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    « Ti fa ancora male?» domanda al serpeverde dai capelli corvini che se ne sta mezzo accasciato con le spalle contro la parete di pietra. Stringe la fasciatura attorno al polso del ragazzo ancora un po', nella speranza che questa volta non si sciolga come quella precedente. Lui annuisce, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore mentre socchiude gli occhi, preso dalla stanchezza. Non ha scelto lei di mettersi a fare la crocerossina, le è stato ordinato. Lei fa parte dei fortunati, quelli che per puro caso non hanno ancora fatto i conti con gli ornamenti del castello, diventati all'improvviso tutte armi di distruzione di massa. Ancora, perché Fawn è fin troppo realista, quando deve, e sa che prima o poi toccherà anche a lei. L'idea di rimanerci secca non smette di tormentarla, le immagini delle morti cruente che potrebbero vederla protagonista si susseguono nella sua mente sveglia come le diapositive di un proiettore. E' forse questo che la spinge sempre a muoversi con cautela, perché per quanto audace sia sempre stata, la giovane corvonero non ha mai brillato per coraggio. Determinata, questo sì, ma codarda quando si tratta di affrontare pericoli potenzialmente mortali. Perciò ha preferito mille volte prodigarsi nell'arte infermieristica, piuttosto che partecipare alle ronde e, molto probabilmente, rimetterci qualche arto.
    «L'abbiamo trovata nel bagno delle ragazze...» la voce femminile che trema alle sue spalle la costringe a voltarsi. Il suo naso viene subito inondato dall'odore pungente che da giorni infesta il castello. E' l'olezzo della morte, la disgustosa fragranza che inonda ogni stanza, pizzicando anche il meno delicato dei fiuti. Trattiene un conato di vomito quando i suoi occhi cristallini incontrano il volto violaceo della povera vittima, le mani ancora aggrappate disperatamente alla gola. Il collo, riesce a notare, è ricoperto di graffi, il segno della lotta disperata della ragazza per un po' d'aria. «Che morte orribile..» dice con un filo di voce, immaginandosi l'agghiacciante scena davanti ai propri occhi. Li chiude, per un breve istante, costringendosi a ricacciare indietro le lacrime che affollano i suoi occhi acquosi. Si è giurata di non piangere, di non versare nemmeno una lacrima, non davanti a loro. Gli studenti che hanno sempre riposto cieca fiducia in quel castello, che ci sono cresciuti, che l'hanno sinceramente considerato la propria casa. Lei? Lei non è altro che un alieno, un'estranea, una straniera che mai come in quegli istanti sta rimpiangendo di aver lasciato la strada vecchia per quella nuova. Scrolla le spalle, impercettibilmente, per allontanarle una volta per tutte, ma suo viso è ancora una volta tagliato in due da un'espressione di disgusto e di paura. « Che ne dici di coprirla?» suggerisce alla grifondoro al suo fianco, mentre si avvicina al corpo senza vita e con la mano tremante le cala le palpebre. E' una scena che ha visto ripetersi più volta durante quegli interminabili giorni. Il buio l'attanaglia, e non è una metafora o un'immagine astratta, il pensiero poetico di un'artista maledetto, è la verità, pura, cruda, fredda. Gelida. Come le temperature all'interno del castello, una fortezza di miseria e morte. Il suo viso emaciato appare spento, privato di quella vivacità che l'ha sempre contraddistinta, la sua luce ha smesso di brillare. Persino le sue labbra, sempre incurvate in un sorriso curioso, sono strette in un commiato, gli angoli rivolti verso il