Drink to get drunk

(ottobre 2015)

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    spoiled little brat
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    «Ti hanno fottuto lo scoop.»
    Calò il silenzio. Tombale e drammatico, parve inondare l’intero ufficio come il gelido respiro della morte. In lontananza il ticchettio isterico dei tasti di una macchina da scrivere che non sembrava potersi fermare iniziò a rallentare, lentamente, fino a tacere, per sempre. Dei profondi occhi scuri si sollevarono dal foglio, sbarrati e vividi, come quelli di un bambino impaurito. «C..come scusa?» la domanda sgorgò dalle labbra della ragazza in maniera incerta, il tremolio della voce a smorzarne le parole. « Il Daily, ha pubblicato l’articolo sul Primo ministro.» Il panico invase i suoi occhi castani, mentre mesi di lavoro, di parole battute a macchina e i più assurdi escamotage per trovare del vero in tutta quella messinscena, volavano via. Splash, buttati nel cesso. Chiuse gli occhi, affranta, portandosi le mani alle tempie e massaggiandole, ritmicamente. Lo sapeva che l’avrebbero inculata, prima o poi. E la cosa le faceva rodere il culo come poche altre al mondo. Anche i cani con il miglior fiuto sbagliano, di tanto in tanto, lo aveva sempre saputo, benché l’avesse accettato malvolentieri. Ma non si trattava di aver seguito la pista sbagliata, no. Si trattava di essere arrivata seconda in una gara in cui c’è un solo gradino sul podio. Era come se il fato avesse deciso di metterle lo sgambetto sul più bello, a poche parole dalla conclusione. Lei era stata il cavallo vincente, il Secretariat di quella stagione, aveva dedicato ogni istante degli ultimi sei mesi a scavare nella merda -metaforica- della politica magica per rivelare al popolo quanto schifo facesse l’uomo che avevano messo al governo. Ma ora, nemmeno la più insignificante di quelle cinquecento parole che aveva scelto in maniera assolutamente maniacale, aveva più senso. Sbuffò, riaprendo gli occhi e spostando verso il lato della scrivania la sua amata macchina da scrivere, che adesso odiava. Insomma, era anche un po’ colpa sua se ci aveva messo tanto a scrivere quell'articolo. Per non parlare di tutti i casini che nell'ultima settimana avevano deciso di pestarle i piedi. «Cazzo, cazzo, cazzo!» la buona educazione le impedì di urlare, mentre attorno a lei tutti avevano ripreso a scrivere, immersi nei loro lavori, alla ricerca dei vocaboli adatti a rendere questo o quel topic il più appetibile possibile agli occhi del lettore medio. Forse, disse a se stessa, era meglio scrivere di dolci gattini che sanno andare in skateboard, che farsi il fegato amaro dietro a criminali e spregiudicati per portare la verità a galla e, magari, diffondere un po’ di consapevolezza su ciò che accade nel mondo. Scrollò le spalle, guardandosi in giro, mentre nella sua mente già si delineava l’immagine di quello stronzo che le aveva rubato i riflettori. « Qualche altra testata potrebbe sempre pubblicarlo.» la voce di Joffrey alle sue spalle la fece voltare. «Non dire stronzate, roba del genere non la legge nessuno se non viene spiattellata in prima pagina sul Prophet.» fece notare lei, ignorando le valide ragioni che il suo collega stava cercando di esporle. Certo, ad avere ragione, lui, ne aveva. Qualsiasi altra testata giornalistica avrebbe fatto carte false per un articolo scritto di suo pugno, dopo l’intenso anno che aveva affrontato, ma si trattava di una questione d’orgoglio, e il suo, in quel momento, era terribilmente ferito. « Senti, Gallard, apprezzo lo sforzo» gli disse alzandosi e avvicinandosi a lui per battergli una pacca ben assestata sulla spalla. Puntò la bacchetta verso la sua scrivania, attirando a sé la propria borsa. « ma facciamo che ci vediamo domani.» Se l’enorme sbronza che sto per prendermi non mi ucciderà.

