle tracce nei suoi atteggiamenti, seppur lievi. Nota lo sguardo cristallino di Greg posarsi sulla sua mano, ed è allora che se ne ricorda; ed il dolore arriva tutto assieme. Cala gli occhi anche lui, mordicchiandosi il labbro inferiore. Non un bello spettacolo a vedersi, figuratevi ad esser vissuto. Le dita gonfie e violacee gli fanno un male cane. Dopo una nottata trascorsa con quelle fitte incessanti, sembra averci quasi fatto l'abitudine -complice la sua soglia del dolore piuttosto alta-ma ciò nonostante, non è certo una bella sensazione quella che prova. Alza appena la mano e cerca di muovere le dita. Non una gran bella idea. Reprime una smorfia di dolore, mentre si sforza di fingere indifferenza. « Merlinobbono.. fammi dare un'occhiata. » Non si gira verso di lui fin quando non nota le sue dita avvicinarsi. E allora si ritrae, lanciandogli un'occhiata fulminante e ringhiando d'istinto, in un primo momento; come l'animale ferito qual'è. Parla poco e reagisce coi gesti al momento, Rocket, e ciò sta a significare in genere solo una cosa: che la situazione è ben più grave di quanto non sembri, per zittire uno come Dragomir. « Avevamo detto tregua. » E Greagoir questo deve averlo capito, perchè è un sorriso bonario quello che accompagna le sue parole. E allora lo guarda, e sbuffa, mentre le ultime barriere del suo orgoglio ferito vengono spezzate. Li mortacci tua e dei tuoi sorrisi, Olivander. « Se mi fai male t'ammazzo. » Non si trattiene tuttavia dal dire, con quel suo fare da orso brontolone che l'ha sempre caratterizzato. Sa che Greg non gli farebbe mai del male, in fondo l'ha sempre saputo. Anche quando ha dubitato di lui durante il ballo, una parte di sè ha continuato ad urlargli di smetterla con quei pensieri assurdi. Lascia quindi che il suo tocco delicato si adagi sulla sua mano ferita, e nonostante non lo voglia dare a vedere, il solo fatto che si stia preoccupando per lui, gli dà sollievo. Un piccolo gemito di dolore trapela dalle sue labbra tuttavia ad un certo punto, mentre lo sguardo risentito saetta sul volto di Greg che, mortificato, mormora un sincero scusa col labiale. Sospira, tranquillizzandosi un minimo perchè di avercela con quell'Olivander così docile proprio non ce la fa, e serra la mascella per evitare di sibilare ancora per il dolore sotto le sue medicazioni. Un leggero sollievo lo porta a trarre un profondo respiro non appena il bacchettaro decide di bloccargli le dita lesionate con delle asticelle di legno. « Qua ci vorrebbe un po' di Ossofast.. come ai vecchi tempi. » Una vagonata di ricordi lo investe in pieno. Il loro primo incontro, le notti passate a ridere, scherzare e conoscersi in infermeria...Alza lo sguardo verso di lui. « Ho combinato un casino.. me ne vergogno tantissimo. » L'espressione ancora corrucciata, mentre lo fissa attentamente. « Già, su di questo te do ragione. » Borbotta quando finalmente si decide per parlare, ed il tono di voce che vorrebbe essere acido e tagliente, risulta più..Offeso. Ma di un'offesa tenera, in fondo, come quella di un bambino al quale è stata negata un'altra fetta di torta. Si offenderà per qualche minuto, farà il broncio, ma poi, grazie ad un abbraccio della mamma, tornerà tutto come prima. « Avevi ragione.. su tutto. Hai sempre avuto ragione. » Vederlo così remissivo e dispiaciuto non gli piace, perchè in fondo, Rocket riconosce di avere anche lui alcune colpe. Il bacio con Ares e Missy, per esempio, o il bacio ad Hogsmeade. Ciò nonostante, rimane in silenzio per vedere dove l'ex Corvonero voglia arrivare. Ma, in tutta risposta, il biondo cambia discorso, visibilmente a disagio, ed è con l'ennesima occhiata di gelo che Rocket lo inchioda lì sul posto. « Puoi perdonarmi? Non dico subito.. un giorno, magari.. Facciamo pace? »

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    Eccolo di nuovo, quel dannato sorriso. Lo fissa in silenzio, sforzandosi di non sorridere a sua volta per mantenere quell'ultimo barlume di orgoglio ormai decisamente traballante. Facciamo pace, due semplici parole che forse avrebbe voluto sentire sin dall'inizio. Sin dal primo momento in cui l'aveva rincontrato per caso ad Hogsmeade. Perchè in fondo, in quei tre anni, l'aveva sperato ogni giorno di far pace. Con questa speranza inconscia aveva continuato la sua vita lì al castello, facendosi rimandare di anno in anno per non esser costretto a tornare in Italia, ed abbandonare tutto. Abbandonare lui. Uno sbuffo spezza quel silenzio interminabile, prima che Rocky decida di agire. ...Mollandogli un pugno. Sulla spalla, chiaramente non con l'intento di fargli male (..non troppo male, per lo meno), e con non troppa forza. ..Beh, secondo i canoni di quell'energumeno di Dragomir, i quali sono sempre stati alquanto discutibili. « Questo è per aver fatto lo stronzo! » Bofonchia, guardandolo, prima che le sue braccia lo avvolgano all'improvviso, per stringerlo a sè. Un abbraccio inaspettato, eppure decisamente desiderato. « ....E questo è per tutto il resto. » Per essere vivo, quì,al mio fianco. Rimane qualche minuto fermo in quella maniera, il viso poggiato tra l'incavo del suo collo e la sua spalla. Vorrebbe restare in quella posizione per ore intere, stanco com'è di tutta quella guerra che si son fatti. « Se devo restà chiuso in sto castello demmerda per sempre, so contento di esserlo assieme a te. » Perchè altrimenti avrei distrutto i cancelli a testate. Si distacca, lanciandogli un'occhiata di sottecchi, prima di distogliere lo sguardo. « Ovviamente so ancora offesissimo. » Brontola, e non si crede nemmeno lui. Sospira, setacciando ogni angolo della sala con il chiaro intento di non incontrare il suo sguardo. Inutilmente. Perchè lo incontra, alla fine, e non appena lo fa, il primo sorriso vero di quella serata si dipinge sul suo viso stanco. Ed è allora che ride. Ride come quel Rocky di quel lontano 2011, mortalmente imbarazzato di fronte a ciò che avevano fatto e ciò che stavano per fare. Forse non tutto è cambiato. « T'avevo già perdonato ancora prima de condannarti. Però hai fatto davvero la merda, lasciatelo dì. Okay che magari me lo meritavo, però... » Piccola pausa. « Okay vabene me lo meritavo. Scusa per quello che è successo ad Hogsmeade, anche se me ricordo davvero poco...A parte il tuo pizzone da guinness. » Si massaggia la guancia con fare teatrale, ridacchiando sommessamente « E..scusa anche per la telefonata. Ovviamente non avrei mai portato ar termine nessuna delle mie minacce di morte, lo sai vè? » Gli lancia uno sguardo a tratti colpevole. « Insomma, abbiamo fatto gli stronzi tutti e due, morale della favola. E a me so costate due dita rotte » Lo sguardo si posa sulla mano ormai fasciata, e sorride nell'osservare l'accuratezza con la quale Greagoir lo ha medicato. « Se te dico che forse, ce sto ancora a pensà, nun t'emozionà, potremmo nell'eventualità fare pace... Che si fa? » Piega la testa di lato, mentre è un sorriso sincero e bonario a tradire ogni sua parola. Un orso davvero poco credibile, questo Dragomir.


    Edited by boys don't cry - 17/11/2017, 01:10
     
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    Facciamo pace? Due parole mormorate in un filo di voce dolce, cullate da un sorriso nato spontaneamente sulle labbra dell'ex Corvonero. Non aveva avuto bisogno di rifletterci su, di studiare la strategia giusta per farsi perdonare dallo zingaro ferito, perché sapeva di potercela fare. Senza presunzione, senza arroganza. Una parte di sé, il suo istinto più recondito, sapeva di poter far breccia nel cuore di Rocket perché già una volta ci era riuscito. Quando Rocket Dragomir non era altro che lo straniero povero e isolato da tutti, chiuso nella sua dura corazza di cattivo ragazzo, Olivander aveva oltrepassato le sue difese scoprendo il buono che c'era in lui; quando la violenza si era insinuata nel loro rapporto e aveva messo a rischio una relazione che ancora stava sbocciando, Greagoir aveva saputo scavare nel cuore dell'altro ritrovandovi gentilezza, non più pugni ma carezze. Con un ultimo sorriso, misurato ma genuino, caldo malgrado le ferite ancora aperte, il biondo sciolse le ultime riserve di un Rocket troppo stremato - fisicamente e psicologicamente - per continuare a combattere una guerra su due fronti. Gliela si poteva leggere in faccia, la stanchezza, sotto forma di ombre accentuate sotto i grandi occhi verdi; non doveva aver dormito. Ma pur con tutta la stanchezza del mondo, con tutto il male che da tempo sembrava aver preso di mira Dragomir, lo zingaro riusciva a rimanere sé stesso, fedele e coerente al proprio essere fino alla fine. E cosa fa un Dragomir, davanti ad un'offerta di pace? « Ouch! » Da' un pugno. Greg si massaggiò la spalla, dolorante per il colpo che il tassorosso gli aveva mollato. Gli fece male, sì, ma in un certo qual modo il dolore fu liberatorio, una sorta di penitenza per tutto ciò che il suo comportamento stupido e capriccioso aveva scatenato. « Questo è per aver fatto lo stronzo! » Lui ha due dita rotte, non ti lamentare per un piccolo livido! Non riusciva a dargli torto, lo stronzo lo aveva fatto davvero! In fondo, Greagoir Olivander stronzetto lo sapeva essere davvero, quante volte ne avevano riso insieme? Semplicemente, non lo era mai stato con Rocket: una novità che aveva fatto doppiamente male a entrambi. Aveva ancora lo sguardo basso sulla propria spalla quando, con tutta la sua mole, lo zingaro lo avvolse in un abbraccio forte, vigoroso, caldo. Il respiro di lui sulla pelle del collo fu una carezza capace di farlo sorridere ancora, più teneramente. « ....E questo è per tutto il resto. Se devo restà chiuso in sto castello demmerda per sempre, so contento di esserlo assieme a te. » Non ebbe neanche il tempo di pensare, che già le braccia erano corse a stringerlo all'altezza del torace, molto più ampio e muscoloso di quanto ricordasse. Forse nel corpo Rocket poteva essere cambiato, forse il tempo aveva mutato entrambi.. ma solo esteriormente. Il calore che percepì sotto i vestiti, contro il suo corpo, lo conosceva. I capelli scompigliati di Rocky tra le dita gli diedero la stessa sensazione di sempre. Tutto, in quell'abbraccio, aveva un sapore di nostalgia e di già vissuto, tutto era intenso oltre ogni aspettativa. « Ovviamente so ancora offesissimo. » Allontanandosi lentamente dal tassorosso, sbirciò il suo viso per ritrovarvi un sorriso che via via diventava sempre più evidente, terreno fertile per una risata che nacque dal cuore, inaspettata e fragorosa. Viva in un campo di morte. Perché questo era Rocket Dragomir: era la vita che, insistente e ostinata, reclama per sé il proprio spazio, in un mondo che sembra nato solo per soffrire. Era incrollabile tenacia, Rocket; era l'orgoglio che non ammette sconfitta. Una tregua, al massimo, e solo se chiesta gentilmente. « Ovviamente... sei uno scemo! » Lo spinse appena, ridendo insieme a lui per la prima volta dopo mesi. Da quanto non rideva così, con l'animo leggero? In fondo Greg aveva riso molte volte nel corso dei tre anni che li avevano visti lontani, Greg era stato bene, ma qualcosa l'aveva sempre tenuto ancorato al suolo, coi piedi per terra. Proprio lui, Greagoir Olivander, il folletto spigliato ed eccentrico che sembrava fatto di aria e nuvole, di leggerezza e sorrisi perfetti. Per la prima volta, e solo per una frazione di secondo, si sentì volare di nuovo.

