Whispers in the dark

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    C'erano momenti in cui il senso di colpa le gravava sul petto in modo spropositato. Il più delle volte non aveva il tempo di pensarci, Beatrice, ma c'erano anche volte in cui non poteva fare a meno di pensare a quanto la situazione sarebbe andata diversamente se solo avesse lasciato correre. Lasciar correre cosa? le chiedeva una vocina interiore spesso e volentieri. Erano stati incatenati, e il Branco non aveva fatto altro che rispondere; non si sarebbero certo piegati al volere di uomini fieri che non avevano nell'anima nella il loro stesso senso di famiglia, né tanto meno lo stesso grado di attaccamento alle radici. Le radici sono importanti, le hanno sempre detto sin dalla nascita. Prima ancora di riuscire a dire le prime parole, nel cuore della Morgenstern, il concetto di unione si era stagliato tra le pieghe della sua nascente personalità fino a inglobarla. Non avrebbe saputo fare di meglio in ogni caso, perché quegli uomini avevano tolto loro la dignità e il libero arbitrio, così come avevano fatto con molti altri, e Beatrice e i suoi tutto ciò non avrebbero potuto accettarlo a lungo andare. Eppure ora ci pensava; pensava e ripensava alle sue azioni, alle conseguenze cruenti di cui volente o nolente si faceva portatrice che in un modo del tutto innaturale gravavano sulle sue spalle. Non restava ferma un attimo per cercare di rimediare, per tenerli tutti al sicuro, ma per quanto ci provasse, non tutti avevano la fortuna di potersi trovare nello stesso spazio vitale di qualcuno dei suoi, e inevitabilmente, se non avevano la fortuna e la forza interiore necessaria per sopravvivere, cadevano come foglie in pieno autunno. Ne avevano seppelliti di corpi negli ultimi tempi. Corpi di personcine piccole, fragili; molti non avevano nemmeno cominciato a vivere, e stavano già cadendo. Di volta in volta, le Sale Comuni erano più vuote della sera precedente. Di volta in volta le liste delle presenze si accorciavano e l'evidenza delle morti si faceva più pressante. Per quanto organizzati, qualcuno ci rimetteva sempre, e all'orizzonte non c'era soluzione alcuna per venirne a capo. Si domandava quindi quanto prima che il castello si svuotasse completamente, quanto prima che quella situazione diventasse permanente. « Vai a riposarti. » Dean è al suo fianco, le mette una mano attorno alle spalle, accarezzandole appena il braccio, e lei sbatte d'istinto la fronte contro il suo petto. E' stanca e prosciugata e ha dimenticato anche l'ultima volta che ha mangiato. L'ultima razione di cibo l'ha offerta a un gruppo di ragazzini più piccoli, e ora il suo stomaco brontolava. Fissano entrambi i confini della foresta proibita. Si sentono strane voci su quel posto; la gente sparisce e non torna più. Qualunque forma di trappola ci sia lì dentro, Beatrice non l'ha mai beccata, e nessuno è ancora tornato per raccontarne gli effetti. Lei dal canto suo, a volte, ha l'impressione di sentire voci che provengono da quel posto lugubre. Un tempo la foresta proibita era uno dei posti che prediligeva. Ogni qual volta le capitassero le ronde negli esterni, ai tempi in cui era ancora Caposcuola, Beatrice non riusciva a resistere all'idea di sfuggire agli altrui occhi, nascondendosi tra gli alberi, arrampicandosi tra i fitti rami degli alberi, saltando come uno scoiattolo di qua e di là provando quell'irrefrenabile senso di libertà che il claustrofobico castello spesso non era in grado di darle. Ora quel posto le infondeva un senso di represso fastidio e non indifferente diffidenza. « Mi mette i brividi. » Esordisce di scatto cercando di spingere lo sguardo tra gli alberi cercando di individuare qualunque cosa di sbagliato ci fosse nell'aura della foresta. A essere spaventosa, lo è sempre stata; molti non ci hanno mai messo il piede per sette anni di fila. Ma questa non era la Morgenstern; c'erano molte cose di cui la giovane avesse paura, ma un ammasso di alberi non rientrava in quella categoria. « E' un sentimento reciproco Morgenstern. Fidati, qualunque cosa ci sia là dentro ha paura di te più di quanto tu abbia paura di lui. » Scoppia a ridere Moses, beccandosi di conseguenza una leggera gomitata. « Su su, sei stanca e paranoica. E secondo me hai pure il ciclo. » « Sempre un signore, mi raccomando. » « Allora problemi in paradiso? » E questa volta il sorriso di lui si fa più malizioso, mentre solleva le sopracciglia con fare allusivo. « Mio dio, tu i cazzi tuoi mai proprio. » « Embeh! Mi dici che hai paura degli alberi. » Beatrice sbuffa, e gli volta le spalle. « Non mi deludere Morgenstern! Sfrutta bene la pausa che ti sto concedendo. » Ancora quel tono malizioso che la obbliga a sorridere. « Lo farò! » Disse quindi prima di perdersi sulla tenuta in direzione del castello. Il silenzio le porta consiglio, e così, decide che il momento di respiro lo sfrutterà davvero al meglio possibile. Si dirige l'edificio centrale, eludendo di proposito l'entrata principale. Poggia le mani sulla muraglia esterna, e inizia a cercare quelle crepe tra le pietre millenarie che le hanno sempre permesso di arrampicarsi e sfrecciare tra gli edifici con una certa naturalezza. E così inizia a scalare. Scala e salta da una finestra all'altra liberandosi di tutta la tensione che ha nel corpo; si lascia guidare dall'istinto, dalle innate dosi fisiche; lascia che i muscoli compiano quelle azioni che tanto le sono famigliari. Cammina sui cornicioni mantenendosi in equilibrio. Ogni tanto si ferma, per osservare dall'alto la tenuta del castello. Riesce a individuare nel buio qualche profilo di coloro che stanno eseguendo le ronde a terra. E' tutto fuorché tranquilla Beatrice. Si sente ancora quel peso sulle spalle, ma il sollievo di trovarsi lontana da chiunque anche solo per qualche istante, la porta a sentirsi leggermente più a suo agio. Ne aveva bisogno. Così gelosa dei suoi spazi, non si ricordava nemmeno quando è stata l'ultima volta in cui è rimasta da sola. Ha iniziato a superarlo quel bisogno costante di solitudine, ma a volte, non può fare a meno di ammettere che le manchi. Le manchi avere il tempo di lasciar correre la mente in svariate direzioni senza accorgersene nemmeno di quanto stia viaggiando con la mente.
