Straight to hell

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    « Ragazzi, via libera! » La voce di Lucy Heaton riesce, sorprendentemente, a sovrastare il chiacchiericcio della grande sala gremita, e con queste parole vi pone subito fine. Trattengono tutti il respiro mentre la porta della Stanza delle Necessità viene spalancate, offrendo loro la vista di un corridoio sgombro di pericoli. Quando la certezza sembra ormai penetrata nel gruppo, si cominciano a sentire da ogni parte una serie di sospiri di sollievo, fra "Alleluia!" ed "Era ora" generali: il brusio così riprende, mentre i primi ragazzi varcano la soglia e la stanza piano piano si svuota. Nate, che ha trascorso tutto il tempo sdraiato su di un telo che ha recuperato qualche sera prima in uno sgabuzzino, e le cui estremità ha fatto fluttuare in aria con l'aiuto della magia, creando così una sorta di amaca, non accenna a muoversi. Si è trovato lì del tutto per caso: si stava dirigendo verso la torre di Astronomia, quando è stato costretto a rifugiarsi, insieme ad un cospicuo gruppo di persone, tra le mura della stanza, per poter evitare l'ennesima trappola apparsa all'improvviso. E per quanto questa situazione l'abbia reso ormai incredibilmente esausto, ha deciso di non demoralizzarsi troppo, e di cogliere piuttosto l'occasione per godere di un piccolo momento di riposo - approfittando della presenza di almeno altre dieci persone sveglie e coscienti pronte a intervenire nel caso di pericolo. Quella, d'altronde, è una delle parti peggiori: il dover stare costantemente all'erta, senza potersi permettere un attimo di distrazione o di svago, perché questo potrebbe significare morte imminente. E dunque oggi, per quanto il giovane Serpeverde possa fidarsi poco delle abilità magiche dei propri compagni, si concede di rilassarsi ancora per qualche momento, mentre con la coda dell'occhio osserva la stanza svuotarsi dei suoi ospiti.
    Si mette a sedere con lentezza, gli occhi chiari che seguono i corpi esili di due Corvonero uscire dalla sala, mentre le mani sistemano i lembi del maglioncino di cachemire sulla camicia. Nonostante la straordinaria situazione che stanno attraversando, di pericolo continuo, di morte e di stenti, Nate Douglas non ha rinunciato al proprio abbigliamento impeccabile, che nel corso di quelle giornate viene sgualcito da tagli, strappi, e talvolta anche macchiato di sangue. Ogni sera dedica dieci minuti del suo tempo a rattoppare i buchi con la bacchetta e a salvare il salvabile, così da poter mantenere il proprio guardaroba più o meno integro, ma non è sempre facile. Ha appena finito di esaminare la macchia lasciata da una bruciatura sui propri pantaloni, quando solleva lo sguardo e incontra la figura della mora, diretta verso l'uscita della stanza, a chiudere quel piccolo gruppetto di persone. Senza rifletterci troppo su, afferra la propria bacchetta e casta un Impedimenta non verbale nella direzione della ragazza, il cui passo spedito si arresta all'improvviso. E mentre la Serpeverde palesa la propria confusione, Nathan rimane a guardarla in silenzio, ancora seduto comodamente sulla propria amaca, mentre si rigira la bacchetta tra le dita. Nel momento in cui gli occhi chiari della Caposcuola trovano i suoi, vengono accolti da un sorriso beffardo e da un paio di sopracciglia che saettano verso l'alto.
    « Carrow. » Le fa cenno con la mano di raggiungerlo, mentre con la coda dell'occhio nota l'ultima persona del gruppo chiudere la porta della stanza alle proprie spalle, lasciandoli soli. Il Serpeverde attende pazientemente che la compagna gli si sia avvicinata, e solo allora le indica, con un breve cenno della testa, di accomodarsi accanto a lui. Mentre la guarda sedersi, si lascia andare ad un sospiro esagerato, quasi teatrale, gli occhi che per un po' vagano per la stanza senza una meta. « In questi giorni mi stai ignorando. Mi sento un po' offeso, a essere onesto. » La guarda di sbieco, per poi lasciarsi andare ad una risata leggera. Per quanto gli piaccia scherzare e ironizzare su questo genere di cose, è effettivamente passato parecchio tempo dall'ultima volta che ha trascorso qualche ora da solo con Amunet. Niente di assurdo: la prigionia del castello, più che allontanarli, li ha resi pratici, particolarmente consapevoli dei pericoli imminenti e delle necessità base per la sopravvivenza. I loro pensieri hanno subìto una deviazione drastica, finendo per concentrarsi, inaspettatamente, sui bisogni primari, intorno a quelle cose che nelle loro vite all'insegna dell'eccesso hanno sempre dato per scontati. Per persone come loro adattarsi a cambiamenti drastici di questo tipo è doppiamente difficile: si perdono le comodità e tutte le certezze su cui si è costruito tutto. Ci si ritrova, inaspettatamente, a scivolare dalla punta fino alla base della piramide, costretti ad un declino umiliante. E così, forse troppo presi entrambi dalla ricerca della sopravvivenza, e del sostentamento giornaliero,
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    Nate e Amunet, tolte le chiacchiere di circostanza nei pochi momenti di pace, non si parlano davvero da tempo, probabilmente dalla notte del ballo di Halloween.
