Holy water cannot help you now

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    Un nuovo giorno. Aveva preso a incidere quelle linee sul muro antistante alla Sala Grande poco dopo che tutto era iniziato. Una sorta di rituale personale. Allo scocco dell'ora prevista per l'abbandono delle Sale Comuni, si precipitava fuori, per quella che tra se e se chiamava la raccolta mattutina. La sveglia era il mattino, lo scocco della torre dell'orologio con quello che tutti chiamavano il Banchetto era l'ora di andare a dormire. Tutto ciò che succedeva in quell'intervallo era giorno. Il tempo trascorso nelle Sale Comuni era notte. Ordine mentale. L'unica cosa che la frenasse ancora dall'impazzire, oltre la forza e il man forte che si davano l'un l'altro nelle proprie menti. La pacatezza di tutti loro era l'unica cosa che li aiutasse a non crollare, oltre alla possibilità di sbirciare ogni tanto all'esterno. Quello era un lusso e un vantaggio che non tutti avevano, e per quanto ad alcuni di loro Beatrice avesse persino cercato di descrivere la situazione esterna, era piuttosto difficile far capire alle persone che in realtà, oltre quella landa desolata in cui stavano sopravvivendo, c'era ancora vita e persone che lavoravano tutti i giorni nella speranza di tirarli fuori. La soluzione probabilmente era lì dentro, da qualche parte. Non c'era magia che non potesse essere annullata. Nulla è permanente; quanto fatto può essere disfatto. Ma se così era, nessuno di loro aveva avuto effettivamente il tempo di concentrarsi davvero sulla ricerca di un eventuale risposta. C'era sempre qualche imprevisto. C'era sempre qualcuno da dover supportare, sempre qualche emergenza di cui ci si dovesse occupare. Aveva persino pensato di proporre ai suoi fratelli d'armi, di recarsi fuori dalle Sale Comuni, quando nessun altro era in giro per il castello, così da potersi muovere senza dover pensare a eventuali eventi collaterali. Ma era troppo pericoloso. Non erano indistruttibili e non erano nemmeno lontanamente abbastanza per poter fronteggiare gli orrori lì fuori, per una notte intera, senza che nessuno si facesse del male. E il Branco serviva. Serviva vivo e vegeto. Serviva ognuno di loro al massimo delle loro capacità, per tenere al sicuro più gente possibile, non solo perché l'eventuale malessere di uno o più di loro poteva effettivamente affettare tutti, ma anche è soprattutto per una banale questione di numeri. Alla conta serale del giorno precedente mancavano troppi nomi all'appello. Nomi che Beatrice non aveva visto rientrare; scorrendo la lista di chi le è stato indicato, sembra per un momento stia per andare in pezzi. Dodici persone. Dodici persone di cui non è stata segnalata la morte durante il giorno e di cui non c'era traccia alcuna. Sam le si affianca poco dopo aver inciso quella nuova linea sulla parete. Cinque, dieci, quindi.. diciassette giorni. Sono lì da approssimativamente diciassette giorni. E si vede. La stanchezza sui loro volti è ormai lampante. Gli passa la lista, sospirando. « Anche oggi una gioia domani. » Commenta, mentre sta osservando i più grandi spartirsi i compiti della giornata. C'è a chi tocca raccogliere provviste al limitare della foresta, nelle serre e in giro per il castello; c'è chi si deve occupare dei più piccoli e a chi tocca le ronde. Le ronde sono la cosa più importante, perché si sa; per quanto esista un'organizzazione interna, qualche bastian contrario della situazione che fa quello che gli piace e pare, c'è sempre. « Vuoi una mano? » « A scovare ragazzini stupidi? Presumibilmente morti? » Scuote la testa. « Sei più utile col culo su una scopa. O qualunque ronda ti tocchi fare oggi. » Lei dal canto suo, seppur stesse dando la caccia ai cadaveri, poteva essere utile anche a qualcun altro, se solo l'avessero cercata. La parte migliore della condivisione, è che poteva essere in più posti contemporaneamente, pur non essendolo. Inizialmente aveva persino pensato di affibbiare il compito a qualcun altro. Qualcuno che