Broomsticks and Girls on Fire

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    Silenzio. Sin troppo. Si affidano all'affinità naturale che si crea in quel frangente. Attenti e ben cauti a osservare ogni piccolo movimento, alla continua ricerca di qualcuno che si trovi in pericolo. La foschia si è alzata nuovamente più del solito, tant'è che Beatrice sbuffa mentre seguono quel percorso ben definito che ormai conoscono a memoria, non solo perché lo hanno percorso per sin troppe volte durante le ronde da Caposcuola, ma anche perché in quei giorni, avevano imparato a conoscerlo ancora di più, calpestandolo ora dopo ora, in un susseguirsi di buio, nebbia, pioggia e vento. Negli ultimi giorni Percy e Tris si ritagliavano sempre più ronde più o meno nella stessa aria, tant'è che alla fine finivano per passare un sacco di tempo insieme. Non parlavano molto, non ne avevano nemmeno bisogno. Ogni tanto scattava quella battuta di troppo, ma per lo più era tutto stranamente normale. Naturale. Non le erano certo sfuggite le occhiate sin troppo insistenti di Dean nel impartire i turni degli ultimi giorni, non le erano sfuggite gli sguardi al cielo di Sam ogni qual volta Dean gli desse una gomitata alla eccoli, di nuovo. Ma a dirla tutto, la Morgenstern ormai di quelle amorevoli prese in giro poco si curava. In fin dei conti Moses sdrammatizzava, e grazie al cielo c'era ancora gente come lui in giro per il castello, altrimenti il tutto sarebbe stata una valle di lacrime e disperazione. Mentre stanno camminando, fianco a fianco, bacchetta e lame celate pronte, Beatrice tuttavia si concede quel di più che la obbliga a ridere. Si spinge verso Percy dandogli una leggera gomitata; dai Watson so che stai per sorridere. Stai per farlo. Eccolo. Boom! Abbiamo una vincitrice. Vanno a periodi Tris e Percy. A volte parlano per ore, altre volte semplicemente non ne hanno bisogno. C'è un moto del tutto disorganizzato in quel loro cercare una dimensione, perché a dirla tutta non hanno la più pallida idea di cosa stiano facendo o di come effettivamente un rapporto non ben definito funzioni. Si stringe istintivamente nel proprio giubbotto facendosi più vicina. « Se usciremo di qui, imparerò a cucinare. » E non è solo perché lo stomaco le sta brontolando come se non ci fosse un domani. E' stato un giorno - se così può essere definito l'intervallo tra la sveglia e l'apertura delle sale comuni - piuttosto sfortunato. E' rimasta appostata per un sacco ai margini della foresta in attesa che qualcosa saltasse fuori, ma non aveva avuto per niente fortuna, e così si era dovuta accontentare di quelle due gallette di riso che Olympia le aveva passato. Non le avrebbe accettate neanche, se solo non stesse letteralmente impazzendo dalla fame.« Il petto di pollo non ti va più bene? Siamo diventate esigenti, Morgenstern. Nel momento peggiore. » Lei alza gli occhi al cielo, prima di illuminare i volti di entrambi affinché lo possa guardare meglio. « Quelle, Watson, sono pietanze uniche, da primo appuntamento. » Ed eccoli gli sguardi tutto fuorché raccomandabili. Interrotti magistralmente da un terzo incomodo che spezza di scatto tutta la magia. Non c'è mai pace in questa Hogwarts. Un biondino che poteva avere si e no tredici anni la tira per la manica mettendo in mostra tutto il panico che è chiaro provi. Il battito del suo cuoricino aumentato. E' spaventato. « Aiuto! Gin e Terry sono rimasti bloccati sul campo. Il campo è impazzito e io non so cosa fare. Aiuto! » Di quelle cose Beatrice ne ha viste a bizzeffe negli ultimi giorni. Ha cercato di tenere a freno i propri istinti omicidi, ha cercato di tranquillizzare tutti, di tenere a bada la situazione. Lei tanto quanto tutti i più grandi si adoperavano affinché la situazione rimanesse prettamente sotto controllo. Non erano sempre bravi a farlo, perché in fin dei conti, Beatrice, Sam, Dean, Anastasia, Percy, Malia, Olympia, Rudy persino gli stessi Pervinca e Alaric, non erano altro che dei giovani che stavano lentamente uscendo dall'età adolescenziale - a volte persino in maniera repentina e davvero traumatizzante. Non erano davvero pronti ad affrontare una situazione del genere. Non erano pronti a prendersi cura dei più piccoli, perché a tratti non erano pronti nemmeno a prendersi cura di loro stessi. Vivevano ancora nella perenne irresponsabilità della dimensione individuale che solo i giovani possono avere. Accidenti, quei ragazzi erano un continuo io, io, io e per buona ragione. Non c'era poi molto da aspettarsi. Stavano facendo più di quanto le loro stesse risorse permettesse loro. Lo sguardo color nocciola della Morgenstern saetta in quello di Watson, accanto a lei. « Ok nano, respira per piacere. » Cerca di essere il più possibilmente premurosa, anche se in quello sono certamente più brave personalità come Dean o Pervinca, Olympia o Albus. Cristo santo, quelli lì hanno una specie di superpotere con i più piccoli. Di certo non Tris e tanto meno Percy. Persino nei suoi giorni da Caposcuola, aveva quasi paura a relazionarsi con i più piccoli. Una parte di sé cerca aiuto negli occhi di Percy, ma sa che lui ancora meno di lei sarebbe in grado di trattare con i ragazzini. Molto empatici con i più piccoli, mi raccomando. « Ok, ascoltami molto attentamente. Lo vedi questo ragazzo qui? Si chiama Percival, come il cavaliere della tavola rotonda - quello che riesce a trovare il Santo Graal. Ricordi?» Non odiarmi Watson, per piacere. Nel dire quelle parole, poggia entrambe le mani sulle spalle del ragazzino, cercando di guardarlo con uno sguardo rassicurante. « Ora lui ti troverà qualcuno che si prenda cura di te.. e anche qualcosa da mangiare ok? E io mi occuperò dei tuoi amici. Non succederà loro niente. Promesso. » Lo so, non fa per te, ma sono certa che saprai sbarazzartene piuttosto velocemente. « Non spaventarlo a morte, per favore. » Gli sussurra all'orecchio, certa che entrambi lo facessero in ogni caso. E a quel punto senza pensarci neanche, si alza in punta di piedi stampandogli velocemente un bacio sulle labbra, incollando la fronte contro la sua. Ogni volta è quasi una forma d'addio. Ogni volta c'è qualcosa che la ferma dal separarsene, seppur sappia sia necessario, seppur sappia in cuor suo che hanno sempre un modo per esserci. Quella vicinanza mentale non basta più, e Beatrice non si nasconde dal manifestarlo, perché in fin dei conti non c'è nulla da nascondere. Ed è allora mentre si stacca, consegnandogli il nano, che li percepisce di sfuggita, poco più in là. Dean e Malia; a loro toccava il turno degli esterni nell'area opposta rispetto alla loro. Corre nella direzione della mora, afferrandole il polso prima di gettarle uno sguardo eloquente. « Forza! Ho bisogno di te al campo! » Come ai vecchi tempi Stone. Noi sul campo a fare squadra. L'idea riesce quasi a eccitarla. Non ricorda nemmeno quando è stata l'ultima volta che è salita su una scopa. « Moses e Watson se la caveranno da soli. » Getta velocemente uno sguardo a Dean prima di trascinare lontana l'amica, lasciandoli lì, a pensare al ragazzino e al resto della ronda.

    Giunte di fronte al campo la situazione pare più grave di quanto si aspettassero. Per fortuna uno dei ripostigli con le attrezzature si trova al di fuori del campo. E così, è lì che si dirige in compagnia di Malia, facendo saltare il lucchetto con un semplice colpo di bacchetta. Ci sono parecchie scope, non delle migliori, un paio di mazze, qualche casco e qualche vecchia attrezzatura che a dirla tutta, non le ispira per niente. Afferra due Ninbus del paleolitico e ne lancia una alla Stone. Sono passate di fronte alle entrate principali lungo il tragitto. Chiaramente bloccate.