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    Le risate terminarono quasi all'unisono, con un sospiro che li lasciò sereni l'uno accanto all'altro, vicini come non erano stati da diverso tempo. Si guardarono, in un silenzio che reclamava a gran voce d'essere riempito. Era davvero necessario? A Greg in fondo era sempre piaciuto stare in silenzio insieme a Rocket, pienamente consapevole di non aver bisogno di parlare per scacciare il disagio. Eppure un certo disagio iniziava a sentirlo, man mano che la pace tra loro diventava tangibile: più si avvicinavano, più si facevano evidenti i problemi che c'erano stati tra loro, i più recenti e via via anche i più lontani. « T'avevo già perdonato ancora prima de condannarti. Però hai fatto davvero la merda, lasciatelo dì. Okay che magari me lo meritavo, però... Okay vabene me lo meritavo. » Sì, ho fatto la merda.. e sì, dannazione, te lo meritavi. Greagoir non sentiva di avere scusanti, certo, ma sapeva di non essersi svegliato da un giorno all'altro col piede di guerra. Tutto aveva trovato un equilibrio, seppur precario, finché Rocket non era planato sulla sua vita, ancora una volta come su una scopa difettosa, facendogli male. Era una costante, la loro. « Scusa per quello che è successo ad Hogsmeade, anche se me ricordo davvero poco...A parte il tuo pizzone da guinness. » Fece cadere in avanti il viso, soffocando una risata imbarazzata e stropicciandosi gli occhi stanchi. Gli doveva aver lasciato il segno della cinquina per giorni! Quanto sarebbe stato più semplice per tutti, se quella sera avesse accettato le lusinghe di Rocket e, con esse, le sue labbra? Tutto sarebbe stato diverso? O forse, semplicemente, sarebbero stati distanti: Dragomir e la sua bella reginetta del ballo intrappolati a Hogwarts e Greg chissà dove a continuare la sua vita, con ancora il sapore del suo zingaro sulla bocca. Indelebile, com'era sempre stato. « E..scusa anche per la telefonata. Ovviamente non avrei mai portato ar termine nessuna delle mie minacce di morte, lo sai vè? » Annuì sommessamente, rialzando gli occhi verso i suoi. C'era stato un tempo, tanti anni prima, in cui avrebbe potuto dubitare di lui, in cui avrebbe potuto perfino crederci.. ma era un tempo remoto e mille altre volte Rocket gli aveva dimostrato di essere cambiato. Avrebbe preferito spaccarsi le mani contro un muro piuttosto che torcergli un solo capello una seconda volta. « Insomma, abbiamo fatto gli stronzi tutti e due, morale della favola. E a me so costate due dita rotte. » Continuò a fissarlo, immerso sempre più in una fitta coltre di pensieri. Potevano dirsi pari, pari davvero? Una volta trovata un po' di Ossofast, le dita di Rocket sarebbero tornate come nuove.. ma i tre anni di lontananza avevano sanato il cuore di Greg, rotto alla stessa identica maniera? Una parte di sé pensava di sì, un'altra ancora diceva che non sarebbe mai guarito da un dolore tanto grande, quello che solo il tradimento di un vero amore sa infliggere. E poi una terza voce, sempre più distinta, con cura tentava di abbracciare a sé un pizzico di razionalità e uno di sentimento, per sostenere che no, il cuore di Greagoir Olivander non era ancora guarito, folle pensare il contrario! Ma era pronto a farlo e avrebbe iniziato perdonando Rocket di tutto. Che si fa? Con un sospiro, il bacchettaro si alzò dal divanetto e iniziò a camminare in silenzio nella Sala dei trofei, fino a che non si soffermò su una delle teche alle pareti. Targhe e coppe di ogni tipo decoravano la sala, ma la grande vetrata che attirò l'attenzione di Olivander raccoglieva qualcosa di molto particolare: le coppe del quidditch. « Tassorosso 2013. » mormorò, quasi tra sé e sé, prima di voltarsi verso Dragomir. « Ti ricordi? »

    ____________________

    "Il 2013 sarà il mio anno, me lo sento!" non aveva fatto altro che ripetersi Greagoir Olivander, caricandosi giorno dopo giorno di una positività che iniziava ad essere eccessiva perfino per lui. Insomma, il 2012 era stato il suo anno! E il 2011? Oh, quell'anno era stato davvero suo! Ma nel 2013 riponeva la più completa fiducia. Era stato riconfermato Caposcuola dal preside e la sua esperienza come presidente del Clavis Aurea stava continuando più felicemente di quanto si fosse mai aspettato. Chi l'avrebbe mai detto, allora, che i compagni di squadra avrebbero scelto proprio lui per farlo diventare Capitano dei Corvonero? Ulteriori responsabilità, aspettative altrui sulle spalle. Se poteva farcela? Certo, si diceva, come sempre! E in effetti, ce l'aveva fatta. Aveva impegnato ogni minuto libero del proprio tempo per studiare gli avversari, che dopo anni di militanza nel quidditch oramai conosceva come le proprie tasche, e per ogni squadra aveva preparato uno schema di gioco ad hoc. I grifondoro avevano un portiere eccezionale e una difesa impeccabile, che il caposcuola riuscì a oltrepassare non oltrepassandola affatto! Tutte le energie vennero impiegate per contrastare i loro cacciatori con i bolidi per il tempo necessario affinché il cercatore afferrasse il boccino, il più velocemente possibile! Quanto ai serpeverde, i loro battitori erano vere e proprie macchine da guerra. Greg e Harvey Frost, il suo compagno battitore, dovettero marcarli a vista e rispedire al mittente ogni loro bolide, rimanendo incollati ai loro cacciatori per difenderli dall'offensiva nemica. Tuttavia, nel 2013 accadde qualcosa che in pochi avevano previsto: Tassorosso conquistò la finale della coppa del quidditch. Non era una squadra di Tassorosso qualunque quella che gareggiò nel 2013, non era quella che tutti avevano imparato a conoscere.. non da quando Rocket Dragomir era stato schierato in campo, lasciando tutta la scuola di stucco. Non era semplicemente bravo, lo zingaro aveva un talento che in pochi sul campo riuscivano a contrastare.. qualcosa a cui neppure gli schemi di gioco di Olivander riuscirono a far fronte. Durante la finale della Coppa, Corvonero contro Tassorosso, la vittoria di questi ultimi fu schiacciante. 350-150: Corvonero era riuscito ad acchiappare il boccino, ma non servì a nulla di fronte all'enormità di punti che Rocket Dragomir e i suoi compagni cacciatori avevano portato a casa. Erano anni che Hogwarts non assisteva ad una competizione tanto accesa.. e che Greg non sentiva una sconfitta bruciargli così tanto nel petto.

    Capitan Olivander, ancora vestito della divisa blu scuro zuppa di sudore, marciò nello spogliatoio le cui pareti vibravano per il vociare dei tassorosso in festa. Superò il loro capitano che beveva burrobirra dalla coppa che avrebbero poi conservato nella sala dei trofei, superò i due battitori che ballavano a braccetto e afferrò il polso di un Dragomir già pronto a buttare giù il secondo shottino di whiskey incendiario. Lo trascinò oltre la porta sul retro, soli in un angolo del campo ormai buio nella fresca aria serale. Finalmente soli, cadde tra loro un silenzio tombale. « Mi hai fatto fare davvero una gran bella figura di merda, lo sai? » Lo sapeva, così come lo sapeva tutta la scuola. Dopo quel fallimento, si sarebbe dovuto dimettere dalla carica di Capitano - come avrebbe fatto, per concentrarsi sui propri doveri di Caposcuola e di studente in vista dei M.A.G.O. Tutto sul viso del corvonero sembrava urlare allo sdegno, all'offesa.. ma questo fu prima che gli si avvicinasse, posandogli entrambe le mani al petto. Scosse la testa, alzandosi meglio sulle punte per raggiungere il suo viso. « ...sono così fiero di te... » gli sussurrò, sfiorandogli il viso con la punta del naso. « Rocket Dragomir, stella nascente del quidditch. » Per ore interminabili i due giovani avevano parlato del futuro, in particolare di quello di Greagoir, che l'avrebbe portato a gestire gli affari di famiglia. E Rocket? Ah, il futuro di Rocket era un incognita e, ormai l'aveva capito, l'incertezza sul proprio futuro di tanto in tanto pesava un po' troppo. Questo fin quando quel ragazzone non saliva su una scopa, dando un senso alla propria esistenza. Cosa mai avrebbe potuto importare a Greg di una stupida coppa scolastica? Era uno smacco all'onore personale, certo.. ma era anche la conferma che perfino Rocket avesse trovato finalmente una strada da percorrere, perché un talento tanto sfacciato non poteva certo essere ignorato. Lasciò le sue labbra dopo un bacio lungo e dolce, prima di lasciarlo andare. « Chambers dovrebbe baciare la terra su cui cammini, senza di te vi avremmo fatto il culo blu e bronzo! Torna dentro e bevi anche alla mia. » Fu così che il nome di Rocket Dragomir divenne immortale nella storia sportiva di Hogwarts e Greagoir capì di amarlo: la sconfitta, in fondo, non bruciava poi così tanto.