effettivamente a Hogwarts fosse vissuto negli ultimi mesi. Scorrendo la lista si rendeva conto che molti non poteva nemmeno conoscerli: cinque su dodici erano del primo, molti altri, semplicemente li aveva già sentiti ma non riusciva a dare loro un volto. Affidare il compito ai Caposcuola sarebbe stata la cosa migliore. Ma a dirla tutta, quei Caposcuola, per il modo in cui erano stati eletti e per le personalità che dimostravano, non le ispiravano fiducia con un compito tanto delicato come quello di attraversarsi in lungo in largo i domini, e probabilmente anche il castello. Weasley era troppo poco cauto, la Carrow era una mina vagante, della Branwell non sapeva nulla se non che fosse sorellastra di Pervinca, ma a dirla tutta non le sembrava una gran cuor di leone, e di Trambley non sapeva assolutamente nulla, ma le ispirava ancora meno fiducia degli altri tre. Insieme avrebbero fatto una squadra di merda, qualunque combinazione avesse scelto. E poi, erano molto più utili a dar man forte alle proprie casate lì, dentro il castello. Un territorio più sicuro e che conoscevano anche meglio. Se li avevano scelti, i propri concasati dovevano evidentemente fidarsi di loro. « Devo solo trovarmi un vice. » Dicendo ciò prende a scorrere i vari volti. C'è chi si sta già dando da fare, e chi invece, sta ancora decidendo se oziare per tutto il giorno fino allo scoppio della prima trappola. « Che ne dici di lui? » Dice indicandogli una figura che ben riconosce nella folla. « Dicono che sia un gran segugio. E poi ha quell'aria da depresso cronico. Includerlo di più non gli farebbe male. Non sia mai che il Prescelto ci da poi una stellina. » Alza gli occhi al cielo, prima di guardare il migliore amico con chiara aria di scetticismo. « Che cosa dovrebbe fare oggi? » Chiede all'amico, mentre guarda le liste di chi si è proposto per fare diverse cose durante il giorno. Scorge il nome di tutte le persone di maggior fiducia. Ovviamente Percy e gli altri sono tutti impiegati in attività utili, altrettanto Malia, Olympia, Sam e Dean. Persino i quattro Caposcuola - appunto - sono stati probabilmente arruolati da Watson per rendere la loro vita un po' più proficua. A quel punto sospira, riprende la lista, dà una pacca sulla spalla a Scamander e gli sorride. « Resta in vita, mi raccomando. » Un'amara raccomandazione che ormai si fanno tutti di continuo. « E tu non mangiare il figlio del Prescelto. Oggi potrebbe persino sospirare sollevato; è nel posto più sicuro all'interno del castello. » Scoppia a ridere scuotendo la testa. Almeno riescono ancora a sdrammatizzare.

    « Potter! » Lo richiama nella folla prima di affiancarglisi. « Oggi sei con me. » Non è ovviamente una richiesta. Si reca in sala grande, dove una parte delle scorte viene perennemente sorvegliata dalla guardia di turno. Chiede giusto due bottiglie d'acqua e un pacco di biscotti. Il cibo e una bottiglia li passa al ragazzo, mentre lei dal canto suo, si tiene solo la bottiglia d'acqua. Firma per quanto preso - la sua razione giornaliera - prima di immettersi nel salone d'ingresso dirigendosi verso gli esterni. Una leggera pioggerella si scaglia sulla tenuta; non manca la nebbia, il cielo nuvoloso privo di stelle e un freddo che la porta a stringersi con più decisione nella propria giacca. « Mi hanno detto che sei bravo a trovare le persone. Corre voce che quando qualcuno cerca qualcun altro, chiedere ad Albus Potter sia una cosa saggia. » Dicendo ciò gli passa quindi la lista delle persone che devono scovare. « Non mi è chiaro se qualcuno di loro è ancora.. » Vivo. Dare per scontato determinate cose è difficile persino per Beatrice. Sangue freddo, ma anche quello finisce ad un certo punto. Erano pur sempre niente più che bambini; undicenni, per la miseria! Inizia a camminare lungo il prato, le lame pronte, l'arco sulla spalla, e i sensi ben vigili. Non è mai certo quando qualcosa spunterà fuori. I domini di Hogwarts, a qualunque ora del giorno e della notte, sono tra i posti più pericolosi.
