Cautionary tale

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    Come un interruttore. Un secondo era acceso, l'altro era spento. Così erano stati gli occhi di Kingsley, improvvisamente svuotati di ogni vitalità da una lama alla gola. Una parte di Tallulah si sentiva in colpa per ciò che era successo di fronte a lei, come se avesse fallito in un compito che le era stato affidato. Lei avrebbe dovuto saperlo, lei lo aveva sentito da prima ancora che la serata cominciasse: tutto dentro di lei le aveva detto che qualcosa di spiacevole sarebbe avvenuto, ma quando il suo protettore le aveva chiesto di scrivere la confessione riguardante suo cugino, la rossa aveva immediatamente pensato che i suoi sentori fossero stati indirizzati a quello. E forse era così, ma solo in parte. E quando il sangue di Kingsley le era schizzato in viso e sul candido vestito, non c'era stato nulla che la Corvonero avesse potuto fare per porre rimedio a quell'evento. Se lo avessi capito prima. Se fossi stata più attenta ai segnali. Se avessi posto le domande giuste. Del senno del poi erano piene le fosse, e a conti fatti, quelle eventualità non avevano più senso di esistere nemmeno nella sua testa. Tallulah aveva un compito, e nonostante lo shock di sentire il corpo di Kingsley perdere vita tra le sue braccia, non poteva lasciare che il turbamento prendesse il sopravvento. Quando Beatrice Morgenstern l'aveva guardata dritta negli occhi - come aveva fatto con i suoi compagni di sventura - la rossa a malapena l'aveva sentita. Una voce più importante sovrastava le parole dell'ex Grifondoro, sebbene quella voce la potesse udire solo Tallulah. "Devi completare l'opera con Ares. Ora. Gli altri sono appena scesi in guerra." Non c'era paura nel tono di voce della sua guida, anzi, sembrava quasi che stesse sorridendo - ovunque lui si trovasse. Sembrava che quello fosse proprio il punto in cui voleva tutti loro, dal primo all'ultimo. E come una moglie fedele, la Corvonero non si fece ripetere due volte quell'imperativo, approfittando del chaos generale per avvicinarsi ad Ares. Lo prese per un braccio senza mezzi termini, trascinandolo dietro a uno dei pesanti drappi violacei dati a decorazione. Allungò una mano verso il tavolo più vicino, prendendo un calice vuoto da cui staccò il manico con un colpo secco al tavolo stesso. Senza troppi convenevoli utilizzò la parte acuminata dello stelo per squarciarsi il palmo della mano, facendo colare qualche goccia di sangue dentro al bicchiere. "Bevi." disse secca, porgendolo ad Ares. Non lo fece nemmeno parlare, interrompendolo subito. "Non è questo il momento di fare domande. Bevi. Ti verrà detto cosa fare. Quando sarà il momento verrò io a cercarti e a spiegarti tutto. Per ora devi solo avere fede." Gli rivolse uno sguardo eloquente prima che la loro conversazione venisse interrotta dal ritorno delle bacchette ai loro proprietari. Tempismo perfetto. "Ferula." pronunciò, puntando la bacchetta al palmo ferito prima di lanciarsi nella mischia.

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    La sala comune Serpeverde fu l'ultima, in rotazione, ad aprirsi. Quattro giorni erano passati, e già le prime vittime erano state mietute. Pian piano tutti cominciavano ad aggiustarsi alla nuova realtà: chi cedendo sotto il suo peso, e chi contrastandola. Tallulah non faceva nessuna delle due cose. Lei assecondava. Si muoveva silenziosa, facendo tintinnare le rune nel proprio palmo a ogni passo. Le interrogava per sapere dove fosse sicuro andare e dove no. Non a caso la Corvonero era riuscita ad evitare trappole dall'inizio di quella storia. Altro punto a favore: sapeva sempre con largo anticipo quale sala comune si sarebbe aperta. "Potresti venire da noi. Saresti al sicuro. Ritroveresti anche Hugo." Strinse la mascella, svoltando nel corridoio indicatole dalle rune. Vuoto. "Eri più bravo con i ricatti, una volta. Sappiamo entrambi che non è la sua ora. Ne uscirà rafforzato, ed è la cosa migliore che possa capitargli ora come ora." Fredda e logica come sempre, la giovane Weasley. Non era andata nel panico quando aveva saputo di suo fratello. Aveva fatto qualche scena a uso e consumo del pubblico, ovviamente, ma conosceva sin troppo bene i suoi carcerieri per credere sul serio che Hugo, lì dentro, sarebbe potuto morire. "Non era quello il punto. Stai evitando il discorso." Sospirò. "Non verrò da voi. Non ora. Ho altri progetti di cui occuparmi." Sapeva benissimo dove volesse andare a parare la sua voce: voleva prendere due piccioni con una fava, ma questa volta Lulah aveva deciso di muoversi diversamente. Nelle regole del gioco, ovvio, ma diversamente.
    Quando la sala comune si era aperta, lei era stata una delle prime ad entrare, dirigendosi immediatamente verso quella che sapeva essere la camera di Ares e incantandone l'uscio affinché solo lui potesse varcarlo. I suoi compagnetti di merende avrebbero trovato un altro posto in cui trascorrere la notte, almeno fino a quando lei avrebbe ritenuto necessario rimanere in quella stanza con Ares senza orecchie indiscrete. Di norma lo avrebbe fatto per altri motivi, ma ora aveva delle ragioni ben più importanti di una scopata tanto per fare. Lo attese dunque seduta alla sua scrivania, rivolgendogli un sorriso sincero nel momento in cui lui varcò la soglia. "Sono contenta di vederti tutto intero." Sospirò appena, stringendosi nelle spalle. "Immagino che avrai accumulato un bel po' di domande in questi giorni. Spero siano quelle giuste." disse tranquillamente, facendogli cenno eloquente con la mano di chiederle qualunque cosa gli passasse per la testa a riguardo della sua nuova vita.
     