basso, il suo viso è stato poche volte così serio. I suoi occhi si sono abituati a quell'oscurità dilagante, perché da quando la lama è calata sull'ormai defunto preside privandolo del suo ultimo anelito di vita, è sempre buio, tutto attorno non c'è più luce. Una scenetta orribile che ha visto ripetersi più e più volte nella sua testa, la sensazione di panico che ha inondato la sala quando hanno tutti realizzati che erano rimasti lì dentro, bloccati. Senza una via di fuga. Qull'atto le ha tolto il fiato, e per quanto poco sia passato, il tempo è bastato a trasformarli tutti in anime erranti in attesa della loro fine. Perché anche chi lotta in realtà sta solo aspettando di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Un brivido le percorre la schiena, mentre aiuta la ragazza a distendere sull'ennesimo cadavere un lenzuolo ingiallito e macchiato di sangue, il sudario di chi non ce l'ha fatta. Il freddo penetra attraverso i vestiti, per quanto pesanti essi siano, quel gelo ha qualcosa di infernale, un vento di morte che trasporta con sé quell'olezzo terribile. Una puzza che ha sigillato il suo stomaco e che le ha dato la nausea per intere giornate. Anche ora che ci ha quasi fatto l'abitudine, il suo stomaco fa i capricci. E' costantemente nauseata, logorata dai sensi di colpa se non condivide quel poco che ha con chi le sta attorno. Assurdo, si ritrova a pensare, lei è forse la persona meno adatta a vivere una situazione del genere. Come se gli altri lo fossero invece. Scrolla le spalle, allontanando dalla sua mente i pensieri delle comodità e del lusso che hanno sempre costellato, come costanti invariabili, la sua vita. Quella vita perfetta che aveva, nonostante tutto, avuto il coraggio di criticare. Lei che non era mai stata costretta a condividere se non per proprio volere, che si era sempre vista garantire tutto, qualsivoglia capriccio, senza nemmeno dover domandare con troppa insistenza. E si ritrova lì, a dover condividere tutto. Quei pensieri le inondano la testa, sembra quasi le manchi il respiro, sente l'urgenza di dover respirare.
    Muoversi da soli non è mai consigliato, ma il suo corpo nutre la necessità di allontanarsi dai corridoi e distogliere lo sguardo da quel teatro miserabile che il fato ha messo in piedi. Cammina, ispirando a pieni polmoni l'aria glaciale che arriva dalla tenuta. I suoi occhi scrutano attorno a sé, attenti al pericolo incombente ma l'unica cosa che riescono ad avvistare è l'andatura inconfondibile del genio. Un piccolissimo sorriso le si schiude sulle labbra color pesca, mentre accelera il passo vero la figura che, come immersa in una dimensione propria, distante dallo scandaloso scempio che si consuma fra le antiche mura, contempla l'infinita oscurità che li circonda. Il fumo della sua sigaretta si confonde con la nebbia, mischiandosi al suo respiro caldo, dissipandosi lentamente nella volta celeste priva di qualsiasi bagliore. Le uniche luci danzanti sono quelle dei fuochi accesi dagli abitanti di Hogwarts, il perfetto simbolo della loro precaria speranza.
    Giunge alle sue spalle camminando in punta di piedi, non vuole distogliere la mente del pensatore dalla sua intima riflessione. Con delicatezza poggia le proprie mani sulle sue spalle, stringendole appena. « Dimmi che i tuoi occhi riescono a vedere in tutto ciò qualcosa per cui valga la pena lottare.» gli sussurra, girandogli attorno e invadendo il suo campo visivo. « C'è ancora del bello?» gli domanda, cercando conforto negli occhi di lui. Li vedi ancora i colori?