    Fruga per qualche istante nella tasca destra dei pantaloni, alla quale ha applicato l'Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, e dopo appena qualche istante di ricerca ne tira fuori una mela rossa e lucida, che porge alla ragazza. « Fame? Secondo me è ora di merenda. Dovresti cercare di mangiare di più, ti vedo un po' deperita » osserva con una certa naturalezza, una nota d'ironia nella voce. Sono tutti abbastanza sciupati e provati da quelle circostanze, tra la fame e lo stress continuo. Ma, al di là della battuta che ha appena fatto, Amunet gli sembra particolarmente sfibrata, ma quelli potrebbero anche essere i suoi occhi ad ingannarlo.
    Ad un tratto si ritrova a voltarsi di scatto, nella direzione opposta rispetto a quella di Amunet: guarda di fronte a sé, ma non vede nulla. Per qualche motivo si è convinto di aver udito un qualche rumore provenire da quella parte, ma deve essere stata la sua immaginazione. Anche queste sono cose che capitano spesso, di questi tempi: tra una cosa e l'altra, si finisce per diventare paranoici, e vedere il pericolo anche dove non c'è. Niente di troppo sorprendente, se si considera che non sono altro che adolescenti, bloccati all'interno di un castello costretti a lottare per la vita. Si scrolla leggermente le spalle, per poi tornare a guardare la sua compagna, dimenticandosi di quella strana sensazione. « Comunque davvero, potresti pensarci, ogni tanto, a farmi sapere che sei viva. Qualche tempo fa non ti ho vista in giro per due giorni di seguito, e non è stato bello. Avevo seriamente cominciato a pensare di dover sopportare un Ares vedovo e depresso per il resto della mia vita » ridacchia, cogliendo lo sguardo della ragazza. « O, insomma, quello che ne rimane. » E ironizza anche su questo, con leggerezza, eppure sul momento era effettivamente arrivato ad assumere il peggio. A preoccuparsi: davvero, e con una certa intensità, come avrebbe potuto fare per Thomas o per gli altri ragazzi del Clavis. « Sì, ecco, vedi di farti viva, ogni tanto. »
     
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    Le giornate si susseguono, tutte uguali, una la fotocopia dell'altra. C'è chi quel trambusto lo vede come un totale sconvolgimento delle proprie abitudini, e che sia chiaro, lo è anche per Mun; ma non per questo si scompiglia di fronte agli orrori a cui è chiamata ad assistere. Sembra più il generale senso di disordine a sconvolgerla. Non tanto le trappole, non la morte, non il panico. E' l'idea che l'ordine precostituito sia venuto meno a disturbarla, a inneggiare contro il suo naturale ecosistema. Volge lo sguardo in tutte le direzioni Mun, ma sembra che in quegli occhi qualcosa sia morto. L'innaturale moto di quelle giornale provocano nella giovane un senso continuo di panico e ansia, alternati a momenti di totale apatia e disinteresse. C'è paura e c'è disincanto, come se stesse lentamente diventando bipolare. Più vulnerabile che mai naviga in quelle acque oscure che la circondano sempre controcorrente. Mentre molti si armano di forza e coraggio, la Carrow cade preda alle sue più profonde emozioni, a ciò che mai avrebbe intenso compiere e pensare. Si sente perennemente disorientata; lei che dell'ordine ne ha fatto una specie di mantra, corre incontro all'incoerenza come mai prima di allora. Si sta rendendo attaccabile, Mun, in tutti i modi possibili e immaginabili. Dice cose che non avrebbe mai potuto nemmeno pensare di dire a voce alta, fa cose che esulano dalla sua naturale etica personale, si abbandona a sensazioni che raramente accosterebbe a se stessa. Hogwarts sta tirando fuori di ciascuno di loro il meglio e il peggio; nel caso di Mun, non è né qualcosa di migliore, né tanto meno di peggiore, rispetto al prima. Mun semplicemente è. Esiste ancora; ma più va avanti, più quella situazione si protrae avanti per giorni e giorni, più si rende conto di non avere la minima dimensione di se stessa. Una foglia al vento, si lascia trascinare di qua e di là, come se non avesse più volontà alcuna. Il più delle volte si lascia morire un po' alla volta, rinunciando ai pasti e all'altrui compagnia. Vive in una dimensione tutta sua, osservando ciò che la circonda con la solita attenzione e il solito interesse antropologico. Ma per la prima volta, quell'interesse è fine a se stesso, quasi una specie di inutile passatempo collocato lì affinché riempi il suo tempo. Ed è questo ciò che fa anche in quel momento. Non molto lontano da lei, ci sono un lui e una lei. Lui le circonda le spalle, mentre lei affonda il volto nel suo collo. Sembra stia per piangere; deve aver perso qualcuno durante quell'attacco che li ha costretti a rifugiarsi lì dentro. Non stava andando in nessuna direzione in particolare, prima che i corridoi si animassero dell'orrore dell'improvviso bagno di sangue. Era alla ricerca di un angolo in cui potersi sedere e continuare la lettura interrotta dalla pioggia improvvisa nel cortile. Veniva scacciata da ovunque, ma a parte le rare volte in cui Watson le chiedeva esplicitamente di fare qualcosa, Mun si sottraeva dai grandi compiti impartiti dai grandi. Forse rendersi utile l'avrebbe aiutata a superare meglio tutta la situazione, ma Mun sembrava non volerla superare a tratti. Una parte di lei non voleva morire, l'altra