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    Sfiorò con la punta delle dita il vetro che proteggeva ancora la coppa di quidditch, la testimonianza di un tempo in cui erano stati felici. Sul vetro, poté vedere il riflesso di Rocket ancora seduto sul divanetto. Che si fa? Si fa la pace, proprio come aveva proposto, come aveva sognato di fare tutte le volte che l'odio e il risentimento non prendevano il sopravvento. Eppure, non aveva idea di come fare. « Non ho perso neanche una tua partita, in questi anni. » confessò infine, di punto in bianco, dopo un tempo indefinito. Non sapeva cosa stesse dicendo né dove volesse realmente andare a parare. Forse voleva solo alleggerirsi il cuore dalle verità che il destino aveva tenuto lontano da Rocket. « Non fraintendermi, tifo ancora i Wanderers..! » si lasciò sfuggire una risata stentata, voltandosi per vedere se anche questa volta, come sempre, Rocky si fosse lasciato sfuggire un'espressione schifata. Da generazioni a casa Olivander si tifava i Wigtown Wanderers, squadra rinomata per essere l'ultima in classifica da oltre 70 anni! e questo Rocket non l'aveva mai capito né mandato giù. Avevano perfino litigato, una o due volte! « ...ma c'eri tu e Merlinobbono se eri bravo! Il miglior acquisto dei Falcons di sempre, dicevano le telecronache. » Deglutì, giocando nervosamente con le dita, mentre sentiva il cuore accelerare il battito e gli occhi farsi appena più lucidi. Non aveva intenzione di piangere, né sentiva il bisogno di farlo, ma una forte scarica di emozioni e sensazioni lo investì; il ricordo degli anni in cui aveva dovuto fare i conti con sé stesso e col pensiero, incessante e folle, di non essere abbastanza. « Ti ho odiato, lo sai? Da morire. Ci ho messo tutte le mie forze per odiarti, mi sono impegnato da matti.. » e gli sorrise, una smorfia tirata e sofferente mentre il rospo rimastogli in gola per anni iniziava a saltare fuori. « Credevo perfino di esserci riuscito! Che stupido.. » Si abbandonò con le spalle contro la tera, posando la nuca sul vetro freddo e alzando gli occhi verso il soffitto in pietra. Fu allora che, senza nemmeno guardarlo, parlò. Il rospo saltò fuori, liberandolo da un peso durato tre anni. « Perché mi hai lasciato? » Puoi dirmelo. Sono grande, posso reggere il colpo. « Se voglio perdonarti, devo saperlo.. ne ho bisogno. » Credo.
     
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    'sono stati gli zinghiri'
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    Ride. Ride come non faceva da tempo, ormai. Ride col cuore leggero e la mente spensierata. La risata di Greagoir a suo fianco che lo accompagna, e lo induce a dimenticare ogni cosa, anche solo per un momento. I litigi, gli insulti, i dispetti e la violenza. Sembra un passato ormai remoto, quello, un passato fatto di stronzate, grandi e grosse stronzate. Perchè loro non sono questo, non lo sono mai stato. Non sono violenza e non sono cattiveria. Non sono dispetto e rancore. Greg e Rocky sono tutt'altro. Amore, niente di più, niente di meno. Lo sono stati e lo sono ancora, probabilmente, nonostante tutto. Perchè basta vederli per capirlo. Basta vedere come si siano spalleggiati a vicenda durante la guerra che li ha visti protagonisti indiretti quella notte. L'uno con in testa un unico e solo obiettivo: proteggere l'altro. E basta anche solo notare il modo in cui i loro visi si illuminano ogni volta che stanno assieme. Quella scintilla pura, vivida, concreta e reale che attraversa ogni centimetro del loro volto sino ad insinuarsi attraverso i loro vasi sanguigni e posizionarsi proprio lì, nel cuore. E lo sente Rocky, al momento, il suo cuore. Batte forte, vigoroso, come risvegliato. E' una sensazione nuova e vecchia al tempo stesso. Nuova perchè non la prova ormai da tempo, vecchia perchè è solo con lui che l'ha mai provata. Alla fine sospira, quando la risata abbandona entrambi e li lascia precipitare in un baratro di silenzio. Lo osserva, silenzioso come non mai, iniziando a mordicchiarsi l'interno della bocca. E ora, che si fa? Riusciranno mai ad aggiustare ciò che hanno rotto? Riusciranno a riprendere i cocci e rincollarli tra loro? E se sì, quel vaso di pandora avrà mai lo stesso aspetto o si noterà comunque la differenza? « Tassorosso 2013. » La sua voce lo distrae, inducendolo ad alzare lo sguardo. Lo individua, a qualche passo da lui, dinnanzi ad una delle teche di vetro contenenti decine e decine di trofei. Sospira allora, mentre si alza lentamente dal divanetto per andargli incontro. Si avvicina alla vetrina, lo sguardo fisso su quel trofeo, mentre le dita sane sfiorano il vetro, ed una vagonata di ricordi lo investe in pieno. « Ti ricordi? » Annuisce piano, con un lieve sorriso nostalgico a distendergli le labbra. « Certo che mi ricordo. » E se lo ricorda davvero, Rocky. Si ricorda tutto di quell'anno. Ricorda le insicurezze, la diffidenza dei suoi compagni nell'averlo in squadra. Non era stata un'infanzia facile la sua, ad Hogwarts. Col senno di poi si potrebbe parlare di bullismo, nonostante lo zingaro non abbia mai permesso a nessuno di toccarlo. Certo, fisicamente non aveva mai avuto grossi problemi, ma moralmente... La cattiveria degli adolescenti non aveva fine. Greg, però, credeva in lui, e l'aveva sempre fatto. Aveva creduto in lui persino quando l'aveva stracciato, assieme alla sua squadra. Merlino, come si era sentito in colpa! Ma Greagoir non si era lasciato prendere da una cosa stupida come l'orgoglio, a quei tempi. Si era anzi complimentato con lui, quel Tassorosso sfigato che tanto aveva aiutato in quel suo sogno che cresceva e prendeva forma sempre di più, e che solo dopo aver visto il suo sorriso, ed assaporato quel bacio rubato a fior di labbra, era riuscito a festeggiare coi suoi compagni di squadra la vittoria, come si deve. Senza quel peso nel cuore di averlo tradito.

    Quel nodo alla gola sembrava non volerlo abbandonare. Seduto sulla panchina in legno dello spogliatoio, Rocket Dragomir si teneva la testa tra le mani da una buona manciata di minuti ormai. Dentro di sè, un mare in tempesta. Doveva giocare, quella era una dannata partita nazionale! Ma non poteva farlo, no che non poteva. Cristo come aveva fatto ad essere così stupido? Dimenticarsene così, senza nemmeno accorgersene...Dannazione. L'aveva tradito una volta e l'avrebbe tradito due se avesse giocato, quella sera. « Allora che hai deciso? » La voce del suo allenatore lo destò, inducendolo ad alzare gli occhi verso di lui. L'espressione frustrata, lo sguardo assente. Doveva prendere una decisione, e doveva farlo alla svelta. Le luci dello stadio erano già accese, le intravedeva attraverso le finestre degli spogliatoi, così come sentiva già le urla di milioni e milioni di spettatori che invocavano a gran voce il suo nome. Non aveva più tempo per pensare. « Io... » Mormorò, confuso. Qual'era il problema che lo affliggeva? « E' una stronzata Rocket, lo sai vero? » Appunto, una stronzata. Tutto era iniziato diversi anni fa, in quel lontano 2014. I Falmouth Falcons avevano accettato la sua richiesta per un provino, e inutile dire quanto il tassorosso, allora nient'altro che un diciassettenne appena, fosse eccitato ed agitato al tempo stesso all'idea. Lui in una squadra professionista a livello mondiale, e chi ci avrebbe mai scommesso! Lui sicuramente no, ma qualcuno sì. Greg. Si erano lasciati ormai da mesi, ed il Corvonero si era anche ormai diplomato, ma Rocket non l'aveva ancora dimenticato. Non aveva dimenticato i suoi sorrisi rassicuranti ed i suoi incoraggiamenti, tutte quelle volte che quel mondo di merda che sembrava divertirsi ad andargli contro tentava di spazzarlo via. Greagoir era sempre rimasto lì, ad ogni insicurezza aveva sempre corrisposto con un credo in te. E allora, era stato naturale. Quel passo verso ciò che sarebbe diventato il suo futuro, positivo o negativo che fosse, avrebbe dovuto farlo assieme a lui. Ma lui ormai non c'era più, e ciò che gli rimaneva era ben poco. Un contatto, allora, quello che aveva cercato. Un minimo legame con colui che aveva reso tutto questo possibile. E allora l'aveva visto, quel cappellino. Azzurro, con un'aquila disegnata in centro. Uno di quei gadjet a tema casate di Hogwarts che si potevano trovare ad Hogsmeade. Apparteneva a Greg. Uno dei suoi cappelli preferiti, probabilmente, quelle volte che decideva di indossarli. L'aveva dimenticato una sera in camera sua, e Rocket si era ripromesso di restituirglielo, ma alla fine l'aveva dimenticato anche lui. Quindi quel pomeriggio, aveva deciso di indossarlo, e da allora, non se l'era più tolto, e non c'era partita dove Dragomir non indossasse quel benedetto cappellino blu. « Non posso giocare. » Quel giorno, quel dannatissimo giorno, l'aveva dimenticato.

