Crying ballerinas

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    C'è qualcosa, nel clangore dei tacchi a spillo che riecheggia sonoramente per gli ampi corridoi asettici, che le infonde sicurezza. È sempre stato così, e non è mai stata capace di comprenderne il motivo, ma quel ticchettio cadenzato che provoca ad ogni suo passo, e che fa voltare i più nella sua direzione, per scoprire quale sia l'origine di tale rumore, è incredibilmente appagante. La fa stare bene, questo modo di avvertire in anticipo i presenti del suo passaggio, talvolta tanto potente da aprire un varco solo per lei. Tra le tante cose che la fanno sentire donna, le sue decollété, ne è certa, sono quell'elemento essenziale al quale mai potrebbe rinunciare.
    Cammina a passo svelto, i larghi occhiali da sole che le coprono gran parte del viso e le dita della mano destra ben salde intorno al manico della ventiquattr'ore, senza far troppo caso alle teste che si voltano nella sua direzione al suo passaggio, né a quei bisbigli concitati che accompagnano il suo avanzare sicuro. « Buongiorno, signora Greengrass. Tutto bene? »
    Sorride, affabile, limitandosi ad annuire piano a quelle parole. Ha imparato, più o meno a vent'anni, che quando le viene posta una domanda del genere, se la risposta è negativa, deve sempre mentire. E non perché la gente si aspetti di sentire da una donna (allora ragazza) bella e avvenente come lei che tutto è splendido e ogni cosa è al proprio posto, così da potersi immedesimare per un momento nella sua favola e dimenticare le proprie difficoltà; quanto più, invece, perché in fondo a nessuno importa davvero quando le cose vanno male. Nel momento in cui la sorte smette di sorriderti diventi all'improvviso poco interessante, noiosa, non abbastanza perché ti vengano concesse attenzioni. A nessuno piace un clown che piange. E forse loro non sono clown veri e propri, non avranno la pittura colorata sulla faccia e non faranno sbellicare dalle risate, ma una parte delle loro vite serve ad intrattenere, a rassicurare e a quietare gli animi. Non puoi e non vuoi sentirti dire dalla prima ballerina dello spettacolo che fa fatica ad esibirsi, recita dopo recita, che ha il respiro affaticato e deve fare un certo sforzo mentale per non dimenticare i passi. A te piace pensare che quei movimenti tanto leggiadri e superbi con cui ti allieta lo sguardo siano qualcosa di naturale, che non compia sforzo alcuno a ballare ma che sia l'atmosfera stessa a muoverla, come una foglia colorata si libra sul vento d'autunno. A nessuno importa se dietro le quinte ha i piedi sanguinanti e le lacrime agli occhi, perché la realtà sembra fermarsi a quello, al rettangolo creato dalle quinte e a quel mondo parallelo così facile da invidiare.
    « Tutto bene » risponde allora Julie Greengrass, tutte le volte, sfoderando quel suo sorriso sognante che riesce ancora ad ammaliare tutti come una volta. Ha passato così tanto tempo, nella sua gioventù, ad allenare quel sorriso felice, che adesso è una delle cose più naturali e istintive che il suo corpo possa fare, senza che abbia bisogno di pensarci o sentirlo davvero, come un semplice battito di ciglia, o come il respiro stesso. Per nulla collegato con ciò che prova. Del tutto involontario.
    Una volta raggiunto l'ultimo piano dell'ospedale, comincia a muoversi con minore rapidità, i tacchi che adesso risuonano sul pavimento con un intervallo leggermente più lungo. Arrivata alla propria destinazione non si preoccupa minimamente di bussare, né nessuno intorno a lei glielo impedisce: ormai i dipendenti del San Mungo hanno imparato nel modo più duro a evitare di bloccare la strada che separa Julie Greengrass da quella porta. Abbassa la maniglia e spinge con decisione in avanti, ma di fronte a sé l'ufficio di Charles Douglas è vuoto. Presa alla sprovvista, e un po' confusa, si volta, per poi trovare alle sue spalle una sfilza di persone, dipendenti dell'ospedale, per lo più, che se ne sta in silenzio a fissarla. Solleva le sopracciglia verso l'alto, spostando lo sguardo su una di loro, quella che conosce meglio di vista. Abbassa per un istante lo sguardo sulla targhetta che porta al petto, ne legge velocemente il nome per accertarsene: è la sua segretaria. « Dov'è? » chiede, in modo spicciolo. Inutile sprecare troppe parole e carinerie in generale per una persona che porta i collant a quadrettoni.
    « Il dottor Douglas è andato a fare un giro di visite ad alcuni pazienti. Sarà di ritorno nel giro di un paio di minuti, suppongo. »
    Lo sguardo della donna, che pare trapassare da parte a parte la bionda che ha di fronte, resta assente per qualche istante. Poi si concentra sul suo viso, al quale rivolge un sorriso cordiale. « Bene. Vorrà dire che aspetterò il suo ritorno nel suo studio. Buona giornata. A tutti voi. » Uno sguardo eloquente, che coglie il gruppo per intero, è l'ultimo saluto che rivolge ai suoi spettatori, prima di voltar loro le spalle e chiudersi dietro la porta dell'ufficio.

