One does not simply walk into mordor

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    "normalità: carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali."

    Se qualcuno le avesse detto qualche mese prima che nella sua definizione di normalità sarebbe un giorno rientrato un costante guardarsi le spalle, doversi quasi procacciare il cibo, contare i vivi e cercare di capire se conoscesse i morti, seppellire cadaveri e quant'atro, gli avrebbe riso in faccia. Questo fino a quando non era scoppiato il finimondo e il globo terrestre non aveva deciso di cominciare a girare al contrario. Questo finché Kingsley non era caduto, tutti i presenti al ballo non erano rimasti sigillati a scuola, e la catastrofe non si era abbattuta su ognuno di loro. Un folle meccanismo era stato innescato quella notte, con una sola legge a regolamentare il tutto: quella della giungla. E vivere in un ambiente del genere stava spezzando la spina dorsale dei più deboli e temprando i restanti, scalfendoli comunque in qualche modo. Del resto, pensare di poter riguadagnare l'innocenza perduta è insieme un obiettivo irraggiungibile ed una pretesa ingenua. Però a volte le mancava avere le preoccupazioni di una normale adolescente: la mancanza di casa, la stupida nostalgia di quel qualcosa che non avrebbe saputo definire, persino le questioni di cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere una ragazzina lamentosa che i problemi se li creava da sé invece di esserne sommersa per davvero. Tutta quell'esperienza le stava insegnando molte cose, prima tra tutte quanto fosse stata viziata dalla vita senza neppure rendersene conto.
    L'aveva capito perché tutte quelle cose le erano state tolte di botto, come se le avessero amputato un arto. E lei, che non aveva mai sopportato che le cose le venissero negate, sembrava volerle per forza. Anche se non era sicuro o saggio, anche se reclamarle poteva significare pericolo. Non avrebbe avuto molto senso agli occhi di un osservatore esterno, anzi: la Byrne sarebbe probabilmente passata per una pazza furiosa. Ed in effetti furiosa lo era, con sé stessa però. Non aveva ancora digerito tutta la paura provata nella Foresta Proibita né l'effetto che quel soggiorno di bellezza aveva avuto sulla sua psiche, e così aveva reagito nell'unico modo che la sua mente aveva saputo proporle: buttandosi a capofitto nelle cose, specialmente quelle che le facevano terrore. Quasi volesse prendere a calci loro e sé stessa. Quasi volesse compensare e urlare al mondo che lei la paura non sapeva nemmeno dove stesse di casa. Una persona con più sale in zucca e meno pressioni addosso, l'avrebbe sicuramente etichettata come un comportamento privo di senso, ma lei non aveva né il tempo né la voglia di porsi determinati quesiti. Lei viveva nel presente, e nel suo presente era necessario farsi carico delle cose soprattutto quando queste diventavano insopportabili. Perché era così che si sopravviveva. Qualche tempo prima, forse qualche ora o giù di lì, aveva aiutato una ragazzina a seppellkire il suo gatto. L'avevano fatto alla babbana: scavato una buca, sepolto il povero animale e detto qualche frase di commiato. E poteva sembrare una perdita davvero insignificante a pensarla in proporzione a tutto il resto, ma a lei era pesata comunque. Le era sembrato di vedere qualcosa che si spegneva negli occhi della piccola Grifondoro, le era parso che insieme al suo compagno avesse salutato anche gli ultimi bricioli della sua infanzia. L'aveva osservata mentre si sforzava di non piangere. Poi questa le aveva posto una domanda difficile, una domanda che entrambe sapevano non avere una risposta definita.