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    « Proviamo a passare da sopra. » Le dice studiando la situazione non prettamente rassicurante. Bolidi, pluffe e persino boccini d'oro stanno svolazzando in modo violento lungo dentro il campo. « Pare ne siano rimasti incastrati due lì dentro. Entriamo, li tiriamo fuori e usciamo. » Non era certa che la situazione sarebbe andata prettamente in modo liscio, ma quanto meno, Malia era un'ottima giocatrice, conosceva quel campo, conosceva le tattiche migliori della loro squadra, e proprio perché erano già state per parecchi anni una squadra, non c'era un duo migliore che potesse lavorare insieme in una situazione del genere. « I boccini mi preoccupano più di tutto. Hanno le ali taglienti. » E sono maledettamente piccoli e sfuggenti. Nessuno più della Morgenstern, ex Cercatrice, poteva saperlo. Le lancia infine una mazza. « Quest'oggi nessuna di noi gioca in casa mi sa. » Dice ponendosi a sua volta la mazza sulla spalla, pronta a salire sulla scopa. Dubita che avrà le prestazioni di una Firebolt, ma in assenza d'altro, dovranno fare i conti con le poche risorse che Hogwarts riesce ancora a rendere loro. « Ricordamelo; al prossimo banchetto in Sala Grande, come minimo ci fottiamo la Firebolt. » Sempre se una Firebolt il banchetto l'avrebbe mai offerta loro. A quel punto la guarda e le sorride. Non sa esattamente cosa le aspetta lì dentro. A dire il vero non sa nemmeno se da sopra riusciranno a entrare, ma nella possibilità in cui tra qualche istante dovessero trovarsi in una bolgia infernale, la Morgenstern decide di gettarle uno sguardo d'intensa. « Vince chi arriva a dieci anelli di.. quello che capita.. per prima? » Solleva le sopracciglia a mo di sfida. Vale tutto; boccini, pluffe, bolidi. « Facciamo vedere a quel bastardo di Kingsley perché in campo eravamo le Morgenstone. » E dicendo ciò le da una gomitata. Pronta Stone?


     
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    « Il fatto è questo: c'è stato Sir Appilton, quello al secondo piano, che a un certo punto ha preso l'ascia del cacciatore del quadro accanto al suo ed è venuto fuori, assaltandolo. Per carità, gli ha quasi mozzato una mano, è vero, ma non ha saputo più riprendersi. Ora, io capisco la paura, capisco il panico e l'adrenalina, ma dopo due ore ti devi calmare, cazzo. Per forza di cose, ti devi calmare. E invece lui è rimasto a piangere come un idiota per non sai quanto tempo. Capisci perché poi le sberle me le chiedono in ginocchio? » Si lascia andare ad un respiro pesante, mentre avanza accanto a Dean sul prato umidiccio, poco lontano dalle mura del castello. Osserva il proprio fiato condensarsi in una nuvola grigiastra proprio di fronte a sé, e d'istinto rabbrividisce. Si stringe nel proprio giubotto, tirando su la cerniera fino al mento, come se questa accortezza potesse in qualche modo provocarle più calore, o comunque ripararla meglio dal freddo gelido che da settimane le si insinua nelle ossa. Infila le mani in tasca, per poi dare una rapida occhiata poco lontano, in direzione dei resti lacerati delle capillari radici del Platano Picchiatore; alcune di queste sono rimaste ancorate al luogo in cui l'albero troneggiava sulla grande tenuta, ora scure e rinsecchite, emergono da quel buco nel terreno con l'aspetto di un presagio macabro. Ovunque ci si volti si può notare la stessa distruzione che c'è in quella voragine, con la differenza che la loro non ha smesso di concludersi. Il Platano si è sradicato, ha distrutto tutto ciò che aveva intorno a sé, creando un grande buco nel terreno, e ora lì è tutto morto. La loro devastazione, invece, è quella che vive, che si protrae di giorno in giorno e dilaga, accogliendo a sé un numero sempre maggiore d'innocenti. È quella che scava, di continuo e senza pietà, che non conosce una estremità, ma che allarga e rende sempre più profondo quel baratro in cui sono caduti. La loro distruzione non ha fine. O per lo meno, non sembra averne, e le apparenze al momento sono tutto ciò che possiedono. L'unica certezza è il pericolo. La morte, la sola costante dei loro giorni, che sono un reiterarsi delle stesse preghiere, delle stesse raccomandazioni, stesse carezze, stesse speranze, talvolta. Degli stessi "A più tardi" che hanno il sapore di un "Addio". Degli stessi abbracci disperati, a notte fonda, per tenersi al caldo, pelle e cuore. Sempre la stessa favola, che si ripete giorno dopo giorno, solo con meno personaggi man mano che si va avanti. E quelli che restano che hanno sempre più paura, inevitabilmente.
    Sono tanti i modi con cui quelle piccole pedine di quel gioco macabro si riparano, e si sforzano di costruirsi addosso maschere al fine di celare quell'orrore che alla fine, nonostante tutto, è ben visibile nei loro occhi. Qualcuno si isola, scomparendo dalla circolazione, altri si ammutoliscono, altri ancora si dimostrano perennemente irritati. Malia parla. Parla sempre, di tutto, di continuo, come una macchinetta che non sa fermarsi, con chiunque si ritrovi intorno. Non dice mai quanto è spaventata, né parla delle sue preoccupazioni con nessuno, semplicemente racconta la sua giornata, si sofferma sui dettagli futili che le stanno intorno, condivide barzellette e tenta di risollevare gli umori. Sente che in giro c'è la necessità di questo tipo di presenza, di qualcuno che provi a sdrammatizzare, che riesca a strappare un sorriso, pure se amaro, anche nelle condizioni peggiori. Apre la bocca e semplicemente non si ferma più, pure sforzandosi a volte, di riempire quegli spazi di silenzio angoscioso. Esattamente come sta facendo in questo momento con Dean, durante la loro passeggiata intorno al castello, mentre gli racconta di come questa mattina abbia letteralmente schiaffeggiato Lance White, quell'idiota di Serpeverde dell'ultimo anno, pur di interrompere il suo frignare infinito. « Sul serio, io penso di aver visto ragazzini del primo anno reagire a certe cose con più fegato, onestamente. » Si lascia scappare una risata, che però blocca a metà nel momento in cui intercetta con lo sguardo la figura di Tris che corre nella loro direzione. E non ha bisogno di particolari preannunci per capire cosa stia succedendo. Quando la mora la prende per un polso, intimandole « Forza! Ho bisogno di te al campo! » con fare concitato, e lanciandole uno sguardo chiaro, Malia non indugia un istante di troppo. Saluta Dean con una rapida pacca della spalla, e segue la compagna verso il campo, cominciando a correre a sua volta. Non ha idea di quale possa essere il problema ma, anche in questo caso, può immaginare che non si tratti di niente di buono. È a conoscenza delle trappole infami e delle insidie che quella parte del castello è in grado di tendere, e il solo pensiero riesce a donare velocità alle sue gambe, che corrono in modo sempre più forsennato in quella direzione.
    Una volta giunte alla meta, ovviamente, tutte le entrate classiche del campo sono bloccate. « Proviamo a passare da sopra » suggerisce la mora, e Malia concorda, in quanto quello pare effettivamente l'unico modo per entrare all'interno del campo.
    Una volta dentro uno degli sgabuzzini contenenti il materiale per gli allenamenti, la Grifondoro recupera la scopa che le sembra in condizioni migliori, e afferra la mazza che l'amica le sta porgendo. « Allora, per chi è che compiamo questa missione suicida? » domanda allora, mentre si dirigono all'esterno e tornano ad esaminare la situazione dal basso.