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    Alla fine si ferma. Si siede a cavalcioni sul muretto di un terrazzo che dà sui corridoi del terzo piano e si porta di fronte la borsa, dalla quale tira fuori una bottiglia d'acqua e una mela che si tiene in serbo da quella mattina. Inizia quindi a gustarsela, mentre guarda verso il basso. Ed è allora che la sua attenzione viene attirata da quel particolare rumore di passi. A volte ha come l'impressione che abbiano un odore diverso; le sembra di poter riconoscere i passi di ciascuno di loro tra mille. Lo sente quel richiamo, il bisogno della vicinanza. Qualcosa che inesorabilmente sa di casa, di rassicurante. E sapendo che dall'ombra riemergerà qualcuno che ben conosce, sorride finendo di masticare il boccone che ha appena preso ad assaggiare. « Non sto per fare il volo dell'angelo, tranquillo. » Gli dice quindi mentre gli fa cenno di sedersi. Anche lui ha l'aria stanca. Nessuno di loro ha avuto poi molto tempo di dirsi sereno ultimamente. Rudy poi, più di altri, se l'è passata non particolarmente bene. La cicatrice che corre sul suo volto le fa ancora una certa impressione. Curarla non era stato facile, e seppur ora ne sia rimasto solo un grosso scavo sulla sua pelle, i sensi di colpa per vederlo così, incalzano nel suo petto. Si morde l'interno del labbro inferiore mentre morde nuovamente la mela, prima di passargliela senza pensarci troppo. Si condivide sempre, tutto. Un'istinto del tutto naturale. Lo sguardo corre istintivamente verso la foresta proibita, avvolta in un mare di nebbia che ne elude una visione panoramica. Qualunque cosa si nasconda lì dietro le fa venire il nervosismo anche solo al pensiero. « Non pensavo di poterlo mai dire, ma mi manca la foresta. » Ultimamente rifiuta persino l'idea di avvicinarvisi. E questo complica non poco la sua situazione; la foresta è un'ottima fonte di sussistenza. Gli animali selvatici, se cacciati, possono sfamare con maggiore facilità l'intera popolazione di Hogwarts. Nei primi giorni annidarsi tra gli alberi le era risultato piuttosto facile, ma ora, sembrava non averne nemmeno lontanamente il coraggio di avvicinarsi. Voci funeste provenivano di quel luogo. Voci che Tris avrebbe ben volentieri preferito scordare di aver mai sentito. « Il cibo sta iniziando a scarseggiare sempre di più. Quindi toccherà tornarci.. e anche solo l'idea mi fa venire i brividi. » Si stringe nelle spalle mentre non stacca nemmeno per un attimo lo sguardo preso da una forma di pregnante paranoia dall'agglomerato di alberi. « Stai applicando l'unguento che ti hanno preparato sopra a quella? » Gli chiede con un moto di apprensione mentre indica lo squarcio sul proprio volto. Minimizzare il problema, la cosa migliore da fare. Mostrarsi troppo preoccupata sarebbe controproducente; significherebbe che lo sta commiserando, e Tris tutto vuole tranne che far sentire in difetto Rudy. Ormai sono finiti i tempi in cui possono piangersi addosso. Sono finiti forse da sin troppo tempo. « C'era qualcosa in particolare di cui volevi parlarmi, Black? » Black non Weasley. Lui è un Black e tra i cacciatori le origini sono importanti, le radici lo sono. Ricordare sempre chi si è e da dove si viene è la prima regola del loro gioco. « Sputa il rospo. » Gli dice di scatto mentre i toni del suo volto si addolciscono appena.


     
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    Irrequieto. Non sa perchè, ma si sente irrequieto. Per quanto sia difficile crederlo, vista la sua perenne espressione imbronciata ed il suo temperamento in genere non particolarmente...docile, a Rudolph Black quella situazione del castello, non era riuscita a segnarlo poi così tanto. Lui ad una vita di merda era stato abituato, sin da piccolo, seppur certo non avesse mai avuto a che fare con trappole assassine o cose di questo tipo. Ma sapeva cosa fosse il dolore, la paura e la sofferenza. Tutte prospettive che gli erano mancate, dopotutto. Da quando era stato adottato dalla famiglia Weasley, Rudy aveva perso una parte di sè. Era ingrato da pensare, dopo tutto ciò che Hermione e Ron si erano sforzati e si sforzavano di dargli ogni giorno, eppure non aveva potuto fare a meno di notarlo. L'aveva ignorato in parte certo, convincendosi addirittura di esser diventato quel Rudy Weasley come ormai si faceva chiamare da tutti, ma -per quanto la prospettiva di una vita assieme a quella strampalata tanto quanto calorosa famiglia fosse allettante e meravigliosa- quando nasci lupo, non puoi morire agnello. E Black ci aveva provato, a fingersi agnello. Ci aveva provato ridendo assieme a suo fratello Hugo ed i suoi cugini, accontentando nonna Molly nello scofanarsi portate su portate di cibo, o facendo sognare Arthur raccontandogli di quella roba babbana che tanto lo affascinava e che, per un periodo della sua vita, Rudy aveva conosciuto bene. Ma lui non era questo. Rudolph Black non era famiglia, non era amore ed armonia. No, era violenza, rabbia e sofferenza. Tutti agenti che, ahimè, gli erano mancati. E che quando era riuscito a ritrovarli, in quella fatidica notte di Halloween che ormai sembrava esser così remota, per quanto possa essere orribile ammetterlo, si era sentito libero. A tratti soddisfatto. Nato per uccidere, ne era sempre stato convinto. E non si era pentito, nè l'avrebbe fatto, quando le sue mani si erano indirettamente macchiate del sangue di Kingsley. L'avrebbe pugnalato ancora e ancora, anche quando non sarebbe stato più necessario. E poi la trasformazione, l'area da ripulire, il sangue degli inquisitori a macchiargli il manto scuro. Non era riuscito ad esserne disgustato, Rudy, nè sconvolto. La vendetta, la rivalsa, la ribellione, erano tutti agenti che riuscivano a sovrastare di gran lunga quell'inutile senso di colpa umano. Chissà forse un giorno avrebbe smesso con quel lento e sadico processo di decomposizione personale; forse avrebbe trovato il modo di smetterla di credere che una vita serena non avrebbe mai potuto appartenergli, ma quel momento non è ancora arrivato. E allora perchè, ad oggi, non riesce ad esser tranquillo? Certo è che tranquillo in una situazione come quella in cui si trovano non lo è mai stato. Abituato, sì, a tratti rassegnato o addirittura divertito, ma sereno mai. La gente a cui tiene rischia la vita ogni giorno, e per quanto si sforzi di proteggere l'area, assieme al branco, non sempre riescono a sventare ogni minaccia. Uno come lui a proteggere ragazzetti sconosciuti, chi l'avrebbe mai detto. Lui che molti di quei ragazzini li aveva terrorizzati o bullizzati, talvolta, ora vi si parava di fronte ogni qualvolta vi si trovasse loro vicino e percepiva il pericolo. Che vergogna. Eppure era riuscito quasi ad abituarsi. Non si sentiva certo un eroe, ed era ben lungi dal volerlo diventare -perchè diciamocelo, non è mai stato questo gran altruista, il nostro Black- ma si comportava come tale. Le cose cambiano, e cambiano in fretta. La sua vita, in fondo, era fatta di cambiamenti. Nato tra i Black, adottato dai Weasley, da sempre appartenuto al branco. Perchè per quanto spesso fosse quello più scorbutico del gruppo (seppur i fratelli Morgenstern riuscivano a batterlo svariate volte!) voleva bene a quegli idioti. Chissà, forse lui il concetto di famiglia non era mai riuscito a comprenderlo in maniera vera e propria, nemmeno quando era giunto tra i Weasley, perchè una famiglia ce l'aveva sempre avuta, solo che non l'aveva mai conosciuta. Il branco. Strani, variopinti, fin troppo diversi da lui e tra di