    « E se non uscissimo mai più di qui?» La Byrne, che di solito aborriva le menzogne più o meno con la stessa intensità con cui odiava trovarsi in trappola, aveva fatto l'unica cosa possibile: scelto l'opzione migliore nonché l'unica che potesse innalzare lo stato d'animo della bambina quel tanto che bastava a far sì che la tristezza non la inghiottisse: «Non esiste.» Aveva detto con una certa fermezza, chinandosi a guardare la compagna « Usciremo eccome. E tu racconterai a tutti quanto sei stata coraggiosa.» Poi l'aveva abbracciata. Erano quindi rientrate al Castello e Fawn le aveva fatto compagnia finché la più piccola non aveva voluto tornare dai suoi amici. Poi aveva deciso di fottersene e cedere alla tentazione più grande nonché quella che le lasciava ancora addosso una sensazione indefinibile: quella della solitudine. Stare da sola era un problema da quando era tornata, e non solo perché Hogwarts cercava di uccidere i suoi abitanti; era un problema perché ne aveva paura, perché ogni tanto si ritrovava ancora addosso un terrore viscerale senza un motivo valido quasi il suo corpo e la sua mente si aspettassero un attacco da un momento all'altro. Ma la solitudine era il suo guilty pleasure da sempre. Essendo figlia unica, aveva sempre avuto del tempo per sé, e pure in abbondanza. Non avrebbe lasciato che la sua stupida paura l'avesse vinta. Non quella volta. Non quando lei aveva palesemente bisogno di pensare e metabolizzare. A quel punto aveva due opzioni: la Stanza delle Necessità o la Biblioteca. Entrambi erano posti poco frequentati di quei tempi, entrambi le avrebbero garantito quello spazio di cui aveva bisogno. Ma era anche vero che nella Stanza delle Necessità sarebbe stata sola per davvero e senza una mezza distrazione per giunta, e non era certa sarebbe stata una buona idea, con la pesantezza che c'era nell'aria e la stanchezza che aveva addosso. In più, di cosa aveva bisogno in quel momento? Cosa avrebbe potuto chiedere? Un posto sicuro, bello, familiare? E non sarebbe stato peggio uscire per rendersi conto di essercisi illusi?
    Ed era così che si era ritrovata seduta sul davanzale di una delle finestre della biblioteca della scuola, le ginocchia tirate su fino al mento, un libro in mano. Un fantasy perché erano i migliori nei momenti di merda, perché permettevano di andare momentaneamente lontano, di ritrovare un minimo della fiducia persa, di convincersi che alla fine il bene trionfa sempre. Lei non era proprio sicura di fare del bene, non sapeva nemmeno dove volesse andare di preciso, non sapeva niente sul suo futuro né se ne avrebbe davvero avuto uno, ma sapeva che delle persone in quel Castello avevano qualcosa per cui combattere. E lei, anche se non sapeva dove volesse andare a parare per la sua di vita, sentiva che quello di sostenere le suddette persone fosse un dovere morale. E per sostenere qualcuno bisognava scacciare le nuvole, evitare di lasciarsi inghiottire dall'abisso. Quindi si era lanciata a capofitto in un mondo fatto di avventure vissute da creature fantastiche. Era presa, così tanto che fu un caso se alzò gli occhi per guardarsi attorno e rendersi conto che un Albus selvatico si stava dirigendo verso di lei. Ovviamente non l'aveva sentito arrivare. Altrettanto ovviamente aveva appena perso dieci anni di vita, ammesso e non concesso che li avesse davvero a disposizione, visto l'andazzo. « Un giorno il tuo vizio di arrivare di soppiatto mi ucciderà, io te lo dico prima così hai modo di prepararti psicologicamente alla cosa.» Gli disse semi-seria, senza ancora mettere via il volume che aveva in mano, ma voltandosi verso di lui e sedendosi in maniera più composta: ancora sul davanzale, ma stavolta rivolta verso di lui, pronta a saltare giù. « Devi anche tenere conto che le pers- ma che cazzo?!» No, questa non era una reazione alla presenza di Albus Potter nel suo immediato campo visivo. Questa era la reazione al fatto che i contorni della stanza avessero cominciato a girare vorticosamente e i colori a cambiare altrettanto velocemente. Questa era la reazione al fatto che, a quanto pareva, nemmeno la biblioteca era più un luogo sicuro. Tempo un paio di secondi e il suo tanto amato davanzale era stato rimpiazzato da un prato e la sua schiera era poggiata contro il tronco di un albero. Erano in una foresta, una foresta che però non aveva niente in comune con la Foresta Proibita: i colori erano decisamente troppo accesi e il sole troppo alto sulle loro teste: « Okay, non ho capito » Proruppe tirandosi in piedi « e non posso dire che non aver capito mi piaccia.» Da qualche parte dietro di loro una serie di versi e rapidi passi. Creature bruttissime correvano verso un uomo che mulinava una spada. « Ma quelli sono orchi? E quello è....» Una delle orribili creature cadde a terra, trafitta dritto in mezzo agli occhi da una freccia. Un tiro così impeccabile poteva tirarlo solo un... « ...Legolas?!»