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    « Quanto hai rosicato, quel giorno? » Scherza, trattenendo una lieve risata. Il tono di voce quieto, tranquillo. La quiete dopo la tempesta. E' da pazzi sentirsi così bene dopo aver combattuto una guerra? Se lo è, allora Rocky è felice di dichiararsi follemente pazzo. Perchè si sente bene. Confuso, questo sì, ancora scosso da tutto ciò che è successo, è chiaro. Ma sereno nonostante tutto. « Non ho perso neanche una tua partita, in questi anni. » Lo sguardo si posa su di lui, mentre lo osserva in silenzio. Per tutti quegli anni, Rocket ha creduto che lo odiasse. Non si guardano le partite delle persone che odi. Sospira, non sa neanche perchè. Quella consapevolezza gli riempie il cuore di gioia e tristezza al tempo stesso. Non è giusto, Dio se non è giusto. Non è giusto averlo fatto soffrire così, non è questo ciò che Greg si meritava. « Non fraintendermi, tifo ancora i Wanderers..! » Quell'affermazione riesce a sciogliere appena quel nodo che sembra avergli bloccato il respiro, mentre un'espressione esterrefatta e al tempo stesso schifata si palesa sul suo volto. Scuote la testa con fare teatrale « Vabeh okkè, coglione ci rimani dopo tutto questo tempo. Che ci possiamo fà? » Sdrammatizzare è la chiave. Gli molla una leggera spinta, ridacchiando nel ricordare tutte quelle volte che Greg l'aveva bonariamente provocato in passato sull'argomento. « ...ma c'eri tu e Merlinobbono se eri bravo! Il miglior acquisto dei Falcons di sempre, dicevano le telecronache. » La risata si affievolisce, lasciando spazio ad un lieve sorriso. C'è nostalgia, sul suo volto. Lo osserva attentamente, mentre gira su sè stesso e si poggia con la schiena contro il vetro. E lo vede. Vede il suo Greg ferito. Il risultato di tutto ciò che in quegli anni gli ha fatto. Sa che quella è stata la scelta più giusta, in cuor suo, lo sa eccome. Ma questo non significa che abbia fatto meno male. Per tutto quel tempo gli è stato lontano per non dover sopportare ciò che sta vedendo al momento. La sua sofferenza, i cocci del suo cuore spezzato come un vaso rotto in mille pezzi. « Ti ho odiato, lo sai? Da morire. Ci ho messo tutte le mie forze per odiarti, mi sono impegnato da matti.. Credevo perfino di esserci riuscito! Che stupido..» Lo so, ci ho sperato che mi avresti odiato. Se l'avessi fatto, facendolo sul serio però, tutto questo ti avrebbe fatto meno male. « E invece nun ce sei riuscito. Perchè altrimenti nun staresti così... » E mi fa male vederti così. Perchè non dire la verità? Tanti anni son passati, tanta acqua sotto i ponti ha preso a scorrere, e lui non è comunque capace di dirgliela, quella fottutissima verità. L'ha custodita gelosamente per così tanti anni, per proteggerlo, che dirgliela gli sembrerebbe quasi un metterlo in pericolo, di nuovo. Nonostante il pericolo, in effetti, non esista neanche più. Eppure a quello sguardo ferito, a quegli occhi velati da delle lacrime trattenute, Dragomir non è capace di resistere altrimenti. E' riuscito a tirare per tre anni perchè non l'ha mai avuto propriamente accanto, e in questo mese che Greg gli si è avvicinato un minimo, ha combinato dei gran bei casini. E quindi, quando quella fatidica domanda arriva, Rocket sa già che non riuscirà più a mentire. « Perché mi hai lasciato? Se voglio perdonarti, devo saperlo.. ne ho bisogno. »

    E' una grande festa, quella. Se c'è una cosa che può dirsi sei zingari, poveri in canna e ladruncoli quanto volete, è che sanno come festeggiare. Ci sono tutti, persino i parenti più lontani. Nonno Nita, papà Dragomir e le sue sorelle, persino zio Frank! Ridono e scherzano tra loro, pregustano quel sontuoso banchetto che presto andranno a divorare, spettegolano su questo e quel vestito. Ci sono le sue sorelle, perfettamente impacchettate nei loro abiti succinti dai colori improponibili e le scollature vertiginose, con il solo scopo di trovare un marito. Un matrimonio, d'altra parte, nella loro comunità è un ottimo pretesto per trovarlo. Paradossale forse, così come paradossale è l'atteggiamento di lui, lo sposo. Il giorno più bello della sua vita!, ha detto Irina, la sua sorellina più piccola. E lo sarebbe sul serio, perchè quello è il suo matrimonio. Ma lo sarebbe se al suo fianco ci fosse la persona giusta. Ma così non è, no, perchè al fianco di Rocket Dragomir si trova Jasmine, la sua 'fidanzata di vecchia data', figlia di uno dei più potenti boss della città. Chi l'avrebbe mai detto che quella ragazzina sarebbe un giorno arrivata a questo: rovinargli completamente la vita. Raggiunta lei la maggiore età, il silenzioso contratto stipulato dai loro genitori iniziava a prender posizione. Mancava soltanto un anno, per il suo amato Rocket, e avrebbero potuto finalmente sposarsi come era nei piani! Ma Jasmine era una donna testarda e capricciosa. Lei quell'anno non l'avrebbe aspettato, specie vista quella minaccia che tutti in famiglia sospettavano, ma nessuno di loro voleva ammetterlo: Greagoir. L'aveva visto, qualche volta, e aveva capito tutto. Ci aveva malignato sopra, ed aveva atteso nell'ombra, sino alla maggiore età. Sino a quel fatidico giorno in cui aveva detto a Rocket di essere incinta. Che lo fosse o meno non era ben chiaro, e Rocky non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, visto tutto quel vino che lo invitava a buttar giù ogni volta che erano assieme, ma questo non bastava ad impedire il losco piano di Jasmine. Lei voleva Rocket Dragomir, e l'avrebbe ottenuto. Non era in fondo nei canoni del Tassorosso, abbandonare una così grande responsabilità come poteva essere quella di un figlio, e la mente sveglia ed a tratti diabolica di Jasmine, questo l'aveva sempre saputo. E quindi eccoli lì, in quel fatidico giorno, il più brutto della vita di Rocket, il più bello di quella di Jasmine. Lei sorridente, perchè aveva vinto tutto, lui spento, perchè aveva perso tutto. Avanzavano entrambi lungo la navata ed ogni passo apriva una crepa nel cuore dello zingaro. Infine, giunti di fronte al prete, pronunciati i voti, la fatidica domanda era giunta. 'Non voglio farlo' aveva detto a sua madre, qualche settimana prima. Era partito senza neanche salutarlo, ed ora...No, Dio, non poteva finire così. Ma Yloka aveva sospirato, accarezzandogli una guancia, lei che più di tutti sapeva quale tempesta stesse agitando suo figlio in quel momento. Lei che sapeva tutto di Greagoir, che l'aveva conosciuto ed aveva sperato molto, per loro due. 'Devi farlo, tesoro, per lui' E aveva ragione. Perchè Jasmine non si sarebbe data per vinta, nè lei nè tanto meno la sua famiglia. Sarebbe stato un affronto, quello. Un affronto che un clan mafioso come il loro, non avrebbe lasciato perdere. 'Per proteggerlo' « Lo voglio. »

    « E' successa una cosa, in quell'anno. » Mormora all'improvviso, lanciandogli un'occhiata di sbieco per poi tornare a guardare il suo nome scritto su alcuni di quei trofei. Gli manca quel tempo. « Quando so partito senza dirti niente... » Prende un lungo respiro « L'ho fatto pe sposamme. » Non riesce a guardarlo, mentre fissa la punta lucida delle sue scarpe con un'attenzione maniacale. Lo sta giudicando, come è giusto che sia, e per una volta, Rocky ha paura di ciò che alzando lo sguardo potrebbe vedere nei suoi occhi. « Hai presente Jasmine? L'hai vista quarche volta. Ecco, diciamo che me l'hanno promessa da sempre. All'inizio pensavo fosse una stronzata, ma quando lei ha compiuto la maggiore età.. Na stronzata non lo è stata più. » Dopo tre anni, tre dannatissimi anni, quella fottuta verità sta trapelando dalle sue labbra quasi tremanti. E' così che doveva finire? « Lei mi voleva a pe'forza e sapeva di te. Sapeva tutto, l'ha sempre saputo. Sapeva anche che io nun c'avevo la minima voglia de sposarla, e ha usato te per ricattarmi. » Beh oltre la gravidanza. Dovrebbe dirglielo, ma non riesce a sputar fuori anche quella verità. Ogni cosa a suo tempo, cerca di auto convincersi. « Mentirti e lasciarti era l'ultima cosa che volevo. Ma..Conosci mi padre vè? Ecco, suo padre era peggio. Tutta la sua famiglia lo era. Ti avrebbero trovato, avrebbero fatto male a te per punire me. La bottega, il tuo passato, avrebbero distrutto tutto... » Sospira, ed è allora che trova una punta di coraggio per riuscire a guardarlo. Cosa pensi adesso di me, Greg? Che sono un codardo? Ed è un codardo che si sente, in fondo. Avrebbe potuto parlargliene dall'inizio, se solo non avesse avuto paura di come avrebbe potuto reagire. Era stato egoista, l'aveva fatto soffrire per non sopportare il dolore di ciò che un suo qualsiasi danneggiamento a causa sua gli avrebbe creato. Sì, egoista, è così che si sente. Forse Greagoir non lo perdonerà mai, e forse chissà, in fondo se lo merita. « Quindi ho cercato d'esse il più stronzo possibile per farmi odiare e farti stare meno male. Ma non credo d'aver ottenuto 'ngran bel risultato, col senno di poi. » Si morde il labbro inferiore, visibilmente a disagio. « Quindi...ecco..scusa. Puoi picchiarmi quanto vuoi adesso. »
     