tuttavia, avrebbe voluto che una morte improvvisa e indolore potesse prenderla tutta insieme, prima che potesse accorgersene. E la parte peggiore era che non c'era un solo momento in cui la Carrow si rendesse conto di quanto deplorevole sembrava essere il suo stato a tratti. La Mun che tutti conoscevano, la Mun che lei stessa pensava di conoscere, si sarebbe fatta come minimo mille discorsi interiori sul punto, sul quanto effettivamente risultasse debole e ridicola. Doveva tirarsi su, ma a dirla tutta, non voleva farlo, non davvero. Di scatto le porte della Stanza delle Necessità si riapre, e i due si alzano in piedi; così obbligano la Carrow a distogliere lo sguardo da quel quadretto. Per un istante deglutisce fortemente, prima di scuotere la testa e di iniziare a percorrere la strada verso l'uscita a sguardo basso, mentre mille pensieri le attraversano la testa. Perché lei non ci riesce? Sembra più distaccata del solito, Mun, quasi come se quel panico di perdere chiunque, la portasse paradossalmente a non volerli accanto. Quasi come se la distanza da loro, possa portarla a convincersi che no, lei ai suoi amici non ci tiene, che non ci sono persone per cui verserebbe lacrime amare e che soprattutto non ci sono tra quelle mura anime per cui scambierebbe ben volentieri la propria esistenza. Si sistema la camicia di dimensioni decisamente spropositate, mentre si accerta del suo generale stato, accarezzandosi dolcemente i lunghi capelli corvini. Non avrebbe bisogno di quel rituale, nessuno fa caso a lei, a come si veste o a quale sia il suo generale stato estetico, ma quel piccolo rituale, sembra ripetersi ogni qual volta ne abbia occasione. Cercare di risultare presentabile per quanto possibile, è come respirare. Seppur la camicia di flanella e i jeans non aiutino, seppur i capelli sono secchi e ormai non vede un velo di trucco da settimane, Mun vuole convincersi che le cose siano ancora come un tempo, e che lei sia ancora quella di un tempo. E di scatto i suoi movimenti sembrano arrestarsi, senza un motivo apparente. Aggrotta le sopracciglia con fare alquanto confuso, mentre il panico dilaga per un momento nei suoi occhi. Panico che si dissipa non appena sente quella voce alle sue spalle, in concomitanza con il rispettivo richiudersi delle porte della stanza. « Carrow. » Solleva appena un sopracciglio, la Carrow, prima di accennare un leggero sorriso spento, avvicinandosi. Si accomoda accanto a lui, prima che lo sguardo chiaro prenda a osservarlo con maggiore attenzione. Non si trova in una situazione così silenziosa e tranquilla in compagnia di Nate da sin troppo tempo. E' diverso; il volto più spigoloso, gli occhi leggermente incavati. Ancora un giovane di bell'aspetto, ma decisamente meno in salute di quanto lo ricordasse. « In questi giorni mi stai ignorando. Mi sento un po' offeso, a essere onesto. » Butta appena la testa all'indietro mentre si stringe nelle spalle. Non vorrei farlo, ma ho paura di non farlo. Ma si sa, tra la Carrow e Douglas quelle parole non scorreranno mai palesemente. « E' tutto calcolato. Sto cercando di farmi desiderare. Aspetto ancora, per la gioia di Ares, una dichiarazione ufficiale. » Ma il tono non risulta affatto malizioso come vorrebbe. E' solo un filo friabile, debole. Tutto il contrario di quella solita sicurezza che la Carrow ostenta senza esclusioni di colpo. Lo sguardo di lei si fa curioso, come quello di una bambina il giorno di Natale quando lo vede frugare nella tasca. Non può fare a meno di scuotere la testa sorridendogli con una certa gentilezza, mentre accetta la mela che gli porge. « Fame? Secondo me è ora di merenda. Dovresti cercare di mangiare di più, ti vedo un po' deperita » Osserva il frutto per un istante, prima di morderlo con un certo ardore. Non mangia dal giorno prima, e si vede. La luce nei suoi occhi sta lentamente scomparendo. « Tu ci scherzi, ma questo è il sogno di qualunque ragazza che conta anche le calorie contenute in un caffè. » E Mun era maniaca del controllo a quei livelli. Le piaceva pensare di avere precisamente cognizione di quanto mangiasse, quanto bevesse; mantenere un peso costante, e se possibile, perdere quel che di troppo che sembrava non essere mai abbastanza. Si poteva persino ipotizzare si trattasse di un inizio di disturbo alimentare, ma se così fosse, la Carrow negava che ci fosse qualcosa di sbagliato nel tenere conto della propria dieta. « Non ci sono tentazioni in giro. Ho sicuramente vinto la battaglia contro la presenza della quarantadue nel mio armadio. » Se solo avessi un armadio. E occasioni per indossare quanto ancora presente nel mio armadio. Di scatto abbassa la testa, mordendosi per un istante l'interno del labbro inferiore. Sa che non è brava a sdrammatizzare e che quelle non sono nemmeno battute poi tanto divertenti, ma ci prova quanto meno, Mun, a sembrare normale, seppur sappia che più ci provi, più ottiene l'effetto contrario. « Comunque davvero, potresti pensarci, ogni tanto, a farmi sapere che sei viva. Qualche tempo fa non ti ho vista in giro per due giorni di seguito, e non è stato bello. Avevo seriamente cominciato a pensare di dover sopportare un Ares vedovo e depresso per il resto della mia vita » Scoppiando a ridere entrambi, e lo sguardo di lei corre in quello di lui.