     
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    "Cosa ne pensi, eh?" gli occhi di Albus si spostarono dal viso di Richard alla spada che teneva in mano - bottino di guerra in seguito a una feroce lotta con un'armatura - poi di nuovo a Richard, la spada e ancora Richard. Un'espressione atona, quella che il giovane Potter aveva dipinta in volto. "Penso che sia una grande cazzata e mi meraviglio di come tu sia ancora in vita." Uno sbuffo sonoro fu la risposta del Grifondoro, il quale si era prontamente visto troncare l'esaltazione del momento da un Albus decisamente poco impressionato. "Non sai nemmeno come si usa una spada, Rick, per l'amor del cielo, mettila giù o finirai per tagliarti un braccio da solo." Quelle in teoria avrebbero dovuto essere le parole atte a troncare il discorso, e infatti il nostro moro si era già avviato lungo il corridoio per continuare la ronda dove magari vi era più bisogno, ma no, evidentemente il compagno si sentì in dovere sì di seguirlo, ma anche di portare la spada con sé, sguainandola di fronte ai propri occhi per farla luccicare alla luce delle lampade ad olio. "Io invece penso che sia un ottimo strumento, sai. In fondo che vuoi che sia? Mica pretendo di usarla con una mano così, come se nulla fosse. Ma con due, beh, dai, si può fare." "E ti servirebbe a cosa, nello specifico, dato che hai già una bacchetta?" Silenzio. Si voltò a guardare Rick in volto, sollevando un sopracciglio con fare eloquente. A questo non ci avevi pensato, vero, genio? Ma niente, quello in tutta risposta scrollò le spalle. "Tanto con gli incantesimi non sono poi così bravo." A quelle parole, Albus si arrese, ridacchiando tra sé e sé nello scuotere il capo e alzare le mani in aria di resa. "Con la spada, invece, non hai rivali." In fin dei conti c'era solo un limitato numero di persone a cui poteva fare da babysitter, e il suo asilo personale non accettava bambini sopra l'età dei tredici anni. Così lasciò perdere, convinto che prima o poi il compagno avrebbe capito da solo l'inutilità di un simile oggetto nelle sue mani. Non a caso, quando incapparono nell'imboscata di un paio di arazzi, Richard fu piuttosto svelto a mollare la spada e riprendere saggiamente una più leggera e più utile bacchetta magica.