    « Pare ne siano rimasti incastrati due lì dentro. Entriamo, li tiriamo fuori e usciamo. » Annuisce piano, strizzando un po' gli occhi per cercare di acuire la vista,
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    ed è in quel momento che nota una pluffa sfrecciare solitaria tra gli anelli. « I boccini mi preoccupano più di tutto. Hanno le ali taglienti » Serra le labbra in un'espressione assorta, la mora, per poi stringere le dita saldamente intorno al manico impolverato che ha recuperato.
    « Ti sei già dimenticata della sensazione paradisiaca di un bolide in piena faccia? » scherza, mentre con l'altra mano si rigira la mazza un po' malconcia che le servirà come arma. Non è mai stata una grande battitrice, in campo. Una volta per forza di cose è stata costretta a giocare in quel ruolo, ad una partita, e per colpa sua il povero Dean si era rotto una gamba. E come dimenticare tutte le volte che quelle palle infernali l'avevano spedita in infermeria con lividi, ossa rotte e contusioni varie.
    « Ricordamelo; al prossimo banchetto in Sala Grande, come minimo ci fottiamo la Firebolt » Solleva un angolo delle labbra, prima di lasciarsi andare ad un grosso sospiro, mentre esamina con occhio un po' scettico la coda un po' bruciacchiata di quella Nimbus 500. Non è nemmeno certa che riuscirà a sollevarsi a più di qualche metro da terra.
    « Non credo che Kingsley sarà mai così gentile, considerato che ieri ho dovuto lottare per un pacco di crackers. » Si stringe nelle spalle, mentre sale a cavalcioni della propria scopa e si libra in aria appena qualche metro, giusto per prendervi confidenza. Come immaginava, il manico risponde a rilento ai suoi comandi, ed è certa non sia in grado di raggiungere neanche la metà della velocità alla quale è abituata con la sua Firebolt ultimo modello. Ma lei e Tris sono sempre state tra le migliori giocatrici della scuola, e si faranno andar bene anche questo. Non sono questi i momenti per i capricci.
    « Vince chi arriva a dieci anelli di.. quello che capita.. per prima? Facciamo vedere a quel bastardo di Kingsley perché in campo eravamo le Morgenstone. » Si concede di sorridere, la mora, mentre guarda in direzione dell'amica e la sente pronunciare quel nomignolo che spesso veniva urlato in Sala Comune, in mezzo a tanti altri cori inventati, per festeggiare le vittorie di Grifondooro. E che le riporta alla mente fin troppi ricordi. Non dice nulla, si limita a fare un cenno rapido della testa nella sua direzione, per poi spostare l'attenzione sull'obiettivo: il campo. La sua espressione pare mutare rapidamente, i segni della concentrazione già visibili sul suo viso, sulle sopracciglia corrugate, e le labbra strette, mentre la scopa si solleva rapidamente verso la parte superiore del campo.
    Quando raggiunge un'altezza sufficiente a constatare ciò che sta accadendo oltre gli spalti, si ferma qualche istante e assottiglia lo sguardo. Di fronte a sé il caos: non crede di aver mai visto tanti bolidi e boccini volare nello stesso punto, e di certo non durante una partita. Si morde il labbro inferiore, per poi dedicare uno sguardo veloce a Tris, mentre stringe le dita più saldamente intorno alla propria mazza. « Allora, che vinca la migliore » è il suo congedo spicciolo, prima di sfrecciare rapidamente all'interno del campo. Non conosce la via della cautela, Malia: non l'ha mai fatto, e senza dubbio non l'applicherebbe mai in un posto come il campo da Quidditch, dove l'azzardo e la velocità sono tutto. Sulla scopa si può soltanto correre, che sia scappando o inseguendo qualcosa non importa, ma va fatto a velocità. E d'altronde, si dice, prima troveranno quei ragazzi e prima potranno uscire di lì. Corre allora intorno al campo, guardandosi intorno alla ricerca di qualche movimento, schivando prontamente alcuni bolidi, colpendone altri con forza con la mazza, così da deviarne la traiettoria. Si abbassa di quota, avendo constatato la totale assenza di persone sugli spalti, e comincia a passare a setaccio con lo sguardo il prato a lei sottostante, senza però avere particolari risultati. La nebbia, se sommata al doversi continuamente guardare intorno per ripararsi dall'arrivo di qualche attacco, rende il tutto più difficoltoso. Si abbassa di più allora, oltre la coltre grigiastra che le annebbia la vista, fino a trovarsi a pochi metri da terra, ma è in quel momento che la sua traiettoria si incrocia con quella di uno sciame dorato. Sono tanti, tantissimi, minuscoli ed estremamente molesti. I boccini la circondano come tante api fastidiose e cominciano a colpirla, a provocarle piccoli tagli ovunque con le loro piccole ali, a strapparle perfino i vestiti in alcuni punti. E non è importante quanto cerchi di allontanarsi dalla loro portata, o si dimeni su quella scopa, o sventoli a caso la mazza, quelle piccole mosche dorate continuano ad opprimerla e a ferirla senza darle un attimo di respiro. E come sempre, anche su questo aveva ragione Tris, si ritrova a pensare, tra sé e sé, mentre cerca di divincolarsi in qualche modo. Un bolide è facile da contrastare, ma come liberarsi di quegli esserini orribili? Solo quando, a fatica, riesce a raggiungere la tasca dei propri jeans e a recuperare la propria bacchetta, per poi castare un « Immobilus! » dai toni parecchio scocciati, quegli esserini paiono quietarsi, arrestando il loro sbatacchiare d'ali incontrollato e prendendo a fluttuare in aria come a rallentatore. L'incanto durerà per appena qualche minuto, però - forse anche meno, considerate le sue non eccelse doti in quest'ambito - ed è per questo che Malia si affretta ad allontanarsi da lì, e a dirigersi con la scopa verso il bordo del campo.
    È in quel momento che li vede. Sta per curvare e dar loro le spalle, ma costringe la propria scopa a frenare - questa lo fa a rilento, almeno un paio di secondi dopo il suo comando, e per poco lei non si ritrova spiaccicata contro gli spalti. Dietro questi però riesce a scorgere due figure rannicchiate e visibilmente impaurite, che probabilmente avevano cercato un riparo dietro ad uno dei pochi sedili di legno non ancora distrutti da quei bolidi impazziti. Ancora per poco. La mora solleva subito lo sguardo, per intercettare l'amica. Alza il braccio destro, tenendo ben alta la propria mazza, in modo da farsi vedere da lei. « Tris! » urla dunque, quando riconosce la sagoma della ragazza sfrecciare poco più in alto. « Tris! Li ho trovati! » Colpisce prontamente un bolide, il tonfo sordo della propria mazza che quasi sovrasta l'urlo di panico dei due ragazzini alle sue spalle. Li guarda di nuovo. Non devono avere più di dodici, o forse tredici anni. « Dovete uscire di lì » dice, con fare concitato, mentre con la mano indica loro il percorso da seguire per raggiungerla. « Io e Tris vi porteremo fuori subito, ma voi dovete uscire. Non è sicuro stare lì dentro. » Incontra i loro sguardi incerti, senza sapere effettivamente come fare per convincerli. « Siete stati coraggiosissimi fino ad ora, davvero. Adesso dovete solo fare l'ultimo sforzo. » E farlo in fretta.