loro, ma fantastici. Questo, ovviamente, non l'avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura. Eppure sapeva che senza di loro, sarebbe stato diverso. Certo era abituato alla solitudine, che per anni era stata la sua unica compagna, ma adesso che aveva conosciuta cosa volesse dire non essere più soltanto un io ma un noi, non era sicuro sarebbe mai riuscito a tornare indietro. Abituarsi non era stato molto semplice. Perchè diciamocelo, tra una bipolare, un prete, una diva, un serpeverde doc, Beatrice -e quì non c'è bisogno di ulteriori aggettivi- e tanti, troppi altri, la vita non era stata poi così semplice. Eppure gli appartenevano, l'avevano fatto e l'avrebbero fatto sempre. Avevano condiviso con lui emozioni che neanche avrebbe mai creduto di avere, ed avevano condiviso anche il dolore. Perchè quando quella notte l'Inquisitore l'aveva colpito in pieno sul muso, e quindi sulla faccia, non aveva danneggiato solo uno, ma mille. Non era stato facile sopportare la sofferenza che quello squarcio aveva portato con sè. Ma l'avevano fatto assieme. E Rudy sapeva, era sicuro che quello stato d'irrequietezza non gli apparteneva. Aveva imparato a riconoscere la differenza, seppur sottilissima, tra le proprie emozioni e quelle degli altri. E allora eccolo, a vagare per i corridoi senza una meta ben precisa, a seguire solo e soltanto il proprio istinto. Non ne aveva parlato con nessuno di quell'ansia intrinseca, nemmeno con Olympia. Lei sapeva tutto ormai, aveva capito ogni cosa e l'aveva visto coi suoi stessi occhi, eppure Rudy non riusciva comunque ad addossarle gran parte dei suoi problemi. Perchè in fondo, da un lato lei non se lo meritava, e dall'altro lui era troppo orgoglioso per farlo. Svolta l'angolo allora, il lupo, e lo percepisce quell'odore. Ognuno di loro ha un'essenza differente. Non riuscirebbe a nominarle e catalogarle, ma è capace di distinguerle, una ad una, da tutto quel marasma di sensazioni acuite che è ormai diventata la sua vita quotidiana. Sente il richiamo, la vicinanza, l'appartenenza. E allora sospira, continuando a camminare. L'istinto, sempre così imprevedibilmente prevedibile. Alza il capo, e la riconosce ancor prima di vederla effettivamente.
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    « Non sto per fare il volo dell'angelo, tranquillo. » Un sorriso si staglia sul volto stanco del ragazzo. « Peccato, ero venuto per godermi lo spettacolo. » Un teatrale broncio trapela attraverso quella barba sempre più folta, mentre coglie l'invito di lei e le si siede accanto. Sta scherzando, ovviamente, ma questo non lo ribadisce. Un po' perchè farlo sarebbe da sfigati, un po' perchè sarebbe inutile specificare l'ovvio. Da quando sono tutti collegati, in un modo o nell'altro, tante piccole sfaccettature hanno iniziato a rivelarsi superflue. Rimane in silenzio allora, con una gamba rivolta verso il pavimento dei corridoi, e l'altra a dondolare nel vuoto. E' girato verso di lei, gli occhi ambrati che setacciano il suo viso in penombra. L'espressione di lei è stanca, lo sguardo a tratti malinconico, rivolto verso l'intera tenuta che circonda il castello. Non deve passarsela particolarmente bene, Beatrice. Da quando Kingsley è morto ed i cancelli si sono chiusi, loro non hanno mai avuto momenti di pace effettiva. Le ronde, le trasformazioni, la fame. Ma per lei..dev'esser ancora peggio. Non le ha mai fatto una colpa di ciò che è successo, perchè è assieme che l'hanno fatto, e se potesse tornare indietro lo rifarebbe altre mille volte, ma immagina come lei possa sentirsi, dopotutto. Dietro gli occhi scuri dell'alfa Rudy è sicuro si nasconda un groviglio di sensi di colpa e dubbi quasi del tutto impossibile da districare. E' stata lei a guidarli verso la ribellione, lei a dare inizio a tutto. Solo che non avrebbero mai immaginato che quello sarebbe stato l'inizio della fine. Non la biasima, Black, e probabilmente non lo farà mai, ma ha sentito alcune voci. Pettegolezzi di corridoio, di quelli che non muoiono mai neanche durante la guerra. C'è chi le dà la colpa per tutto, chi non vede di buon occhio la Morgenstern e l'intero suo gruppo di fenomeni da baraccone. Rudy ha sempre fatto orecchio da mercante -trattenendosi a stento dall'azzannare qualche pettegolo, alle volte- perchè lui, del giudizio altrui, se ne è sempre altamente fregato. Ma non sa quanto effettivamente valga lo stesso per Beatrice. « Che ci facevi quì? » Le domanda dopo attimi di interminabile silenzio, porgendo una mano in sua direzione quando lei gli offre la mela che stava in parte mangiando. Se la rigira tra le dita, Black, che quasi non ricorda da quanto è che non mangia qualcosa di decente. E no, una mela per uno come lui non è affatto decente. Tuttavia la fame è troppa, per poter lasciare spazio a qualsiasi sorta di vizio, quindi la ringrazia con un cenno riconoscente del capo, dando due o tre morsi al frutto, prima di riporgerglielo. « Condividiamo anche il cibo, adesso, chi l'avrebbe mai detto. » Commenta, sarcastico. « Non pensavo di poterlo mai dire, ma mi manca la foresta. Il cibo sta iniziando a scarseggiare sempre di più. Quindi toccherà tornarci.. e anche solo l'idea mi fa venire i brividi. » Annuisce, prima di voltarsi anche lui verso l'orizzonte. La foresta proibita è lì, più macabra che mai. Girano voci sul suo conto, e non del tutto positive. Rudy vi si è trovato svariate volte, negli ultimi giorni. Per cacciare, si è sempre detto, ma l'istinto gli ha sempre suggerito altro. Di cosa si tratti quest'altro, però, non l'ha ancora capito. « Per non tornarci potremmo sempre mangiarci qualche Serpeverde. » Si stringe nelle spalle, con quella sua solita faccia da schiaffi che riesce a trapelare in mezzo a quel velo di stanchezza generale. Perchè non ha una gran bella cera, Rudy, come tutti d'altra parte. La barba cresciuta, i capelli arruffati, il viso sporco di terriccio, e quell'orribile squarcio che gli taglia di netto buona parte del viso. Deve ancora imparare a farci i conti. Dopo il dolore, viene la consapevolezza. Ma, per fortuna, diciamo che in questi ultimi tempi non ha avuto grande possibilità di ammirarsi allo specchio. « Tranquilla, Watson fa parte della Suicide Squad, non si tocca. » Le lancia un'occhiata carica di sottintesi, prima di rigirarsi, e respirare profondamente. « Comunque...Mette i brividi anche a me. Ci sono stato in questi ultimi..giorni » Se di giorni si può parlare « E c'è qualcosa. Non so cosa, ma se da un lato mi mette i brividi, dall'altro mi attira maledettamente. » Scuote la testa, rimuginando sulle sue stesse parole. Senza senso, probabilmente, eppure sa di poterne parlare con lei. « Stai applicando l'unguento che ti hanno preparato sopra a quella? » La cicatrice. Annuisce lentamente, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Parlarne non gli piace, ma la preoccupazione di Beatrice non riesce ad infastidirlo. Perchè ricorda ancora il battito accelerato del suo cuore non appena l'ha visto in quelle condizioni, ed i suoi tentativi disperati per non farlo morire dissanguato. Non è ancora riuscito a dirle grazie. « Sì, mamma. » Sdrammatizza, lo sguardo spento « Anche se quella roba fa schifo. Non credo che se ne andrà mai del tutto, ma la ferita si sta rimarginando velocemente... » Beh più o meno. « Io e te destinati a curarci a vicenda, da un po' di tempo a questa parte, a quanto pare. » E' un sorriso sincero quello che questa volta gli illumina il viso imbronciato. Che si nasconda tra quelle parole intrise d'ironia, il suo grazie? « C'era qualcosa in particolare di cui volevi parlarmi, Black? Sputa il rospo. » Quelle parole lo colgono di sorpresa, ma tuttavia, si ritrova a ridacchiare. Sempre dritta al dunque, Morgenstern! « Non mi sento bene. ..Beh, faccia sfregiata e fame da lupi a parte. C'è..non lo so. Ansia, credo. E non mi appartiene. Quindi, o qualcuna di voi ha di nuovo le sue cose, o c'è qualche problema. Tu, hai qualche problema. E l'ultima volta che mi hai nascosto qualche piccolo segreto, mi sono riscoperto lupo. » Una risata sarcastica. Si volta allora verso di lei, l'espressione seria mentre la scruta, prima di addolcirsi appena. « C'entra la foresta? Cosa c'è che ti turba, Tris? » Il tono di voce apprensivo, quasi preoccupato. Perchè in fondo, Rudy non è quel mostro di superficialità che lascia intravedere. E, per quanto si sforzi per dimostrare il contrario, ci tiene a tutti loro. A lei. « ...O sei incinta? Ho condiviso il bacio con Fred, il parto no, eh, te lo dico prima. » ..Ma dopotutto, Rudy è anche questo: un coglione.
     