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    Una volta conclusa la ronda, Albus sapeva già da chi andare per condividere quell'esilarante racconto. C'era una sola persona che l'avrebbe presa tanto sul ridere quanto lui, e quella era proprio Fawn. La stessa Fawn che nella Mappa del Malandrino era segnalata in Biblioteca. Aveva già un sorriso che andava da un orecchio all'altro, pregustatore della maniera ciceroniana con cui le avrebbe sciorinato quell'atipico racconto impregnato di puro delirio. E il sorrisino gli rimase impresso per tutto il tragitto fino all'entrata della biblioteca, quando si allargò alla vista della compagna immersa nella lettura di un libro sul davanzale della finestra. Accelerò il passo in sua direzione, con l'unico effetto di farle prendere un infarto secco per colpa di quella sua dannatissima andatura felpata. "Un giorno il tuo vizio di arrivare di soppiatto mi ucciderà, io te lo dico prima così hai modo di prepararti psicologicamente alla cosa." Rise, appoggiandosi con una spalla contro il muro adiacente alla finestra, sporgendosi un po' a correre lo sguardo tra le righe del libro. "Non è vero che arrivo di soppiatto." protestò, la fronte ironicamente aggrottata in risposta a quell'accusa. "Devi anche tenere conto che le pers- ma che cazzo?!" E ma che cazzo fu probabilmente l'espressione più appropriata che potesse venirgli in mente in quell'istante, perché di colpo i colori della stanza cominciarono a sciogliersi, vorticando velocemente per lasciare spazio alla creazione di un altro scenario. Uno scenario che tolse alla spalla di Albus l'appoggio del muro, facendolo traballare e per poco cadere rovinosamente a terra. La prima sensazione fu quella di una luce forte, sin troppo forte. La luce solare. A un certo punto l'abitudine era subentrata nel sistema di Albus, lasciando diventare il suo organismo assuefatto alla perenne notte che era calata su Hogwarts dalla sera del ballo. Di luce naturale non ne aveva vista più, e nemmeno si ricordava di come fosse fatta, di cosa si provasse. Tanto che un dolore piuttosto fisico si stagliò nei suoi occhi come un bruciore alle pupille, le quali si restrinsero al minimo sindacale in tutta risposta. Gli ci volle quale istante di troppo ad abituarsi, facendogli portare una mano di fronte agli occhi arrossati e lacrimanti per pararsi dalla luce troppo intensa del sole. "Okay, non ho capito e non posso dire che non aver capito mi piaccia." Scosse il capo, cominciando a guardarsi intorno mano a mano che riacquistava percezione della realtà e dei suoi contorni, abituandosi al troppo repentino sbalzo di ambientazione. Ma non fece in tempo a pronunciare una sola ipotesi, che dei versi indistinti alle sue spalle lo costrinsero a voltarsi di scatto, puntandosi di fronte la bacchetta in quel gesto che oramai sembrava diventato per lui una seconda natura. "Or-..?" "Ma quelli sono orchi? E quello è...." La bocca di Albus non era mai stata così aperta e sbalordita in vita propria. "Cazzo è lui." "...Legolas?!" In diverse circostanze questo sarebbe stato il sogno ad occhi aperti di Albus, almeno abbastanza da portarlo a piagnucolare come una fangirl invasata e a cercare Hugo pure nei tombini pur di fargli vivere quella magnifica esperienza assieme a lui. Ma aveva la lieve sensazione che in diverse circostanze non avrebbe rischiato di morire di una morte davvero tanto brutta. Per questa ragione il suo primo istinto fu quello probabilmente più sensato: correre. O meglio: stringere la mano di Fawn, e trascinarsela dietro in quella corsa per trovare quanto meno la parvenza di un riparo da un eventuale attacco degli orchi. Riparo che trovò quasi per caso, scivolando su un tappeto di foglie in discesa. Un errore felice, dato che sembrò mostrargli un'insenatura naturale, un nascondiglio sotto le grosse radici di un albero. "Ok. Per quanto ami Il Signore degli Anelli, non ci voglio morire dentro..preferibilmente." furono le sue prime parole, dette tra l'affanno, ricercando lo sguardo di Fawn per trovarvi una conferma. "Quindi le cose sono due: o torniamo alla Contea e ci rifugiamo lì da codardi per il resto delle nostre vite oppure.." cazzo mi sento stupido solo a pensarlo "..portiamo l'anello a Mordor..suppongo." E nel dire quelle parole il suo sguardo cadde su uno sbrilluccichio dorato nella foresta, appiattito appena sotto lo sguardo ceruleo di un hobbit appiattito su un manto di foglie. Portandosi un dito alle labbra fece segno a Fawn di non fare rumore, indicandole con un cenno del capo quello che pareva essere Frodo. "Dici che accetteranno le nostre bacchette nella Compagnia o dobbiamo rubarglielo?" Cominciamo benissimo.