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  2. AresCarrow
         
     
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    Quando finalmente si apre la porta della sala Comune di Serpeverde non so più se ringraziare il cielo per la grazia ricevuta o se maledirlo per avermi lasciato fra gli ultimi destinatario del prezioso accesso ai propri effetti personali. Le ombre non sembrano avere opinioni a riguardo o, se ne hanno, non si disturbano ad esprimerle. C'è stato solo un momento in cui una di loro ha ritenuto opportuno rimettermi in riga a riguardo, ed è stato mentre mi lamentavo con Mun di quanto odiosi fossero i pantaloni che ho dovuto farmi prestare da un Corvonero che aveva più o meno la mia taglia. L'estetica aveva detto la voce di una delle ombre più grosse, voce profonda e vibrante come il rombo di uno scoppio lontano non è degna di un guerriero. La frugalità fortifica l'anima e aiuta a raggiungere l'essenza delle cose. Aveva avuto ragione, ovviamente, ma questo non mi aveva impedito di rispondere con un borbottato "In culo", ne di affrontare con un briciolo di entusiasmo il corridoio che portava alla mia camera. Avrei lasciato stare camice, cravatte e scarpe eleganti, ma esistono molte vie di mezzo fra quelle e gli stracci che ho indosso ora, e penso che affronterò più volentieri ciò che ci aspetta sapendo di poter contare su una scorta di mutande pulite da tenere nello zaino.
    Arrivo fuori dalla mia camera, sorridendo ad un Harry che a quanto pare ha avuto la mia stessa idea. Mi ci vuole un secondo per realizzare che lui, però, non solo non ricambia il mio sorriso ma non mi guarda nemmeno, limitandosi a fissare la porta con la mano ancora sulla maniglia - Non si apre - mi dice quando mi avvicino, e non posso che alzare le sopracciglia a quelle parole. E' la prima volta che le sento: da quando le Sale Comnuni hanno iniziato ad aprirsi tutti i residenti hanno potuto avere accesso alle proprie stanze. Ho giusto il tempo di chiedermi se Kingsley non ce l'avesse per caso con i Serpeverde quando noto altri compagni che, senza problemi, entrano nelle rispettive stanze. Nate mi soprassa, mi da una pacca sulla spalla e spalanca con un urlo entusiasta la sua camera, lanciandosi verso il proprio letto. Scene simili avvengono in tutto il corridoio.
    Torno a voltarmi verso la porta, facendo segno al mio compagno di stanza di scansarsi - Fa provare me - gli dico, e sotto la mia mano perplessa la maniglia pare ruotare docile come un micino. Harry mi guarda allibito, mentre apro la porta e sbircio all'interno. Lo sguardo intenso che incrocio mi svela su quel mistero tutto quello che c'è da sapere, e forse anche qualcosa in più. Esito un attimo sulla porta, prima di entrare e chiudermela alle spalle - Scusa Harry, non ci metterò molto - ho il tempo di dire.

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    Non le ho fatto domande.
    Lei era di fronte a me, con il volto e il petto e il vestito macchiato di sangue, e io non le ho fatto domande.
    Ho visto la Grifondoro accoltellare Edmund Kingsley proprio di fronte a Tallulah, mi sono gettato in avanti per raggiungerla, mi sono fatto scortare lì, e ancora non ho fatto domande.
    Ho bevuto, quando lei me l'ha detto, e non l'ho fatto per fiducia. Non l'ho fatto per amore. Non l'ho fatto per curiosità.
    L'ho fatto perché era giusto.
    Non so come lo sapessi, da dove nascesse quel bisogno, ma era giusto farlo. VOLEVO farlo.
    Ho preso la coppa con il suo sangue e ho bevuto, ed è stato come se qualcosa mi esplodesse nella testa.