    Non le piace aspettare. Una parte di sé avrebbe voluto mandare all'istante un Patronus a Chuck, intimandolo a far fretta, e l'avrebbe anche fatto in altre occasioni, ma in questo caso si è concessa un'ora libera per pranzo e, lo sanno tutti, i suoi pasti durano mediamente dai cinque ai dieci minuti, non di più. Per questo motivo evita di fargli fretta, e se ne resta accomodata su una delle due poltrone di fronte alla scrivania di lui, a osservare con attenzione minuziosa ogni minimo particolare che adorna quell'ufficio, e che lei conosce già a memoria. Ci sono appese ai muri le certificazioni dei suoi studi da Medimago, sulle mensole alcuni premi prestigiosi vinti dall'uomo, una foto di lui e del figlio nella vistosa tenuta di famiglia. Una smorfia si fa largo sul viso della donna, mentre si perde per l'ennesima volta ad osservare quel ritratto. Nathan è quello che gli somiglia di più. D'improvviso sente uno scatto, e con la coda dell'occhio vede la porta aprirsi, alla sua destra. Volta leggermente il capo, per incontrare lo sguardo di lui, mentre il suo si perde per un istante di troppo sulla sua figura slanciata. Porta il camice, e per un frangente la bionda deve sforzarsi di non rivolgergli un sorriso d'apprezzamento - ma in fin dei conti sa con una certa sicurezza che non ce ne sarebbe bisogno, perché lui è fin troppo consapevole del debole che ha lei per la sua figura avvolta da un camice.
    Incrocia le braccia al petto, sistemandosi meglio sulla propria poltroncina, mentre lo guarda sedersi esattamente di fronte a lei, oltre la scrivania. « Non ci metterò molto » dice, con tono spicciolo. In realtà cerca di perdere tempo. In realtà ha un'ora da ammazzare, Basil aveva troppo lavoro da portare a termine per farle compagnia, e l'ultima cosa che voleva era trascorrere questo tempo da sola con i suoi pensieri.
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    E quindi si muove con lentezza, un ultimo sguardo ai suoi occhi chiari prima di raggiungere la propria valigetta, dalla quale estrae quello che appare come un invito di cartone chiaro, richiuso da un elegante nastro di velluto viola, che gli porge perché lo apra. « Perdonerai il ritardo nell'invito, ma l'organizzazione di queste serate mi provoca sempre uno stress incredibile. La mia assistente è un'incompetente, e volevo portartelo di persona. Ho dato per scontata la tua presenza. » A questo punto gli rivolge un sorriso, candido. Le serate di questo tipo sono particolarmente comuni, in casa Greengrass. Basil è un amante dell'arte e della sua fotografia, e non appena si ritrova tra le mani un paio di scatti di cui va fiero (almeno una volta ogni due mesi) si sente in dovere di organizzare queste serate esclusive in cui esporre la propria arte per poterne disquisire insieme agli amici più intimi, in compagnia di un buon calice di vino e della buona musica. « Laurel è riuscita anche a farci avere quel quartetto d'archi che Basil adora, stavolta. » Okay, forse Laurel non è in tutto e per tutto un'incompetente. Ma potrebbe sempre migliorare, per certe cose.
    Sospira, a questo punto, lasciandosi andare all'indietro e rilassando la schiena, così da farla aderire alla poltrona. Resta in silenzio per qualche istante, il suo sguardo che vaga per la stanza, come se fosse in attesa. Quando i suoi occhi si posano nuovamente su quella fotografia con il figlio, si decide a parlare. « L'ultima riunione è stata questa mattina, meno di un'ora fa » dice, cogliendo allora lo sguardo di lui. Sa bene di che cosa sta parlando. Al Ministero il fermento dei primi giorni è andato scemando, molti dopo un po' hanno ripreso a svolgere i propri compiti di ordinaria amministrazione, ma restano ancora forze dedicate unicamente alla questione Hogwarts e Hogsmeade; e a quegli incontri ormai sempre più radi Julie e Basil fanno sempre in modo di partecipare, talvolta più come genitori speranzosi che come capi di dipartimento. Un altro profondo respiro, mentre appoggia entrambi i gomiti ai bracci della poltrona. « Il riassunto è che... non ci sono novità. Niente. Nemmeno stavolta. Un castello intero completamente svanito nel nulla e nessuno capisce cosa diavolo sia successo, dopo quasi due mesi. » Si stringe nelle spalle, mentre è costretta a distogliere lo sguardo da quello di Chuck. Come se questo potesse in qualche modo mascherare i suoi occhi chiari imperlati di lacrime. « Ci sono volte in cui penso che non li rivedremo più. Che stiamo facendo ricerche vane e inutili, perché tanto sono spariti nel nulla. » Avverte una morsa allo stomaco. Le risulta difficile perfino parlarne ad alta voce, tanta è la sofferenza che prova. Si ritrova a pensare che darebbe qualunque cosa, in questo momento, pur di riabbracciare Gwen e Beatrix. Pur di saperle in salvo. Scuote leggermente la testa, mentre, a denti stretti, si ritrova ad asciugare con una mano una lacrima che scappa al suo controllo. « Chiunque sia il responsabile di questa... cosa... se ce n'è uno... lo distruggerò. Lo giuro. »
     