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    « Non voglio correre rischi. Se qualcuno di loro è ancora vivo, vorrei trovarlo prima che sia troppo tardi. » Quanto è sbagliato parlare di quelle cose come se si trattasse di parlare della colazione, ma ormai quella è la loro vita e restarne intimoriti non farà altro che portarli a morte certa. « E se non troviamo nessuno.. faremo quello che va fatto. » E' ancora difficile accettare quella realtà dei fatti. Forse perché in fondo, Beatrice si sente responsabile per quanto accaduto. Una parte di sé sa che se Edmund Kingsley non fosse morto, tutto ciò non sarebbe accaduto, e non importa che il tutto faceva parte di un piano più grande. La lama che aveva assassinato l'ultimo Preside di Hogwarts, era la sua. Improvvisamente lo sguardo color nocciola si sposta sul suo interlocutore. Seppur Olympia sia la sorellina di Albus, nonché una delle sue migliori amiche, i due non hanno mai avuto alcun tipo di dialogo, se non quello relegato al rapporto tra una Caposcuola, e uno dei tanti combina guai seriali. Oh! Le soddisfazioni che le ha dato anche lui ogni qual volta ne combinasse una nuova. Solo per il gusto di sbattere in faccia a Watson, quanto i suoi discepoli non fossero migliori dei figli di Godric. D'altronde, ovunque trovasse Fred Weasley, in passato, trovava anche Albus Potter. In tempi non sospetti, prima che lui desse il peggio di sé, erano stati persino compagni di innumerevoli lezioni, ma a quei tempi erano troppo piccoli, e la Morgenstern non riusciva a entrare in confidenza nemmeno con Malia, la quale per l'appunto era la sua compagna di stanza. « Tu come te la passi? » Gli chiede quindi di scatto mentre camminano uno di fianco all'altro. Lei, intenta a guardarsi intorno, certa che prima o poi qualcosa sarebbe sbucato fuori. Non sa nemmeno perché gli conceda quella confidenza. Arriva così, dal nulla, come un naturale istinto di premura che non appena fuoriesce dalle sue labbra ha già l'aria di risultare innaturale.


     
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    "Beh, almeno tu te la passi bene, ora che non devi startene più chiuso in camera per ore intere." Sorrise mesto, abbassando lo sguardo su Arthas. Da quando era successo tutto il casino, quel cane sembrava essere rinato come una fenice dalle proprie ceneri: zampettava da una parte all'altra come fosse il re del castello, facendosi lunghe corse nella tenuta per poi tornare puntualmente da Albus. "Quanto vorrei essere te, Art, che non ti rendi conto di un cazzo." La risposta che ricevette fu una scrollata della pelliccia e una bella leccata alla mano che, paradossalmente, riuscì a far ridacchiare Albus e a far guadagnare una carezza al candido cane lupo. Doveva essere bella per lui quella storia: una tale libertà, nessun guinzaglio, nessun orario preciso. Poteva scorrazzare come più gli pareva e piaceva, e il suo padrone glielo lasciava fare, un po' invidioso della sua posizione. C'erano giorni in cui Albus non vedeva il proprio cane per ore intere, e altri in cui invece questo lo seguiva per tutto il castello in ogni dove, persino aiutandolo quando necessario. Ormai erano diventati un po' il dinamico duo - quando l'animale si degnava di accompagnarlo, almeno - e gran parte dei bambini avevano imparato ad affezionarsi a quella grossa bestia che a tratti sembrava persino più alta di loro. Albus, dal canto suo, ce li lasciava giocare senza problemi, contento di poter regalare a qualcuno una dimensione di normalità, seppur piccola e limitata. Altre volte, invece, Arthas sembrava l'unico essere vivente con cui Albus era capace di parlare apertamente di tutto ciò che gli passava per la testa. Forse era proprio quell'impossibile comunicazione tra specie diverse a rassicurarlo al punto da fargli fare lunghi discorsi in altrettanto lunghe passeggiate per i corridoi o per la tenuta. E sì, era chiaro che Arthas non capisse le sue parole, ma qualcosa gli dava a intendere che quantomeno ne comprendesse lo stato d'animo al punto da regalargli conforto quando ne aveva bisogno. Bestie incredibili, i cani.