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    er bacchetta


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    Adulto. Greagoir Olivander era diventato questo, per la società magica, da quando qualche settimana prima aveva superato gli esami di diploma, totalizzando il massimo del punteggio. Nessuno avrebbe mai dubitato del risultato di uno studente come Greg.. eccetto lo stesso Greg, che nel mese precedente i M.A.G.O. aveva a stento toccato libro, troppo impegnato a restare in piedi mentre la terra sotto i suoi piedi continuava incessante a tremare. Con essa, le proprie certezze. Ed ora che il diploma l'aveva preso, lasciandosi alle spalle Hogwarts e i sette anni che aveva passato là dentro, non sapeva cosa fare, chi essere o neppure cosa provare. Avrebbe potuto essere tutto ma non sentiva di voler essere niente, non in quel periodo, non quando il proprio cuore continuava ancora a sanguinare senza sosta. Il tempo guarisce ogni ferita, l'aveva sentito dire spesso, ma di tempo ne era passata che una manciata, pochi granelli, e guarire non era che un miraggio. Riusciva a malapena ad uscire dalla propria stanza. Oltre la finestra aperta, il vociare della strada commerciale di Diagon Alley gli arrivava gioioso e caotico, in un Luglio assolato e afoso: Greg si strinse le ginocchia nude al petto, in religioso silenzio. Aveva perso il conto di quanti giorni avesse passato in silenzio, scansando le domande preoccupate di sua madre o i tentativi goffi di suo padre di farlo ridere. Col passare dei giorni, le domande cessarono e le barzellette diminuirono: avevano capito. Greagoir era un libro aperto per loro, anche quando si chiudeva in sé stesso. Gli Olivander avevano capito, l'avevano sempre saputo, fin da quando innocentemente avevano chiesto al figlio se Rocket avrebbe passato una fetta delle sue vacanze con loro, ottenendo come unica risposta una smorfia ferita e un "Che ne so io" secco, frettoloso, superficiale. Si era scansato come quando si tocca un oggetto rovente, con lo stesso identico dolore. Sospirò posando la fronte contro le ginocchia, prima di notare con la coda dell'occhio un'ombra chiara passare di sfuggita per poi sparire. « Nonna? » Attraverso la porta chiusa apparve la sagoma spettrale di una donna anziana ma dal portamento elegante. Dopo essere morta diversi anni prima, Flora Olivander non aveva mai trovato la forza di passare oltre. Come avrebbe potuto lasciare quel combinaguai di suo figlio Gawen, che rischiava di farsi saltare in aria ogni due secondi? Come avrebbe fatto senza vedere che meraviglioso uomo sarebbe diventato suo nipote Greagoir? E con che forza avrebbe potuto lasciare Garrick, l'amore della sua vita. Per questo motivo il suo fantasma aveva continuato ad "infestare" il palazzo degli Olivander, andando e venendo, diventata ormai parte integrante della casa e delle loro vite. Il fantasma di nonna Flora levitò fino al letto, sedendo poco distante dal nipote. « Dimmi tesoro.. ti va di parlare un po'? » Ricordava la prima volta che Rocket l'aveva vista apparire attraverso una parete, facendolo letteralmente schizzare dall'altra parte della stanza. Ne aveva così tanti, di ricordi legati alla figura dello zingaro.. ed era quello il problema. Greg si strinse sulle spalle, senza lasciare la presa delle ginocchia o rivolgere lo sguardo alla nonna. Una parte di sé provava vergogna, nell'essersi ridotto come uno straccio per un ragazzo.. un'altra doveva fare i conti col fatto che per tre anni quel ragazzo era stato una parte fondamentale della sua vita. « Nonna, ti posso chiedere una cosa? Come hai capito che nonno era l'uomo della tua vita? » Sul volto evanescente di Flora si distese un sorriso dolce e radioso, lo stesso che aveva avuto in vita. Era da lei che Greg aveva ereditato il sorriso che l'aveva reso famoso a scuola come uno dei ragazzi più carini e desiderati. « L'ho capito perché è successo e basta. » Greg alzò gli occhi verso la nonna, trovandola incantata con uno sguardo sognante. Vedeva il passato, in un punto non definito della parete; vedeva la vita che aveva vissuto, lunga e piena, e tutto l'amore che l'aveva resa tale. « Ho conosciuto tuo nonno che eravamo ancora a scuola. Ero fidanzata allora.. ah, tesoro mio, Bartolomew Lestrange era il partito perfetto! Era scritto che avremmo dovuto sposarci. » Prima di diventare un'Olivander, Flora era nata in una famiglia importante e come tale, era stata promessa in sposa ad una famiglia di eguale levatura. « Credevo di essere felice, finché non ho conosciuto Garrick. Un visionario! L'avresti riconosciuto tra mille: era il più pazzo! Quando ho capito che Garrick era l'uomo della mia vita? Quando capii che non avevo mai riso prima. » Il fantasma di Flora si sporse in avanti, per sfiorare i capelli di suo nipote: tutto ciò che Greg sentì fu un brivido percorrergli la schiena. « Non pensare a niente, amore mio.. dimenticati della bellezza o dei galeoni, quelli vanno e vengono. Garrick era povero in canna! Trova qualcuno che sappia farti ridere.. e piangere, a volte. Va bene, purché ne valga la pena. Quando la bellezza e i galeoni vanno via, rimane solo l'amore. » L'amore l'aveva mantenuta ancorata al mondo dopo la morte. L'amore che supera la vita e la morte, la forza più potente del mondo. Talmente forte da riempire gli occhi di Greagoir di lacrime. « E se non c'è neppure l'amore? » Non c'era amore, pensava Greagoir. Se ci fosse, Rocket non se ne sarebbe andato. « Se non c'è amore, non c'è niente.. ma, tesoro mio, se non c'è amore perché piangi? » "Va bene piangere, purché ne valga la pena." Greg non sapeva se Rocket valesse davvero le sue lacrime, non dopo essere sparito dopo tutto quello che avevano passato. Ma sapeva di non poterne fare a meno.

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    Nella matassa di dubbi e paura che aveva dentro da oramai tre anni, sentiva di avere un'unica, grande certezza: qualunque risposta gli avrebbe dato Rocket, avrebbe fatto male da morire. Sale su una ferita mai rimarginata ma solo tamponata, coperta dalle bende di nuove relazioni, nuovi contatti. Ma, analizzandole con una lucidità fredda e distaccata, Greagoir avrebbe potuto capire da solo come tutti loro fossero state solo delle pezze per coprire ciò che Rocket Dragomir aveva lasciato dietro di sé. In tre anni, aveva avuto un posto nel cuore di Greg e, andandosene, aveva lasciato un'impronta con le sue fattezze: nessun altro avrebbe potuto andar bene. « E' successa una cosa, in quell'anno. » Finalmente faccia a faccia col momento che aveva atteso per così tanto tempo, Greagoir iniziò a provare qualcosa che non avrebbe potuto ritenere possibile, ripensandoci. Paura. Non la rabbia che credeva gli si confacesse di più, l'odio intestino e viscerale per qualunque irragionevole ragione avesse portato Rocket ad andarsene via. No, era l'ansia a diffondersi lentamente nelle membra del biondo, come un veleno che entra in circolo e inizia a fare effetto. Lo paralizzò sul posto, bloccato contro la teca di vetro, gli occhi grandi fissi su di lui, terrorizzati. « Quando so partito senza dirti niente... l'ho fatto pe sposamme. » Furono necessari diversi secondi perché le parole del tassorosso, dal suo orecchio, arrivassero al cervello e là venissero processate, per cercar loro un significato che non sembrava esistere. Un significato non lo avevano perché non aveva senso, non per Greg. Non dopo tutto quello che avevano passato insieme. Si lasciò sfuggire appena una risata, ma era fredda quanto il suo corpo e tutto ciò che li circondava. Spenta come il cuore che perse uno o due battiti. Sposarsi. Rocket si è sposato. « Hai presente Jasmine? L'hai vista quarche volta. Ecco, diciamo che me l'hanno promessa da sempre. All'inizio pensavo fosse una stronzata, ma quando lei ha compiuto la maggiore età.. Na stronzata non lo è stata più. » Jasmine, come avrebbe potuto dimenticarla? L'aveva incrociata per la prima volta al matrimonio italiano a cui Rocket l'aveva invitato, una piccola principessa circondata da cugine e amiche che le ronzavano intorno come piccole api operaie. Ricordava gli sguardi che gli aveva lanciato.. come ricordava quelli che lanciava a Rocket, instillando nel giovane inglesino una gelosia cocente, alimentata dall'insicurezza per il non aver armi per combatterla. Jasmine giocava in casa, Greg al contrario non era altro che un estraneo. Seduti in uno dei tavolini circolari al limitare della pista da ballo, Rocket gli aveva parlato di lei e della sua famiglia - "gente marcia Gre', che detto da 'no zingaro è tutto n programma" - senza però far menzione al loro passato, a ciò che li legava. La serata era finita l'uno tra le braccia dell'altro, al centro di una pista vuota, ballando l'ultimo ballo della festa: il loro primo, vero ti amo aveva lavato via lo spauracchio di Jasmine, una ragazzina insignificante di fronte alle certezze che Rocket continuava a dargli. Di cos'avrebbe mai dovuto avere paura? « Lei mi voleva a pe'forza e sapeva di te. Sapeva tutto, l'ha sempre saputo. Sapeva anche che io nun c'avevo la minima voglia de sposarla, e ha usato te per ricattarmi. Mentirti e lasciarti era l'ultima cosa che volevo. Ma..Conosci mi padre vè? Ecco, suo padre era peggio. Tutta la sua famiglia lo era. Ti avrebbero trovato, avrebbero fatto male a te per punire me. La bottega, il tuo passato, avrebbero distrutto tutto... » Rocket ebbe finalmente il coraggio di alzare il suo sguardo colpevole, per incrociare quello di Greg, impossibile da decifrare. Era tutto e niente: arrabbiato, deluso, incredulo, pieno di rancore. Lo era, sì, ma non riusciva a provare con pienezza nulla di tutto ciò. Non ci sarebbe riuscito, finché non fosse riuscito a metabolizzare l'idea di quella ragazzina dal sorriso affilato e lo sguardo furbo fattasi donna, accanto all'amore della sua vita, al centro di una chiesa gremita di gente. Jasmine non gli aveva strappato solo una persona cara ma un sogno, delle aspettative, una parte di sé. L'istinto primario, il più forte, fu quello di avventarsi contro la figura imponente di Rocky e dargli addosso, fargli male proprio con la stessa intensità con si era sentito ferito.. ma fu un istinto che durò poco, troppo lontano dalla vera natura, pacifica, di Greagoir. Montò allora in lui il desiderio di urlargli contro, a pieni polmoni, il casino che aveva dentro. Sei stato uno stupido Rocky, un idiota, un deficiente! Mi hai tradito perché non hai creduto in me, in noi. Sei stato un egoista, un arrogante per aver creduto di poter decidere per me ciò che fosse meglio! Dovevi lasciarmi una scelta! Avrei fatto follie per te! E poi, la consapevolezza crollò su di lui come un macigno. Avrei fatto follie per te.. e ne avrei pagato il prezzo più alto. « Quindi ho cercato d'esse il più stronzo possibile per farmi odiare e farti stare meno male. Ma non credo d'aver ottenuto 'ngran bel risultato, col senno di poi. - No, infatti. - ..quindi...ecco..scusa. Puoi picchiarmi quanto vuoi adesso. » Lo guardò ma non era sicuro di vederlo veramente. Avrebbe dovuto picchiarlo? No, gli rispose la ragione, non avrebbe dovuto. Sentendo le gambe cedere sotto il peso di una nuova consapevolezza, si lasciò scivolare lento contro il vetro, per sedersi ai piedi della teca. « ...sposato. » fu tutto ciò che riuscì a mormorare, prima di nascondere il viso tra le mani. Proprio come allora, quando insieme in una stanza fuori dal mondo, aveva toppato alla grande e si era sentito morire di imbarazzo: si era coperto gli occhi per non vederlo, cosicché neanche lui potesse farlo. Se si fosse coperto gli occhi ancora una volta, Rocket forse sarebbe riuscito a vederlo morire.