     
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    « Beh, il lato positivo di tutto questo è che, almeno, non stavo leggendo le 120 giornate di Sodoma. Sai che divertimento...» Signore e signori, Fawn Byrne in tutto il suo splendore: quello di fare battute nelle situazioni meno consone e nei momenti meno opportuni era un suo talento speciale, più o meno come il fare da calamita a qualunque cosa potesse ucciderla. In effetti, a ben pensarci, forse avrebbe dovuto specificarlo da qualche parte, magari una di quelle clausole che nessuno legge mai, che quello fosse incluso nel pacchetto, a stare nelle sue immediate vicinanze. Ma sarebbe stato un deterrente, per non dire che non c'era stata la firma di alcun contratto, per cui Albus era fregato in ogni caso. E non è che fosse proprio sicura che quella trappola funzionasse esattamente così. Come poteva, se prima di finirci dentro neanche aveva idea dell'esistenza di una trappola? E va bene che forse non era la persona più cauta sulla faccia del pianeta, ma andarsi a ficcare di sua spontanea volontà in una trappola, non aveva ancora intenzione di farlo. La luce solare era un altro dei lati positivi di tutta quella situazione. Se non ci fosse stata una battaglia in corso e la nemmeno troppo lontana possibilità di restarci secca - il contrario, però, sarebbe stato un plot twist molto interessante - si sarebbe sicuramente distesa a poltrire al sole. Era una creatura dell'estate, la Byrne. Certo, l'inverno non le dispiaceva, ma era durante il periodo caldo dell'anno che dava il meglio di sé. Per non dire che l'estate vincesse su tutte le altre stagioni anche perché era il suo compleanno ad aprirla ufficialmente, e ora non sapeva neppure se ci sarebbe arrivata a festeggiare un altro compleanno, ma questa era un'altra storia. Sì, perché invece di sdraiarsi come una lucertola e assorbire tutto il calore del mondo, prospettiva che non le sarebbe dispiaciuta, si trovava a dover correre a perdifiato per non tirare le cuoia. «Ok. Per quanto ami Il Signore degli Anelli, non ci voglio morire dentro..preferibilmente.» Appiattita in quello che era ufficialmente diventato il loro nascondiglio, Fawn lanciò uno sguardo a Potter. Il quale, per inciso, oltre ad essere ufficialmente entrato nella banda degli hairbesties grazie al pornociuffo, quel giorno in particolare sembrava condividere con lei un piuttosto lecito attaccamento alla vita. « Guarda, Potter: avessimo avuto più spettatori, probabilmente avrei potuto dirti che non fosse la peggiore delle morti. Eroica, indimenticabile,spettacolare... ma visto che siamo solo io, te e 'sta manica di poveracci che nemmeno sanno della nostra esistenza, mi trovo costretta a darti ragione. Solo per stavolta, eh.» Fintamente seria, come se lei e Albus solitamente non facessero altro che darsi contro fino allo sfinimento. E come se avere Aragorn che mulinava la spada nel più cazzuto dei modi non fosse stato il suo sogno proibito. Tuttavia il tempo per fare le fangirl non c'era - altrimenti si sarebbe già precipitata a palpare Legolas, in barba a qualsivoglia forma di decenza -, quindi bisognava abbandonare quei sogni di gloria e pensare, per l'appunto, ad uscirne vivi e vegeti. La vera domanda era: come? Purtroppo importava ben poco che l'ottimismo fosse il profumo della vita: quel libro era pieno di pericoli non indifferenti. La loro fortuna era che fossero dei maghi, appunto. Sbuffò, riportando lo sguardo sul verde-argento, approfittando del momento per scostarsi i capelli dal viso. Stava ragionando su cosa fare, ma Albus la precedette. «Quindi le cose sono due: o torniamo alla Contea e ci rifugiamo lì da codardi per il resto delle nostre vite oppure... » E io divento un Hobbit: in altezza siamo circa lì « ..portiamo l'anello a Mordor..suppongo. Dici che accetteranno le nostre bacchette nella Compagnia o dobbiamo rubarglielo? » Constatò con piacere che Albus Severus Potter non fosse stato smistato a Serpeverde