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    « Attento Douglas! Così potrei seriamente pensare che ti preoccupi per me. » Ma poi lui continua. « O, insomma, quello che ne rimane. » E così la Carrow e costretta a fermarsi dal masticare quell'ultimo boccone, mentre sgrana gli occhi. « Sì, ecco, vedi di farti viva, ogni tanto. » C'è un momento in cui a Mun sembra mancare il respiro. Quella prospettiva, la Carrow sembra rifiutarla a tutti i costi, quasi come se la morte non li stesse circondando, quasi come se tutti loro, fossero fatti di acciaio inossidabile e non avesse nulla da temere. Eppure, paradossalmente aveva una paura folle. « Non è divertente, Nate. » Puntualizza di scatto corrugando la fronte, come se cercasse di raccattare da qualche parte sul pavimento le parole giuste per parlargli. Una lunga pausa scandisce il silenzio che si sta creando tra loro. « Ti sto ignorando perché ci rivedremo fuori. » Asserisce di scatto mentre le iridi di lei si tuffano in quelle di lui, con una sincerità e una purezza che raramente si vede nella Carrow. Un'ammissione, quella che gli fa, che porta con sé implicite speranze e un'amarezza infinita che chiaramente traspare dal suo tono di voce basso e pacato, quasi stanco. « E allora, davanti alla migliore bottiglia di bollicine in circolazione mi racconterai quali piani hai per il futuro. » Futuro. Una parola che per loro era sembrato un concetto scontato per tanto, sin troppo tempo. Ora sembrava non significare più molto. Non quando non era nemmeno certo se arrivassero al giorno seguente. Un'altra esitazione scandisce la sua innata dialettica. « Avevo bisogno di una pausa comunque.. » Annuisce nel dire quelle parole. « Credevo di essere pronta a vederle tutte. Pensavo di poter reggere qualunque cosa. » Pensavo di essere forte. Ma non lo sono. Affatto. « Ma questo? Va oltre la mia capacità di immaginare. Tutto questo è.. troppo. » Si stringe nelle spalle ormai rassegnata dal suo non trovarsi più in una situazione di forza. Di non trovarsi più su un ipotetico quanto precario piedistallo, bensì semplicemente in ginocchi, come tanti altri. « Nascendo Carrow, credevo che il massimo del peggio lo avessi già visto a casa.. ma a quanto pare, non c'è mai limite al peggio. » Distoglie lo sguardo di scatto, ben consapevole, che quell'assenza che Nate ha notato, si presenterà ancora. « E il peggio del peggio è che per la prima volta mi accorgo di quanto poco incline io sia a certe cose. » Sono completamente impreparata. « L'idea di perdere qualcuno mi sta paralizzando. Sogno sempre di trovarmi a qualche funerale; e in tanto la gente attorno a noi muore. E io sono ancora in piedi.. e non riesco a smettere di chiedermi perché non io. » Perché non lei? Una domanda più che lecita di fronte all'idea di un destino punitore che avrebbe dovuto e potuto pareggiare i conti. « Io su di me non ci avrei scommesso due soldi. E a quanto pare, facevo bene. » Basta quel discorso sconclusionato perché lo si capisca quanto poco bene affronti l'intera situazione la Carrow. Debole. Smidollata. Queste le accuse che si muove mentalmente da sola, la Carrow.

     
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    « E' tutto calcolato. Sto cercando di farmi desiderare. Aspetto ancora, per la gioia di Ares, una dichiarazione ufficiale. » Il Serpeverde si lascia scappare un sorriso, mentre fa dondolare leggermente quella specie di amaca sulla quale sono entrambi accomodati. Gli occhi chiari sembrano perlustrare per qualche istante la stanza spoglia di fronte a sé, le braccia conserte al petto.