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    Rudy le appare diverso; diverso da come è sempre stato. Non le era mai sembrato uno dei buoni. Questo Black è sempre stato uno dei bimbi problematici, uno di quelli incasinati, intriso di questioni irrisolte e un perenne necessità di riscatto che non sembrava giungere. Quella sensazione, in compagni di Rudolph l'ha provata già molto prima che le loro linee di sangue venissero saldamente unite dal legame di quella divina unione che condividevano. Come Tris, Rudy era un cane randagio, un outsider. Ovunque lo mettessi era un po' fuori posto. Come Tris, nemmeno per Rudy deve esser stato facile accettare quell'assenza di solitudine. Paradossalmente quando l'essere umano si abitua alla solitudine, seppur se ne lamenti, è complicato uscirne. Perché la solitudine e il suo conseguente martoriarsi, è come una droga, una forma squisitamente autolesionistica di sadismo. « Che ci facevi quì? » Una domanda stupida, avrebbe commentato fino a poco tempo. Trovare la più iraconda modalità di approccio per di scrollarselo di dosso il prima possibile, questa la strategia che Tris avrebbe usato in passato nei confronti di Rudy. Ora invece, il suo intero universo si era rimodulato, era stato ricostruito da zero, plasmato in modo tale che, qualunque cosa avesse fatto prima non andasse più bene ora. Tris era pur sempre Tris, ma non lo era affatto. A tratti i suoi tratti erano più morbidi, nello spirito e nella carne, a tratti era più tollerante, più flessibile, più aperta ai nuovi orizzonti; a tratti invece, la sua natura si faceva cruente e imperativa. In quel momento tuttavia, solleva leggermente le spalle in un gesto che tende a esprimere incertezza. Non sa cosa ci facesse lì di preciso. Ha smesso a tratti, Tris, a chiedersi perché. Non pensava, agiva d'istinto, si lasciava condurre da quel primordio che sembrava carpire l'essenza della realtà molto più di quanto i suoi occhi umani fossero in grado di fare. « M'illuminavo d'immenso. Ma adesso che mi hai interrotto, la magia è svanita. » Abbozza un sorriso delicato mentre gli allunga la mela con disinvoltura. Un tentativo quanto mai maldestro di sdrammatizzare. « Condividiamo anche il cibo, adesso, chi l'avrebbe mai detto. » Lo osserva con attenzione, Tris, mentre sta afferrando il frutto. Chi l'avrebbe mai detto davvero. Lei che con i suoi compagni era sempre rimasta in aperto contrasto, ora si ritrovava a doverne farne da roccia. Ed era a tratti davvero pessima a farlo; riscopriva nel profondo del suo animo una dolcezza e una premura che non sapeva di poter preservare. Un germoglio che era sempre stato lì, ma che non era mai stato in grado di fiorire, finché non si era scoperta parte di qualcosa di molto più grande di lei. « La cosa meno strana che ci è toccato condividere nell'ultimo periodo. » Congiure, tradimenti, assassini; nervi scoperti, sentimenti messi lì in piazza alla mercé di tutti. In tutto quel groviglio di situazioni ed emozioni tutto fuorché appartenenti alle proprie sfere emotive, allungarsi un concreto aiuto sembrava paradossalmente la cosa meno insolita che potesse accadere loro. E così entrambi si voltano verso quell'orizzonte invisibile, a ricercare tra le crepe di quella fitta nebbia le chiome degli alberi della foresta proibita. Un luogo che per tanto tempo Beatrice ha visto come una forma di salvezza. Quando la convivialità a Hogwarts superava i suoi limiti di tolleranza, quegli alberi erano il suo primordiale conforto. Saltellando come un felino rampante da un ramo all'altro, si schiariva le idee, scoccando frecce con la furia di un guerriero d'altri tempi. Strano come ogni cosa sembrava prendere pieghe diverse in così poco tempo, come i migliori ricordi possono assumere improvvisamente sfumature ben diverse, collocate in una specie di zona d'ombra che fino a quel momento non si pensava nemmeno di poter considerare come esistente. La foresta era diventata inaspettatamente una specie di nemico; una delle poche cose che Beatrice sembrava sinceramente temere. Pareva impossibile che qualcosa la spaventasse, che qualcosa riuscisse seriamente a portarla a mettersi in discussione, eppure, oltre quella parvenza di sicurezza e risposte certe a qualunque quesito, si celava una giovane donna dai mille quesiti e nessuna risposta abbastanza audace da mettere a freno qualunque dubbio. Si celava una giovane donna forte sì, ma non per questo infallibile, brulicante di desideri, bisognosa di affetto; un affetto che ormai, estrinsecava sempre più spesso a discapito del continuo stranirsi di chi la circondava, e del suo stesso interiore sorprendesi di fronte a certi gesti. « Per non tornarci potremmo sempre mangiarci qualche Serpeverde. Tranquilla, Watson fa parte della Suicide Squad, non si tocca. » Scoppia a ridere Tris, mentre lo sguardo color nocciola torna a scrutare lo sguardo del ragazzo di fronte a sé. Quella storia non era andata giù a poi molta gente, ma aveva quanto mai la presunzione di credere che, nel branco era diverso. Tra loro non c'erano segreti, non davvero. Forse potevano tenersi i pensieri per loro stessi, potevano mentirsi vicendevolmente attraverso le parole, ma le emozioni, quella fitta sostanza che sgorgava direttamente dal cuore e dall'inconscio, non erano in grado di celarla. E allora, non c'era nemmeno bisogno di provarci e a dirla tutta, Tris non aveva nemmeno intenzione di farlo. « Oh, Rudy, ti ringrazio immensamente per questa concessione. Glielo dici tu che sta in una botte di ferro, oppure glielo devo riferire io? » Una leggera gomitata colpisce il fianco del moro, prima di affondare le mani nelle tesche rivolgendogli un sorriso che ha tutta l'aria di esprimere quanto di più profondo si scagli in quel suo animo terribilmente diviso e martoriato. Un barlume di luce e di gioia, in mezzo a tutto quel confusionario girovagare senza meta. « Comunque...Mette i brividi anche a me. Ci sono stato in questi ultimi..giorni. E c'è qualcosa. Non so cosa, ma se da un lato mi mette i brividi, dall'altro mi attira maledettamente. » Annuisce, l'ex Grifondoro, mentre lo sguardo colmo di dubbio e domande, torna a rivolgersi verso l'agglomerato di vegetazione che sembra estendersi all'infinito attorno al lago nero e oltre. Dove sono i confini della foresta proibita? si chiede per un istante. Dove finisce questa immensa distesa? Una domanda che non si è mai fatta fino ad allora e che pure prende a montare con una certa insistenza nella sua mente.