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    "Potter!" cane e padrone si voltarono all'unisono, interrogativi, a fronteggiare una Beatrice Morgenstern che gli si stava avvicinando di gran carriera. "Oggi sei con me." Annuì con un sorriso e un ironico "Signorsì sergente istruttore." prima di seguirla in Sala Grande a ritirare la propria razione giornaliera. Infilò il pacco di biscotti nella fida tracolla, bevve un sorso d'acqua, e ripose poi anche la bottiglietta insieme a tutto il resto. "E quale sarebbe il compito del giorno?" "Mi hanno detto che sei bravo a trovare le persone. Corre voce che quando qualcuno cerca qualcun altro, chiedere ad Albus Potter sia una cosa saggia." Un altro cenno del capo. L'aria fredda della notte perenne si insinuò svelta tra le sue membra, facendolo rabbrividire per un istante nell'estrarre dalla borsa la Mappa del Malandrino. In tutta onestà non si sarebbe mai immaginato di usarla così tanto. O quanto meno non lo aveva preso in considerazione nel momento in cui Evie gliel'aveva data. Il suo primo pensiero era subito corso a Fred, Hugo e Malia e a tutti i tiri sghembi che avrebbero potuto architettare nel corso della loro permanenza al castello, ma presto quel piano si era rivelato inattuabile per l'impossibilità fattuale di aprire la suddetta Mappa senza una bacchetta. E così quella piccola eredità di famiglia era rimasta a prendere polvere in un cassetto per mesi interi fino alla sera del ballo, quando il moro l'aveva rispolverata in un moto di disperazione, tentando in una cieca follia l'apertura di ogni passaggio segnato. Gli sembravano passati anni interi da quella notte, sebbene a ben vedere non si trattasse che di pochi giorni. Era stato così enorme il mutamento in lui, così radicale e a tratti improvviso, che tutto ciò che vi era stato prima sembrava appartenere ad un'altra vita se non addirittura ad un sogno. Di tanto in tanto, segretamente, tornava a controllare quei passaggi, ma oramai la speranza della disperazione era svanita, lasciando subentrare la mesta accettazione della realtà dei fatti. Lasciò dunque scorrere lo sguardo sulla lista di nomi che gli aveva passato Tris. Li conosceva più o meno tutti, soprattutto i più piccoli. "Non mi è chiaro se qualcuno di loro è ancora..Non voglio correre rischi. Se qualcuno di loro è ancora vivo, vorrei trovarlo prima che sia troppo tardi. E se non troviamo nessuno.. faremo quello che va fatto." Sospirò, passando lo sguardo alla Mappa, dove si concentrò alla ricerca di quei nomi. Dodici per la precisione. "Se ti può interessare, e se ti può dare spunti che magari a me sfuggono, ogni tanto i nomi scompaiono dalla Mappa - il che normalmente significa che sono morti - ma.." e dicendolo sollevò un indice, pur mantenendo gli occhi puntati sulla pergamena "..compaiono qui dietro." Di colpo voltò il foglio sul retro, quello che normalmente avrebbe dovuto essere bianco. E infatti lo era: non c'era alcuna mappa, ma dei nomi sì, nomi che fluttuavano nel nulla. "Li vai a cercare e non stanno da nessuna parte. Alcuni finiscono per sparire completamente. Altri invece ritornano, e dicono di essersi persi nella foresta." fece una pausa, sollevando un sopracciglio. "Il che è veramente strano, perché se così fosse, la Mappa dovrebbe segnarli nella foresta. No?" Solo a quel punto sollevò lo sguardo su Tris. "Tre di loro sono lì. Gli altri.." lo sguardo si fece improvvisamente più eloquente, a sottolineare l'evidente fine che queste nove persone avevano fatto. "..per loro faremo quello che va fatto." La priorità, tuttavia, era recuperare nel frattempo coloro che ancora potevano essere salvati, e così i passi del ragazzo cominciarono a virare verso la foresta, abbassando di tanto in tanto lo sguardo sulla Mappa e su Arthas (il quale ormai sembrava essere diventato un gran segugio di gente morta). Una squadra fortissima: Albus trovava i vivi, Arthas i morti. "Tu come te la passi?" una mezza risata gli risalì per la gola, a metà tra il sincero divertimento e l'ormai accettata rassegnazione a quella vita allo stato brado. "Sopravvivo." Che è incredibilmente diverso dal vivere, ma lo imita in maniera quasi convincente. "Cosa di cui mi ritengo fortunato, soprattutto