    « Avresti dovuto dirmelo prima: non mi sarei fatto attendere. Ora non ho un anello a portata di mano, e lo sai che per certe cose devo attenermi alla tradizione. Ma appena ne rimedio uno vedrò di farti una proposta ufficiale, stai tranquilla » scherza, posando lo sguardo su di lei e stringendosi nelle spalle, un angolo delle labbra sollevato in quell'espressione di scherno mista a complicità. La prospettiva lo fa ridere, eppure immagina tra sé e sé quanto una cosa del genere farebbe piacere al Douglas senior, sempre avido di potere, innamorato follemente di certe unioni strategiche, con l'unico scopo di combinare due famiglie potenti del mondo magico. Di fronte a tale eventualità, immagina, il caro Charles si sarebbe molto probabilmente dimostrato ben più entusiasta dello stesso Ares.
    Liquida le successive parole della mora con un gesto rapido della mano, mentre scuote rapidamente la testa. Riconosce facilmente l'ironia di cui sono intrise le sue parole, ed è in grado di capire da solo che superare la soglia della taglia quarantadue non sia l'aspirazione massima di una ragazza intrappolata in un castello pieno di tranelli mortali, e per questo motivo i suoi gesti sembrano in qualche modo superflui: rotea gli occhi al cielo e sbuffa, per un istante, per poi lasciare che i suoi occhi chiari le rivolgano uno sguardo eloquente, come a voler sottolineare l'idiozia appena sentita. Ha sempre trovato Amunet una bella ragazza, e non ha mai pensato che necessitasse di perdere peso o preoccuparsi di non cedere alle tentazioni - giudizi che, nella sua testa o nel corso di una conversazione con gli amici, non ha risparmiato ad altre ragazze del castello.
    « Attento Douglas! Così potrei seriamente pensare che ti preoccupi per me. » Le sorride, affabile, inarcando entrambe le sopracciglia, ma non dice nulla. Le sue parole sono state abbastanza eloquenti, e per quanto sia d'abitudine per lui tacere e, soprattutto, dissimulare certe intenzioni, negli ultimi tempi tutto sembra essere diventato ben più difficoltoso, in modo quasi esponenziale. E allora, semplicemente, si arrende a questa sincerità forzata che la paura della morte e la costante incertezza gli strappano; accetta di essere umano, insieme alle preoccupazioni e alle ansie a cui quella realtà lo costringe. E la sua corazza, quella di uomo invincibile e immortale, semplicemente perché giovane, sta cominciando a svanire poco a poco, lasciando spazio alla carne soggetta a urti e ferite. « Non è divertente, Nate. » A queste parole aggrotta le sopracciglia, curioso, e si volta a guardarla. « Ti sto ignorando perché ci rivedremo fuori. E allora, davanti alla migliore bottiglia di bollicine in circolazione mi racconterai quali piani hai per il futuro. »
    Non può che scoppiare a ridere, il giovane, a quelle parole, che a udirle gli suonano più assurde che mai. Una parte di lui sembra quasi averci rinunciato, alla prospettiva di uscire indenne da quel posto. Ma per una semplice questione di logica: quand'anche rimanessero in pochi, lì dentro, i più caduti sotto l'infamia di quelle trappole, l'obiettivo si restringerebbe. E le loro probabilità di essere la prossima vittima aumenterebbero esponenzialmente. È tutta matematica, e non è questa una scienza che segue le logiche della speranza. « Accidenti, questo sì che è un piano coi fiocchi. Ad ogni modo, sai che non ho ancora avuto modo di pensarci? Dammi il tempo di organizzarmi e ti farò sapere cosa voglio fare della mia vita, allora. Al massimo, se non mi sarò raccapezzato, rimandiamo questo discorso a dopo la prima seduta dello psicologo che Charles mi costringerà a vedere dopo aver compreso che sono stato traumatizzato a vita. » Si stringe nelle spalle, guardando sul muro di fronte a sé. Tanto vale riderci su. Negli ultimi giorni ha solo dato peso ai propri bisogni fisici, più bassi e bestiali: il cibo, la sete, il sesso. Fa tutto ciò che lo fa star bene sul momento perché è ben consapevole che potrebbe essere l'ultimo, e di rado si preoccupa di riflettere su ciò che potrebbe esserci in un eventuale dopo, fatto di sicurezza e stabilità. Fatto di tutte quelle cose che un tempo davano per scontate e la cui prospettiva quasi li annoiava. Un lavoro, una carriera, una famiglia. « La prossima volta però vieni a cena da me. L'appartamento dei Cavendish sarà carino quanto vuoi, ma non ha niente a che vedere con casa mia. » Villa Douglas, meglio conosciuta come l'Arcadia, un vero e proprio paradiso in terra. Non è mai stato il suo posto preferito sulla terra, principalmente per la presenza costante e a volte asfissiante di suo padre, ma cosa non darebbe, al momento, pur di farvi ritorno.