     
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    Il caos è sempre stata una parte considerevole della vita di Fitzwilliam Gauthier. L'ha sempre visto come un immensa fonte di ispirazione; è un privilegio poter sopravvivere al caos primordiale. E il caos è mirifico, l'opposto di un locus amoenus che sembrava preservare nel cuore con l'ardore di un bambino sperduto. Questo quanto si attanagliava nella mente di Fitz tra una ronda e l'altra, tra decine di compiti tutti diversi che gli venivano impartiti tutti i giorni. Compiti che, a dirla tutta, accettava con non poca diffidenza, e un immortale fastidio. A prendere ordini non era mai stato bravo. Ma che gli piacesse o meno, lui era uno dei grandi. Diciotto anni, settimo anno, Corvonero. Chiaramente c'erano delle aspettative nei confronti della sua figura, aspettative che, Fitz avrebbe disatteso ben volentieri se ciò non fosse significato trovarsi da solo in mezzo a tutto quel bordello. Si era chiesto spesso tra la sepoltura di un cadavere e un altro, chi avrebbe trovato lui, semmai fosse morto. Si è chiesto come lo avrebbero trattato e come avrebbero reagito. Qualcuno avrebbe pianto? Per lo più erano domande stupide, alternate a tratti da quei periodi estremamente frequenti di buio in cui era costretto a vivere. Lei emergeva sempre più spesso; quando meno se lo aspettava, prendeva il sopravvento, alla disperata ricerca di qualcosa che non sembrava trovare. Cosa stai cercando Gwen? Non lo sapeva Fitz, e probabilmente non lo sapeva nemmeno la creatura che albergava indisturbata nelle sue stesse carni. Inizialmente si era convinto fosse alla ricerca di Cavendish; di certo a lui sembrava particolarmente legata, ma ultimamente, ha iniziato a chiedersi, il giovane rampollo di casa Gauthier se in realtà non fosse altro ciò a cui la sua fastidiosa sorellina aspirava. Cosa può mai cercare una ragazza in mezzo a tutto quel violento puzzo di morte? Cos'è che cerchi nel sangue e la guerra che ci circonda? Non riusciva a immaginarselo, Fitz, e raccontarsi la storia di come lei cercasse la vita gli risultava ridicolo, oltre che estremamente scontato. Ma era effettivamente ciò che in un certo qual modo entrambi condividevano, volenti o nolenti: il desiderio di approfittarsene del mondo finché erano ancora in piedi. Il desiderio di sfuggire alla morte, in modo eroico e coraggioso ogni giorno. Hanno persino trovato un modo per comunicare. Si scrivono. Nelle tasche degli indumenti che indossano, si lasciano quei bigliettini spiccioli, colmi di pensieri che non potrebbero condividere con nessun altro. Si scopre spesso sorpreso delle parole che lei gli rivolge. Qualcosa di squisitamente etereo, colmo d'amore. Di fronte a parole così sentite, persino il giovane Fitzwilliam non può non ammettere di aver iniziato a serbare una specie di affetto nei confronti della dama che tenta in tutti i modi di rubargli la scena sempre più frequentemente. Ed è questo ciò che ora fa Fitz. Seduto sul bordo della fontana nel cortile di pietra, erge di tanto in tanto lo sguardo verso l'orizzonte. Non riesce a vedere nulla oltre la fitta nebbia, ma in cuor suo cerca di immaginarsi un bel tramonto, il cinguettio degli uccellini, un ruscello scorrere appena sotto i raggi di un sole calante dalle tenui sfumature arancioni. Prova a ricreare nella sua mente una situazione da luogo ameno appunto, qualcosa di estremamente rievocante, strappato al paradiso che non ha mai avuto modo di conoscere e forse nemmeno di immaginare fino in fondo. Di tanto in tanto appoggia la matita sul taccuino e annota poche frasi tra un pausa di riflessione e un'altra. Ci vuole tempo per scrivere cose così profonde, soprattutto quando, si è abituati a non concedere nulla a nessuno. Fitz concede a Gwen più di quanto abbia mai concesso a chiunque, e lo fa, pur sapendo che non si incontreranno mai, che le loro vite sono inconciliabili e che la felicità dell'uno sarà sempre la disgrazia dell'altro. Mi sono chiesto spesso come tu percepisca questo mondo. Come le vedi le persone? Cosa vedi nei loro occhi? Ti piace ciò che stai sperimentando? Perché a me non piacciono; odio tutto ciò che ho attorno. L'ho sempre fatto. Dopo diciotto anni posso dire di