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    «Camera 26, la signora Cooper. Dovreste conoscerla tutti. Chi vuole andare?» Si gira, per guardare uno ad uno i visi dei suoi nuovi cinque specializzandi, che lo seguono ovunque, come fossero i suoi piccoli anatroccoli. Non tradisce il divertimento che sta provando in quel momento, nel constatare quanta sia la paura che alberga in almeno tre paia di occhi su cinque. Onore agli altri due. Ed è infatti Stein, il più promettente di quella combriccola ad alzare velocemente la mano, prima che Chuck gli dia la possibilità di parlare. «Vanessa Cooper, 46 anni. Ha deciso di operarsi il setto nasale in una clinica privata. Modo edulcorato per dire che si è rifatta il naso, in gran segreto e in una clinica oltre il muro, e si è beccata un'infezione per la quale è fortunata ad essere ancora viva. E' comunque sotto osservazione da cinque giorni. Sotto dittamo e antibiotici magici, oggi dovrebbe essere dimessa.» Il ragazzo dagli sgargianti occhi azzurri conclude con aria piuttosto soddisfatta, mentre Chuck lo osserva. Lo guarda come si guarda un esperimento da laboratorio. Lo guarda come fosse il topolino che continua a cercare l'uscita dal labirinto, che ci prova e ci riprova, che svolta gli angoli e si sente soddisfatto quando non trova un vicolo cieco. Si sente migliore, più furbo, intelligente. Così come crede di essere Stein, così strafottente, così sicuro di sé. Di colpo, gli sta sulle palle, terribilmente. Da migliore ad ultimo della classe. Sente il bisogno di dargli una lezione, di fargliela pagare per quella sua arroganza gratuita. «Stein, si direbbe che hai passato l'intera notte a studiare le cartelle dei miei pazienti. Un applauso per Stein, lo stacanovista.» Lui segue l'esempio delle sue parole e così gli altri quattro fanno lo stesso, chi imbarazzato, chi piuttosto infastidito di dare il merito a qualcun altro. Stein è felicissimo e tutto tronfio. «Però - comincia, interrompendo di colpo quel teatrino - dalle cartelle deve esserti sfuggito qualcosa.» La faccia del ragazzo varia, a seconda della sensazione che prende il suo corpo. C'è confusione, perplessità e anche un pizzico di rabbia in quei suoi occhi azzurri. «No, sono certo di aver letto tutta la cartella, da cima a fondo, almeno tre volte. Non ho saltato nessun paragrafo. Io.. io ne sono certo.» Si giustifica, entrando subito sulla difensiva. Chuck, dalla sua posizione privilegiata, si gode quello spettacolo più di quanto dovrebbe. Gli sorride, magnanimo, mentre vede sgretolarsi di fronte ai suoi occhi quella facciata di assoluta perfezione e sicurezza. «Il rispetto per il paziente. Devi esserti perso questo paragrafo quando hai dato l'esame per diventare Medimago, suppongo.» Questa volta non sorride più, mentre lo guarda con occhi taglienti. «Il dolore, di qualsiasi tipo esso sia, qualsiasi sia la motivazione per la quale è scaturito, va rispettato e onorato. E' questo il giuramento che avete fatto quando vi siete laureati.» Guarda tutti gli altri, senza degnare di uno sguardo il povero Stein. Sta ergendo ad esempio il suo comportamento assolutamente inaccettabile. «L'arroganza, la superbia e l'ambizione sono caratteristiche che apprezzo in un medimago, ma non transigo quando non vengono accompagnate dal rispetto.» Un piccolo avviso di carta arriva in planata su di lui, pizzicandogli la spalla. Lo prende, lo apre e nemmeno si accorge dei tentativi di Stein che sembra essere diventato un'ameba. "La signora Greengrass l'attende nel suo ufficio." Un sorriso gli accentua le labbra, prima di accartocciare il foglietto, per poi riporlo nella tasca del camice. «Sei diventato per caso balbuziente, Stein?» Gli domanda, così interrompendo ogni suo possibile approccio ad un discorso di senso compiuto. Si porta l'indice alle labbra, come a volerlo intimare al silenzio. «A voi quattro lascio il compito di fare le ultime visite alla signora Cooper. Quando sarete sicuri, potete dimetterla.» I quattro anatroccoli si affrettano ad entrare nella stanza, tutti contenti e soddisfatti, lanciando occhiate di traverso al povero Stein. «Ricordalo sempre Stein: il troppo non è mai elegante, in nessun caso della vita.» Gli dà una pacca sulla spalla, avvicinandosi di poco per farsi sentire soltanto da lui. «Farai meglio ad osservare il silenzio più spesso, prendilo come consiglio amichevole.» Gli sorride, per poi voltarsi. «Ma Dottor Douglas, cosa dovrei fare ora?» L'uomo nemmeno si prende la briga di fermarsi e guardarlo di nuovo, ma continua a camminare per il corridoio, alzando una mano per salutarlo. «Fossi in te, domani mattina non mi scomoderei nemmeno a rimettere la sveglia. Buona giornata caro.»