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    Era arrivato Agosto, che non aveva portato altro che ulteriore sofferenza. Le parole nonna Flora non erano state d'aiuto, non aveva trovato il conforto in una verità che continuava a bruciare nel cuore. "Se non c'è amore, perché piangi?" Perché l'amore c'era e lo sentiva esplodere dentro di sé ogni giorno, ad ogni risveglio, ogni minuto che passava al buio cercando di prendere inutilmente sonno per via dell'afa estiva. Rimaneva ore e ore sul tetto del palazzo, accovacciato tra le tegole a guardare la città che si dispiegava sotto il suo sguardo. Solo lassù lo sentiva più vicino, come se una parte di Rocket fosse rimasta nel loro "posto speciale". Lassù avevano condividono i loro pensieri e i loro corpi, lontani da tutto e da tutti. Con lo sguardo perso, si rigirava quel cellulare babbano che neppure sapeva usare bene tra le dita; aveva perso il conto di quante volte avesse provato a chiamarlo. Una volta ci era persino riuscito, aveva sentito la sua voce all'altro capo della chiamata che si interruppe all'improvviso. Da allora, aveva sempre trovato il numero occupato.. proprio come quel giorno, quando senza neanche pensarci compose il numero di Rocket che conosceva a memoria. "Segreteria telefonica, il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile". Quella registrazione era diventata una sorta di voce amica, la conosceva e lei conosceva il suo dolore. Tutte le volte che la sentiva, quello era il momento giusto per chiudere la telefonata. Non era mai arrivato a sentire il segnale acustico di inizio registrazione, neppure una volta, tranne quel giorno. « Ciao Rocky, sono io.. » Avrebbe riconosciuto la sua voce, lo sapeva. Le dita presero a tremargli, in preda ad un'agitazione che non gli apparteneva. « ...io.. non so cosa sia successo, non lo so.. forse qualcosa di brutto? Io volevo dirti che qualunque cosa sia successa, io.. penso che si possa sistemare.. insieme possiamo risolverla.. » la voce tremante tanto quanto il suo corpo si smorzò, appesantita da un pensiero che l'aveva tormentato per tutte quelle settimane e che non aveva osato prendere in considerazione. « ..forse non sono abbastanza per te? non ho tanto da offrire, so solo fare bacchette.. ma.. » si riavviò i capelli, ricacciando indietro le lacrime che iniziavano ad abbandonare i suoi occhi appena arrossati. « ...torna a casa, ti prego. Mi manchi da morire Rocky.. ti amo. » si passò velocemente il dorso della mano sugli occhi, tirando appena su col naso, prima di chiudere velocemente la chiamata. Non voleva che Rocket, dall'altra parte, quando e se mai avesse ascoltato quel messaggio, lo sentisse piangere le lacrime che non riuscì più a contenere. Da solo, sul tetto di casa sua, rimase a piangere finché non vide tramontare il sole all'orizzonte.

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    « Non ti picchio, tranquillo.. » Le mani, dal suo viso si spostarono ai capelli, per riavviarli appena. Forse Rocket ne sarebbe stato quasi dispiaciuto, era sempre stato un ragazzo molto più fisico e diretto di Greagoir: un pugno l'avrebbe purificato di gran lungo di più che delle belle parole. Glielo poteva leggere sul viso, il senso di colpa per ciò che era successo, per le decisioni che aveva preso. Ci avrebbe dovuto convivere per sempre. « Non ha più importanza. E poi ti ho chiesto io la verità.. ha fatto male, ma ne avevo bisogno. » Greagoir era irrimediabilmente legato al passato, per tutti quegli anni. Quando si era lasciato andare al sesso occasionale, nei partner vedeva lui, quando infine aveva cercato di costruire qualcosa che andasse un po' più in là del semplice rapporto carnale non riusciva a non vedere lui nell'altro. Rocket Dragomir era il suo conto in sospeso e sperava con tutto il cuore che sapere la verità l'avrebbe potuto liberare dal peso che si era tenuto addosso.
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    « Ora.. posso andare avanti. » Proprio come hai fatto tu. Cercò di abbozzare un sorriso quando incrociò lo sguardo di Rocket, ma non seppe dire se ci fosse riuscito veramente. Forse era solo una smorfia di dolore e nostalgia quella che aveva dipinta sul viso, un'immagine della consapevolezza di ciò che aveva perso. La aveva lì davanti, ancora vestita a festa nonostante i vestiti sdruciti e a tratti rotti dalla battaglia notturna. Rocket Dragomir, il suo passato, l'ombra del suo presente.. ma non credeva sarebbe stato il suo futuro. Aveva Missy accanto, in fondo; un particolare a cui Greg non aveva dimenticato. E allora lei dov'è ora? Perché avete combattuto insieme, perché ti sei addormentato contro di lui? « C'è una persona che mi aspetta, là fuori, quando uscirò.. se uscirò. » Non sapeva neppure perché glielo stesse dicendo, quasi sentisse il bisogno di giustificarsi o di mettere dei paletti di cui non c'era apparentemente bisogno. O forse, avrebbe capito molto tempo più tardi, glielo disse per mettere dei paletti a sé stesso. « E' quasi un anno ormai che ci frequentiamo.. forse dovrei valutare anch'io il matrimonio! » provò a ridere della cosa, a sdrammatizzare.. ma quello bravo a farlo era Rocket, era un maestro nell'arte del ridere dei problemi. Greg non ci riusciva, non l'aveva mai saputo fare. Li sapeva razionalizzare, studiare, sviscerare e risolvere con mente accademica ma gli mancava la scintilla che in Rocket ardeva da sempre, quella che sa rendere la vita più calda nonostante le avversità. La sua luce, ciò per cui si era innamorato di lui. Si strinse nelle spalle, scuotendo appena il capo: « Non so neppure perché te l'ho detto, scusami. Però tu sempre stato quello a cui dire tutto. Non ho mai avuto segreti con te. Sai tutto di me. » Eri la mia persona. Lo sei ancora?

     
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    'sono stati gli zinghiri'
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    Sapeva che avrebbe fatto male, eppure non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto così male. Non avrebbe mai voluto lasciarlo, eppure aveva dovuto farlo. Non passava giorno in cui non si ripetesse quanto la sua scelta fosse stata la più giusta da prendere. Quella più sicura, forse l'unica. Greagoir valeva più di qualsiasi altra cosa. Valeva molto di più del futuro che lo zingaro si era prospettato e del suo cuore spezzato. Perchè era così, che si sentiva. Tristemente ed irrimediabilmente spezzato. Aveva provato a parlarne con sua madre, di nascosto a Jasmine, da quando era rientrato a casa. La sua Roma, da sempre un ricordo indelebile nell'animo dello zingaro. Da sempre considerata casa. Ma la casa, è dove il tuo cuore appartiene. E no, il suo cuore non apparteneva più a quel posto. Forse in parte, per una minuscola porzione, ma tutto il resto era ancora rimasto arpionato a chilometri e chilometri di distanza. Ma tutto questo non aveva importanza. Non poteva avercela. Perchè se l'avesse avuta, se Rocket fosse stato così egoista da voler smetterla di soffrire e vivere quell'esistenza felice che si era prospettato..Greagoir ci avrebbe rimesso più di quanto non avrebbero mai immaginato. La famiglia di Jasmine la conosceva bene, lo zingaro. Molto peggio di suo padre, e questo era dire tanto. La sua fidanzata era stata chiara, dopotutto. Conosceva Greg, l'aveva adocchiato sin da subito e non aveva mai perso occasione di tramargli alle spalle silenziosamente, e Rocky non poteva fare a meno di averne paura. Quella ragazzetta di neanche vent'anni, con quel fisico slanciato ed il sorriso sbarazzino, sarebbe stata capace di tutto, se provocata. La odiava, lo zingaro, la odiava nonostante l'odio non fosse mai rientrato nelle sue corde. Per averlo messo di fronte a una scelta che mai in quella sua ancora giovane esistenza avrebbe pensato di dover prendere. E per avergliela rovinata, quell'esistenza. Era stato bello fin quando era durato. L'Inghilterra, Hogwarts, il quidditch..E lui. Era stato un sogno, ed un sogno adesso gli sembrava. Passato, remoto, terribilmente inavvicinabile. Ma ricorrente. E quel pomeriggio d'Estate, uno come tanti altri, quel sogno era tornato. Il cellulare aveva squillato, e Rocky l'aveva visto, il suo nome. « Non farlo. » Aneta, accanto a lui, aveva scosso la testa. Era ormai a conoscenza di tutto, e nessuno meglio di lei -forse solo loro madre- poteva capire cosa stesse provando in quel momento il fratello. Li aveva visti assieme, e mai come in quei momenti aveva potuto ammirare la felicità del piccolo Dragomir. Le piaceva, Greg, le piaceva come faceva sentire suo fratello. Era il suo lieto fine, come quelli di quei film romantici che tanto adorava guardare in quella minuscola tv. Ma questa volta, forse il lieto fine non ci sarebbe stato, per Greg e Rocky. Faceva male, ma era giusto così. In un mondo come quello, in una realtà dai riscontri più che violenti come quella in cui vivevano, quello doveva esser considerato un lieto fine. Rocket un giorno l'avrebbe capito, anche se era certa sarebbe passato del tempo. Doveva solo aiutarlo. E così aveva provato quel pomeriggio d'Estate, lanciandogli uno sguardo a tratti accigliato. Ma il Tassorosso, che non era certo famoso per il suo saper ascoltare i consigli altrui, aveva agito comunque. Col cuore in gola, aveva cliccato il tasto dei messaggi vocali. E l'aveva sentita allora, la sua voce. Per tutto quel tempo lontani, che gli sembrava già un'eternità nonostante non fosse passato poi molto, aveva persino pensato di averla dimenticata. Ma così non era. « Ciao Rocky, sono io.. » No. Non era così perchè gli erano bastate poche semplici parole, pochi secondi, per ricordare tutto. Tutte le parole dolci che quella voce gli aveva dedicato, tutti i ti amo. Una fitta al petto lo costrinse a sospirare, ma ciò nonostante non smise di ascoltare quel messaggio. Greagoir era lì, a km di distanza eppure così vicino. Gli bastava un click, un semplice, fottutissimo click per riallacciare quel filo che si era spezzato. « ...io.. non so cosa sia successo, non lo so.. forse qualcosa di brutto? Io volevo dirti che qualunque cosa sia successa, io.. penso che si possa sistemare.. insieme possiamo risolverla.. » Un singulto, nel sentirlo così ferito. Si era comportato da stronzo, l'aveva abbandonato senza la minima spiegazione, e Greagoir continuava a tenerci a lui. Ad amarlo così per com'era, come tante volte aveva tentato di fargli capire, quando l'esitazione per le loro diverse provenienze e usanze si faceva sentire. Ma questa volta no, non si poteva risolvere. L'unica soluzione era quella che avrebbe fatto più male ad entrambi. Avrebbe potuto parlargliene, avrebbe voluto, ma sapeva come il Corvonero avrebbe reagito. Si sarebbe sforzato per usare persino il neurone più nascosto di quella sua mente eccelsa per trovare un rimedio e, quel rimedio, Rocket ne era sicuro, sarebbe stato la sua rovina. E lui non poteva fargli questo. « ..forse non sono abbastanza per te? non ho tanto da offrire, so solo fare bacchette.. ma.. » Alzò lo sguardo verso Aneta, quasi come a volersi aspettare un aiuto da parte sua. Notò la tristezza nei suoi occhi, così come lei la notò in quelli di lui, ma fu un quieto silenzio quello che si scambiarono, da un lato all'altro della camera. Quelle parole non avrebbe mai neanche immaginato di doverle ascoltare. Greg non era abbastanza per lui, perchè era al contrario fin troppo. Perfetto, così lo definiva e l'avrebbe sempre definito. Il suo piccolo folletto, il ragazzo d'oro. Il suo ragazzo. ..Ex ragazzo. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli ed alzandosi, il telefono sul tavolo. L'istinto di rispondere era troppo. « ...torna a casa, ti prego. Mi manchi da morire Rocky.. ti amo. » Ma quello fu troppo. Si precipitò verso il telefono, nonostante gli avvertimenti di Aneta, e lo afferrò con forza. « Greg? Greg?! » Ma ciò che ne ricevette fu solo il rumore ad intermittenza della chiamata ormai terminata. Rimase per qualche istante immobile, il telefono ancora stretto contro l'orecchio, prima di scagliarlo al muro. Aneta gli si avvicinò, sfiorandogli una spalla. « Rocket, è meglio co- » « Chi era al telefono? » Il cuore del Tassorosso ebbe un sussulto, mentre alzava lo sguardo verso l'ingresso della stanza, sicuro di ciò che avrebbe visto. O meglio, chi avrebbe visto. Eccola, Jasmine, perfettamente impacchettata nel suo completo di jeans. Si ravvivò i capelli con una mossa teatrale, prima di addentrarsi, lo sguardo fisso su entrambi i fratelli. Aveva capito tutto. « Nessuno. » Si premurò a dire Aneta, tentando di tagliar corto. Per quanto odiasse quella puttanella, così come la chiamava, l'amore per suo fratello era più forte, e l'avrebbe protetto sino all'ultimo respiro. « Nessuno? » Lo sguardo scuro della ragazza saettò in quello smeraldino dello zingaro. Si morse il labbro inferiore, Rocket. « Nessuno. »