    Non ci siamo quasi rivolti parola dopo quel momento, dopo quella notte. Ci siamo incrociati ma non ci siamo parlati. Non so dire perché, ma è stato così e basta, e come ogni cosa che si rispettasse nella vita anche quella era arrivata, con i suoi modi e i suoi tempi. La fisso solo un altro attimo, per poi dirigermi verso il mio armadio, senza più guardarla. Mi levo il maglione e la maglietta, mettendo in mostra i segni di quei quattro giorni di battaglie in cui mi sono ostinatamente gettato, e mi chino a recuperare un catino dal basso. Lo poggiò sopra la cassettiera, di fronte allo specchio, e lo riempio con un aguamenti. Mi chino in avanti, prendo l'acqua con due mani e mi sciacquo la faccia e il corpo, con calma. Il fresco mi fa bene, pulisce più il cervello che la pelle.
    Si, ho collezionato molte domande, ma dubito siano quelle giuste, così mi prendo il tempo di valutarle una per una prima di decidere quella che vale pi di tutte - Dicono che sono stato scelto per proteggervi - dico infine, ancora impegnato con il mio piccolo rituale - Chi? - è la mia domanda. Chi devo proteggere. Del perché non mi importa, i motivi raramente sono sinceri o condivisibili. Non mi interessano. Le sfide, quelle sì che hanno un fascino per me. Le parole... - E' sempre stato solo a questo scopo, per te? - domando poi con calma, senza cambiare tono. Una domanda professionale, una domanda personale.
     
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    "Dicono che sono stato scelto per proteggervi." Annuì ferma. Era così. O almeno questo era ciò che le era stato detto. La sua voce si faceva sentire davvero poco, e quelle poche volte era per lo più con la finalità di impartirle un'ordine. Quando le aveva chiesto di trovare qualcuno che bilanciasse la presenza di determinati elementi sgraditi, qualcuno che potesse guardar loro le spalle, Tallulah non ci aveva messo poi tanto a scegliere Ares. Era stata una decisione quasi immediata, dettata da un misto di fattori che lo rendevano la persona più adatta a quel compito. "Chi?" Sollevò una mano, cominciando ad elencare i nomi sulla punta delle dita. "Me, Artie, Edric e Maze. O almeno questi sono quelli di cui sono a conoscenza, sebbene sia piuttosto certa che ci sia anche qualcun altro. Pura sensazione da veggente, niente di più." Aveva interrogato spesso le carte a riguardo, convinta che i suoi sospetti fossero fondati. Eppure non aveva mai ricevuto una risposta chiara, e quando le sue dita si avvicinavano a stringere la verità, le tracce di essa svanivano come fumo nell'aria, quasi le fosse stata apertamente sbattuta una porta in faccia. Tuttavia non se ne era curata eccessivamente: se la persona - o le persone - in questione avesse avuto un ruolo importante per lei, a quell'ora il suo protettore avrebbe già trovato il modo di metterla sulle giuste tracce. "E' sempre stato solo a questo scopo, per te?" una smorfia comparve sul suo volto, rendendo evidente quanto la situazione fosse più complicata di quanto sembrasse. Scese con un balzo dalla scrivania, avvicinandosi ad Ares per osservare con occhio clinico i segni che portava sulla schiena. "Mi offendi, Carrow, se pensi che sia il tipo di ragazza che ha un solo scopo alla volta." disse sul profilarsi di un mezzo sorriso sardonico, mentre con le mani rovistava all'interno della propria borsa per estrarne una fiaschetta e alcune bende che aveva reperito dall'infermeria appena ne aveva avuto l'occasione. Era stata furba, Tallulah, ma soprattutto veloce. Gran parte delle cose che si trovavano in infermeria le aveva prese, rendendosi così necessaria agli occhi altrui, e allo stesso tempo creandosi un'assicurazione per ogni emergenza. Quella di Ares non lo era, ma si trattava comunque di una responsabilità in parte sua. "Siediti." disse, tirando a sé la sedia della scrivania. "La schiena verso di me." Lo guidò in quei movimenti mentre imbeveva dell'alcool dalla fiaschetta un batuffolo d'ovatta, passandolo sulle superficiali ferite del ragazzo. "Vedi. A me è stato chiesto di scegliere qualcuno che potesse guardarci le spalle e di renderlo ufficialmente idoneo al compito." Da qui la richiesta di bere il mio sangue. "Si fidano di me, si fidano del mio giudizio, e dunque mi hanno lasciato questa libertà decisionale." Srotolò una garza, tagliandola con un colpo di bacchetta e cominciandola ad applicare dove necessario. "Ho scelto te per diversi motivi. Prima di tutto perché ho fiducia nelle tue capacità e in te come persona. In secondo luogo perché so che tieni sia a me che a Maze, e che ci guarderesti le spalle a prescindere." prese una pausa, osservando la propria opera. Ritenutasi soddisfatta, fece il giro della sedia, mettendoglisi di fronte. "E poi perché questa, ora come ora, è la miglior possibilità di sopravvivenza che abbiamo. Diamo una mano a loro, e loro la danno a noi. Tu hai il compito di proteggerci. Ma io ti ho scelto per proteggerti a mia volta." Incrociò le braccia al petto, sospirando nello stringersi nelle spalle. "E' la chance migliore, in questo momento."
     