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    «Da quanto è arrivata?» Chiede alla sua segretaria, riservandole un sorriso benevolo. «Da qualche minuto buono, pensavo volesse finire il giro delle visite prima di essere disturbato.» Scuote la testa, sorridendo. E' fin troppo attenta e diligente Mrs. Blanchett. Dovrebbe proprio darle un aumento per tutta quella accortezza ai dettagli. Ma quando si tratta di Julie, vuole essere avvertito, subito. Vuole essere lui a decidere se presentarsi in orario o farla aspettare, per farla crogiolare nell'attesa. «La prossima volta voglio un avviso immediato.» Taglia corto, avviandosi verso la porta del proprio ufficio. «Ah» aggiunge, con una mano intorno alla maniglia e il volto girato nuovamente verso di lei. «Chiaramente non voglio essere disturbato, se non per emergenze. Vere emergenze.» Detto questo, abbassa la maniglia ed entra. Ha avvertito il suo profumo già dll'entrata dell'ufficio. Se la sua segretaria non gli avesse mandato una notifica, dicendole che l'avrebbe trovata lì, lui comunque l'avrebbe riconosciuta. Ha un profumo elegante, ha un profumo particolare, più aspro di quelle di molte altre donne. Più deciso. Come piace a lui, per questo se lo ricorda così bene da poterlo riconoscere ovunque. O forse se lo ricorda semplicemente perché è il suo. «Julie» la saluta, strisciando dietro la sua poltroncina. Le passa l'indice distrattamente lungo il profilo della spalla lasciata leggermente scoperta. Un contatto quasi non voluto, casuale, tanto è la rapidità che impiega nel farlo. Eppure è voluto, come lo è qualsiasi contatto che ha con quella donna che sembra ammaliarlo da fin troppi anni. « Non ci metterò molto » Come sempre, la bionda mette le cose in chiaro. E Chuck abbozza una smorfia divertita, mentre si siede di fronte a lei, facendo il giro del tavolo. Appoggia la schiena alla poltrona e incrocia le mani sopra le gambe. «Non ne avevo dubbi.» Una punta di sarcasmo in quella che non vuol essere altro che una battuta innocente, una delle tante che si è sempre concesso con lei. «Ti ascolto.» Segue le sue mosse, per poi vedere uscire dalla sua ventiquattro ore un invito. Guarda prima la busta, poi torna ai suoi occhi chiari. « Perdonerai il ritardo nell'invito, ma l'organizzazione di queste serate mi provoca sempre uno stress incredibile. La mia assistente è un'incompetente, e volevo portartelo di persona. Ho dato per scontata la tua presenza. Laurel è riuscita anche a farci avere quel quartetto d'archi che Basil adora, stavolta. » Prende l'invito e comincia ad ispezionarne le parole, una ad una, constatando che è l'ennesima serata fatta di musica e delle tanto amate fotografie di Basil, che lui si fa andare giù solo perché vuole estremamente bene all'amico. Le labbra si distendono appena, prima di alzare lo sguardo. «Ci sarò, ovviamente.» Non può di certo mancare ad un evento organizzato a casa di due dei suoi miglior amici. «Non considerare per me un +1. Non stavolta» infine dice, lanciandole un'occhiata di sbieco, quasi a volerne constatare la reazione nel ricevere una simile informazione. Un sorriso beffardo e sfrontato si palesa ad illuminargli il volto, mentre pensa che sarebbe bello portare Maelys ad un ricevimento tanto esclusivo. Potrebbe piacerle, gli sembra di ricordare che la fotografia le piace. Ma preferisce passare, cosciente che ci sarà un'altra volta. C'è sempre nell'alta società, di quelli che contano e non fanno altro che sollazzarsi con modi che sembrano riempire le loro anime. Si è sempre chiesto a quanti, in quelle stanze pullulanti di persone, interessasse veramente di sapere come è stato eseguito un quadro, quale sia l'idea dietro la prospettiva di una determinata foto, il perché si è usato un determinato colore su una tela bianca. Ma l'apparenza, in fondo, è sempre ciò che conta. « L'ultima riunione è stata questa mattina, meno di un'ora fa » E' perso dietro ai suoi pensieri, quando torna bruscamente alla realtà. Lascia cadere il foglio di cartoncino sulla scrivania, poggiando il gomito sul bracciolo della poltrona. L'indice che si posiziona sopra i radi baffetti, come a voler esternare la preoccupazione che si tiene dentro e che non dà mai a vedere. Ma quelle parole riescono a risvegliare quell'angolo di cervello che, quando lavora, tenta di tenere spento. Un po' per il bene di tutti. Ma suo figlio è lì dentro. Dentro un buco nero che sembra aver risucchiato tutto. Lui a quegli incontri non ha mai partecipato, troppo impegnato con il sempre più copioso afflusso di poveri cristi che finiscono in ospedale