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    « Non ti picchio, tranquillo.. » Un pugno avrebbe fatto meno male di quel tono rassegnato e quello sguardo ferito. Erano passati anni, eppure continuava a ferirlo. Avrebbe preferito una sfuriata, Rocket, un pugno in pieno sul naso, qualsiasi cosa..Ma non quello, la rassegnazione. Perchè doveva essere tutto così dannatamente difficile? Perchè si sentiva ancora come un tempo, un ragazzino posto di fronte ad una scelta ben più grande di lui? Sospira, mordicchiandosi l'interno della guancia, mentre lo sguardo prende a vagare per la stanza. « Non ha più importanza. E poi ti ho chiesto io la verità.. ha fatto male, ma ne avevo bisogno. Ora.. posso andare avanti. » « Credo sia giusto così, andare avanti. » Mormora, con una serietà che non gli appartiene, il tono di voce freddo e a tratti atono. Perchè è questo ciò che avrebbero dovuto fare sin dall'inizio, questo ciò che sarebbe stato giusto per entrambi. Ma compie un errore, lo zingaro, l'errore di guardarlo. Incrocia il suo sguardo, quegli occhi azzurri come il cielo sereno dei quali si è innamorato. Quegli occhi che nonostante tutto non ha mai dimenticato. E allora lo capisce, Rocky, ciò che era già insito nel suo subconscio ma che per molto tempo non aveva avuto il coraggio di rispolverare. Lui, Greagoir, non l'ha dimenticato. Lui non è andato avanti. Ci ha provato, questo è certo! Ci prova ogni giorno e si convince quasi di esserne capace, ma così non è. Non lo è quando bacia la sua ragazza, Missy, non lo è quando posta foto assieme a lei sperando che lui le veda. Che gli piaccia o meno, Rocket fa e farà sempre tutto in funzione di Greagoir. Si sono trovati tanto tempo fa e si sono lasciati, senza mai però lasciarsi sul serio. Fa per dire altro, annullando le sue precedenti parole, ma l'ex Corvonero lo precede. « C'è una persona che mi aspetta, là fuori, quando uscirò.. se uscirò. » E, per l'ennesima volta, le parole fanno più male di qualsiasi altro colpo. Lo fissa, in silenzio, l'espressione che si indurisce sempre di più. Cosa si aspettava, dopotutto? Che Greagoir sarebbe rimasto ad aspettare che lui facesse pace col cervello e con la sua vita di merda? Non aveva questo diritto su di lui, non l'aveva più per lo meno. E allora incassa il colpo in silenzio, Rocket, nonostante senta di nuovo quella fitta al petto. E fa male. Se lo riesce quasi ad immaginare. Con un'altra persona, a ridere e scherzare. A dedicargli quelle attenzioni che lui tanto ha amato. A sorridergli, facendolo innamorare di più ogni volta. Così succedeva a lui, si innamorava un po' di più ad ogni sorriso. Non lo faceva neanche apposta Greagoir, eppure era questo l'effetto che gli faceva. Che gli fa ancora. « E' quasi un anno ormai che ci frequentiamo.. forse dovrei valutare anch'io il matrimonio! » Non sapeva perchè gli stesse dicendo quelle cose, ma non riesce a ridere di fronte a quelle parole. Vuole ferirlo ulteriormente, forse? Vuole fargli capire cosa si sia perso in tutti questi anni? Non ne ha idea, e vorrebbe giustificarsi dicendo di non meritarsi questo, ma la verità è che si merita ogni cosa. Quindi cala lo sguardo, mordicchiandosi il labbro inferiore. « No.. » Trapela dalle sue labbra, quella negazione, più flebile che mai. « Non so neppure perché te l'ho detto, scusami. Però tu sempre stato quello a cui dire tutto. Non ho mai avuto segreti con te. Sai tutto di me. » Alza il capo, e lo guarda. « No. Smettila. » Pronuncia, più deciso. Cosa stai facendo, Rocket? Non lo sa nemmeno lui, l'unica cosa che sa, è che sta seguendo l'istinto. Un istinto che non ha idea di dove lo porterà, per sentieri diretti verso morte certa probabilmente, ma poco gli importa. Dopotutto, cos'altro ha da perdere? L'ha già perso. Greagoir ha un'altra persona. E non è più lui. « Non farlo. Non tornarci. ...Io..io non voglio. » Fa qualche passo verso di lui, la mano sana che si alza per sfiorargli la guancia appena umida. Sospira, scuotendo la testa. « Forse nun t'interessa ciò che voglio io o meno..E c'hai pure ragione. Ma..Io so stato costretto ad uscire dalla tua vita. Anche se era l'ultima cosa che volevo fà... » Si morde il labbro inferiore, mentre la mano scende per prendere la sua. La stringe tra le proprie dita, prima di poggiarsela sul petto. Il cuore gli batte all'impazzata. E batte per lui. Ha sempre battuto per lui. « Tu non farlo perchè vuoi farlo. Farebbe....male. Ed è egoista, tu meriti d'esse felice, ma.. Sii felice assieme a me. » Perchè nonostante tutto, è l'unica cosa che voglio, che ho sempre voluto. « Se lo vuoi. »
     
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    er bacchetta


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    Andare avanti. Facile a dirsi, ancora più facile a desiderarsi. Greg aveva perso il conto di quante volte ci avesse provato, nel corso dei tre anni che aveva passato con l'immagine di Rocket Dragomir lontana dagli occhi e così incredibilmente vicina al cuore. La sentiva come un peso legato proprio là, intorno al cuore, capace solo di ancorarlo a terra. "E' solo questione di tempo" si ripeteva il giovane Olivander ogni volta che una situazione gli sfuggiva di mano come granelli di sabbia tra le dita, "..passerà e tornerà tutto come prima." Ma "prima" quando? A stento lo ricordava, un prima: tutto ciò che era stato, era avvenuto accanto a Rocket. Gli era cresciuto accanto e accanto a lui si era formato, accanto a lui era divenuto un giovane uomo. Sembra che durante la giovinezza e l'adolescenza, il tempo sia come dilatato ed espanso, grande quanto l'universo stesso: i tre anni passati insieme sembravano una vita intera. Come fare allora a ricalibrarsi, da solo, per la prima volta da quando non era che un ragazzino sprovveduto? Ci aveva provato, Greagoir, e con tutte le sue forze. Aveva provato a concentrarsi sul lavoro, in quei luoghi che in minima parte sapevano di lui: l'emporio era diventata anche la casa di Rocket, in un certo senso, e lo zingaro parte di quella famiglia poco ordinaria. Aveva provato allora ad uscire ed incontrare nuove persone, fare nuove amicizie, scoprire nuove affinità e, perché no, conquistare l'amore ma nessuno era mai stato abbastanza, agli occhi critici di Greagoir Olivander. I suoi corteggiatori erano tutti poveri: poveri ora di carattere, ora di vitalità, ora di simpatia, ora perfino di quell'arroganza e quell'avventatezza che pure aveva imparato ad amare. Gli altri volavano e Greagoir, divenuto lo scapolo d'oro di Diagon Alley, rimaneva a terra, immobile. Zavorrato dal ricordo di un passato mai dimenticato. Aveva provato perfino a lasciarsi andare, incredibile! Lui, il ragazzo perfetto, che aveva creduto di poter reggere senza fatica storielle di solo sesso e sentirsi finalmente grande e emancipato, libero con sé stesso e libero da un sentimento che lentamente diveniva veleno nelle vene. Ma negli altri cercava lui, in amanti occasionali ricercava tracce di un ragazzo che non c'era più e, ritornando a casa, non sentiva altro che ribrezzo. Andare avanti, per anni Greg non aveva saputo neanche cosa volesse dire.. fino a che nella sua vita, ormai solo e disilluso, non era entrato Percy. Era grande, era affascinante ed era tutto ciò che Rocket Dragomir non sarebbe stato mai: amante del bello e dell'arte, un artista, spregiudicato nella sua incrollabile eleganza. Come sempre faceva come meccanismo di difesa, Greg aveva cercato di demolirlo e di dimostrare che anche lui, come tutti gli altri che l'avevano preceduto, non fosse abbastanza. Ma Percy Halliwell aveva carattere, aveva vitalità, aveva una buona dose di simpatia e diavolo se aveva arroganza ed avventatezza! Non sapeva se Percy Halliwell fosse quello giusto, ma sapeva di non avere scuse per non concedergli almeno una possibilità. Gliene concesse una prima e poi una seconda, gli concesse un'uscita a teatro e poi una cena, gli concesse un bacio e una notte insieme fino a che Percy non iniziò a far parte della sua vita, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Ancora, dopo un anno di frequentazione, Greg non sapeva dire quel bellissimo ragazzo dai modi raffinati fosse quello giusto: si era sempre rifiutato di mettere paletti e dare definizioni, così come di legarsi troppo o arrivare a considerarlo il proprio fidanzato, no. Si era sempre rifiutato di dirgli "ti amo". Non sapeva se fosse quello giusto.. ma sapeva in cuor suo che non era Rocket.