     
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    « Tris! Tris! Li ho trovati! » Sta perlustrando il campo in volo da un po', cercando di schivare bolidi, pluffe e boccini. I primi sono sempre stati suoi acerrimi nemici in campo, e proprio per questo, in sella a una scopa, la Morgenstern ha imparato a dare prova di grande agilità. Tuttavia, quel manico in particolare non sembrava aiutarla più di tanto. A scoppio ritardato l'avrebbe definita in un momento più goliardico. Ora era semplicemente un supplizio con cui doveva fare i conti. Nel sentire la voce dell'amica dall'altra parte del campo, Tris si precipita nella sua direzione, e per poco non viene presa in pieno da un bolide che le sfreccia accanto. I boccini d'oro che le ronzano intorno a intervalli regolari, stanno rendendo tanto i suoi indumenti quanto lo strato epiteliale più superiore della sua pelle, terreno perfetto per piccole incisioni che seppur non prettamente profonde, riescono a bruciare davvero tanto. Un'ala in particolare le sfreccia veloce accanto al volto, lasciando che un rivolo di sangue scenda lungo la sua guancia. Stringe i denti e si piega ulteriormente sul manico cercando di acquistare più velocità possibile. Sta perdendo la pazienza e la sistematicità nelle azioni, perché a un certo punto, persino i più temerari riescono a stancarsi dell'essere perennemente bersagliati da questo e quell'altro pericolo. « Dovete uscire di lì. Io e Tris vi porteremo fuori subito, ma voi dovete uscire. Non è sicuro stare lì dentro. » Lascia gestire quel pezzo dell'operazione di salvataggio a Malia, chiaramente una figura più rassicurante rispetto a Tris in determinate circostanze. La Morgenstern con i ragazzini ancora non ha imparato come trattare, non riesce a stare al loro passo, oppure sono loro a non riuscire a stare a quello della ragazza. Certo è che dei lattanti, l'ex Caposcuola non si è occupata. Di gran lunga più alla sua portata sono stati compiti ben diversi; cercare di supplire alla mancanza di cibo e acqua, organizzare turnazioni e ronde dentro e fuori dal castello, occuparsi di correre su e giù per il castello nel caso in cui qualcuno fosse inesorabilmente in pericolo. Le mandrie di bambini le aveva lasciate ad altri, a chi di per sé preferiva non stare al centro dell'azione per paura o semplicemente per istinto autoconservazione. « Siete stati coraggiosissimi fino ad ora, davvero. Adesso dovete solo fare l'ultimo sforzo. » I due sembrano cerbiatti innocenti, con gli occhi sgranati e una chiara espressione terrorizzata stampata in volto. Di uscirne non ne vogliono sapere. E' proprio in quel momento che serrando la mazza tra le dita, intercetta un bolide che è lì lì per colpire Malia alle spalle, mentre uno stormo di boccini si sta radunando in lontananza pronti a colpire in massa. A quel punto Tris sbuffa. L'approccio delicata non funziona. « Coprimi le spalle. » Dici quindi alla ragazza mentre si avvicina appena. Lo sguardo turpe della lupa bianca si scaglia sui due come una frusta tagliante. « Forza, fuori.» Il tono grave sembra ridursi per un istante a un ringhio. La pazienza completamente scomparsa, mentre con la coda dell'occhio, osserva i boccini avvicinarsi sempre di più. Stringe i denti e cerca di richiamare a sé tutto l'autocontrollo di cui è capace, ma non c'è niente da fare. L'istinto di sopravvivenza prevale, e allora, lasciando impugnando la bacchetta li fissa nuovamente con intensità. « Ho detto FUORI. » E nel dire ciò, casta un Reducto non verbale sugli spalti poco più in là rispetto ai ragazzi, ricreando un trambusto immenso, tale da spaventarli abbastanza perché si decidano di sobbalzare e uscire dal nascondiglio. « Grazie! Era davvero così difficile? » Chiede mentre allunga la mano a uno dei due abbassandosi con la scopa a un livello appropriato perché possa salire sulla scopa. Aspetta che altrettanto faccia Malia e lascia che la preceda. « Reggiti forte, mi raccomando. » Dice infine al suo passeggero, mentre si dirige verso i confini esterni del campo. Col carico in più la scopa risulta ancora più lenta, e così sterzare per cercare di eludere i pericoli diventa una corsa mortale agli ostacoli. E alla fine riescono a uscirne.

    Osserva i due allontanarsi dal campo con non poca incertezza. Stanno tremando, ma riescono a trovare la forza per correre via verso il castello, probabilmente terrorizzati che oltre alla trappola dovranno subirsi pure il cazziatone che chiaramente sta per arrivare da parte della Morgenstern. Come dire, oltre il danno pure la beffa. A quel punto Tris abbandona il manico di scopa a terra assieme alla mazza gettandosi sul prato, pronta a prendere un lungo respiro. Quella situazione sta diventando malata oltre ogni previsione. Solo allora si rende conto che braccia e gambe stanno tremando per l'eccesso di adrenalina e tensione accumulati durante la traversata del campo. Lei gli effetti dei bolidi li conosce bene; ciò che di certo non si aspettava era che l'oggetto dei suoi più fervidi desideri in campo, potesse diventare così letali. Anni ed anni, intenta a cacciare quel povero boccino, per poi vederselo rivoltare contro. Si accerta della condizione generale delle ferite, decidendo che tutto sommato poteva andare peggio. I jeans dovrà aggiustarli, non appena tornerà nella sala comune, ma oltre a quello e alle ferite che si rimargineranno facilmente, deve ammettere che ha passato di molto peggio. Sbuffa con fare piuttosto scocciato, mentre osserva l'ultima traccia dei due ragazzini, prima che quest'ultimi scompaiano dal suo campo visivo.
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    « Scommetto che stavano limonando quando è scattata. O peggio ancora, giocavano a briscola. » Quale luogo migliore per mettere su una partita se non il campo da Quidditch. Scuote la testa in un moto di perenne disapprovazione prima di trascinarsi appena all'indietro, appoggiando la schiena contro una delle colonne portanti dell'esterno del campo, buttando la testa all'indietro. La notte perenne sta diventando ormai un incubo. Quella in particolare, seppur sembri tranquilla, non la rassicura affatto. Quella perenne foschia ha la capacità di smembrare anche i più forti d'animo. S'insinua nelle ossa fino a farle crollare, rende l'organismo debilitante e malaticcio. La febbre aveva colpito molti dentro il castello, e il fatto che la materia prima scarseggiasse, oltre a scarseggiare il tempo per preparare anche le pepate, oltre a pozioni più necessarie, rendeva il tutto più complicato. « Cosa non farei per un po' di limoncello, ora come ora. » Lo sguardo pensieroso mentre la malinconia dei giorni lieti passati sotto quel tetto si propaga nelle ossa di lei. Avevano passato bei tempi sotto quel tetto, solo che a quel tempo non si rendevano conto di quanto fossero fortunati. Beatrice aveva sempre avuto qualcosa di cui lamentarsi, qualcosa che non andasse bene. Se i problemi non c'erano, se li creava. Anni a litigare con Percy per il campo di Quidditch. Anni passati a chiudere fuori i suoi migliori amici dalla sua vita, anni a tentare sempre di prendersi sulle spalle più responsabilità possibili, per paura che se non lo facesse fatto in un qualche modo il mondo sarebbe imploso. La mania di salvare tutti ora non poteva più concedersela, e stranamente non voleva nemmeno più farlo. Paradossalmente in quella situazione al limite del ridicolo, Beatrice aveva riscoperto nelle persone a lei più care, una forza d'animo che non aveva idea fosse lì. Se solo avesse dato loro più credito in passato, forse avrebbe vissuto meglio la sua adolescenza. Ora li vedeva; riusciva a vedere tutta la loro forza d'animo, il coraggio, la determinazione che attendeva solo di essere messa alla prova. Di scatto volta lo sguardo verso Malia e scoppia a ridere. « Rettifico quanto ho detto il mese scorso a Hogmeade. » Quel primo incontro dopo tanto tempo, in cui Tris aveva comunque trovato un modo per lamentarsi. Perché