    Bonnie non era un’alcolista, ma quando si trattava di pesanti delusioni, non c’era niente di meglio per annebbiare i sensi se non un bel paio - o qualcosa in più – di bicchieri di grezzo Rum, o qualsiasi altro alcolico che le venisse offerto e che infiammasse la sua gola talmente tanto da farla sentire un drago. Non avrebbe lasciato che lo sconforto la tenesse
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    rinchiusa in casa, cosa che era successa più di una volta in quel periodo della sua vita, perciò aveva fatto quello che faceva di solito quando aveva bisogno di svagarsi e parlare di tutto fuorché di lavoro. Si era rivolta all’unica e sola persona che aveva accettato senza troppi problemi i suoi stupidi giochi alcolici e che aveva retto meglio di lei, che sembrava essere in grado di bere fino a distruggersi il fegato ma senza mai vomitare, qualsiasi tipo di sostanza potenzialmente intossicante che avevano mandato giù.
    Aveva percorso le strade affollate di Londra diretta al pub dove ormai sembrava essere diventata di casa. Magra come si ritrovava ad essere, più che mai in quei giorni in cui il cibo sembrava essere un inutile convenevole e un’interruzione non necessaria alla sua full immersion nella sua disperata scalata verso il successo giornalistico, le fu facile sgusciare fra il gruppo di persone che ostruiva l’ingresso di quell’antro infernale, arredato alla classica maniera inglese. L’odore di birra colpì subito il suo olfatto ormai disabituatosi, lasciando che per effetto placebo, si scrollasse di dosso l’aria da stronza incazzosa che si era portata addosso dalla triste notizia ricevuta in redazione.
    «Bonnie! Pensavamo fossi morta…» la voce del grosso barista barbuto l’accolse mentre si avvicinava al bancone. «L'erba cattiva non muore mai!» fu la sua risposta, mentre si sporgeva aldilà della superficie in legno, che di lì a poco sarebbe diventata appiccicaticcia di birra e qualsiasi altra cosa, per salutarlo e rubargli un abbraccio. Aveva iniziato a frequentare quel posto quando di anni ne aveva quindici, e Dom, la cui barba rossiccia rendeva ancora più tonda la sua già enorme testa, aveva sempre tenuto particolarmente a lei, prendendola a cuore quasi come se fosse parte integrante della sua famiglia.
    Quello non era decisamente un posto elegante, i suoi genitori l’avevano rimproverata per la scelta misera all’epoca, ma suo padre le aveva poi, in segreto, rivelato che in quel posto si era preso le meglio ubriacature della sua esistenza, e che di tanto in tanto, quando sua madre, “Madame Palo in Culo”, non gli stava con il fiato sul collo, ci andava ancora, a guardare la partita e ad ammazzarsi di birra fino a che non vedeva quadruplo. Probabilmente se avesse lasciato scegliere alla sua amica, la cui figura non si era ancora manifestata in mezzo a quella bolgia, Izzie avrebbe scelto un luogo decisamente meno… grezzo. Ma Bonnie non aveva mai avuto, paradossalmente, grande fantasia per questo genere di cose. In quel posto, tutto sembrava sconnesso eppure aveva un senso, forse coperto dal fitto vociare, dalle risate sguaiate e dalla musica rombante in sottofondo. « Aspetti qualcuno?» domandò Dom, servendole uno shot dalle sfumature dorate. « Un’amica, ce l'hai presente, quella bella?» disse, prima di battere il piccolo bicchiere di vetro sul legno e mandare giù tutto d’un fiato i 6cl offerti dalla casa. « E se non si sbriga, mi troverà già ubriaca.»

     
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    "Allora, Castillo, me la concedi o no questa bevuta insieme?" La mora si volta verso Blake, suo collega da circa quattro anni. Gli sorride, mentre esce dalla capsula. Si dà una sistemata ai capelli, riavviandoli all'indietro, per poi cominciare a togliersi il camice bianco che ha usato per viaggiare. E' appena rientrata da uno dei suoi viaggi, avanti e indietro nel tempo, alla scoperta della forza al tempo stesso più meravigliosa e più terribile della morte, dell'intelligenza umana e della natura. «Se ti dico di sì, ma non oggi, mi darai fiato fin quando non usciremo veramente?» Isabella guarda il biondo che la osserva con i suoi occhi verdi. "Ma dico io, come fai a resistermi? Studi l'Amore e non ti lasci andare nemmeno quando dovresti." Una risata fuoriesce dalle labbra scarlatte della mora, tanto da costringerla a scuotere la testa. Non ha tutti i torti Blake. E' quello ciò che studiano: l'amore, l'incantesimo più forte al mondo. Tutti i studiosi all'interno di quel reparto dovrebbero essere, oltre che ottimi scienziati, dei grandi estimatori dell'amore. E lei lo è davvero, crede nell'amore, in quella sua forza mistica in grado di risolvere conflitti mondiali così come accendere la miccia per cominciare una nuova guerra. Non ha mai avuto, però, la sensazione di provarlo davvero, quel sentimento. Così si stringe nelle spalle, lasciando andare il camice al suo solito gancio, prima di aprire il proprio armadietto, lì dove sono riposti tutti i suoi affetti, quelli che sarebbe imperdonabile perdere in un viaggio spazio temporale, rischiando così di cambiare eventi passati, presenti o futuri. «Forse è proprio per quello che vedo ogni giorno che non mi lascio andare, no?» O magari non lo faccio semplicemente con te, ci hai mai pensato, querido? La mano curata corre veloce dentro la sua Heroine di Alexander McQueen, alla ricerca di qualcosa, un qualcosa che trova dopo qualche istante, tastandolo con i polpastrelli. Tira fuori il cellulare e ne accende velocemente lo schermo, lì dove sono presenti 5 nuovi messaggi, oltre alle 31 email contrassegnate come "non ancora lette" da circa una settimana. Deve decidersi a farlo, ma non in quel momento. Non quando è Bonnie uno dei messaggi che ha ricevuto. "Solito bar. Voglio bere finché non mi sarà più chiaro quale sia il mio nome. Non tardare troppo o potrei dimenticare pure il tuo." Sorride tra sé e sé, mentre risponde al messaggio con l'emoticon di un bicchiere di vino rosso e quella di un bacio. "Chi è? Il tuo ragazzo?" Sente il respiro di Blake sul proprio collo e la sua vicinanza contro di sé. Non riesce a comprendere se ciò la infastidisca o meno. Così si volta, lentamente, trovandoselo di fronte. Fa un sorriso, appena accennato, sarcastico, che muore subito. «Credi che così facendo riuscirai a portarmi fuori tanto presto?» Gli pizzica il mento con l'indice, prima di alzare gli occhi verso quelli verdi di lui. «Se ti dico di sì, mi lascerai in pace?» Lo incalza nuovamente. "Sì." «Okay, allora sì.» Scivola di lato, mentre raccoglie cappotto, borsa e si avvia verso la porta. «Ci vediamo domani, tonto.» Sa bene quanto gli piaccia quando lo apostrofa con parole spagnole, pur sapendo che non ne conosce nemmeno una parola. Per fortuna. "E' una cosa bella, vero?" Finisce di infilarsi il cappotto, prima di voltarsi per sorridergli. «Come no, bellissima.»