per colpa del morbo. Ma se anche avesse del tempo, non è certo che andrebbe a quelle riunioni dove non si cava mai un ragno dal buco. « Il riassunto è che... non ci sono novità. Niente. Nemmeno stavolta. Un castello intero completamente svanito nel nulla e nessuno capisce cosa diavolo sia successo, dopo quasi due mesi. » Ecco appunto. Scrolla la testa, Chuck, guardando fuori dalla finestra. E' da quando il castello è svanito, che ha messo i suoi sulle tracce dei Ribelli. E qualcosa, dopo giorni passati a massacrare chiunque trovassero sul loro cammino, se avevano l'ardore di scegliere di non rispondere alle loro domande, erano riusciti ad avere qualche informazione, qua e là. « Ci sono volte in cui penso che non li rivedremo più. Che stiamo facendo ricerche vane e inutili, perché tanto sono spariti nel nulla. Chiunque sia il responsabile di questa... cosa... se ce n'è uno... lo distruggerò. Lo giuro. » Ha sempre adorato questa sua vena battagliera, il modo con cui affronta tutto nella vita. Coglie l'occhio velato, ma si concentra di più sulle sue parole. E' commossa, è addolorata, ma reagisce, come può. E la sua testardaggine è un qualcosa che non può passare inosservata agli occhi di un caparbio cronico. «E' per questo che non vengo mai a quelle riunioni. Perché tutti cercano dove è inutile cercare e non si concentrano sulle crepe del muro che hanno alzato questi fantomatici ribelli.» E' lapidario nella sua sentenza contro un governo che non sfrutta appieno ogni sua possibilità. «Li rivedremo, fidati di me. Sono tenaci, hanno la stoffa giusta per superare qualsiasi cosa» tutti loro. Nate, Gwen, Maze, persino Judas. «Ho avuto delle informazioni.» Se ne esce poi, criticamente, lasciando dondolare la sedia verso destra, poi verso sinistra, per poi ricominciare. I suoi occhi puntati in quelli di lei. «Non sono troppo dettagliate, ovviamente, ma c'è qualcuno tra loro che, a quanto pare, è riuscito a comunicare con qualcuno all'interno del castello. E' scomparso alla nostra vista, ma è ancora lì.» Si stringe nelle spalle. «Non so altro, non so come stiano i nostri ragazzi, ma perlomeno sappiamo che esistono ancora.» Non aggiunge la speranza implicita che ripone nel fatto che non siano morti, ma il tono di voce lascia trasparire tutto il dolore che quella situazione gli provoca. Si alza in piedi, guardando fuori dalla finestra. Quella che dà su una stradina della Londra babbana. «Dobbiamo fare qualcosa, Julie.» Le dà le spalle, mentre osserva lo sciame di persone che cammina in strada, stringendosi nei loro cappotti, per ripararsi dal freddo gelante di Dicembre. «E per qualcosa intendo non seguire più le strade ufficiali.» Si volta nel dire le ultime parole, prima di appoggiarsi alla finestra, con le braccia conserte al petto. «Tra poco è Natale e mio figlio non sarà a casa. Per la prima volta dopo diciannove anni. E non so nemmeno se sia ancora vivo o morto.» Dice, con tono duro. «E che fa il governo? Continua ad organizzare riunioni in cui serve champagne ai genitori in apprensione, pensando che questo basti a placare gli animi dei più facoltosi. Perché a noi piacciono tanto le bollicine.» Scrolla il capo, passandosi una mano tra i capelli. «A volte preferirei sapere che fosse morto.» La voce si incrina sotto il peso di quelle parole. «Almeno metterei l'anima in pace. Smetterei di sperare invano. Il mio dolore non sarebbe quantificabile, ma saprei che almeno lui ha smesso di soffrire. Saprei dargli una collocazione. Brancolare nel buio mi uccide lentamente.»


    Edited by wanheda‚ - 22/12/2017, 10:16
     
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    « Ci sarò, ovviamente. Non considerare per me un +1. Non stavolta. » Julie inarca un sopracciglio, mentre accavalla elegantemente le gambe e s'impegna a puntare il proprio sguardo da qualche altra parte. Si concentra sulle mani di lui, che sorreggono quell'invito dalla fattura di classe, senza far trasparire alcuna particolare emozione sul volto. Nel corso degli anni ha sempre ritenuto le numerose accompagnatrici di Chuck decisamente poco gradevoli, e non ha mancato di farglielo notare: l'unica persona che abbia mai considerato all'altezza era la povera Amelie, ma le cose erano andate a finire nel peggiore dei modi; e da quel momento in poi il vedovo di casa Douglas sembrava aver fatto di tutto pur di rinnegare la propria età, e dimostrarsi ancora giovane e aitante, e tra queste cose circondarsi di ragazzine la cui compagnia fosse a stento legale pareva essere il suo escamotage preferito per tornare ai vecchi tempi di gloria.