non sia mai che alla Morgenstern vada bene qualcosa. « Sono pronta a tornare a pagare le bollette, organizzare turni di pulizia del bagno e fare la spesa. » Si ritrova a sorridere tra se e se, stringendosi nelle spalle. « Alla fine non era così male, anche perché le bollette non le pagavo mai io e quando non c'era più niente da mangiare ordinare il solito pollo fritto dal cinese sotto casa non era nemmeno così drammatico. » Lo era più per Watson, che senza la sua insalatina sembrava pronto a dare il via alla terza guerra mondiale. « Pensa! Avevo persino un gatto. Cioè, non è che l'abbiamo preso a casa di proposito; mi ha seguita dal Ministero, si è piazzato sul divano e chi l'ha più schiodato. » Sbuffa appena. « Non gli abbiamo nemmeno dato un nome. Quel gatto avrà una vita di merda. Anche se se lo merita. Ha tradito la mano che l'ha nutrito schierandosi apertamente con Percy su ogni fronte possibile e immaginabile. Giuda come il padrone. » Una leggera pausa. « Effettivamente sarebbe un ottimo nome. Giuda. » Si lascia crollare a quelle confessioni sovrappensiero, senza pensare veramente a quanto effettivamente poco lei e Malia abbiano avuto tempo di parlare negli ultimi tempi e quanto poco aggiornati siano effettivamente sulla realtà delle cose e delle situazioni. « Beh tutto questo per dire, che mi manca non saper fare la donna di casa. » Un leggero sorriso intriso di dolcezza si dipinge sul suo volto. « E mi manca il caffè. Accidenti, una bella tazzona di caffé piena zeppa di zucchero e panna. » Sospira lungamente passandosi una mano sul volto per fermare il gocciolare del taglio sulla guancia. E a quel punto lo sguardo si volta in direzione dell'amica. Anche lei è stata segnata da quell'esperienza. E' più sciupata, il volto più spigoloso e profonde occhiaie a contornarle gli occhi. Chiederle come se la passa le sembra estremamente scontato; nessuno se la sta passando bene. C'è chi regge botta meglio, ma questo non significa che semmai usciranno ci sarà qualcuno che non verrà segnato in un modo o nell'altro da quella esperienza. Mentre si lascia avvolgere dalla nebbia, cerca di comprendere il suo stato d'animo. E' diventata più empatica, Beatrice. Riuscire a sentire l'altrui battito del cuore, riesce a darle la cifra di interpretazione di chi ha di fronte. Un battito più accelerato è sintomo di nervosismo o di improvviso sensazioni positive, è sintomo di un cambio di cuore. Ed è proprio allora che lo vede sfrecciare sulla sua scopa in lontananza. Samuel Scamander passa molto tempo col culo piantato sulla scopa e Beatrice gli è grata di essersi immolato per quello sporco lavoro. Le perlustrazioni aeree sono importanti, e Sam è uno di quelli che più di tutti è in grado di gestire qualunque cosa si possa trovare davanti, nel caso in cui fosse necessario farlo. Con la coda dell'occhio, Beatrice torna a guardare Malia. E' da tempo ormai che sta iniziando ad intuire cose piuttosto palesi. Che le cose tra lei e Sam non siano mai state del tutto trasparenti, non è certo un segreto di stato. Che questo ritorno di fiamma ci sia effettivamente è questione ancora leggermente controverse. Tutto ciò che ha per le mani, è un chiaro fastidio non indifferente che Scamander manifesta nei confronti di eventuali scappatine della Stone con Caposcuola a caso nei Bagni dei Prefetti e lunghe occhiate che certo non è stata in grado di ignorare completamente negli ultimi tempi da quando tutti si trovano sotto lo stesso tetto. Ma se c'era qualcosa di palese o di già appurato, certo la Morgenstern non se ne era accorta. D'altronde si sa, a Beatrice le cose o gliele sbatti in faccia, o non le comprende, o semplicemente non vuole vederla. Ma questa volta, pare proprio abbia un cambio di cuore; improvvisamente è più sensibile a ciò che accade attorno a lei, vuole essere più attenta, vuole empatizzare. Le sorride di scatto con un che di malizioso. « Allora? Come vanno le cose? » Chiede di scatto, posando gli occhi scuri in quelli di lei. « Non le cose in generale.. le cose. » Si schiarisce di scatto la voce, rendendosi conto di non essere forse nella posizione migliore di chiedere, vista la sua terribile gelosia nei confronti della propria privacy. « Insomma.. intendo le cose da stiamo per morire quindi non è il caso di farlo tristi, soli e frustrati. »

     
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    E alla fine ce la fanno. Le particolari doti di convincimento di Tris riescono a far muovere i ragazzini dal loro piccolo nascondiglio, in modo che le due Grifondoro li possano accogliere sulle loro scope e guidare all'esterno del campo. La traversata di ritorno è un po' più difficoltosa della prima, con quelle scope malandate costrette a sopportare un peso praticamente doppio e le orecchie delle due ragazze provate dalle urla dei loro passeggeri terrorizzati anche dal volo di un bolide a metri di distanza da loro. Quando lascia cadere la propria scopa sul prato bagnato di rugiada, appena fuori dal campo, Malia emette un enorme sospiro, per poi guardare i suoi giovani compagni allontanarsi correndo verso il Castello. E anche questa è fatta, si ritrova a pensare, mentre passa velocemente l'avambraccio sulla fronte imperlata di sudore. È la frase che si ritrova a ripetere ogni sera, con una punta di soddisfazione per se stessa e per i suoi amici, quando tutti loro si ritrovano sani e salvi a riscaldare coi loro corpi le poche coperte ghiacciate che si ritrovano, all'interno di una delle Sale Comuni. Anche questa giornata è passata. Sono cose che non vengono più date per scontate, perché sopravvivere, anche a trappole non necessariamente letali per gente che come loro sa cavarsela, è sempre una piccola vittoria.
    « Scommetto che stavano limonando quando è scattata. O peggio ancora, giocavano a briscola. » Solleva le sopracciglia, un leggero sorriso che si forma sulle labbra, più esasperato che divertito.
    « Io non ci posso credere. Anche con il castello che cerca di ucciderci c'è chi riesce sempre a trovare il modo di essere stupido e irresponsabile, nonostante tutto. » Ma da che pulpito, Stone? Quasi non fa caso alle parole che dice, né al fatto che fino a qualche mese prima le parole stupido e irresponsabile non facevano parte del suo vocabolario, ma erano piuttosto dei termini particolarmente azzeccati per descrivere il suo atteggiamento quotidiano. Non se n'è accorta, Malia, ma questa esperienza la sta cambiando profondamente. Forse gli altri potranno aver notato l'inaspettato giudizio che talvolta traspare dai suoi ragionamenti, o l'attenzione improvvisa per ciò che ha intorno. Si è ritrovata a fare più caso a quello che dice e a ciò che fa, a pensare effettivamente alle conseguenze. Probabilmente è stato qualcosa di inevitabile, nel momento in cui le conseguenze di ogni cosa sono diventate la morte.
    Con uno sbuffo profondo si lascia cadere sul prato accanto all'amica, e mentre questa parla lei prende ad esaminare i danni subiti durante la loro piccola impresa. Nota i jeans strappati, così come un buco tra le maglie del proprio maglione. « Cosa non farei per un po' di limoncello, ora come ora. » Annuisce tra sé e sé, la mora, emettendo un suono con le labbra, come a volerle dire "Non sai a chi lo dici". Dell'alcol le farebbe decisamente bene in questo momento, per lo meno per aiutarla ad alleviare tutte le pene senza fine che è costretta a provare. Ruota leggermente il braccio e, una volta sollevata la manica del maglione, casta un Ferula non verbale, così da fasciare il gomito sbucciato, in attesa di trovare qualcuno al Castello che sappia svolgere incantesimi di Medimagia. « Rettifico quanto ho detto il mese scorso a Hogmeade. Sono pronta a tornare a pagare le bollette, organizzare turni di pulizia del bagno e fare la spesa. » Scoppia a ridere, mentre solleva lo sguardo sull'amica, il pensiero che ritorna a quel loro incontro alla Stamberga. A quando i loro problemi erano ben altri.
