Maybe that's what happens when a tornado meets a volcano

Dean

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    she's just a girl and she's on fire

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    Se ne stava lì, Gemma, con le gambe a penzoloni e gli occhi verdastri giganti ridotti a due fessure, stravaccata sul cornicione della finestra ad arco che affacciava sulla tenuta del castello. Di norma, saettandovi accanto per raggiungere il lato opposto di Hogwarts ed infilarsi nella classe della lezione successiva, sarebbe stato possibile sostarvici il tempo di un respiro mozzato: alla Grifondoro piaceva scacciare il malumore lasciando che la luce tiepida dell'alba che si infilava tra le vallate delle montagne scozzesi le scaldasse le guance. Al calar del sole era stata lì tante altre volte da non averle nemmeno contate e, interpellando la volta celeste con lo stesso sguardo languido rivolto al suo interlocutore, si era fatta cullare dalla luce argentea delle stelle che spuntava tra le torri storte e aguzze del castello e si estendeva oltre. Quante promesse fatte alle spalle di quello scenario erano poi rimaste intrappolate tra quelle mura di pietra, arse con la passione del caso con cui erano state pronunciate? Romantica lo era stata per lui, in quel posto, illusa e sognatrice pure e forse con ancor maggiore autoflagellazione postuma: sarebbe bastata una maggiore accortezza per intuire che, con quella testa ballerina ed una personalità disturbante come la sua, quell'amore violento si sarebbe concluso con un'altrettanta violenta fine. Non ci rimuginava mai di proposito, Gemma: pensava a Dean Moses soltanto quando le memorie di un antico passato felice e glorioso la costringevano a voltarsi alle spalle, quando il presente diventava insoddisfacente. C'era poco e niente capace di riportarla alla luce o rianimare il suo cuore avvizzito, a conti fatti, ormai: encefalogramma piatto ed un cipiglio altero e superbo che teneva gli altri a debita di distanza. Ed insomma se ne stava seduta sulla pietra innevata, con la fronte aggrottata, le labbra aperte in una smorfia e l'espressione vagamente ebete, a spremersi per capire come potesse essere successo che della luce, della vallata e dell'anello di montagne non ve ne fosse rimasto uno straccio di traccia visibile. Hogwarts nella sua interezza era impregnata nella nebbia fino alle fondamenta ed appena tentavi di scrutarvi oltre con maggiore attenzione, quella si faceva minacciosamente più fitta, seminando angoscia e ghiaccio nei cuori smarriti degli ospiti. Una maledizione era caduta sulla Scuola di Magia e Stregoneria la sera della dipartita della figura che più l'aveva scossa negli ultimi mesi, affascinandola e riempiendola di domande senza risposta: Edmund Kingsley era morto, ucciso da Beatrice Morgenstern e le sue idee sbagliate e diverse con lui, pareva. Nessuno tra i suoi compagni, i suoi professori, gli ex allievi o gli sfortunati capitati lì per caso, le sembravano intenzionati a portare avanti quelle idee che l'avevano spinta a riflettere più di quanto non fosse solita fare fosse moralmente consentito: non avrebbe trovato comprensione da parte di nessuno dei suoi compagni di cella. Afferrò una pietra tonda incastrata nelle voragini delle mura mentre ancora penzolava i piedi fasciati in un paio di stivali pesanti, quando decise di lanciarla, così, ispirata da un moto di collera improvviso, verso quel cielo foderato nella foschia che la voleva tenere là dentro con la forza. Invece che cozzare col terreno o sparire nel miasma, la vide colpire un ginocchio materializzatosi da chissà dove dall'interno della nuvola