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  4. AresCarrow
         
     
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    Blocco il gesto a metà quando Lulah mi snocciola i nomi di quella breve lista di persona da proteggere. Resto lì, con le mani a pochi centimetri dal volto e l'acqua che cola fra le dita, a realizzare. Di lei già sapevo, era ovvio, di Artie mi importa poco, quasi non lo conosco, ma...
    Noi pochi fortunati, noi banda di fratelli.
    La citazione viene da una voce, quasi un sussurro, il ronzio di una zanzare che stuzzica la mia coscienza e...cosa?
    Edric è mio fratello, suo compagno, e non ho mai sospettato nulla.
    Dischiudo le dita, mentre anche il nome di Maze si somma nella mia comprensione. Ripenso al nostro primo incontro dopo che è tornato, a quanto mi sia sembrata cambiata, a quanto sia diversa con me. Capisco. In parte capisco. Come potesse essere diversa ma uguale, quella sera. Come potesse sapere ma non mostrare.
    Mi sblocco, finisco il gesto e mi asciugo - Anche per Edric - aggiungo, pur sapendo che se non lo ha già citato è perché non lo sa, e una parte di me vuole godere un pochino nello sbatterle in faccia quel piccolo segreto, che comunque non posso spiegarle. Le basti sapere che quell'amicizia di cui non ha mai sospettato l'esistenza è più profonda di quanto potesse immaginare.
    Una ripicca piuttosto infantile, da parte tua.
    - Lo so - rispondo a quella voce che non so se lei può udire o meno, ma comunque non aggiungo altro. Infantile o no, ho almeno bisogno di portare un punto a casa, in quella conversazione. Mi siedo, comunque, lasciandola libera di lenire il mio corpo con le mani e il mio spirito con la sua voce. Avevo pochi dubbi che avrebbe comunque trovato la risposta perfetta, il modo ideale per dirmi tutto senza dirmi niente, per calmarmi, per blandirmi. Mi spingo leggermente indietro quando lei mi passa davanti, poggiandomi allo schienale della sedia e guardandola così, dal basso verso l'alto.
    E' una statua, Tallulah, un inno alla bellezza.
    E' sensualità allo stato puro, un alito di ghiaccio in grado di incendiarti dentro, là dove si celano i tuoi pensieri più oscuri. E' il velo di neve che si posa sulla tua razionalità, seppellendola, e il dito di peccato che si insinua fra i tuoi neuroni, e a me basta guardarla per sapere di volerla. Lì, per terra, su quel tavolo, sul mio letto. Fino ad esserne esusto, se possibile, e anche un po' oltre. E' quello che voglio dirle, che non me ne frega un cazzo del resto e che ha ragione, la proteggerei comunque, lei e Maze e Edric, e fanculo tutto il resto. Ecco, vaffanculo. Vaffanculo Kinglsey, la Morgensten, i professori, i compagni morti e quelli ancora vivi. Le trappole, oh vaffanculo le trappole, con gli stupidi grifoni e gli incubi e le statue che si muovevano e i threstal che impazzivano. Vaffanculo anche ai quadri, al platano picchiatore, ai fantasmi e a tutto quanto posse possibile mandare a fanculo perché se lei è qui, con me, e io devo tenerla al sicuro non c'è comunque niente che non farei per riuscirci. Darei fuoco io all'intero castello, se lei mi dicesse che ha freddo, ed è quello che le voglio dire. Che va bene, che mi baci e smettiamola lì. Ora siamo insieme, anche in questo, ed è un nodo ulteriore che ci lega uno all'altro.
    - No -
    Le dico invece.
    Temo di essere il più sorpreso di tutti, qui dentro, ma è quello che ho detto e mentre pronunciavo quella parola sentivo anche la consapevolezza di ciò che l'aveva spinta a nascere in me. Era come un combattimento, alla fine, in cui corpo e mente sapevano cosa fare prima che io me ne rendessi conto - Avrei accettato se me lo avessi chiesto ma se non l'hai fatto ci deve essere un motivo. So che mi aiutano, me ne sono accorto, sono...incoraggianti, e premurose, e...tentatrici...ma chi te lo ha chiesto, Lulah? E soprattutto...qual è il prezzo per potervi proteggere? - scuoto la testa, continuando pacato - Sai che lo pagherò in ogni caso, ma voglio saperlo -
     