    Un lungo sospiro, mentre scuote leggermente la testa. Come ha fatto in quei mesi, quando tutto andava bene, a lamentarsi e disperarsi così tanto per una cosa così futile? « Se potessi, a questo casino preferirei di gran lunga vedere su quella bacheca altri mille bigliettini che mi accusano di essere andata a letto con ogni ragazzo del castello. » L'ascolta parlare della sua vita a Londra, con Percy, delle sue abitudini, e istantaneamente un sorriso sbiadito si forma sulle sue labbra, nell'immaginarsi certi scenari. È un contesto in cui difficilmente riesce ad inquadrare l'amica, nella propria mente, forse perché l'ha sempre vista come la sua compagna di stanza coi coltelli nascosti sotto al letto e a cui rubava sempre i vestiti. L'immagine di una Tris impegnata nelle pulizie domestiche, nell'arte culinaria o addirittura impiegata in un lavoro al Ministero è qualcosa di completamente fuori dai suoi schemi, a cui non sa tutt'ora abituarsi. La mora, per lei, è ancora la caposcuola intransigente che bacchettava di continuo lei, Dean, Fred e tutti gli altri Grifondoro sfaticati per la storia della Coppa delle Case, quella che in classe aveva sempre la risposta corretta e che a Pozioni le permetteva di sostituire i loro calderoni per farle evitare la bocciatura, alla fine dell'anno. « Però sarebbe bello avere un animale domestico. E anch'io voglio un posto tutto per me, quando usciamo di qui. » Quando e non se, perché al di là dell'essere realisti e delle difficoltà che tutti loro sono costretti ad affrontare giorno dopo giorno, Malia non riesce ad arrendersi all'idea che in quel posto potrebbe rimetterci la pelle. Nonostante tutto, non sa uccidere dentro di sé la speranza che prima o poi ne verranno fuori, da quell'inferno, e che le loro vite non si concludono lì. « Se non altro perché va bene per l'estate, ma più a lungo non potrei sopportare i rumori di mio padre con la sua compagna, nella stanza accanto alla mia. » Ridacchia, ripensando a quelle serate estive sdraiata a pancia in su sul suo letto, con la musica ad altissimo volume nelle cuffie pur di non sentire. Già, suo padre. Chissà come sta, cosa pensa. Chissà se quegli infami del Ministero si sono scomodati di far sapere ad un povero genitore babbano dello situazione, e del fatto che sua figlia al momento è dispersa. Un moto di tristezza incredibile la invade, e allora si costringe a parlare ancora, e a riempirsi la bocca di quelle strane fantasie, pur di non pensarci. « Mi farai sapere se si libera qualche appartamento nelle vicinanze del tuo. Magari riesco a convincere Lympy a fare questo grande passo e ci ritroviamo il sabato sera tutte e tre sul divano in compagnia di una pizza gigantesca a guardare tutti i cartoni animati babbani che vi siete perse durante l'infanzia. » Coglie il suo sguardo, mentre sorride. Te lo immagini? Questi sogni le permettono per qualche istante di distaccarsi da ciò che li circonda, dimenticare la realtà e riuscire a vivere, per un paio di secondi, in questo suo mondo immaginario e perfetto, che altro non è che la normalità.
    Si ritrova a tornare alla realtà quando distingue la sagoma di Sam sulla scopa, sfrecciare proprio di fronte a loro, e quasi istintivamente si lascia andare ad un leggero sospiro. Nonostante la distanza non ha difficoltà a riconoscerlo, per il modo che ha di cavalcare la scopa e perché ormai ogni mattina ha imparato a memorizzare gli indumenti che indossa quel giorno, per sicurezza. Per non entrare nel panico ogni volta che trovano in giro un corpo nuovo. Ed è sempre sollevata quando lo vede, anche da lontano, durante la giornata. Ancora salvo. Anche Tris sembra notarlo, e Malia avverte subito dopo lo sguardo della mora scivolare su di lei. « Allora? Come vanno le cose? Non le cose in generale.. le cose. » Inarca un sopracciglio mentre la guarda, quasi sorpresa da quelle sue parole, e dal sorriso malizioso che le si forma sulle labbra. « Insomma.. intendo le cose da stiamo per morire quindi non è il caso di farlo tristi, soli e frustrati. » Non può fare a meno di sorridere, lievemente imbarazzata, lo sguardo che corre in modo istintivo sulla figura di Sam, ormai più lontana.
    « Sì, beh... Le cose vanno abbastanza bene » dice, abbracciandosi le ginocchia, e incapace di trattenere quel sorrisino ebete che le spunta ogni qualvolta si ritrova a pensarci. « Abbiamo fatto pace un paio di sere fa. Per te, Dean e gli altri, più che altro; così non dovete più sopportare certe situazioni imbarazzanti. » Ridacchia, guardandola, poi si stringe nelle spalle. « Cioè, sì, se non lo sapevi, ma avevamo litigato. E prima ancora... In realtà io e te non parliamo di certe cose da un po'. »
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    Si ritrova a pensare ad alta voce, e quasi si sorprende della cosa. Durante il loro incontro alla Stamberga avevano avuto modo di aggiornarsi, certo, ma avevano tralasciato certe questioni, sebbene fossero parti importanti delle loro vite. E questa confidenza le è un po' mancata, così come le è mancata la saggezza di Tris circa questo tipo di cose. Tris che è sempre stata, negli anni, quella un po' più cinica e disillusa nei confronti dell'amore e delle relazioni in generale. Puoi trovare di meglio, le aveva detto una sera, al terzo anno, dopo che lei le aveva raccontato di essersi messa ufficialmente insieme alla sua prima cotta, un Serpeverde borioso e a tratti un po' possessivo. Sulle prime quelle parole l'avevano quasi infastidita, ma aveva scoperto, col senno del poi, quando quella relazione si era inevitabilmente conclusa con un cuore spezzato e con i suoi sogni sul Principe Azzurro irrimediabilmente infranti, che la Morgenstern aveva avuto ragione sin dall'inizio. « E se conosco Sam come credo, scommetto che non ti ha raccontato niente. »