non aver concluso niente. Mi sembra di aver sprecato tutto il mio tempo. Non sono riuscito a legarmi a niente e a nessuno e mi pare impossibile farlo. Un posto vale l'altro, una persona vale l'altra. Mi resta solo quest'immagine idealizzata di posti e situazioni che non riuscirò mai a raggiungere. In tensione, sempre sospeso sul filo del rasoio. Così vive Fitzwilliam. A metà tra tutto ciò che ottiene e non vuole più e tutto ciò che desidera e non avrà mai. E' in tensione persino in quel momento, mentre siede sulla pietra fredda. Di scatto scuote la testa, rimette il taccuino nella tasca del soprabito scuro e si alza in piedi, pronto a scrutare l'oscura immensità di fronte a sé da una posizione diversa. Un diverso punto di vista. La prospettiva si modula di fronte ai suoi occhi, mentre le forme stesse della realtà si lasciano ammirare da una diversa angolazione. Tutto è diverso. In ciascuno istante. Eppure, tutto è uguale. Si accende quindi con un certo nervosismo una delle ultime sigarette che gli sono rimaste, scambiate per una razione intera di cibo con un compagno Tassorosso del quinto anno, e ispira lungamente. Quando dovrà sottrarsi anche a quel piacere proibito, sarà la fine. Tutto può immaginarsi, Fitz, tranne la vita senza le sue bionde. La sigaretta non è un vizio; è uno stile di vita. Scandiscono le pause, la noia, conciliano la riflessione. Non sono le sigarette a consumarsi, dal punto di vista di Fitz.. è il tempo stesso a farlo, tra una e l'altra. Mentre se la porta alle labbra, si accorge di una macchiolina di sangue sull'orlo della sua camicia. L'ennesima rovinata. Sbuffa con un certo fastidio mentre tenta di pulirla prima a mani nude e poi con l'ausilio di un Gratta e Netta che fa subito sbiadire il rosso incrostato.
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    Ed è allora che viene sorpreso da una voce che ben conosce e la cui sonorità ha a tratti persino dimenticato come si faccia ad apprezzare. « Dimmi che i tuoi occhi riescono a vedere in tutto ciò qualcosa per cui valga la pena lottare. » Sorride pacatamente di fronte a quelle affermazioni. Si sente uno schifo in quel momento; concentrato com'è stato su stesso dal ballo, non ha avuto nemmeno la premura di assicurarsi che lei stesse bene. Fawn era importante. Non lo ammetteva mai consapevolmente, ma per la ragazza nutriva un affetto che spesso scontornava dai suoi limiti imposti. « C'è ancora del bello?» Se la vede arrivare davanti, e allora sorride mentre si concede l'ennesimo tiro della sigaretta. « Credo di averne una degna dimostrazione davanti a me in questo preciso istante. » Un sussurro delicato, mentre i suoi occhi scuri si fondano eloquentemente a quelli chiari di lei. I polpastrelli prendono a giocherellare delicatamente con le ciocche color grano lasciate libere di fluttuare nel vento sulla spalla di lei. Infine glieli passa dietro l'orecchio con un tocco delicato lasciandosi ancora una volta meravigliare da quel volto dai connotati angelici. Per spingere Fawn a sbilanciarsi in quel modo con qualcuno, non deve aver passato delle belle giornate. Nessuno di loro le aveva passate, ma per un secondo, restando a pensarci, in quella bolgia, la piccola Vanderbilt proprio non riesce a immaginarsela. Così fragile e delicata, dovrebbe avere la possibilità di vedere solo cose belle, non certo sangue e morte. « La domanda, Fawn, è se tu vuoi vedere ancora del bello. » Si stringe istintivamente nelle spalle, mostrandole un sorriso sornione. « Qualcosa per cui lottare la si trova sempre. » Enigmatico e controcorrente come al solito decide che il punto non è lottare per capire se dopo ci sia ancora qualcosa, ma capire se c'è qualcosa per cui lottare ancora per il dopo. Un gioco di parole che nella sua mente appare piuttosto chiaro. Una netta distinzione con cui sta ancora cercando di farci i conti anche lui. « Parlami. Cosa c'è che non va? » Pausa. « A parte il fatto che potremmo morire da un momento all'altro e io potrei essere l'ultimo uomo che ha avuto l'onore di godere della tua compagnia, ovviamente. » Non sia mai che Fitz cambi. Non c'è apocalisse che regga di fronte a quel suo atteggiamento.
     
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