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    « No. Smettila. » A stento li aveva sentiti, i sospiri stanchi e smorzati provenienti da un'anima sofferente tanto quanto la sua, ma la voce di Rocket si intensificò, quasi una forza nuova l'avesse spinta ed elevata. Aggrottò la fronte allora, un Greagoir confuso di fronte alla presa di posizione del tassorosso. No cosa, Rocky? Alzò gli occhi verso quelli verdi di Dragomir alla ricerca di risposte che, in fondo lo sapeva già, non avrebbe trovato: vi trovò confusione, il suo stesso dolore e una determinazione nuova.. ma vecchia. La conosceva quella determinazione: era il fuoco che bruciava nelle viscere di Rocket Dragomir e, come combustibile, muoveva il suo corpo e il suo cuore ogni qualvolta desiderasse arrivare ad un traguardo. Era il fuoco che l'aveva portato a diventare uno dei più grandi cacciatori della storia del quidditch di Hogwarts, quello stesso fuoco che l'aveva fatto risaltare tra decine di persone agli occhi di un ragazzo dalla vita perfetta. Erano tutti uguali e il tuo fuoco illuminava la notte, come un faro che mi ha portato fino a te. « Non farlo. Non tornarci. ...Io..io non voglio. » Rimase fisso ad osservarlo, la fronte aggrottata e gli occhi stanchi e confusi. Lo guardava, senza riuscire veramente a realizzare ciò che Rocket gli stesse dicendo: non capiva perché partiva da una base sbagliata. Perché si era convinto, nel corso di tre lunghi anni, di non essere abbastanza per lui, di non essere desiderato. Era chiaro, no? Rocket è partito perché non vuole avere più niente a che fare con me. Su quelle solide fondamenta si era basata la sua vita. Come spiegare altrimenti la presenza stessa di Missy? Quelle erano state le sole certezze che aveva avuto Greagoir e anche quelle, come ogni cosa all'interno di un'Hogwarts senza capo né coda, si stavano sgretolando davanti ai suoi occhi. « ...come? » riuscì a mormorare appena il biondo, un singolo filo di voce crollato sotto il peso di un'emozione nuova.. ma vecchia. Lo vide avvicinarsi, tendergli la mano e infine accarezzarlo. Dovette chiudere gli occhi per ritrovarsi improvvisamente tra quelle stesse mura, che mille e più delle stesse carezze avevano visto. Il tocco di Rocket sulla sua pelle era lo stesso di sempre, era gentile e caldo, era sicuro. Era casa. « Forse nun t'interessa ciò che voglio io o meno..E c'hai pure ragione. Ma..Io so stato costretto ad uscire dalla tua vita. Anche se era l'ultima cosa che volevo fà... » La voce del tasso crolla e così la sua mano, convincendo Greg ad aprire gli occhi di zaffiro e ad assecondare i suoi movimenti. Stretto tra le sue dita, gli sfiorò il petto ancora coperto dagli abiti della festa ormai sporchi e logori e sentì il suo cuore. Era vivo, era rumoroso, batteva violento e selvaggio. Era Rocket, non l'avrebbe saputo descrivere meglio di così. « Tu non farlo perchè vuoi farlo. Farebbe....male. Ed è egoista, tu meriti d'esse felice, ma.. Sii felice assieme a me. Se lo vuoi. » Rimase pietrificato, la mano ancora posata sul cuore dello zingaro che, se possibile, sentì battere ancora più forte. E il proprio? Il proprio neppure riusciva a sentirlo, tanto velocemente stava battendo. Di più: stava volando, libero finalmente dal peso che l'aveva tenuto a terra. Sii felice insieme a me. Lo voleva? Un tempo avrebbe detto di sì, l'avrebbe urlato perfino! Dal tetto della propria casa, perché tutta Londra potesse sentirlo! Avrebbe gridato con quanto fiato avesse in corpo, perché perfino Rocky in Italia potesse sentirlo. Voglio essere felice insieme a te, pretendo di esserlo! Me lo merito! In fondo l'aveva fatto davvero, in un certo senso aveva urlato la sua richiesta d'amore, sotto forma di messaggio a cui non ebbe mai risposta: il suo grido era arrivato in Italia e nulla più. Cominciò così la negazione. Non voglio essere felice con te, non voglio più condividere neanche un briciolo della mia vita con te. Non sei niente. Un niente fin troppo tangibile, tuttavia; un niente col quale aveva litigato, che l'aveva spinto a cantare davanti a tutto il quartiere! Un niente che l'aveva visto rimanere chiuso in una scuola a prova di morte. Un niente che aveva tutte le sembianze di una bugia e che ora, sotto le sue dita fredde, batteva impetuoso, impossibile da ignorare. Fece un passo verso di lui, d'istinto, portando anche l'altra mano al suo petto e si sentì nuovamente come quel ragazzino biondo e nudo, sotto lenzuola gialle, a respirare un profumo sconosciuto e sorprendersi di quanto possa essere reale l'amore. « Avevamo detto che l'avremmo fatta durare per sempre.. » sussurrò piano perché solo Rocket potesse sentirlo, proprio come allora, quattordicenni e una promessa più grande di loro. Non conoscevamo ancora la vita, non avevamo altro che noi stessi. Alzò il viso verso quello dello zingaro, rendendosi improvvisamente conto di come Percy e Missy fossero spariti tanto quanto la luce intorno a loro. Era sparita Hogwarts, era sparito il ballo e la stanchezza nei loro corpi dopo una notte passata a combattere per la sopravvivenza, la prima di una lunga serie. Erano spariti i dissapori e i litigi, la loro chiamata, gli insulti. Erano spariti i tre anni lontani, inabissati nei grandi occhi verdi che non avrebbe mai potuto dimenticare. Fu solo un colpo secco a riportarlo coi piedi per terra e a costringerlo a voltarsi: il rumore proveniva da un punto nella penombra della stanza, che identificò subito come l'entrata. Un tonfo e un click inquietante. « La porta.. era la porta vero? Qualcuno ci ha chiusi dentro. » La scuola ci ha chiusi dentro, avrebbero imparato di lì a breve, come tutti. A malincuore lasciò il petto di Rocket e la sua vicinanza, per camminare con la bacchetta stretta in pugno fino alla porta che, sì, era chiusa a chiave. Se ne assicurò ruotando la maniglia. « Alohomora! » Niente, la serratura non ubbidì alla formula magica. « Che strano, non si a... » la voce gli si bloccò con violenza in gola quando, voltandosi verso Rocket, notò alle sue spalle una figura evanescente farsi sempre più vicina. Socchiuse gli occhi per notare che si trattava di uno dei fantasmi della scuola, in primis, e che solo qualche secondo dopo riconobbe come Nick Quasi-senza-testa, il fantasma di Grifondoro. Camminava lentamente, strisciando i piedi verso il tassorosso, con la testa inquietantemente a penzoloni perché sprovvisto della gorgiera che era solito indossare. Per la prima volta da che ne avesse memoria, Sir Nicholas de Mimsy-Porpington gli mise i brividi. Ma mai quanto ne avrebbe messo a Rocket! Ricordava ancora il salto da campione olimpico che aveva fatto quando, mettendo per la prima volta piede in casa Olivander, aveva fatto la conoscenza con nonna Flora.. ormai morta da anni. Allungò una mano verso di lui: « Rocky, vieni qui. Non voltarti e vieni qui, ok? Non voltarti, fallo per me. » ma a nulla servì, perché la Sala Trofei venne invasa dalla voce gutturale ed echeggiante del fantasma. « Ancora. Ancora una volta è arrivata la Caccia dei Senza Testa e io non potrò partecipare. » Lo sapevano tutti a scuola, da cinquecento anni quello era il più grande rammarico di Nick Quasi senza testa, la cui testa era attaccata al resto dello spettrale corpo da un centimetro e mezzo di pelle. « PERCHE'? PERCHE'!! » I vetri delle teche vibrarono improvvisamente, mossi da un'energia che Greagoir non credeva possibile. Vaghi ricordi delle lezioni a scuola di Difesa contro le arti oscure, e un'esperienza diretta di convivenza con un fantasma, gli dicevano che i fantasmi non possono interagire col mondo. Avrebbero bisogno di molta, moltissima energia psichica per farla. La stessa che un massacro collettivo avrebbe potuto raccogliere? Sir Nicholas estrasse dalla cintura un grosso spadone da cavaliere. « Voi.. sì, sì, sì!! VOI! PARTECIPERETE AL POSTO MIO! » Sgranò gli occhi, portandoli improvvisamente a Rocket. Siamo in pericolo. Di nuovo.

     
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