    « Avevo bisogno di una pausa comunque.. Credevo di essere pronta a vederle tutte. Pensavo di poter reggere qualunque cosa. Ma questo? Va oltre la mia capacità di immaginare. Tutto questo è.. troppo. » Mentre l'ascolta Nathan annuisce piano, l'espressione stranamente comprensiva. Diversamente da come ci si aspetterebbe,
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    non c'è traccia di scherno nei suoi occhi, non pare udire le parole di lei solo superficialmente, per poi cercare un qualche appiglio per prenderla in giro o riderci su. Non lo fa, stavolta, perché la capisce, perché non ha alcuna difficoltà a rivedere se stesso in quello che dice; perché anche lui tutto questo è stato decisamente troppo, e si è ritrovato all'improvviso, come si suol dire, senza re né regno, incapace di controllare ciò che accade intorno a lui. Costretto, di punto in bianco, a cominciare a difendersi al posto di attaccare. È stato tutto incredibilmente difficile, entrare a contatto con la morte e averla accanto giorno dopo giorno, subire gli stenti, la fame, la stanchezza il sonno. Ancora più difficile per persone come loro. « L'idea di perdere qualcuno mi sta paralizzando. Sogno sempre di trovarmi a qualche funerale; e in tanto la gente attorno a noi muore. E io sono ancora in piedi.. e non riesco a smettere di chiedermi perché non io. Io su di me non ci avrei scommesso due soldi. E a quanto pare, facevo bene. » A quelle parole, il giovane Douglas drizza la schiena, istintivamente, e incrocia le braccia al petto, mentre guarda la mora dall'alto. È sempre stata così determinata, sicura di sé, ed è raro sentirla parlare con tanta angoscia nella voce. Questa non è l'Amunet Carrow che conosce lui, non è quella sulla quale avrebbe scommesso galeoni su galeoni appena qualche mese prima. Quella con cui era pronto a dare inizio a cospirazioni di poco conto effettivo, ma che per loro, in quel micro-universo tra le quattro mura del castello, valevano tanto. Si accorge, con appena qualche sguardo, che non è più la stessa; e probabilmente lo stesso lei potrebbe dire di lui al momento, si ritrova a pensare. Sono cambiati tutti, inevitabilmente, volenti o nolenti. E per quanto alcuni di loro (come Nate) cerchino con insistenza di conservare le proprie parvenze, risulta fin troppo evidente, agli occhi di tutti, che il loro mondo è stato stravolto in modo inesorabile.
    Si ritrova a sospirare leggermente, prima di avvolgerle le spalle con un braccio, con delicatezza. « Sai... Quando mi hai detto, qualche mese fa, che avrei dovuto, di tanto in tanto, ricordarti chi sei, ho pensato che fosse una richiesta assurda. » Come si fa a dimenticarsi della propria identità? Nathan non ci riuscirebbe; forse perché è cresciuto con qualcuno che gli ricordava costantemente chi era, quali fossero i suoi doveri e quali i diritti e privilegi che avrebbe dovuto sempre rivendicare per sé stesso. Sei un Douglas e tutto ti è concesso. Certe massime di suo padre gli riecheggiano ancora per la testa, di tanto in tanto, e solo di questi tempi comincia a non sentirsele più addosso con la medesima comodità. « Ma evidentemente hai fatto bene. Non posso credere di dover essere ancora io a dirti questo... » perché non è da me, perché non dovrebbe importarmi. Perché solitamente preferisco lasciare in disparte chi è in difficoltà, a prescindere dal tipo di legame che mi unisce a questa persona. « ...ma sei Amunet Carrow. E non si tratta del tuo cognome, né delle tue conoscenze o delle cariche, ma di te. Sei una delle persone più abili e capaci in questo castello, e se fin'ora sei sopravvissuta è stato prima di tutto merito tuo. E la stessa cosa vale per me. » Siamo qui perché ce lo meritiamo, perché abbiamo saputo rispondere alle insidie e combattere, senza arrenderci neanche per un istante. « Chi è morto fino ad ora... è successo perché ha avuto una tremenda sfortuna, oppure perché non è stato in grado di far fronte agli ostacoli. Io e te, piccola Carrow, siamo perfettamente in grado. Siamo senza dubbio stati baciati dalla fortuna, fino ad ora, è vero, ma ce lo siamo meritati. E non provare a dire che non è così perché comincerò a dubitare della tua sanità mentale. »
     