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    "No." Sollevò un sopracciglio, interdetta e sorpresa al contempo dalla reazione del ragazzo. Di certo non si aspettava un ringraziamento, ne' tanto meno che in quei pochi giorni della sua nuova vita avesse capito tutto ciò che c'era da capire, ma un no..quello non era esattamente nei suoi piani. "Avrei accettato se me lo avessi chiesto ma se non l'hai fatto ci deve essere un motivo. So che mi aiutano, me ne sono accorto, sono...incoraggianti, e premurose, e...tentatrici...ma chi te lo ha chiesto, Lulah? E soprattutto...qual è il prezzo per potervi proteggere? Sai che lo pagherò in ogni caso, ma voglio saperlo." Si sforzò a sorridergli benevolmente. Nel momento esatto in cui la Corvonero aveva preso su di sé quel compito, aveva capito che non sarebbe stato facile. Sapeva di dover avere pazienza, e la rossa ne era incredibilmente provvista, contro ogni aspettativa. D'altronde lei era quella che si sarebbe potuta definire una donna di scienza, e questa definizione prevedeva a monte un certo grado di tolleranza nei confronti di situazioni che potevano richiedere più tempo del previsto. E infatti pure lei si prese il suo tempo per rispondere, muovendo passi tranquilli all'interno della stanza per tornare alla scrivania e prendervi nuovamente posto a sedere. "Non te l'ho chiesto perché non è il genere di cose che si chiedono, Ares. L'eventualità che rifiutassi mi avrebbe costretta a prendere provvedimenti di una certa serietà, e non ho voluto correre il rischio. Una semplice constatazione economica risk-reward. Conveniva così a tutti, nulla di personale." E quindi la tua volontà l'ho scavalcata. Perché è questo che fa la gente come noi: prevarica. Lo imparerai presto. "Per quanto riguarda il prezzo, si tratta per lo più di svolgere piccoli lavoretti quando e se te lo chiedono. Se ti rifiuti ci saranno delle conseguenze, e semplicemente chiederanno a qualcun altro di farlo al posto tuo. Quindi si riduce un po' tutto a quanto ci tieni ai privilegi che ti vengono concessi." Alzò un dito, intimandolo a non interromperla. "E in un momento come questo, i privilegi che abbiamo fanno la differenza tra la vita e la morte. Quindi no, se hai intenzione di chiedermelo, non mi sento in colpa e non mi pento affatto di averti fatto questo. Come non mi sento in colpa di averlo fatto ad Artie ed Edric. Può far male, a volte, ma è il prezzo della protezione che ci offrono." Può far male, sì, come la confessione che era stata costretta a fare a spese di suo cugino. Le aveva fatto un male cane, quel tradimento, e se ne era pentita perché non avrebbe voluto farlo sin dal principio..ma era un male necessario. Necessario e inutile al contempo, dato la maniera in cui il ragazzo l'aveva presa. Un mezzo sorriso comparì sulle sue labbra a quel ricordo. Ti hanno scelto bene, Al. Sei il loro piccolo Giobbe. La pedina che costituiva suo cugino non era caduta, e sebbene questo avesse fatto alterare non poco il protettore di Tallulah, sembrava che comunque egli fosse riuscito a raggiungere un qualche altro scopo capace di placarlo. Qualunque cosa stesse succedendo, dunque, doveva succedere. "Vedila così: ora come ora stiamo giocando dalla parte dei vincenti, e nostro compito è far sì che rimangano tali. Se lo sono loro, lo siamo anche noi. E' uno scambio equo."
     
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  6. AresCarrow
         
     
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    Si può essere attratti da qualcuno le cui parole suonino tanto fredde, a rotolare fuori da quelle labbra vermiglie?
    La risposta, se mai io abbia avuto dei dubbi, è palese di fronte ai miei occhi.
    Osservare Tallulah muoversi per la stanza è come ammirare il fluire di un serpente e restare rapiti dal fluire sue spire, il fluido rotolare delle parole fuori dalle sua labbra vermiglie è una canzone di guerra cantata in tempo di pace. E' incantevole, a suo modo, e in grado di parlare alla parte più animalesca del mio cervello proprio perché di selvaggio, nel suo modo di esprimersi, non c'è assolutamente niente. Tallulah siede sul trono di ragionamenti che si è costruita al centro di una gigantesca ragnatela di cui lei sola vede i confini e io, invece che esserne spaventato, ne sono spaventosamente attratto. Porre domande è il mio modo di allungare una mano a toccare uno dei fili con la punta di un dito, nel tentativo di cogliere i dovuti collegamenti e di ricostruire la forma dell'intero disegno dalla risposta a quelle vibrazioni.
    Ti piace.
    La voce è un sussurro, l'unica ombra che pare una donna. Suadente, ne vedo la forma allungarsi sotto il letto.
    Lei ti piace.
    Tutto questo ti piace.