    Ma la bionda, fatta eccezione per qualche onesto parere espresso con il più sincero candore, e qualche occhiata non troppo simpatica rivolta di nascosto durante le serate in questione, ha sempre evitato di manifestare qualsivoglia fastidio o avversione per queste sue abitudini. Sempre incredibilmente controllata, negli anni a fianco di Basil ha imparato a tenere perfettamente a bada i propri sentimenti e le proprie paturnie, e questo principalmente grazie a lui e ai suoi preziosi insegnamenti. Così si stringe nelle spalle, simulando il più totale disinteresse, e gli rivolge un sorriso cordiale. Uno di quelli un po' falsi, tipici della Julie Greengrass che sta costantemente sotto gli occhi di tutti e che deve rassicurare il mondo del proprio benestare. « Come preferisci. » Ci sono volte in cui si ritrova a pensare che la sua vita non sia altro che una bella bugia. O meglio ancora: una rocca fortificata, un grande castello massiccio e altissimo costruito da menzogne, sentimenti repressi e rimorsi nascosti, ma che all'esterno hanno la parvenza ingannevole di una favola meravigliosa. Una favola che si sforza di mantenere viva e credibile giorno dopo giorno, con chiunque la circondi, e spesso e volentieri perfino con Chuck stesso. Ma a volte mantenere addosso la maschera sorridente anche con lui è fin troppo difficile, ed è per questo che quando il discorso comincia a vertere su argomenti più seri e meno piacevoli non sa controllarsi e cede, fino ad esprimere in modo chiaro e palese tutto ciò che sta provando.
    « E' per questo che non vengo mai a quelle riunioni. Perché tutti cercano dove è inutile cercare e non si concentrano sulle crepe del muro che hanno alzato questi fantomatici ribelli. Li rivedremo, fidati di me. Sono tenaci, hanno la stoffa giusta per superare qualsiasi cosa. » Sospira piano, mentre appoggia il gomito sul bracciolo della poltrona e lascia sostare il mento sul pugno chiuso, l'espressione che pare quasi persa. Le piacerebbe così tanto essere positiva e speranzosa come Chuck, ma la verità è che non ci riesce. La verità è che si conosce, e sa di non aver mai avuto davvero fortuna nella sua vita per questo genere di cose. La carriera, il successo, i soldi: quello va tutto sempre a gonfie vele; ma il resto è sempre decisamente meno florido, e non si sorprenderebbe per nulla nello scoprire che il destino ha deciso all'improvviso di privarla delle sue uniche figlie. « Ho avuto delle informazioni. »
    Le ultime parole di lui la risvegliano da quel suo apparente stato di trance mentale. Solleva lo sguardo e punta gli occhi chiari in quelli di lui, severa. « Parla » lo intima allora, un tono lapidario che non accetta attendere oltre.
    « Non sono troppo dettagliate, ovviamente, ma c'è qualcuno tra loro che, a quanto pare, è riuscito a comunicare con qualcuno all'interno del castello. E' scomparso alla nostra vista, ma è ancora lì. Non so altro, non so come stiano i nostri ragazzi, ma perlomeno sappiamo che esistono ancora. » Drizza la schiena, mentre ascolta, le dita che si sfiorano nervosamente le unghie laccate e le labbra leggermente dischiuse. Alla fine si ritrova ad annuire piano, comprensiva. Lo immaginava. Aveva sospettato che dietro quell'improvvisa scomparsa ci fosse dietro un incantesimo del genere, capace di impedire, semplicemente, a tutti loro di vedere un castello che resta fermo a tutti gli effetti. Un Salvio Hexia di tipo elevatissimo, in pratica. E sebbene la notizia di Chuck non sia una completa novità, in quanto rappresenta una delle teorie supposte da lei stessa e da altri al Ministero, è pur sempre un sollievo: perché c'è decisamente una differenza tra immaginare e avere la certezza di qualcosa. Per questo motivo sospira, in una minima parte sollevata da quella notizia, che sa darle quanto meno una speranza concreta. Maze e Gwen ci sono ancora, lì dentro. E lei deve fare di tutto pur di riaverle con sé. « Dobbiamo fare qualcosa, Julie. E per qualcosa intendo non seguire più le strade ufficiali. » Lo segue con lo sguardo, attenta, mentre si alza dalla propria poltrona girevole e si dirige verso la finestra dell'ufficio, spiando la strada all'esterno. Ha sempre amato la fermezza e la determinazione di Chuck, qualità di cui la personalità di Basil, per quanto forte e imponente, ha sempre scarseggiato. Nella famiglia Greengrass, è sempre stata Julie a portare i pantaloni: a prendere le decisioni più difficili, a convincere il marito e a dargli man forte. E una parte di lei ha sempre sentito la necessità di avere accanto a sé una personalità come quella di Chuck - o, semplicemente, di avere proprio lui al suo fianco.