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    « Avresti dovuto dirmelo prima: non mi sarei fatto attendere. Ora non ho un anello a portata di mano, e lo sai che per certe cose devo attenermi alla tradizione. Ma appena ne rimedio uno vedrò di farti una proposta ufficiale, stai tranquilla » Un timido sorriso si dipinge sul suo volto di fronte a quelle parole. Le bastano perché capisca quanto le manchi qualunque cosa ci sia stato prima. Le mancano quei pomeriggi passati al lago a stuzzicarsi vicendevolmente nel pieno rispetto del loro rapporto fatto di provocazioni e una confidenza che ormai è lampante agli occhi di tutti. Le manca la sua vita, il suo ordine, la sistematicità di ciò che aveva. Perché per quanto per certi versi Mun possa aver disprezzato quanto avesse a parole, la verità è che ne era immersa a piena polmoni e in quel mondo sapeva starci. Tutto ciò che sta succedendo ora, le sta sfuggendo di mano, la obbliga a essere una persona che non è e che non sa effettivamente essere. Una ragazzina spaventata, indecisa più che mai, fragile e soprattutto debole nell'anima. In questa Hogwarts, la logica non ha senso, non hanno senso i patti, le parole, le promesse. Tutto sembra esser stato appiattito di fronte alla più urgenza necessità di restare in piedi, di sopravvivere ad ogni costo. « Accidenti, questo sì che è un piano coi fiocchi. Ad ogni modo, sai che non ho ancora avuto modo di pensarci? Dammi il tempo di organizzarmi e ti farò sapere cosa voglio fare della mia vita, allora. Al massimo, se non mi sarò raccapezzato, rimandiamo questo discorso a dopo la prima seduta dello psicologo che Charles mi costringerà a vedere dopo aver compreso che sono stato traumatizzato a vita. La prossima volta però vieni a cena da me. L'appartamento dei Cavendish sarà carino quanto vuoi, ma non ha niente a che vedere con casa mia. » Lo sguardo di ghiaccio di lei cerca quello del ragazzo mentre annuisce tra se e se. Il discorso sembra continuare su quella scia. Nostalgia. Bisogno di ricordare ciò che sono stati e ciò che effettivamente al momento non possono più essere. Per un istante ricorda con piacere la loro serata sulla terrazza dell'appartamento dei Cavendish. Erano stati bene in quell'occasione. Ai tempi tutto sembrava volgere a loro favore. Ancora presi solo ed esclusivamente da loro stessi, dal bisogno di affermare la loro supremazia sulla maggior parte degli studenti di Hogwarts. Perché loro erano migliori, o questo quanto volevano a tutti i costi credere. Di tutto ciò non era rimasto niente. Nulla aveva più senso. A ricordare i problemi che si ponevano ai tempi, le viene da ridere. Vorrebbe dire a quei due spocchiosi ragazzini che arriveranno tempi in cui scegliere il miglior vestito per il ballo della scuola o dissimulare questo e quell'altro flirt, sarà l'ultimo dei loro problemi. « Lo prendo come un impegno, e non azzardarti nemmeno di scordatelo. Ormai ci conto. » Loro due, una cena, buona musica e un'ottima conversazione attorno alle ultime notizie in prima pagina. Una buona dose di frecciatine affettuose, un buon vino e una sigaretta condivisa a fine pasto. Il genere di serata per cui venderebbe l'anima nuovamente al demonio ora come ora. « E in ogni caso, piccolo ingrato che non sei altro! Non sputare nel piatto in cui hai mangiato. » Si stringe nelle spalle prima di dargli una leggera gomitata. « Era il posto più decente che potessi trovare a Hogsmeade. Sai da te che quel villaggetto, non è certo Monte Carlo. » E loro, per quanto privilegiati, ai tempi non poteva in ogni caso varcare i confini del villaggio. « Quando usciremo di qui m'impegnerò di più.. » Continua con aria vagamente sognante, ripensando ai suoi ristoranti preferiti, ricordando ormai con un certo affetto la sala di pranzo di casa sua, l'attico a lei intestato a Londra, che sarebbe diventato effettivamente suo solo al compimento del diciottesimo anno d'età. « ..e forse avrai modo di vedere casa mia. » Solleva un sopracciglio con fare enigmatico. « Non quella di famiglia. Il maniero è alquanto triste. L'alcolismo di mia madre lo porterà alla rovina. » Commenta poi con non chalance. Che la signora Carrow sia una sprovveduta lo sanno tutti. In società si parla della decadenza di quella donna da anni ormai. La promessa della famiglia è Deimos e al seguito i due gemelli. Della vecchia generazione della loro famiglia ne è rimasto solo un amaro lontano ricordo di quando i due sposi Carrow erano ancora giovani, forti e in piene facoltà mentali soprattutto. E ad Amunet, di parlare così di sua madre non le interessa poi molto; se altri avrebbe cercato di insabbiare la storia, se i suoi fratelli per primi cercavano il più delle volte di farlo, evitando di parlarne, a lei non fregava poi molto. Le voci di corridoio bisogna esorcizzarle; i pettegolezzi bisogna affrontarli, altrimenti sembrerà sempre di temerli. E Mun, quanto meno quella parte della sua vita, non aveva intenzione di temerla, perché la più grande paura di sua madre si stava lentamente affermando proprio sotto i suoi occhi. Essere sostituita della figlia era ormai solo questione di tempo. Vedersi eclissare dalla giovane Carrow era ormai una strada contro la quale difficilmente si sarebbe potuta opporre finché avesse continuato a impasticcarsi e bere come se non ci fosse un domani.