    No, non mi piace. Mi intriga. Mi incuriosisce. Mi stimola, come un rompicapo che non riesco a comprendere o un indovinello la cui soluzione è ancora molto lontana. Credo sia quello che ami attira tanto in Tallulah: ogni volta che credo di averne colto ogni sfumatura riesce a trovare una maniera per rimettermi sulla graticola, per tenere tutta la mia attenzione su di lei.
    Ne sei...innamorato?
    Sorrido alla voce, mentre nel pacato scorrere del discorso che sta facendo Tallulah vedo apertamente qualcosa che avevo solo intuito, di lei, fino a quel momento. Non sono sicuro che saprei esprimerlo a parole ma c'è un'ambizione che non si coglie subito che filtra dal suo modo di parlare e che, in qualche maniera, definisce i limiti di quello che Tallulah è. Non ne sono innamorato, sarebbe stupido credere che quel genere di sentimenti abbiano un posto nel discorso che stiamo facendo e la stupidità non appartiene a nessuno dei due, ma se fossi innamorato di qualcuno sarebbe sicuramente di lei e comunque non credo che qualcuno, nel castello, sappia vederla e apprezzarla come la vedo e la apprezzo io.
    Più bella di quello che sembra, perfino, e in qualche maniera più fragile di quanto lei stessa non creda di essere.
    Resto in silenzio, a rimirarla, ancora e ancora, mentre una parte di me salta intuitivamente di ragionamento in ragionamento nel tentativo di cogliere quante più sfumature possibili del mosaico che ho davanti agli occhi. Di una cosa però non ho alcun dubbio: preferisco essere dentro, che esserne chiamato fuori - Per chi combattiamo, Lulah, e in quale guerra? - una domanda banale, forse, a suo modo, ma che mi serve a chiarire. Un guerriero può combattere per bene solo se ha ben chiaro i confini della sua battaglia.
    - Le vedi anche tu? - le domando dopo, muovendo il capo ad indicare con un cenno del mento le ombre che si muovono sotto lo scrittoio. A volte sono poche, invisibili o assenti del tutto, ma pare che ogni angolo buio di quella stanza se ne stia riempiendo adesso che sono con lei. Tacciono ma, come una folla muta, il lieve vibrare dei loro movimenti ne comunica la presenza.
     
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    "Per chi combattiamo, Lulah, e in quale guerra?" Un sorriso di ambigua natura le increspò immediatamente le labbra nel sentire quella domanda, la stessa che probabilmente si stavano facendo tutti quanti. Tallulah non aveva una vera e propria risposta, ma solo pezzettini di puzzle che pian piano, con estrema calma e metodo, stava rimettendo insieme, cominciando a intravedere le prime linee di quella complessa figura. Tutta quella storia era cominciata praticamente per caso, da un errore le cui conseguenze erano ricadute su Artie, e che in seguito la rossa aveva deciso di imporre anche a se stessa nella speranza di trovare una cura. Alla fine aveva lasciato stare, probabilmente perché quella vita le piaceva più della sua precedente. Streben: il continuo anelare. Come un moderno Faust, la Weasley aveva stretto un patto con il suo personale Mefistofele, chiedendogli conoscenze in cambio di favori. E lui quel mondo gliel'aveva aperto e dissezionato sotto ai suoi occhi umani, porgendole il cuore pulsante dell'esistenza terrena. « Io mi son parte di quella possanza che vuole continuamente il male, e continuamente produce il bene. » Questo sapeva, e questo le bastava. Forse perché se anche ci fosse stato qualcosa di più oscuro lì sotto, lei se lo sarebbe fatto andare bene comunque, accettandolo in cambio dei propri privilegi. E in effetti tutti i segnali puntavano a quello: la stessa esistenza di Maze ne era una prova schiacciante. Ma questo lei non poteva dirlo, o almeno non in tutto e per tutto. Sospirò, dunque, cercando di riordinare le idee in testa e metterle in fila nella migliore delle maniere. "Purtroppo non ho una risposta completa a questa domanda. Sto cercando di rimettere insieme i pezzi man mano che si dispongono sul tavolo, ma quello che posso dirti è che il piano in cui si svolge veramente questa guerra non è quello in cui viviamo e sentiamo." Sentire inteso come percezione dell'esistenza in toto. "Noi vediamo un po' più degli altri, come se stessimo sporgendo la testa oltre una tenda chiusa, ma mi pare evidente che la figura intera non ci sia concesso di vederla. Quello che so, però, è che chiunque ci sia dall'altra parte, è interessato almeno un po' alla nostra realtà - anche se dubito che sia il suo interesse principale." Una spiegazione tanto astratta quanto difficile da mettere in parole. Tutto ciò che lei sapeva era per lo più frutto di supposizioni e lungo studio, ma non pretendeva certamente di darlo per oro in colato. "Vedila così: l'umanità ha fatto una serie di cose indicibili in nome di un Dio che non ha mai visto ne' sentito." nel dirlo rivolse ad Ares uno sguardo eloquente "Ecco, se vuoi puoi chiamarla Guerra Santa oppure Crociata. Di certo è la cosa che gli va più vicina. Con la differenza che noi, però, abbiamo un canale di comunicazione con ciò che sta..oltre, qualsiasi nome tu voglia dargli." Più di una volta in Tallulah era sorto il dubbio che quella guerra altro non fosse che una colonizzazione, e che loro fossero i piccoli indigeni a cui i conquistatori offrivano benevolenza in cambio di sottomissione. Un dubbio persistente, che rimaneva in lei come l'ipotesi più plausibile, e contro il quale tuttavia non si opponeva. Perché avrebbe dovuto? Per fare la fine di tutte le civiltà sterminate nel corso delle varie ondate colonizzatrici? No. Lei intendeva sopravvivere, e per farlo, era necessario adattarsi. Non espose comunque quella teoria, più per l'incertezza che la connotava che per altro. Non voleva farlo allarmare sulla base del nulla.
    "Le vedi anche tu?" seguì i movimento del capo di Ares, che con ogni probabilità voleva indicarle le presenze altre all'interno della stanza. Quelle che lei, evidentemente, non poteva vedere. Scosse dunque il capo, senza tuttavia rimanerne sorpresa. "No. Ognuno ha i propri. C'è chi ne ha uno solo e chi più, ma sono visibili - oppure udibili - solo al diretto interessato." Lasciò qualche istante di silenzio, guardandosi attorno con un mezzo sorriso, quasi stesse salutando a modo suo gli invisibili presenti. "Ti stai abituando?"
     