indistinta. Quando ne riconobbe il proprietario, si scoprì a tremare nelle ossa, vacillando nella posizione precaria in cui si trovava. Cosa ci faceva lì? Non poteva pensare che fosse lì per cercarla, anche se tanto egocentrica com'era nemmeno l'ipotesi del caso placò il moto di agitazione che la colpì dalla fronte alla punta dell'alluce. Lui era capace di smuovere qualcosa, forse, ma cosa?, non avrebbe saputo dirlo. Ma perché era lì? Lei si era rifugiata da una trappola che l'aveva quasi fatta fuori e se n'era andata nell'unico posto in cui, all'alba e al tramonto, da quando era tornata a fargli visita era sempre rimasto tutto curiosamente quieto. Ma lui aveva mai fatto il conto delle albe e dei tramonti passati a rincorrersi con gli occhi e promettersi il lieto fine e vissero felici e contenti? Ingoiò i dubbi e le domande, esternando come al solito astio e risentimento, perché lui si era rifatto una vita e lei no, e si sentiva sempre troppo incapace e sola per compiere significativi passi avanti.
    « Non l'ho fatto apposta » La sua frase preferita: il fatto che in passato ne avesse abusato anche quando la colpa era stata strasua ne rendeva il suono stridente e poco credibile, ma l'accompagnò con un'espressione seria ed inquietante. Guardò l'americano di sfuggita, poi si raccolse le gambe ossute sotto le braccia e roteando dapprima gli occhi, li conficcò poi oltre la vallata, dove non c'era più nulla di definito. Un po' come lo erano stati loro: mai definiti, mai chiari, sempre in bilico tra l'amore folle e l'odio profondo. « Non ti chiederò come stai perché non mi interessa, nemmeno un po' - » certamente l'ex Grifondoro avrebbe potuto apprezzare il fatto che non lo stesse schiaffeggiando e che, per la prima volta in cui aveva avuto la sventura di incontrarla, l'animo della Wilde sembrava essere fin troppo cauto e spento per assomigliare anche soltanto lontanamente alla versione energica ed iraconda di se stessa. Petulante nella voce e infantile in tutto il resto, questa volta riuscì invece ad apparire sorprendentemente lapidaria nel pronunciare quelle parole, con una risolutezza nuova e sconosciuta. « - piuttosto: immagino sia stata una rosicata tremenda esserti ritrovato confinato nel castello dopo aver finalmente respirato l'odore della libertà » Non c'era certo nessuno con cui potesse prendersela: gli altri reclusi ne sapevano quanto lei di come uscire da quella condizione di prigionia - una ceppa di beeeep - e l'ultima volta che aveva provato a sfidare la magia oscura tentando di attivare un passaggio segreto, si era ritrovata a strillare per ore per il corridoio centrale pregando che qualcuno l'aiutasse a toglierle un'armatura ferrata di dosso. « Forse sarebbe stato meglio andarsene e non tornare mai più quando ne hai avuto occasione » gli parlava ma non lo guardava, non si azzardava: i suoi occhi erano ancora puntati all'orizzonte e mascherava in quelle parole il suo desiderio, un'ossessione che ultimamente le martellava il cervello. L'idea che forse, chissà dove, forse nemmeno tanto lontano, ci sarebbe potuto essere qualcuno che le avrebbe mostrato una strada diversa. La sua strada, qualcosa di più simile a quello che stava forse cercando, o forse no?, ma che ancora non aveva trovato in niente ed in nessuno. Alzò fiera il mento stringendosi nel colletto dell'impermeabile scuro con il motivo a tartan e sfregandosi le mani fasciate in un paio di guanti rosso ciliegia. Non vedeva le stelle e non vedeva la luce, e l'aria gelida di un rigido dicembre iniziava a farsi più sferzante a dispetto dell'incendio che, dormiente, minacciava silenzioso di espandersi da dentro.