    Sospira, un po' incerta di fronte a quella proposta. Per quanto vorrebbe con tutta se stessa proseguire alla sua maniera, senza far caso alla legalità o meno delle azioni intraprese, per quanto poco le importi delle conseguenze e del Ministero, deve comunque tener conto del proprio ruolo in quella istituzione. Scambia con Chuck una lunga occhiata d'intesa, prima di parlare. « Sai che cosa ne pensa Basil al riguardo. » Non lo permetterebbe mai. Lo Stregone Capo del Wizengamot, colui che giorno dopo giorno è impegnato a garantire l'osservanza delle leggi di quel Ministero che protegge, non potrebbe mai accettare un escamotage di questo tipo, forse nemmeno se servirebbe a salvare le sue figlie. E al di là di quello che pensa lei, lui è suo marito, e il suo compito, fino all'ultimo, è quello di stargli accanto, non tradirlo mai e prendere decisioni in quanto coppia.
    « Tra poco è Natale e mio figlio non sarà a casa. Per la prima volta dopo diciannove anni. E non so nemmeno se sia ancora vivo o morto. E che fa il governo? Continua ad organizzare riunioni in cui serve champagne ai genitori in apprensione, pensando che questo basti a placare gli animi dei più facoltosi. Perché a noi piacciono tanto le bollicine. » Corruga la fronte, le braccia conserte sotto il seno e l'espressione indecifrabile. Un misto fra l'irritato e il consapevole. Sa, fin troppo bene, che quello che Chuck sta dicendo è più che corretto. Che i suoi colleghi hanno fatto ben poco fino ad ora, o che comunque non hanno dato il massimo né si sono concentrati troppo sulla questione. Non quelli che non hanno dei figli lì dentro, per lo meno. Tutti sembrano concentrarsi sul modo per riprendersi Hogsmeade o cacciare i Ribelli, ma sono in pochi quelli a pensare davvero e a rivolgere ogni propria energia alla questione Hogwarts, e a tutte quelle persone improvvisamente disperse, svanite nel nulla. A tutti quei ragazzini. Del tutto indifesi, molti di loro incapaci di realizzare anche i più semplici incantesimi. Lei, dal suo canto, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per studiare la situazione: all'Ufficio Misteri, ha ispezionato uno ad uno gli scaffali contenenti le Profezie, consultato tutti i Divinatori al suo servizio, monitorato con estrema attenzione tutte le attività del Velo. Ma le sue ricerche non hanno portato a risultati concreti. « A volte preferirei sapere che fosse morto. Almeno metterei l'anima in pace. Smetterei di sperare invano.
    WymYmol
    Il mio dolore non sarebbe quantificabile, ma saprei che almeno lui ha smesso di soffrire. Saprei dargli una collocazione. Brancolare nel buio mi uccide lentamente. »

    Trasalisce, a quelle parole. Un moto di orrore misto a paura s'impossessa di lei, e per un momento viene scossa da un singulto. Chiude gli occhi e scuote rapidamente la testa, il palmo della mano che si solleva leggermente nella direzione di Chuck, come a volerlo bloccare dall'aggiungere altro. Non riesce neanche a immaginare uno scenario del genere. « Non lo dire, Chuck » comincia, seria, fulminandolo poi con i suoi occhi chiari. Visibilmente provati da quelle ultime parole. « Non lo dire nemmeno per scherzo. » Comprende alla perfezione il suo punto di vista, ma non sa condividerlo. La sola idea di perdere definitivamente le sue bambine le fa troppo male, e quel dolore atroce che proverebbe avendo la certezza di non poterle mai più riabbracciare non è in nessuna misura paragonabile a quelle montagne russe di sentimenti, speranze e angosce che si susseguono alla velocità della luce durante le sue giornate da quella notte di Halloween. E per quanto sia tremendo ed estenuante provare tutto ciò, e vivere con la costante incertezza che la logora giorno dopo giorno, preferisce di gran lunga questo per se stessa, se significa che esiste ancora, da qualche parte, una possibilità remota che Gwen e Trixie siano in salvo. « In ogni caso, lo sai che sono d'accordo con te. Sai come la penso sul lavoro del Ministero e della Squadra d'Inquisizione, in questo periodo. E non ho mancato di far notare il mio disappunto a Marchand stesso, non meno di qualche giorno fa. Neanche a me piace questo vigliacco temporeggiare, né mi piace la poca considerazione con cui si stanno portando avanti certe questioni. » Si stringe nelle spalle, prima di sospirare pesantemente e alzarsi in piedi. Compie qualche passo nella sua direzione, ma si blocca a metà strada, a qualche metro da lui, per poi appoggiarsi con il bacino all'estremità della scrivania. Incrocia le braccia