    Così, dopo aver preso un grande sospiro, le racconta tutto: di Giugno, di quella prima volta così travolgente, nei sotterranei, del ritorno a scuola, della sera del banchetto e della cazzata fatta con Fred, dei litigi, per poi arrivare a qualche giorno prima, a quando lei e Sam si sono ritrovati da soli nella capanna del guardiacaccia. Cerca di essere il più sintetica possibile nel suo racconto, punta all’essenziale, il minimo indispensabile che serva alla mora per tornare a essere consapevole di quello che accade nella sua vita. Non si sofferma con lo sguardo sognante verso un punto imprecisato, non accarezza i dettagli inutili ai quali si sarebbe senza dubbio lasciata andare se questa seduta improvvisata fosse avvenuta nella loro stanza, di fronte ad una tazza di cioccolata calda e con tutta la serenità del mondo. Ora le sue pupille vagano poco intorno a sé, restano per lo più piantate in un punto fisso, cogliendo ogni tanto quelle della Morgenstern. Non c’è molto da fantasticare. La sua è solo una verità che può essere raccontata così, con una stretta di spalle, senza farvi troppo caso. Nel mondo distorto che Kingsley ha creato loro, anche trovarsi con qualcuno è diventato un fatto accidentale, di contorno, per quanto stranamente inevitabile. Ci sono troppe altre cose di cui preoccuparsi. Se ne parla raramente, quando c’è tempo per indugiare sullo stesso luogo e non ci sono turni da organizzare, persone da curare o corpi da seppellire. E si meraviglia di se stessa, Malia, mentre parla con quel distacco nella voce, che non è dettato da indifferenza ma da una consapevolezza già matura della realtà in cui si trovano, e da quel poco (quasi nulla) che da essa possono pretendere. « Probabilmente in un altro contesto mi avresti detto che sono stata un’idiota a perdonarlo così facilmente » dice, incrociando lo sguardo della Morgenstern, che è sempre stata in grado di offrirle saggi consigli, sulla vita in generale e su quella sentimentale nello specifico. Sia lei che Olympia hanno sempre cercato di farla ragionare meglio, di limitare quella sua avventatezza che la portava a commettere errori su errori. « Ma considerata la situazione penso che mi darai ragione. » Le sorride, piegando leggermente la testa di lato, mentre con una mano si massaggia il ginocchio destro, colpito nel volo poco prima da un bolide vagante. « Quindi sì, direi che posso confermare che non morirò triste, né sola o frustrata. Ma a quanto pare non sono l'unica, no? » E ora è il tuo turno, Morgenstern. Le rivolge un sorrisetto malizioso, accompagnato da una delle sue eloquenti gomitate. Di certo non le sono sfuggiti gli ultimi sviluppi tra lei e l'ex Caposcuola di Serpeverde, cosa che mai sarebbe riuscita a immaginare, nemmeno in un mondo alternativo. « E vedi di spiegare bene perché questa cosa di Watson mi ha completamente destabilizzata. »
     
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    « Però sarebbe bello avere un animale domestico. E anch'io voglio un posto tutto per me, quando usciamo di qui. Se non altro perché va bene per l'estate, ma più a lungo non potrei sopportare i rumori di mio padre con la sua compagna, nella stanza accanto alla mia. » Scoppia a ridere Tris, rendendosi conto non solo del fatto che effettivamente doveva essere una situazione piuttosto strana, ma anche che Malia l'ha vissuta per tutta la scorsa estate quando era tornata a casa, a discapito delle direttive di Edmund Kingsley. Si strinse istintivamente nelle spalle, rendendosi conto che a dirla tutta non sarebbe stato difficile trovare una casa. Il distretto dell'oro era ancora sotto comando babbano e ancora pienamente funzionante, ma per quanto ancora? Man mano che il tempo passava, il distretto di piombo diventava sempre di più zona di guerra. Le ultime volte che aveva avuto l'occasione di muoversi liberamente a Londra, aveva osservato un peggioramento della situazione. Chissà come avrebbero trovato le cose una volta usciti? C'erano volte in cui Tris temeva che una volta usciti non ci sarebbe più stato nulla per cui lottare, nulla da salvare. Stavano sprecando tempo prezioso lì dentro. Tempo che avrebbero potuto impegnare per trovare una soluzione, alla morte dei babbani, a ristabilire un governo meno onnipotente. Tempo prezioso per tornare a casa. « Nelle condizioni attuali, Notting Hill, è il posto ideale in cui potresti vivere. » Non sa perché, precisamente, ma quel quartiere le è sempre piaciuto. Tranquillo, con abitanti che per lo più si facevano gli affari propri. Forse era proprio questo: Notting Hill era privo di ficcanaso. « Mi farai sapere se si libera qualche appartamento nelle vicinanze del tuo. Magari riesco a convincere Lympy a fare questo grande passo e ci ritroviamo il sabato sera tutte e tre sul divano in compagnia di una pizza gigantesca a guardare tutti i cartoni animati babbani che vi siete perse durante l'infanzia. » Un piano fantastico che la fa ben sperare. Loro tre piazzate sul divano a sfondarsi di cibo spazzatura e recuperare tutto ciò che nell'infanzia non hanno avuto il tempo di fare. Un seconda possibilità. Una seconda chance di vivere diversamente. Beatrice ci stava pensando spesso a come avrebbe vissuto la sua vita una volta uscita fuori. Stava riconsiderando tutte le sue scelte, le priorità nella vita, e lentamente stava arrivando alla conclusione che una vita vissuta solo all'insegna del dovere non era una vita che meritava di essere vissuta. Aveva bisogno di più di quello, aveva bisogno di una fetta di paradiso tutta per sé, qualcosa per cui valesse la pena dare effettivamente la vita. Qualcosa di solo suo. Una casa, una famiglia, amici, hobby, passioni. Quando il giovane Scamander passa non molto distante da loro, l'argomento cambia, e la Morgenstern è ben lieta di essere aggiornata su quanto si è persa durante il tempo trascorso a fare il Giuda della situazione. « Sì, beh... Le cose vanno abbastanza bene » Oh, Stone, quel sorrisone è tutto fuorché definizione di abbastanza bene. Ma sono d'accordo. Andiamo coi piedi di piombo. « Abbiamo fatto pace un paio di sere fa. Per te, Dean e gli altri, più che altro; così non dovete più sopportare certe situazioni imbarazzanti. » « Oh certo, io, Dean e gli altri vi ringraziamo per questa disinteressata concessione, Stone e Scamander. » « Cioè, sì, se non lo sapevi, ma avevamo litigato. E prima ancora... In realtà io e te non parliamo di certe cose da un po'. E se conosco Sam come credo, scommetto che non ti ha raccontato niente. » Solleva un sopracciglio stringendosi nelle spalle. « Ovvio che non mi ha detto niente, quell'idiota. Ci siamo incontrati per mesi ogni sabato mattina allo stesso baretto sotto il campo dei Falcons, ma ha ben pensato di eludere completamente l'argomento. » Poteva dargli torto, la Morgenstern? Sospira lungamente, mostrandole un'espressione leggermente colpevole. « Immagino di non poter parlare. Insomma.. io e Sam siamo bravissimi a evitare certe cose. Percy Watson aveva piazzato il culo sul mio divano da un mese e mezzo e io ho ben pensato di parlargli di tutto fuorché di quello. » Il più grande cambiamento della sua vita, la totale invasione dei suoi spazi personali, un fastidio immane, e lei aveva deciso di tenerselo per sé. Forse perché, conoscendo Sam, avrebbe trovato un modo per sbatterle in faccia l'evidenza dei fatti, ovvero che, forse Percy non le stava poi così tanto antipatica se continuava a dargli così tanta importanza. E avrebbe voluto sfogarsi. Dio se avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno. Tutte le manie di Watson la facevano a tratti impazzire, e lei non poteva parlarne con nessuno. Un cruccio non indifferente.