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  8. AresCarrow
         
     
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    Ne ascolto la spiegazione in silenzio, riflettendo con estrema attenzione su ogni parola che ascolto uscire da quei petali color vermiglio.
    La sento parlare di un Dio, di una Guerra Santa, di una Crociata, ma non mi sfugge il fatto che non nomini nemmeno di sfuggita il colore dello stendardo che, a questo punto posso usare il plurale, serviamo. Mi dondolo per un attimo con il pensiero che lei non lo sappia e che la spiegazione sia molto più complessa di quella messa in così poche parole, ma non mi illudo a lungo: la natura stessa di quello che vedo esula la possibilità che siano i figli della luce ad avere la nostra fedeltà. E' comune credere che dietro un volto silenzioso ci sia uno sciocco ed è da molto che me ne sono fatto una ragione, ma accettarlo non significa per forza condividerlo. Non mi illudo, non sono di sicuro io la persona più intelligente in questa stanza, eppure non voglio nemmeno rassegnarmi a fare la figura dello stolto. O forse tenere le mie considerazioni per me è la cosa più saggia?
    Ares...
    Ruoto lentamente la testa, in direzione dello stesso angolo che ho indicato poco prima a lei. L'addensarsi stesso dell'oscurità là sotto è di per sé un indizio di quanto sia interessata il nostro pubblico. Non ne ho mai viste tante tutte insieme, in quei giorni, ed ora sembra che qualsiasi angolo di oscurità si sia, di colpo, riempito.
    Il tuo nome richiama alla guerra.
    E' vero. Ares, Dio della Guerra. E' stato mio padre a sceglierlo, un padre che ho amato e odiato profondamente, senza mezze misure. Un padre folle, violento, che ha deciso ancor prima della mia nascita che sarei stato il guerriero che alla mia famiglia mancava da secoli e di cui nessuno sentiva la necessità, a parte lui, e che come tale mi ha cresciuto.
    ...il sangue...
    ...i tamburi...
    ...lo scontro...
    Non ti sta piacendo?