quando mi ricordo che qualcuno me la invidierebbe se solo potesse." stirò un sorriso amaro a quelle parole, le stesse che si ripeteva ogni qualvolta si affacciassero nella sua mente gli spettri di quei drammi personali che ormai parevano avere ben poco senso di esistere. Calciò un sasso sulla via, guardando Arthas corrergli dietro lungo la discesa. "Il che fa sorgere spontaneo il dissidio: questo è il momento migliore oppure quello peggiore per cominciare a rimettere insieme i cocci delle nostre vite? Whether 'tis nobler in the mind to suffer the slings and arrows of outrageous fortune, or to take arms against a sea of troubles, and by opposing end them." Si ritrovò a citare quelle famose parole sulla punta di un sorriso, rendendosi conto di quanto fossero pregnanti in quel momento delle loro esistenze collettive e disgiunte. Un ragionamento tanto naturale quanto contorto, che in quella specifica circostanza che si trovavano a vivere sembrava imporsi in maniera ancor più netta. Nel rischiare la morte ad ogni passo, sorgeva spontaneo chiedersi se fosse il caso di rimettere ordine nelle proprie vite prima che fosse troppo tardi, oppure dedicarsi in maniera completa al solo tentativo di rimanere in vita. Albus ancora non ci era arrivato a una soluzione, e dubitava fortemente che qualcun altro ci fosse riuscito. Tuttavia continuava ad interrogarsi, convinto a non mollare la presa sull'idea che quella sopravvivenza dovesse essere finalizzata a qualcosa di più del semplice meccanismo di respirazione. Scosse comunque il capo, conscio di quanto eccessivamente filosofico fosse quel discorso in una tale circostanza. "Lascia stare. So da solo di essere pesante. Tu invece che mi dici?" disse, cercando di sdrammatizzare il tutto prima di buttare un'altra occhiata alla mappa, fermandosi di colpo e aggrottando la fronte. "Credo non abbia più senso andare nella foresta." asserì, dopo qualche istante di pesante silenzio, percependo la secchezza nella propria bocca e il pesante tonfo dell'ennesima perdita. Inclinò la pergamena, lasciando guardare l'ex Grifondoro. Vuota. Quelle tre persone non c'erano più. Con un grosso sospiro estrasse la bacchetta, puntandola sulla Mappa e pronunciando amaramente la formula "Fatto il misfatto." Richiusa in sé stessa, la ripose nella borsa, richiamando Arthas con un fischio. "Andiamo a fare quello che va fatto."
     
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    « Se ti può interessare, e se ti può dare spunti che magari a me sfuggono, ogni tanto i nomi scompaiono dalla Mappa - il che normalmente significa che sono morti - ma.. compaiono qui dietro. » Beatrice osserva con vivido interesse il curioso oggetto che Albus Potter le mette sotto il naso. Lo aiuta a sorreggerla mentre con gli occhi scorre i numerosi nomi che si muovono sulla mappa. I suoi sono tutti lì. Brulicano ancora vivi. Non avrebbe bisogno di quella conferma, ma averla l'aiuta a realizzare che quello che il Branco sta vivendo non è solo un sogno ad occhi aperti - se così può essere definito. Quella loro cosa è vera. E sono ancora tutti vivi. Osserva anche tutti i nomi dei suoi amici. Anche loro, si muovono o sono fermi nello stesso punto, come concordato tutti insieme in fase di organizzazione delle varie turnazioni. Di colpo, Albus gira quindi la mappa per mostrarle il punto in cui vengono segnati i nomi che sembrano semplicemente sparire e allora l'ex Caposcuola corruga le sopracciglia in un moto di chiara confusione. « Li vai a cercare e non stanno da nessuna parte. Alcuni finiscono per sparire completamente. Altri invece ritornano, e dicono di essersi persi nella foresta. Il che è veramente strano, perché se così fosse, la Mappa dovrebbe segnarli nella foresta. No? » Scuote la testa cercando di fare ordine mentale tra le nuove informazioni che le vengono fornite. Torna a ergere lo sguardo sulla mappa in tutta la sua interezza. Scorre lo sguardo su tutti i nomi; molti li conosce, altri invece crede solo di averli sentiti, altri ancora non li ha mai visti in vita sua, ma una cosa le è chiara, tutti i nomi delle persone che conosce vengono segnati sulla mappa. Non ne elude nemmeno uno, il che significa che la mappa mostra tutto. Tutta la loro realtà.