    Il racconto della Stone comincia e lei è ben attenta a non perdersi nessun particolare. Resta piacevolmente sorpresa nell'apprendere della sua prima volta. In passato, Tris e Malia, non hanno mai parlato molto del sesso e dell'intimità in generale, ma tutto sommato, entrambe conosceva la posizione dell'altra sull'argomento. Non può essere uno qualunque, deve essere speciale, e soprattutto deve essere una cosa sentita. Che poi, la Morgenstern ci metteva la carica ulteriore del tanto appena la dai, scappano a sventolare il premio della loro conquista ai quattro venti, era un altro paio di maniche. Sam era stato bravo, un vero galantuomo. E chi se lo sarebbe aspettato, viste le premesse di quel ragazzo. Per anni lo aveva sentito parlare di questa e quell'altra conquista, l'ha visto gonfiarsi come un pavone di fronte all'ineguagliabile risultato di poter aggiungere un nuovo nome sul suo magico taccuino che un tempo Tris gli avrebbe facilmente fatto ingoiare. Ecco, diciamo che la sua visione sul conto dei ragazzi era stata di molto distorta anche dal suo continuo frequentare Sam e Dean, che a differenza sua, erano dei grandi faciloni. Amavano divertirsi, la prendevano come una cosa leggera. E invece la Morgenstern caricava tutto di una pesantezza inaudibile. Diciamo che alla fine, la sua posizione e quella dei due si era nella sua mente equilibrata di fronte al fatto compiuto. « Probabilmente in un altro contesto mi avresti detto che sono stata un’idiota a perdonarlo così facilmente. Ma considerata la situazione penso che mi darai ragione. » Capisco e condivido. Sarebbe la prima volta nella sua vita. A dirla tutta, in cuor suo, Tris sa già di non concordare con Malia sul punto. Al momento del ballo non sapeva tutti i retroscena tra i due, ma aveva intuito che nessuno stesse bene. Era stato non particolarmente complicato fare due più due, nel momento in cui di tutti gli scoop possibili e immaginabili a Hogwarts, lui le avesse parlato proprio di quella sveltina tra Fred e Malia. Il battito del suo cuore accelerato, l'improvvisa foga nel mangiare come preso da una sorta di nervosismo primordiale. Quella storia le puzzava e non poco. E aveva continuato a puzzarle ulteriormente durante il ballo quando Sam aveva fatto l'uomo mestruato per tutta la serata. Una marea di donzelle libere, prof giovani e +1 di tutto rispetto, e lui continuava a fare il muso lungo prendendosi a testate con Watson. Non certo un comportamento molto da Sam. E poi c'era il momento in cui Tris lo aveva effettivamente messo di fronte al fatto compiuto con delicatezza - dopo aver baciato Weasley, che chiaramente gli sta tutto tranne che simpatico - prendendosi non poche occhiate colme di risentimento. Scuote la testa. « La Beatrice che ti avrebbe dato dell'idiota sarebbe morta sola e triste, se ti consola, in qualche modo. » Un modo come un altro per dire, che effettivamente, l'idiota lo è stata spesso e volentieri anche Tris. Nella vita bisogna pur correre dei rischi se si vuole raggiungere un qualcosa. Qualunque cosa. « Quindi sì, direi che posso confermare che non morirò triste, né sola o frustrata. Ma a quanto pare non sono l'unica, no? » Appunto. « E vedi di spiegare bene perché questa cosa di Watson mi ha completamente destabilizzata. » Le rivolge uno sguardo eloquente prima di sorriderle. C'è orgoglio tra le pieghe di quella sua espressione. L'orgoglio di trovarsi precisamente dove dovrebbe stare. E allora tira un lungo sospiro e scuote la testa, ben consapevole che non è brava a raccontare quelle cose, in primis perché non ha il dono della sintesi, e poi perché sarebbe la prima volta in cui realizza effettivamente cosa è successo. Prima di iniziare si premura di chiudere qualunque forma di comunicazione. Non vuole che lui la senta. Qualche cosa di privato deve pur sempre tenersela.
    « E' iniziato con.. un antidoto ai veleni rari. » E quindi inizia a spiegarle in maniera più o meno approssimativa come Watson ha bussato un bel giorno alla sua porta trovandola in condizioni degne da un film dell'orrore, rimediando là dove l'ex Grifondoro non era stata in grado di rimediare. Le spiega che Watson non era lì per caso, e quindi parte l'epopea sul branco e su quella strana connessione che intercorre tra tutti loro. Un Richiamo sovrannaturale che li tiene incollati volenti o nolenti. Inizia tutto per caso; sistemata lei, si danno alle ricerche per capire cosa sia successo a tutti loro, come funziona tutta quella cosa e via così. Passano un paio di settimane a Inverness e poi una volta tornati, pare che qualunque ragione di mantenersi sulla stessa strada si sia esaurita. Non si dimentica di menzionare quanto strano era diventato stargli accanto in tutto quel periodo. I silenzio in macchina, i momenti di imbarazzo, quel continuo completarsi le frasi. Terribile. Se esco da quella porta, è per sempre le aveva detto. Inutile menzionare il panico che le era preso nel rendersi conto che dopo quasi un mese in compagnia di qualcuno in grado di comprenderla, si sarebbe ritrovata nuovamente sola. « Solo Percy Watson poteva mettermi di fronte a un ultimatum. » E avrebbe dovuto lasciarlo andare. Avrebbe dovuto dirgli vai e basta. Ma non ci riusciva. Lo aveva conosciuto in un modo in cui forse nessuno lo aveva visto prima. Dietro una corazza semplicemente insopportabile, Percy era un abbastanza normale. Sapeva sorridere - non ridere, quello mai. Aveva insistito perché condividessero l'abbonamento di Netflix solo per piazzarsi ogni sera con qualche stronzata da mangiare che Tris gli rifilava a tradimento al posto dei soliti snack salutari. Era bravo a fare la spesa, puliva sistematicamente la casa e ad un certo punto aveva persino smesso di rinfacciarle il suo continuo lasciare i capelli nello scarica della doccia. E poi nessuno dei due era un gran chiacchierone, e non avevano amici da invitare a casa, tanto meno altro. Insomma, alla fine era un ottimo coinquilino. Perché ecco ci tiene la Morgenstern a precisare che nonostante quel loro strano convivere, tra di loro a malapena si sono sfiorati e non certo per motivi teneri. Poi il ballo, i bigliettini, il silenzio stampa dei primi quattro giorni e infine gli Inferi e la Rimessa. Quel pezzo lo passa in rassegna velocemente perché intriso di particolari inutili. « E niente.. a cosa fatte mi rendo conto che era solo questione di tempo. »
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    Si stringe nelle spalle. Ne parla con naturalezza. Non prova l'imbarazzo che ha in un certo qual modo provato nel confidarsi con Dean e Sam. Forse perché Dean e Sam rendevano tutto una barzelletta, mentre Malia poteva capirla, perché le loro storie da quel punto di vista erano simili. Entrambe rapite dalla favoletta del Principe Azzurro. Nel profondo. Molto nel profondo. « E va bene.. stiamo.. bene.. » Ok. Forse molto bene. « Non mi sto facendo troppe domande, a dirla tutta. » Perché non voglio, e non ha senso. Non ora non in questa situazione. Quindi, persino Tris, che all'idea di stabilità e quel concetto di famiglia ferreo, è ancorata come pochi, in quel momento si sta semplicemente vivendo un normale rapporto per quello che è. Con le piacevoli sorprese dei primi tempi, la complicità, il piacere di stare insieme, e una dose giornaliera di adrenalina che a dirla tutta male non fa. « Insomma, alla fine non è così male. Come tutti noi sta cercando di trovare la sua strada. E le sue paturnie saranno anche molto più complicate di quelle di Dean ma.. » Si interrompe stringendosi nelle spalle. « ..a me piace. Mi sorprende.. ogni giorno. Mi incuriosisce.. mi affascina. » Si ok, Beatrice, ci sei cascata in pieno.
    Tira un lungo sospiro a quel punto, Beatrice, sorridendole con naturalezza. « Samuel Scamander e Percival Watson. Chi l'avrebbe detto. Gli uomini che non devono chiedere. » Scoppia a ridere. Se qualcuno le avrebbe raccontato quella storia un paio d'anni fa non ci avrebbe creduto. Tutte le volte che è entrata in stanza incazzata perché aveva litigato con Watson, tutte le volte che Scamander le ha fatto saltare i nervi. Mai si sarebbe immaginata che uno dei due sarebbe diventato uno dei suoi migliori amici, nonché confidente, e avrebbe rubato - a ben vedere - il cuore della sua migliore amica mentre l'altro si sarebbe trasformato nel suo primo vero ragazzo. « Se me lo avessero predetto ti giuro che mi sarei messa a ridere come una deficiente.. subito prima di pestare a morte il ciarlatano. » Con tutte le volte che aveva parlato male di Percy, i modi in cui lo aveva definito con i suoi amici, tutto si sarebbe aspettata tranne che quella svolta. Si avvicina appena per metterle una mano attorno alle spalle, accarezzandole appena il braccio a mo di supporto. « Staremo bene. E porteremo fuori questi zucconi con chiari problemi mentali. » Perché Scamander sarà pure più bravo a nasconderlo, ma anche lui certo bene di capoccia non sta. « E forse un giorno smetteranno anche di prendersi a testate, metaforicamente parlando, solo per stabilire chi ce l'ha più grosso. » Alza gli occhi al cielo scoppiando a ridere divertita, ricordando il loro scambio non prettamente amichevole del ballo. Passano gli anni ma certe cose non sembrano cambiare mai. Come Malia e Tris. Difficoltà o meno, alla fine, dopo avversità a non finire, sono sempre lì a confidarsi. Forse per la prima volta senza remore, sullo stesso piano.


     
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