    Storco il naso, mentre torno con lo sguardo su di lei.
    Lo storco perché hanno ragione, ovviamente. Odio il pericolo, il sapere Mun a rischio, i cadaveri e l'essere rinchiuso ma sospetto di non poter mentire a loro, e nemmeno a Tallulah, e la verità è che una parte di me gode di quella situazione. L'adrenalina, la battaglia, il dolore...la vittoria, sul nemico ma anche sui propri limiti...sono sopravvissuto ad un Minotauro ed ad un Grifone, fra le altre cose. All'essermi gettato da una torre. Ai bagni dei prefetti e al non aver avuto accesso a nulla di mio da quattro giorno, ormai. Mi piace, quel senso di vittoria dato dal sopravvivere nell'estremo. E' un gioco, un addestramento. Una sfida continua - E' stato strano, subito - le rispondo - Ma poi è stato un po' come se fossero sempre state lì. Parlano una lingua che non fatico a comprendere - e non sto parlando delle parole e della semantica, ma dei significati, anche se suppongo che il senso della "tentazione" sia proprio quello - Com'è il tuo? - le domando ancora.
    Poi allungo una mano, in un invito.
    Un'altra verità è che ho voglia di lei.
    Non del sesso, non solo almeno, anche se è un desiderio che si è acuito, in quegli ultimi tempi, un bisogno che martella in un angolo della mia mente, costante. Ho voglia di sentire il suo calore sulle gambe, il suo respiro sulla pelle, il suo profumo circondarmi. Ho voglia di quel contatto, di quel calore. Di sentirmi desiderato, seppure io sappia quanto fuggevole sarebbe quella sensazione - Devo essere geloso, Lulah? Di Edric o di Artie? - e non le sto chiedendo se è andata a letto con loro, o se ha intenzione di farlo. Quello, temo, avrebbe comunque un importanza relativa, e il sesso non è altro che quello: sesso. No, le sto chiedendo altro.
    Le sto chiedendo se il fatto che loro due siano venuti prima di me insidia il rapporto che abbiamo.
    Non mi interessa essere l'unico, finché sono il primo che lei desideri.
    Colui da cui abbia voglia di tornare.
     
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    "E' stato strano, subito. Ma poi è stato un po' come se fossero sempre state lì. Parlano una lingua che non fatico a comprendere." sorrise, annuendo lentamente alle sue parole. Sanno sempre quali corde toccare. Era la loro prerogativa, probabilmente il loro stesso compito. Dividere le cose in giuste e sbagliate, a parere di Tallulah, era appannaggio degli ingenui, di coloro che volevano vivere nella confortevole menzogna che la realtà fosse binaria. Purtroppo non lo era mai, altrimenti sarebbe stato semplice scegliere la giusta via in qualsiasi circostanza. Non esiste verità se non quella che risiede all'interno del nostro cuore, l'unica che tra l'altro ci è concesso realmente conoscere. Questo era ciò che lei pensava, e per questa ragione non aveva particolare interesse nel sapere i reali colori della bandiera che portava. Puoi solo fare ciò che è giusto per te stesso, e al massimo per le persone a te più care, ma la giustizia in grande..quella non può farla nessuno, nemmeno con tutta la buona volontà del mondo; chi finisce schiacciato dagli ingranaggi è un danno collaterale, e in ogni caso ci sarà sempre qualcuno a cui tocca questo destino.
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    "Com'è il tuo?" si strinse nelle spalle, accettando la mano di Ares per mettersi compostamente a sedere sulle sue gambe, accavallando le proprie. "Furbo..carismatico." Riesco quasi a sentirlo sorridere, a tutte queste lusinghe. "Ma non mi illudo che sia mio amico. Non parla per far conversazione; quando lo fa, ha sempre uno scopo. E questo ti conviene tenerlo a mente. La nostra è un'alleanza, ma tu sarai sempre tu, e loro sempre loro." Lo guardò con aria eloquente, cosciente di non poter dire tante altre cose per non incappare in piccole ripercussioni che preferiva di gran lunga evitare. Di certo Tallulah non era abbastanza stupida da credere che il suo protettore la considerasse una sua pari, ma sebbene fosse ai suoi servigi, la rossa si era sempre rifiutata di trasformare la propria condizione in una schiavitù. Faceva ciò che le veniva chiesto, ovviamente, ma richiedeva altrettanto in cambio, tenendo bene a mente che ciò che aveva altro non era se non uno strumento in più nel suo arsenale. "Devo essere geloso, Lulah? Di Edric o di Artie?" una risata cristallina affiorò dalle sue labbra, portandola a poggiare una mano sulla guancia di Ares, guardandolo negli occhi con una vena divertita dipinta nello sguardo. "Non ne vedo il motivo, sinceramente. Prima di mie creazioni, vi considero persone a sé stanti, e come tali avete ciascuno il vostro posto nel mio cuore. Posti diversi. A te ho dato una cosa che a loro non ho dato, ad esempio. Ovvero la mia fiducia." la piega delle sue labbra si restrinse, sciogliendosi in un sorriso, più serio, ma pur sempre un sorriso dolce e rassicurante. "Non farmene pentire, Ares." aggiunse infine, con tono mellifluo, senza suonare minacciosa ne' tanto meno alterata. Tutt'altro. Posò infatti le labbra sulla fronte del moro, picchiettandogli poi ironicamente il palmo sulla guancia. "Mi raccomando."
     
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