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    « Non ci tornare da solo. » Di scatto lo sguardo di lei si fa più cupo, più imperativo. E' un'ordine o una richiesta? Una preghiera o un'esortazione? Non lo sa nemmeno Tris, e non prova nemmeno a chiarire quella sua posizione, quasi come se la terrorizzasse il fatto che Rudy possa prenderla per il verso sbagliato. « Non siamo indistruttibili. » Sapevano sopravvivere meglio di altri, ma questo non significava che fossero in grado di resistere a qualunque intemperia; e la foresta, a Beatrice dava l'impressione di essere un luogo squisitamente ostile alla loro stessa natura. Paradossale; la loro natura era progettata in modo tale da collidere con la natura in modo simbiotico, fino quasi ad aderire a essa e congiungervisi, eppure, quel luogo, tutto sembrava tranne che il loro elemento naturale. A sostegno delle sue stesse parole, la cicatrice che solcava da parte a parte il volto del ragazzo. Quel suo dolore le ha fatto male, l'ha tritata dentro per giorni, ha martoriato il suo spirito. Non era il dolore fisico ad averla infastidita, quanto l'idea stessa che avessero provato a far fuori uno dei suoi, un suo fratello, un suo amico. Se c'era qualcosa che Beatrice non tollerava più da agosto, era che qualcuno toccasse la sua famiglia, che provassero a nuocere loro tanto nello spirito quanto nella carne. E quel solco sul volto di Rudy, era uno smacco tanto a livello prettamente di apparenza, quanto a un livello più profondo. Era una forma di infamia; motivo per cui Beatrice in primis aveva provato un piacere smisurato nel veder cadere il colpevole sotto la furia dei loro artigli. E quindi ecco che la domanda arriva, seguita da un leggero moto di apprensione, che Beatrice prova a mettere a freno, senza riuscirci completamente. « Anche se quella roba fa schifo. Non credo che se ne andrà mai del tutto, ma la ferita si sta rimarginando velocemente.. Io e te destinati a curarci a vicenda, da un po' di tempo a questa parte, a quanto pare. » Alza gli occhi al cielo la ragazza, seppur comprenda perfettamente cosa lui intenda. Rudy è stato il primo a trovarla; a quei tempi vederlo vagare per Londra le era sembrava solo una coincidenza. Non aveva idea che molto presto avrebbe scoperto che il suo vagare per la città non era poi molto diverso da quello di lei. Quel muso lungo era stato il primo a trovarla, l'aveva soccorsa e a modo suo, le aveva impedito di morire. Rudy era uno di quelli che l'aveva costretta a non morire. « Peccato che tu non hai la più pallida idea della differenza tra un Antidoto ai Veleni Comuni e un Antidoto per i Veleni Rari. » Scoppia a ridere scuotendo la testa. « Però dai.. l'importante è partecipare. » Lo guarda con uno sguardo eloquente prima di stringersi nelle spalle. Lo sta prendendo in giro, e non c'è nemmeno bisogno di menzionarlo. Lo sa Rudy quanto lei gli sia grata, tanto quanto sai lei quanto lui le sia grato. E non c'è bisogno di dirselo. In fin dei conti, a volte, pare molto più semplicemente organizzare una congiura e uccidere uno degli uomini più importanti del paese, piuttosto che ringraziarsi vicendevolmente. Ma in fin dei conti non ce ne è davvero bisogno. Rudy e Tris ci saranno sempre l'uno per l'altra, e ormai è una cosa che non possono nemmeno più contrastare. « Comunque sarò sincera.. ti dona un'aria da duro. Farai un figurone tra un po'. E potrai pavoneggiarti con mezzo mondo perché hai letteralmente stampato in volto il marchio del sopravvissuto. » Lo sa Beatrice che non deve essere facile per lui, ma a dirla tutta, i marchi conquistati in battaglia non sono mai stati una forma di sfregio tra la sua gente. Erano tutt'al più qualcosa di cui andare fieri. Beatrice ne aveva sin troppi perché possa contarli sulle dita di una mano, ma non per questo si sentiva danneggiata. Ciò che non riusciva ad accettare era il fatto che fosse successo sotto il suo comando, sotto la sua guida. Rudy poteva morire, e se fosse accaduto, sarebbe stato perché Tris non era stata abbastanza accorta da evitare rischi inutili come un'esercito rabbioso di inquisitori. « Non mi sento bene. ..Beh, faccia sfregiata e fame da lupi a parte. C'è..non lo so. Ansia, credo. E non mi appartiene. Quindi, o qualcuna di voi ha di nuovo le sue cose, o c'è qualche problema. Tu, hai qualche problema. E l'ultima volta che mi hai nascosto qualche piccolo segreto, mi sono riscoperto lupo. C'entra la foresta? Cosa c'è che ti turba, Tris? ...O sei incinta? Ho condiviso il bacio con Fred, il parto no, eh, te lo dico prima. » Sospira a quel punto girandosi interamente verso di lui. Si porta le ginocchia al petto e lo osserva inclinando appena di lato la testa. Era strano quel legame di tutti loro, a tratti così maledettamente disorientante. Sembrava facile sincronizzarsi quando tutto loro respiravano all'unisono, sospinti dalla stessa causa, dallo stesso obiettivo; non altrettanto si poteva dire della loro quotidianità. Nella vita di tutti i giorni quel loro trovarsi sulla stessa lunghezza d'onda, significava spesso e volentieri essere semplicemente sintonizzati su troppe lunghezza d'onda differenti. Alcune erano più forti, altre più deboli; e non era nemmeno certo se dipendesse dalla vicinanza fisica che avessero tra loro o dal legame emotivo che li legava già da prima ad altri, già prima che tutto cominciasse. Tu, hai qualche problema. Questo quanto le aveva detto Rudy. E Beatrice a dirla tutta di problemi ne aveva davvero tanti. « Non credo sia solo un mio problema. » Inizia quindi ispirando profondamente. Perché sì, c'erano i sensi di colpa, le mille incertezze, i sospetti, le paure, le insicurezze, ma poi sotto tutto quello c'era altro. « In un modo o nell'altro credo stia tormentando tutti. » Si stringe nelle spalle, e questa volta non fa nulla per nascondere il chiaro nervosismo che cela quel suo infervorarsi. « Pare che ce l'abbiamo in pugno.. capisci? » La risposta. La risposta a ogni domanda. « Eppure stiamo barcollando nel buio. » Si stringe nelle spalle in un moto di frustrazione, prima di passarsi le mani tra i lunghi capelli, riportandoseli su una spalla. « Dobbiamo fare qualcosa.. siamo stati chiamati per fare qualcosa, eppure non ne abbiamo il minimo indizio. Stiamo semplicemente tirando avanti per non morire. » E in cuor suo, Beatrice si chiedeva se questo fosse davvero il loro destino. Non era possibile che il Richiamo si fosse palesato solo per portarli in quello stato, in quel momento, in quelle condizioni. « E poi ci sono queste persone, questi luoghi, che prima non mi destavano alcun interesse e che pure ora.. » Corruga la fronte cercando di trovare le parole giuste per spiegarglielo. « E' come hai detto tu.. ti disgustano, eppure al tempo stesso sembrano attirarti. » Lei alcuni di loro li aveva guardati dritti negli occhi la sera in cui Edmund Kingsley era morto. Avete finito aveva detto loro. Ma di fare cosa? Sospira gravemente.