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    Appena entra nel pub, i suoi tacchi neri si scontrano contro il pavimento appiccicoso. Non è uno dei posti ai quali è abituata Izzie, decisamente no. E' una mosca bianca lì in mezzo, con il suo tailleur nero, le Louboutin ai piedi e l'aria decisamente di una che è fuori luogo in un posto del genere. Ma non è la prima volta che si incontra lì con Bonnie. E' a metà strada tra le loro case. A metà strada dal Ministero e da Diagon Alley. Insomma, il posto perfetto dove far collidere le loro vite per qualche ora. La vede subito, la sua chioma castana è ormai inconfondibile per lei, rimasta immutata da quando avevano 15 anni e andavano ancora a scuola. Le si avvicina da dietro, tentando di fare meno rumore possibile, intimando il barbuto barista al silenzio, con un indice portato davanti alle labbra. «Allora come mi chiamo? Te lo ricordi ancora?» Le sussurra all'orecchio, mentre le mani sono impegnate a tenerle gli occhi impegnati. Con una risata cristallina, scioglie la presa, scivolando sullo sgabello a fianco al suo. Si libera di borsa e cappotto, toglie la giacca del completo, lasciando spazio alla camicia chiara al di sotto, si arruffa i capelli con una mano ed è pronta. «Così sono più nel mood no?» Guarda prima Bonnie, poi il barista e poi di nuovo l'amica. «Meglio di così non posso fare, mi dispiace. Non sono ripassata da casa.» Picchietta lo schermo del proprio telefono, prima di abbandonarlo davanti a sé, sul bancone. «La tua richiesta di aiuto sembrava..piuttosto urgente.» Le sorride, prima di voltarsi verso..«Dom, giusto?» Gli chiede, sperando di non aver fatto una gaffe terribile. Se c'è una cosa di cui è sempre andata piuttosto fiera è il suo ricordarsi perfettamente ogni nome, ogni volto di qualsiasi persona le si sia mai presentata in vita sua. Memoria eidetica, così l'avevano chiamata all'asilo magico e sua madre, orgogliosa, ne aveva parlato con tutte le sue amiche, non sapendo, ingenuamente, che significava soltanto semplice memoria fotografica. «Hai per caso del Mescal?» Lei e i suoi gusti raffinati, sempre alla ricerca di prodotti tipicamente messicani. «Sennò andrà benissimo uno shot di tequila liscia.» Guarda l'amica e poi torna a lui. «Facciamo due.» Il rosso la guarda con un sorriso beffardo, come stesse aspettando di sganciare la bomba da un momento all'altro. "Ovvio che ho il Mescal. Importato direttamente da Città del Messico. Vuoi per caso un Toro Loco? Gli occhi scuri di Isabella si illuminano di vita propria. «Se continui così, a fine serata ti metto l'anello al dito.» Scoppiano a ridere entrambi, mentre l'uomo comincia a preparare i due cocktail e lei non si concentra sull'amica. Un'attenta full immersion. «Allora, mi amor, che è successo?» Le domanda, appoggiando uno dei gomiti al bancone e l'altro allo schienale dello sgabello, mettendosi comoda e pronta all'ascolto. «Ti assicuro che il Toro Loco ti farà fare un viaggio in un'altra galassia, lì dove scomparirà qualsiasi problema.» Lei, con quattro di quei bicchieri in circolo nel corpo, una sera si era lanciata nel Tamigi. E oltre ad aver avuto paura di essersi beccata epatite, colera e febbre da tifo, aveva rimediato una febbre da cavallo per quasi una settimana. Conseguenza che spera di far evitare alla sua Bonnie. «Ma prima che dimentichi tutti, compreso il tuo nome e il mio, habla conmigo

     
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