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    « Sai... Quando mi hai detto, qualche mese fa, che avrei dovuto, di tanto in tanto, ricordarti chi sei, ho pensato che fosse una richiesta assurda. Ma evidentemente hai fatto bene. Non posso credere di dover essere ancora io a dirti questo... » Non dico mai parole vanvera.. dovresti ormai averlo capito. E sa Mun che ai tempi, la sua richiesta poteva essergli sembrava estremamente assurda. Ma non lo era, proprio perché Mun si conosceva, perché sapeva quanto facile fosse perdesi. Non era certa che Nate sarebbe stata la persona giusta a ricordarle chi fosse, ma era certa che lui sarebbe stato in grado di risvegliare un lato di lei che facilmente si sarebbe assopito di fronte a determinate difficoltà. « ...ma sei Amunet Carrow. E non si tratta del tuo cognome, né delle tue conoscenze o delle cariche, ma di te. Sei una delle persone più abili e capaci in questo castello, e se fin'ora sei sopravvissuta è stato prima di tutto merito tuo. E la stessa cosa vale per me. » Vorrebbe credergli davvero, Mun. Vorrebbe convincersi che se sta bene è solo ed esclusivamente merito suo. Ma non è pienamente così, e ne è pienamente consapevole. « Chi è morto fino ad ora... è successo perché ha avuto una tremenda sfortuna, oppure perché non è stato in grado di far fronte agli ostacoli. Io e te, piccola Carrow, siamo perfettamente in grado. Siamo senza dubbio stati baciati dalla fortuna, fino ad ora, è vero, ma ce lo siamo meritati. E non provare a dire che non è così perché comincerò a dubitare della tua sanità mentale. » E forse faresti meglio a pensarlo. Perché spesso e volentieri io dubito della mia sanità mentale. Scuote la testa prima di abbassare lo sguardo, lasciandosi dondolare sull'amaca con una certa imprudenza, sollevando i piedi da terra. « E cosa succede se ti sbagli Nate? Cosa succede quando uno di noi.. » Si interrompe di scatto deglutendo. Perché in fin dei conti, di questo passo non è più una questione di se bensì solo di quando. Prima o poi crolleremo tutti. Lo conosce ormai; sa che Nathan Douglas non pensa nemmeno lontanamente a quella prospettiva, e anche se ci pensa, sa che probabilmente si convince che in un modo o nell'altro andrà avanti. Sa che si racconta probabilmente che le persone non sono altro che opportunità, legami che o sono utili o non lo sono. Lui per prima glielo ha detto più di una volta, e lei, gli ha confermato quella linea di condotta, quasi come se entrambi fossero due esteti disincantati dal mondo e da quanto di umano e sensibile ci fosse al mondo. « Ho passato anni a crogiolarmi nella perfezione. A rintanarmi nella logica. Le cose dovevano andare in un certo modo, e andavano in un certo modo perché conoscevo le regole del gioco. » Ma adesso? Non ci sono più regole, e se ci sono, Mun non riesce a carpirne il senso, la logica. « E adesso invece.. è tutto sbagliato. Sto seriamente iniziando a dubitare della mia sanità mentale. Provo cose che prima non c'erano. Sbagliate. Mi sto rendendo conto che questo posto sta tirando fuori davvero ciò che siamo nel profondo. E se questa sono io.. non so se mi piace. Non so se sono pronta a vederla. A vedermi. » Insicura, fragile, contorta. Si è sempre ritenuta una personalità lineare. Viveva secondo leggi fisiche precise, che avevano un senso. Il più delle volte la sua vita, i suoi discorsi, il suo intero agire sembrava strappato direttamente da un'arringa di apertura di un processo. Solenne, dignitosa, sempre intenta a nascondere lo sporco sotto il tappeto da brava donzella di alto rango quale era. « Se uno di noi dovesse essere sfortunato, Nate, come l'affrontiamo? Come lo superiamo? Perché là fuori era facile farlo: dovevi farlo perché gli occhi, i riflettori, erano sempre puntati su di noi. Ci si aspettava qualcosa da noi, e noi non avevamo altro da fare se non sforzarci di dar loro quello che volevano. Qui crollare è facile anche senza avere eventualmente il peso di una perdita importante. » Si morde istintivamente il labbro inferiore scuotendo la testa. « Lo so di fasciarmi la testa prima di rompermela, ma ho così tante questioni in sospeso.. e temo che arrivi il giorno in cui non avrò più modo di risolverle. E non so se voglio risolverle.. ma non so nemmeno se non voglio risolverle. » Deglutisce, rendendosi conto di quanto contorto e poco lineare possa risultare quel suo discorso. L'indecisione si fa più pregnante in quel frangente. « Il punto è che è facile commettere errori di valutazione qui dentro.. abbandonarsi, ecco. Rinnegarsi quasi. E quindi cosa fai? Rischi di restare col rimpianto oppure ti butti con la consapevolezza di tradirti? » Tu cosa fai Nate? Come vivi? Come convivi con te stesso? Con le tue convinzioni, con la tua etica personale? Come riesci a restare così tranquillo? Così sicuro di te stesso. Come fai a non abbandonarti alla bestia che hai dentro come tutti noi? Come fai a essere ancora Nathan Douglas?


     
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3 replies since 15/12/2017, 18:43   105 views
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