« Non lo so.. forse mi sto facendo troppe pippe mentali. » Pausa. « Tutto ciò che possiamo fare in questo momento è non morire e non sprecare il tempo. Valorizzarlo il più possibile.. passarlo con chi vogliamo passarlo, senza remore. » Una scelta che Beatrice aveva fatto senza se e ma. Una volta ammesso a se stessa di voler stare accanto a Percy Watson, aveva smesso di chiedersi perché, se fosse giusto. Aveva dimenticato quanto le cose fossero irrimediabilmente razionali nella sua vita prima di quel periodo. Si era semplicemente lasciata andare, perché questo era il momento peggiore per mettere a freno quanto di più recondito si avesse nel cuore. Da una parte, ammetterlo, significava ammettere di avere qualcosa da perdere; ma era proprio quello il motore che doveva necessariamente far girare il loro mondo in quel momento. Avere qualcosa da perdere significava avere una ragione di vivere. « Vale anche per te. Mi raccomando. » E dicendo ciò il suo sguardo cerca quello di lui. Non hanno mai parlato di quelle cose loro, ma tutto sommato, si sente di dirglielo in quel momento. « Sono contenta che tu abbia trovato Olympia. » Lei è una delle persone di cui maggiormente si fida al di fuori della loro cerchia; non potrebbe chiedere di meglio se non poter affidare una delle sue anime in pena alle cure e la furia che è quella rossa. « Ma ti avverto Black! Non farle del male, se non vuoi passare una vita di merda. E con me, che ti piaccia o meno, ci resti incastrato per il resto dei tuoi giorni, quindi non pensare neanche di fare.. quello che sai fare meglio. » Il coglione.



     
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    Non si sarebbe mai aspettato tutto questo, Black. Quel giorno in cui aveva deciso di invitare la Morgenstern al ballo di Natale, non avrebbe mai immaginato che chissà, forse un giorno, dietro quel gesto apparentemente insensato, si nascondesse qualcosa. Si nascondesse tutto. Inverness, la loro natura, la condivisione, il branco. Ricordava ancora quei giorni, seppur molto tempo fosse passato. Ricordava quel primo Natale ad Hogwarts, quando in vista di quel bizzarro concorso l'appena arrivato Black, da poco in Weasley, aveva deciso di invitare lei, proprio lei. Beatrice Morgenstern, una delle ragazze più discusse e probabilmente temute della scuola. Che Rudy fosse una testa calda, dopotutto, era risaputo. Che l'avesse scelta proprio perchè impossibile, era la motivazione della quale si era sempre convinto sino ad ora. Ma oggi, col senno di poi, tutto sembra esser cambiato. Il passato, il presente e chissà forse il futuro. Era scritto nel destino, persino quello stupido gioco natalizio che li aveva visti vincitori? « La cosa meno strana che ci è toccato condividere nell'ultimo periodo. » Non ne ha idea, Rudy, ma se c'è una cosa che sa, è che seppur inaspettato, seppur talvolta oltremodo scomodo, quel destino non gli dispiaceva poi così tanto. Bizzarro, senza ombra di dubbio! Che un giorno si sarebbe trovato a condividere emozioni e pensieri proprio con lei, non ci avrebbe mai neanche lontanamente pensato. Non erano mai stati incompatibili, è vero, e per qualche tempo -seppur breve- avrebbero anche potuto essere di più, ma erano esplosivi, se accostati. Due teste dure come il marmo, due caratteri forti come roccia. Le loro giornate tipo constavano pressochè di un Black intento a combinare qualche guaio dei suoi, ed una Morgenstern costretta a smontarlo. Volavano parole non particolarmente dolci spesso, tra loro, ed erano più le volte che la Grifondoro finiva per cacciarlo in malo modo, che quelle in cui erano capaci di convivere. Eppure eccoli quì, ad oggi. Eccoli a combattere quella guerra che insieme hanno iniziato. L'uno al fianco dell'altra, senza tradirsi mai, neanche per un momento. Strano come cambino le cose. Strano come cambino le persone, le situazioni, e persino la natura dei fatti. « Oh sì, guarda, sicuramente. Non mi scorderò mai il primo ciclo. » Rabbrividisce in maniera teatrale e seppur stia scherzando, gli è capitato sul serio di condividere certe..sensazioni. Non sa in realtà con chi del branco, forse con Pervinca (o Joaquìn) ma insomma, non è stato poi tanto carino. Ha persino creduto di essersi beccato chissà quale virus letale, i primi giorni. Per non parlare degli sbalzi d'umore. No, decisamente spera di non doverci passare mai più. Infine, dopo aver riso con lei ed essersi stretto nelle spalle in conseguenza alla battuta sul nuovo principe azzurro, segue lo sguardo della mora, adocchiando la fitta vegetazione che si estende dinnanzi ai loro occhi. Da quando ha scoperto la sua nuova natura, Rudy si è riscoperto piuttosto avvantaggiato nello scrutare le tenebre. Eppure, attraverso quelle fronde, non riesce a scorgere nulla. Se Hogwarts è buia, ormai, la foresta è ancora più buia. E non sa come, ma è più che sicuro che quella non sia un'oscurità naturale. Vi è del paranormale, nel buio che pervade quel luogo, seppure non abbia idea di cosa si tratti. E' come se lo sapesse, come se la risposta si trovasse in chissà quale angolo del suo cervello sin da sempre, eppure non riesce comunque ad estrapolarla. « Non ci tornare da solo. Non siamo indistruttibili. » Il tono di lei si fa severo, mentre torna a guardarla. Se fossero stati tempi diversi, avrebbe storto il muso, risposto a tono, ed ignorato completamente quell'avvertimento. Ma è cresciuto, ormai, forse fin troppo velocemente. Sa cosa vuol dire non essere imbattibili. Per molto tempo l'ha creduto, dal basso della sua immaturità. Fare il bulletto da quattro soldi, cacciarsi in piccole risse di quartiere ed uscirne vincitore, l'ha sempre fatto sentire in un certo qual modo invincibile. Forte, indistruttibile. Ma gli è bastato crescere, gli è bastato diventare parte di un qualcosa di molto più grande di lui, per capire che no, indistruttibile