    Edited by wilder - 31/10/2018, 20:16
     
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    Sopravvivere non era un concetto nuovo per uno come Dean Moses. Lo aveva sempre fatto da che era venuto al mondo. Non c'era mai stato davvero nessuno a badare a lui, nemmeno sua madre, quella che se lo dimenticava al centro commerciale ogni tre per due e nemmeno aveva mai tentato di nascondere la facilità con cui l'avrebbe serenamente barattato per mezzo grammo di eroina. Ognuno sopravvive in maniera diversa. C'è chi lo fa lanciando sassi al sole, maledicendo la vita e la terra sulla quale pesta le scarpe. Altri invece lo fanno celebrando quel poco che hanno, col pensiero fisso in testa che in fin dei conti si è pur sempre fortunati anche solo per il semplice fatto di esserci, di poter partecipare. La gente depressa è quella a cui non manca nulla, agli ottimisti invece manca sempre tutto. Non era stata dunque che una sorpresa la reazione di Dean a quella situazione: un sorriso dei suoi, quelli che si stagliano come un enorme dito medio in faccia al panico e all'arrendevolezza. Rimaneva lì, fermo come una roccia, disposto a lasciare che qualcun altro si appoggiasse a lui per trovare conforto o anche un solo motivo per andare avanti senza gettare la spugna. E Dean di motivi ne sapeva elencare davvero tanti. Dean parlava un sacco, forse pure troppo. Aveva sempre la parola giusta per tutto, ma quasi mai l'aveva per se stesso. Lui di sé, semplicemente non parlava, senza farsi problemi nel lasciare che gli altri dessero per scontato che tutto nella sua vita filasse liscio e l'avesse sempre fatto. Perché diciamolo: a vederlo così, su due piedi, è normale pensare che la sua esistenza sia stata un qualcosa di fenomenale e pieno di gioie incredibili. In realtà è stata più merdosa di quella di tante altre persone che ci ricamano sopra il doppio del dramma. E per questa ragione gli era stato affidato il compito di giullare in quella grama situazione che si era andata a stagliare dentro al castello. Prendi Dean Moses e mettilo a fare l'animatore: la migliore idea che possa balenare in testa a chiunque. Questo faceva, più o meno dalla mattina alla sera. Recuperava ragazzini, li distraeva, parlava con le persone, si faceva raccontare qualsiasi cosa volessero raccontare, e a fine giornata si stravaccava dove capitava con la consapevolezza di aver fatto anche solo un minimo di differenza.
    Malia gli aveva appena dato il cambio quando finalmente riuscì a riprendere fiato dopo una tirata di cinque ore in infermeria. Una volta uscito dalle mura, respirò a pieni polmoni il gelo di quella coltre nebbiosa che era caduta sopra al castello. Gli mancava il sole, caspita se gli mancava! Gli mancava la maniera in cui faceva bruciare le strade di Denver, trasformandoti la pelle in cuoio nella torrida estate del midwest. Gli mancava casa. Gli mancava il suo paese. Gli mancava la sua gente. Ma al contempo sapeva di non aver davvero niente e nessuno da cui ritornare. Il morbo aveva spazzato via tutto quanto, e ormai le strade della sua città erano diventate polverose, lasciando spazio alla sola presenza della sabbia desertica che veniva portata lì dal vento. Era rimasto solo lui di quella gentaglia che sghignazzava negli sporchi vicoli di periferia. Tutti morti. Tutti spenti dal giorno alla notte. Puff. E a lui non erano rimasti se non i ricordi di ciò che era stato e che avrebbe potuto essere. Proprio lui, che dopo il diploma se ne era tornato in America, convinto di voler continuare la propria vita come il babbano che aveva pensato di essere per molto tempo. Ma una volta tornata ci era voluto poco a rendersi conto che in quel mondo non c'era più posto per lui, e nessuno ad aspettarlo.
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    Aspirò pensieroso un lungo tiro di sigaretta, ritrovandosi a cacciare un improperio quando si sentì colpire il ginocchio. "Non l'ho fatto apposta." Karma. Di bene in meglio. Strizzò per un istante gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura della ragazza nella nebbia, per poi semplicemente sollevare un sopracciglio con aria scettica. "Fa niente." rispose tranquillo, avvicinandosi a passi incerti mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto, aspirando ancora dalla sigaretta. "Non ti chiederò come stai perché non mi interessa, nemmeno un po' -" e qui, l'ex Grifondoro ci mise una bella risata sarcastica, scuotendo il capo come a voler lasciar perdere "- piuttosto: immagino sia stata una rosicata tremenda esserti ritrovato confinato nel castello dopo aver finalmente respirato l'odore della libertà. Forse sarebbe stato meglio andarsene e non tornare mai più quando ne hai avuto occasione." Sospirò profondamente, balzando a sedere sulla balaustra e mettendo su un ironico fare pensoso. "Mah, dipende. Cioè, se per libertà intendi tornare al proprio paese e scoprire che tutti quelli che conoscevi sono morti e la società sta crollando, allora non ho sentito questa gran differenza. Proprio vero che tutto il mondo è paese!" sferrò un pugno all'aria, ancora una volta ironico nel voler sottolineare quella personale disfatta. "Sai, ho preferito tornare dai vivi. Dato che ce ne stanno ancora alcuni a cui frega qualcosa di me, sebbene immagino che ti sia difficile crederlo." Ancora una volta si concesse un'alzata di sopracciglio, risucchiando l'ultimo tiro di nicotina prima di gettare la sigaretta e calpestarla con la punta dello stivale malconcio. Rimase in silenzio qualche istante, tutto intento a fissarsi i piedi. Un tempo probabilmente avrebbe lasciato che Karma continuasse a tessere il proprio dramma in solitudine, salutandola lì sull'istante. Ora però la situazione era cambiata, e checché se ne dicesse, lei stava lì da sola..che più o meno era la cosa peggiore che si potesse essere di quei tempi. Prese dunque un respiro, ingoiando il proprio orgoglio come era fin troppo solito fare. "Come te la stai cavando? Con le cose serie, intendo. Cioè tipo vivere, mangiare, fuggire da trappole mortali pronte a squartarti..insomma, la roba quotidiana."
     
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