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    « Forse.. » Inizia, ben conoscendo le implicazioni di quanto sta per ipotizzare. « ..sono altrove Di quell'altrove Tris aveva una dimensione davvero vaga e aveva avuto modo di assaggiarne solo una minima fetta. Lei le aveva lasciato solo la parvenza di ciò che potesse essere il suo mondo. Byron Cooper poi, era stato altrettanto evasivo in proposito. Sei entrata con un piede in un'altra dimensione, quella in cui chi è in vita non è chiamato a vedere. E, nello specifico, quel piede lo hai messo nel lato più oscuro di questa dimensione. Io ti ho vista lì. O meglio, non te, ma una parte di te, il tuo doppio. Poteva essere solo un caso. Forse nulla aveva a che vedere con quell'altrove di cui Byron le aveva parlato durante il loro primo incontro. Ma davvero, Beatrice, era pronta a credere ancora alle coincidenze? « Spero vivamente che la tua mappa si sbagli. » Sussurra istintivamente distogliendo lo sguardo e continuando a camminare un po' guardando avanti, un po' guardando le spalle al ragazzo. Lo lasciò quindi precederla di non più di un paio di passi, per accertarsi che nulla li stesse seguendo. Sempre all'erta. Sempre paranoica. Con quel nuovo strano presentimento, ancora più del solito. « Tre di loro sono lì. Gli altri.. per loro faremo quello che va fatto. » Già. E così si ritrovarono a modulare il percorso dirigendosi verso l'ultimo posto in cui avrebbe voluto inoltrarsi. La foresta. « Sopravvivo. Cosa di cui mi ritengo fortunato, soprattutto quando mi ricordo che qualcuno me la invidierebbe se solo potesse. » Un leggero sorriso amaro imperla le labbra della giovane ex Grifondoro. « Il che fa sorgere spontaneo il dissidio: questo è il momento migliore oppure quello peggiore per cominciare a rimettere insieme i cocci delle nostre vite? Whether 'tis nobler in the mind to suffer the slings and arrows of outrageous fortune, or to take arms against a sea of troubles, and by opposing end them. » Il famoso dubbio amletico, un ragionamento in cui la giovane Morgenstern è stata spesso intrappolata. Quante volte non si è chiesta se fosse più nobile e coraggioso morire o vivere? Quante volte non si era chiesta negli scorsi anni se la sua vita valesse più da morta che non da viva? Ne aveva fatti così tanti di errori, aveva lasciato che così tante cose la corrompessero, che ad un certo punto aveva perso il controllo, e aveva ferito, tradito, persino ucciso. « Lascia stare. So da solo di essere pesante. Tu invece che mi dici? » Lo sguardo scuro di lei, osserva le espressione del ragazzo, sollevando di rimando un sopracciglio con fare scettico. « Parere non richiesto e del tutto impopolare, ma Shakespeare era un coglione. » Nessun mezzo termine, per questa Morgenstern, che difficilmente accetta di questi giorni questioni troppo filosofiche. « E te lo dice una che quest'estate aveva una gran voglia e fretta di crepare. » Ne aveva avuto un gran desiderio. Più di una volta si era convinta di lasciarsi morire in quell'appartamento. « Shakespeare non ha la più pallida idea di quanto sia dolorosa la morte - o qualunque altra forma di autodistruzione - quando la propone con così tanta faciloneria come alternativa. » Gli scocca uno sguardo eloquente mentre si avvicinano sempre di più alla foresta. « E' facile.. » Dice fermandosi per un istante, osservando con una non indifferente inquietudine l'agglomerato di alberi di fronte ai loro occhi. « ..abbandonarsi, intendo. Ma per esperienza personale ti dico che c'è sempre una ragione per non farlo. E di solito quando non la vedi, tende a bussarti alla porta e romperti le palle volente o nolente. » Si stringe nelle spalle mentre un sorriso leggermente meno teso si dipinge sulle sue labbra. « Oggettivamente siamo solo degli sculati di merda. In queste circostanze non abbiamo più alcuna scusa per fare cose che non