non lo è e non lo è mai stato. Nessuno di loro. Al di là di tutto, rimangono umani. Combattono da umani, soffrono da umani, cadono da umani. E Rudy più di tutti, in quella notte di Halloween, ha compreso quanto possa esser facile cadere. Basta un piccolo errore, bastano pochi minuti, ed in un attimo ogni cosa finisce, e di te non ne rimane più nulla. Se non il tuo sangue a macchiare la pietra, e quella fottuta paura di morire. Ed è anche per questo che il ragazzo non storce il muso di fronte a quell'imperativo. Perchè sa cosa abbia provato lei, nel vederlo cadere. La paura che uno dei suoi potesse finire per sempre. Il senso di colpa e la responsabilità. A volte si domanda come sia essere..Beh, l'alfa. Essere a capo di un progetto tanto grande, tanto importante, tanto pericoloso. Portare sulle proprie spalle il peso di tutte quelle vite collegate alla propria, in una ragnatela di sensazioni ed intrecci primordiali ed unici. A volte si domanda come sia essere Beatrice. Lei è come lui, forse addirittura peggio. Così giovane, per aver sempre combattuto così tanto. E allora sospira, annuendo. « Ahimè, lo so! » Si indica la faccia con l'indice di entrambe le mani, e ride, per sdrammatizzare quella tensione dettata da uno stato d'irrequietezza che lui stesso riesce a percepire. « Sul contratto avresti dovuto scriverlo, che nonostante i super poteri fighi, siamo comunque pressochè umani. Che fregatura, Morgenstern » Scuote la testa con un certo impeto, ironicamente, prima di tornare a guardarla, silenziosamente. « Non sarei solo comunque. Noi non lo siamo mai, non più » Tu non sei sola. Parole che le aveva rivolto ormai troppo tempo fa. Parole alle quali un tempo non avrebbe neanche fatto caso, ma che col senno di poi, erano quasi divenute profetiche. Nessuno di loro ormai era più solo, e Rudy lo sapeva. Gli era bastato un solo ruggito, per farsi attorniare dal branco, che in poco tempo aveva annientato quel nemico. « Peccato che tu non hai la più pallida idea della differenza tra un Antidoto ai Veleni Comuni e un Antidoto per i Veleni Rari. Però dai.. l'importante è partecipare. » « Hey! Sto imparando... Più o meno. Ho quasi soffocato un ragazzino del terzo con un reinnerva pronunciato male l'altro giorno ma..E' ancora vivo! Sono progressi. » Fa il broncio, prima di sorridere tuttavia. « Sono contento che ci sia anche tu, a partecipare. Se avessi dato ascolto alle tue stronzate di qualche tempo fa... » Non ci vuole neanche pensare. Sembra passata un'era da quella notte in cui l'ha ritrovata in quello stato. Piena di ferite, sanguinante e con un colorito a dir poco preoccupante. L'aveva portata con sè, quel Rudy così pieno di domande, e l'aveva costretta a sopravvivere. A quel tempo, non aveva neanche la più pallida idea di cosa fosse il branco. Non era riuscito a decifrare quelle voci nella testa, ed i ricordi della sua prima trasformazione erano sfocati. Eppure l'aveva salvata comunque, a modo suo. L'aveva salvata non da compagno di guerra, ma da amico. Perchè nonostante tutto, nonostante il progetto divino che forse -ancora stentava a crederci- si celava dietro il loro legame, Beatrice rimaneva questo. Un'amica, dopotutto, forse una delle amicizie più sincere che avesse mai potuto vantare. Nata dal nulla, e per parecchio tempo neanche riconosciuta. Eppure, ripercorrendo il passato, quella fastidiosa mamma Grifa c'era sempre stata. Così come lui, in un modo o nell'altro, c'era sempre stato per lei. Ed avrebbero continuato ad esserci, l'uno per l'altra. Perchè è questo che fanno gli amici, e gli amici non si lasciano indietro. « Kingsley ci romperebbe ancora i coglioni. Più di quanto non stia facendo da morto » Ed io non mi sarei mai perdonato di averti lasciata morire. Questo però non lo dice, il nostro piccolo, cocciutissimo e orgogliosissimo Rudy. E' fatto così, dopotutto, tende a sviare i discorsi quando è necessario estrapolare una sorta di qualche dichiarazione dal suo canto. Ma ormai, per quanto possa sforzarsi di mantenere quell'impressione da duro, tra di loro non ci sono più segreti. Ed è sicuro che Beatrice sappia qualsiasi cosa si cieli dietro il suo sguardo scuro. Ma in fondo, almeno ci prova. « Comunque sarò sincera.. ti dona un'aria da duro. Farai un figurone tra un po'. E potrai pavoneggiarti con mezzo mondo perché hai letteralmente stampato in volto il marchio del sopravvissuto. » La guarda e ridacchia, stringendosi nelle spalle. Da quando è successo, non ha avuto particolari occasioni per soffermarsi di fronte ad uno specchio. E, a dirla tutta, ha pure evitato di farlo. Non che non abbia mai avuto cicatrici in vita sua, ma una di quel calibro -che avrebbe potuto ucciderlo-..Sa che sarà difficile, abituarcisi. Ciò nonostante continua a ridere, dando appoggio alle parole di lei. Sdrammatizzare la chiave, ed imbronciato sì, ma depresso no! Non fa per lui. « Ah guarda, la prima cosa che farò uscito di quì sarà vantarmene con tutti. E far morire d'infarto Hermione e Molly nel vedermi, ma dettagli. » Gli manca, la sua famiglia, seppur sua non sia mai stata. Parlarne lo fa sentire almeno un minimo vicino a loro. Gli ricorda di tanto in tanto che al di là di quelle fredde mura in pietra, c'è ancora un mondo che li aspetta. « Non credo sia solo un mio problema. In un modo o nell'altro credo stia tormentando tutti. » E' nervosa, Beatrice, e non gli serve nessuna connessione sensoriale per capirlo. Rimane dunque in silenzio ad ascoltarla, lo sguardo fisso su di lei. « Pare che ce l'abbiamo in pugno.. capisci? Eppure stiamo barcollando nel buio. Dobbiamo fare qualcosa.. siamo stati chiamati per fare qualcosa, eppure non ne abbiamo il minimo indizio. Stiamo semplicemente tirando avanti per non morire. E poi ci sono queste persone, questi luoghi, che prima non mi destavano alcun interesse e che pure ora..E' come hai detto tu.. ti disgustano, eppure al tempo stesso sembrano attirarti. » Annuisce, mordicchiandosi l'interno della guancia. Quelle sono sensazioni che anche lui, volente o nolente, ha provato. Quello stato di irrequietezza. Quell'istinto di fare qualcosa ma non sapere esattamente cosa. Hanno fatto, hanno eliminato il nemico e scatenato una rivoluzione. Hanno dato inizio alla guerra e ne stanno pagando le conseguenze. Ma adesso? E' tutto quì, il loro compito? Sono stati chiamati per sopravvivere come chiunque altro lì al castello? Non ha senso.