per caso, appuntandosi pure che probabilmente non avrebbe avuto alcun problema a sopravvivere nel Bronx, visto quanto velocemente aveva pensato al furto come soluzione ad ogni problema. Fawn, che non aveva la passione di fingersi una santarellina, ammise con sé stessa che il pensiero avesse attraversato anche la sua, di mente. Però c'erano dei rischi: e se non fossero stati in grado di resistere all'impulso di indossarlo? Era abbastanza certa che nessuno di loro due fosse propriamente equipaggiato per sopravvivere alle controindicazioni che un tale gesto avrebbe comportato. Per esempio, tanto per dirne una, i Nazgûl. Che, da quello che ricordava, non erano esattamente gli esserini più amichevoli del mondo. « Non credevo avrei mai detto una cosa del genere, non prenderla sul personale » sussurrò alla fine, muovendo appena le labbra « ma mi sa tanto che abbiamo un piccolo problema di dimensioni e non possiamo girare coi bastoncini al vento, Al. Non hai visto con che affari vanno in giro i maghi, da queste parti? » Altro punto da aggiungere ai termini e condizioni: se si era amici di Fawn, bisognava accettare che nove su dieci le sue battute facessero cagare. E che spesso non si capisse bene quando fosse seria e quando no, bisognava essere particolarmente perspicaci, avere un talento naturale o lo stesso senso dell'umorismo un po' fuori luogo per tollerarla. Tuttavia la battutona del secolo celava una grande verità: non riteneva opportuno palesarsi in quel momento. E non soltanto perché sarebbero sembrati un pochino minorati rispetto ad un Gandalf, ma perché dubitava che quella di farsi vivi, sbucando tra l'altro dal nulla, fosse la più saggia delle scelte. Quindi decise di fare l'unica cosa che le sembrava sensata in quel momento: lanciò un incantesimo di Disillusione per celarli ad occhi indiscreti. Ovvero: tutti gli occhi in quel momento. « E ora seguiamo i nostri piccoli amici e speriamo che non decidano di fare cazzate mentre pensiamo ad un piano. »Sempre a voce bassissima, un movimento appena accennato delle labbra. Le sarebbe molto piaciuto poter fare un'entrata in scena col botto, conquistare il cuore di Aragorn e farsi aggiornare sul gossip di Bosco Atro, ma temeva che non fosse fattibile. Come cambiavano le priorità, quando c'era la propria vita in ballo... « La vera domanda è: riusciremo a restare sotto copertura abbastanza a lungo da non farci ammazzare da qualcosa? Ecco, magari qualche incantesimo di protezione non farebbe male. Tipo. » Solo dopo averne castato qualcuno, si sentì pronta ad abbandonare il nascondiglio. Guardò Albus, come a dire che potessero andare.
    All'inizio era tutto abbastanza tranquillo. Frodo che si muoveva attento, gente che moriva (per fortuna lontano da loro) e loro che seguivano l'ignaro hobbit cercare di fare meno rumore possibile. Poi ci si mise la fortuna di mezzo. O la sfiga più totale, a seconda. Frodo iniziò a correre a perdifiato verso un corso d'acqua, convinto di doversi imbarcare - piuttosto letteralmente - da solo nella sua missione suicida. Cioè portare l'anello a Mordor. Tutto regolare, non fosse che avesse costretto i due poveracci a corrergli dietro cercando di non fare rumore. Ci rendiamo conto? Ma allora sei stronzo. Si stava dirigendo verso una barchetta - che per fortuna non era l'unica sulla riva, di nuotare non se ne parlava - pronto a salirvi. Rumore di passi dietro di loro. Esattamente dietro Fawn, a dire il vero, tanto che la mora dovette affidarsi ai suoi sensi di ragno e balzare di lato per non farsi travolgere da Samvise in persona.
    « Padron Frodo! Vengo con voi!» E tutta quella storia lì. Fawn approfittò del momento di confusione per dire, a mezza voce: « Potter, è tempo di decisioni. Essenziali. Vogliamo un transatlantico tutto nostro oppure andiamo con Cip e Ciop?»
    E speriamo di non fare la fine del Titanic.

    Edited by hanaemi} - 5/1/2018, 03:57
     
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