vogliamo fare, e viceversa. Quindi smettila di autocommiserarti e vedi di capire cosa vuoi dalla vita. Altrimenti, se non vuoi niente, se non hai nulla da perdere, ti lascio entrare lì dentro da solo. » Un piccolo momento per sdrammatizzare. In realtà capiva sin troppo bene cosa potesse passare per la testa di Albus. Hogwarts tendeva a mettere una serie infinita di pressioni; figuriamoci, l'aveva messa persino su di lei, nonostante fosse ormai fuori. Hogwarts ti risucchia volente o nolente in un vortice di apparenze, di equilibrio; a volte seguire gli accordi per la firma di un trattato internazionale dell'ONU è più facile. Non si stupisce del fatto che lui come tanti altri si trovino sull'orlo di un burrone, impauriti da cosa la gente possa pensare, da come gli altri possano reagire, di quanto pesanti possano essere i giudizi di qualunque mossa di ciascuno di loro. Hogwarts non le manca per niente. Mette pressione, rende tutto più complicato. Essere adolescenti, e immersi in drammi adolescenziali, rende tutto più complicato. « E a dirla tutta, non è solo un consiglio. E' un invito. » Si stringe nuovamente nelle spalle, ben conoscendo gli effetti della frustrazione, dell'essere sempre distratti da altro. « Non puoi pretendere di aiutare nessuno, se non riesci ad aiutare te stesso. » Stare apposto con se stessi è un trucco che Beatrice ha imparato a proprie spese. A forza di provare sempre quel terribile senso di frustrazione era diventata disattenta, distratta, facile vittima di sbagli e negligenza. « Credo non abbia più senso andare nella foresta. » Quelle parole ricalibrano la conversazione. Si morde l'interno della bocca Beatrice mentre sospira. Si sente una merda, ma in un certo qual modo si sente sollevata dall'idea di non dover entrare lì dentro. Non lo fatto poi molto. Un paio di volte vi si è inoltrata in compagnia di altri per cercare appunto persone, oppure per cacciare qualcosa da mettere sotto i denti. Ma ogni volta sembrava più difficile. Si sentiva come prosciugata, innervosita. Si sentiva persa, come se il suo senso dell'orientamento venisse ribaltato. A lei non era successo nulla di strano. Ma a quanto pare non per tutti era così. « Fatto il misfatto. Andiamo a fare quello che va fatto. » Sospira annuendo. « Iniziamo dal campo. E' troppo presto perché scatti. » Per quanto meno un paio, aveva iniziato a capirle. In base al tempo relativamente lungo o breve dalla sveglia, riusciva a capire che certi posti erano sicuri e altri no. Non ne aveva mai la certezza, ma era già qualcosa. Quella storia della foresta in tanto continua a tormentarla. E poi c'è quella crescente paranoia che si è insinuata nel suo animo sin dalla sera del ballo. Quelle persone che ha guardato dritto negli occhi senza una ragione apparente. Avete finito. Non aveva la più pallida idea di cosa intendesse. Quelle parole le erano fuoriuscite come se niente fosse. « Senti, devo proprio chiedertelo.. » Iniziano mentre continuano ad attraversa la tenuta, costeggiando la foresta. « Tu qui dentro rinchiuso praticamente 24 su 24 ci sei stato per molto più tempo di me. » E a Beatrice, Albus, sembra uno che sa osservare abbastanza. « Con tutta questa gente ci hai passato un'estate intera. » Pausa, tempo in cui si ferma per un istante per poterlo guardare dritto negli occhi. « Hai notato qualcosa di strano? Intendo.. gente che si comporta in modo insolito, dice cose strane o manifesta ecco.. » Si interrompe, perché non sa nemmeno come spiegare tutto quello che le sta passando per la testa. « ..perché in cuor mio comincio a chiedermi se io e i miei eravamo qui solo per la testa di Edmund Kingsley. » Una confessione dettata da un velo di fiducia che non sa come e da dove scaturisca. « Ho strani presentimenti su persone.. posti.. oggetti.. la foresta in primis. »

     
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