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    « E se avessimo sbagliato tutto fino ad ora? » Se ne esce allora, all'improvviso. « Intendo... Kingsley era il nemico, e lo sappiamo. Ma se avessimo frainteso la sua fazione, il suo schieramento? Se la vera guerra non sia quella tra inquisizione e ribelli ma..Non so, non ha senso...Ma tra noi e loro? » Queste persone, questi luoghi, bene e male, luce ed ombra. « Kingsley, la dissidenza, l'inquisizione..Magari sono soltanto delle conseguenze, delle sfumature di un progetto ben più grande. » E' assurdo. Si sente di stare parlando come Pervinca quando è in preda ai suoi momenti da profetessa. Ciò nonostante sa di poterne parlare con lei. Si trovano sulla stessa barca, tutti loro. Scossi da un richiamo sconosciuto e lasciati a rantolare nel buio. « Magari la risposta si trova proprio lì, nel buio. » Si volta di nuovo verso la fitta radura della foresta proibita, ed un brivido gli percorre la schiena. « In queste persone, in questi luoghi. » Sospira a quel punto, e scrolla infine le spalle. « Non lo so.. forse mi sto facendo troppe pippe mentali. » Sembra avergli letto nel pensiero, e tutta la serietà esercitata sino ad ora, svanisce in una sola risata appena accennata. « Hai ragione. Forse stiamo diventando più fuori di testa del compagno Diàz. » Forse semplicemente la soluzione sarebbe uscire di lì il prima possibile. Eppure rimane lo stesso quel qualcosa. Quella minuscola sfumatura che continua a sussurrargli all'orecchio che non vi è nulla di ovvio, in tutta quella situazione. Ma chissà, forse non è ancora il momento di capire. Forse non hanno ancora le basi necessarie per poterlo fare. « Tutto ciò che possiamo fare in questo momento è non morire e non sprecare il tempo. Valorizzarlo il più possibile.. passarlo con chi vogliamo passarlo, senza remore. » Annuisce Rudy, e sorride a quelle parole. Per quanto abbia sempre cercato di non intromettersi più di tanto in quelle faccende riguardanti la Morgenstern, volente o nolente, vi si è trovato a stretto contatto comunque -impossibile non farlo, quando nella testa ti ritrovi a dover ascoltare i discorsi di soggetti come Savannah, Daniel, Pervinca e Jo-. Lei l'ha trovato, il suo motivo per combattere. Uno dei tanti, forse è vero, ma sicuramente uno dei più importanti. E per quanto Percy Watson non gli sia mai andato particolarmente a genio, è contento che ce l'abbiano fatta, a ritrovarsi. Ogni tanto te la meriti anche tu, un pizzico di felicità, Morgenstern. « Vale anche per te. Mi raccomando. » Lei cerca il suo sguardo, ed a quel punto si mordicchia il labbro inferiore, Black. Sa a cosa si riferisce, o meglio, chi. Anche lui, come Tris, l'ha fatto. Ha passato il suo tempo con forse l'unica persona con la quale avrebbe voluto farlo sin da sempre. Senza remore, senza ripensamenti, perchè domani è un altro giorno e loro potrebbero non svegliarsi più. « Ci sto-ci stiamo lavorando. » Mormora dunque, con un sorriso misto tra l'imbarazzato ed il trasognante a tradire quel suo perenne broncio. Perchè si potrà anche parlare di morti, di inferno e paradiso, ma quando l'argomento Olympia si insinua tra i tanti altri, ecco che Rudy cambia radicalmente. Farfalle nello stomaco, Black? « Sono contenta che tu abbia trovato Olympia. Ma ti avverto Black! Non farle del male, se non vuoi passare una vita di merda. E con me, che ti piaccia o meno, ci resti incastrato per il resto dei tuoi giorni, quindi non pensare neanche di fare.. quello che sai fare meglio. » La guarda, e a quel punto scoppia a ridere. « Mamma Tris ritorna più forte che mai, mh? » La punzecchia, sporgendosi verso di lei per darle una leggera gomitata sul braccio. « Mi sono giocato gran parte dei bonus per farle del male, fino a poco tempo fa, quindi non è in programma continuare a farlo. Promesso » Ora lo so, che non potrei più fargliene. « Io...Noi abbiamo...E' stato-Sì insomma..Andiamo non farmelo dire. » Un quindicenne in piena cotta adolescenziale che parla alla sua migliore amica della sua prima volta, ecco cosa sembra. Dov'è finito il temibile Black? E l'indomabile lupo dal manto nero come la notte? Spariti. Ridacchia nervosamente « Io e te ci siamo sincronizzati. Non credevo fosse possibile per gente come noi trovare la felicità. E diavolo, ho sprecato tanto di quel tempo prima di capire che l'avevo sempre avuta lì.- Olympia. -Il solito coglione. » Trovare quel qualcuno capace di estrapolare il meglio, da te, e convertirlo -appunto- in quella sconosciuta quanto nuova felicità. « E per quanto io sia ancora in trattative per farmelo stare simpatico..Sono contento tu l'abbia trovata con Percy. Come..Sì insomma, come va tra voi? Lo sa che se fa un passo falso lo picchio, vero? » Le lancia un'occhiata di soppiatto, prima di distogliere lo sguardo. Rudy non è certo il tipo più indicato per parlare di un certo tipo di cose. Dategli guerre ed assassinii da organizzare, e sarà il primo della fila. Dategli questioni di cuore, e ne ricaverete mormorii e farfugli indistinti. Ah, l'amore, quanti strani effetti si porta dietro! « Se ci pensi..Era impossibile, ma l'abbiamo fatto comunque. Per questo sono sicuro che per quanto sembri impossibile anche questo, riusciremo ad uscire di quì, in qualche modo. » Pausa. « Lo sai che, qualsiasi cosa agiti quella tua testolina dura come il marmo, potrai sempre contare su di me, sì? »
     
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