al petto, mentre gli rivolge una lunga occhiata, che ha un che di eloquente. So a che cosa stai pensando. « Neanch'io posso più sopportare di starmene qui ferma a non fare niente » dice allora, senza distogliere lo sguardo da lui. Devono agire, e al più presto possibile. Prima che sia troppo tardi. « Non posso garantirti l'appoggio di Basil, ma potrei provare a convincerlo. Se faccio leva sulle note giuste, mi ascolterà. E perfino lui ha capito che continuare ad aspettare una risposta dal Ministero è diventato inutile. Ma tu devi permettermi di aiutarti, Chuck. » Compie un passo verso di lui, lentamente, quasi con cautela. Rimane in silenzio qualche istante ancora, sovrappensiero. « Ti prego, se hai intenzione di fare qualcosa... non farlo alle mie spalle. Non potrei sopportarlo. » Ho bisogno di sapere. Scuote piano la testa, mentre si avvicina di più, fino a quando non è a poca distanza da lui. « Non quando ci sono le mie figlie di mezzo. » Le nostre figlie, si corregge mentalmente. Una verità che può facilmente leggerle negli occhi, se vi pone la giusta attenzione. Si avvicina di più, fino a quando il viso di lui non è incredibilmente vicino, e a quel punto solleva una mano, per accarezzargli la guancia con delicatezza con il proprio palmo. Come se con quei gesti semplici volesse provare a consolarlo da tutti i suoi dispiaceri. « Faremo tutto ciò che è necessario per riavere con noi i nostri ragazzi. E lo faremo insieme. » Promettimelo.
     
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    Fare il padre è difficile. Non è un lavoro per tutti. E' estenuante, ti sconvolge la vita, ti riempie il cuore di gioia, di amore, di gratitudine, ti fa aspettare con apprensione la notte, finché non si sentono i passi del proprio figlio che tenta di rientrare senza far rumore, per non essere scoperto ad essere rientrato alle cinque di mattina, probabilmente più sbronzo e ubriaco di quanto dovrebbe essere, per avere solo sedici anni. Fare il padre è un continuo salire e scendere di emozioni, una continua montagna russa dalla quale non si può mai scendere, perché avere dei figli è un impegno, costante, duraturo nel tempo. Anche quando i figli diventano indipendenti, quando se ne vanno di casa, cominciando a vivere la loro vita senza di te. Anche in quel momento si continua ad essere un padre, forse anche più di prima, pronto a sorreggere qualsiasi caduta, persino a distanza, qualsiasi dispiacere, qualsiasi dolore. Essere padre è difficile, ma essere madre lo è ancora di più. Chuck l'ha sempre pensato. Lo pensava mentre guardava Ameliè prendersi cura di Nate, stringerselo tra le braccia, avere il bisogno fisico di averlo accanto, di sentirselo sempre costantemente vicino. Durante la loro prima vacanza in due, dopo la nascita di Nate, Ameliè aveva passato le prime ore di distacco chiamando sua madre ogni ora, per sentire come stesse il piccolo. E ha notato lo stesso atteggiamento osservando Julie occuparsi delle sue figlie. Come Ameliè, la bionda aveva il costante bisogno materno di sapere ovunque fossero, con chi fossero, come stessero, quasi a voler loro prevenire qualsiasi dolore, sperando di poterlo prevedere con qualche istante d'anticipo, tanto da poterglielo evitare. Le ha sempre guardate con un occhio di riguardo, le madri. In fondo, lavorando anche con i bambini, a Chuck è capitato di poterne osservare molte, nell'arco degli anni della sua carriera e alla fine ha capito cos'è che rende differente una madre da un padre. Non è la quantità di amore riversato sul figlio, no. E' che per una madre un figlio è una parte fisica di sé, letteralmente. E' una vita che è vissuta dentro di lei per nove mesi, in totale simbiosi, e staccarsi da essa provoca dolore, non solo emotivo o mentale, ma fisico. Lo stesso dolore che nota negli occhi azzurrini di Julie, quando lo sente parlare di Nate. Potrebbe dare un nome ad ognuna delle sfumature che attraversano quei laghi azzurri. C'è orrore, c'è spavento, c'è apprensione, potrebbe esserci anche del disgusto per ciò che le ha appena rivelato. Riesce a sentire il disgusto anche sulla punta della sua lingua, ha sentito l'amaro montargli in bocca quando lo ha ammesso ad alta voce e ora ha reso partecipe anche Julie di quel dolore che è giusto che lui senta. Sa benissimo, Chuck, che quel dolore esige di essere ascoltato, quel dolore lo deve provare perché suo figlio non è al sicuro. Non sa se sia vivo, se sia morto, continua a sperare che quel fantasma torni ad avere un proprio corpo, che torni ad avere un essenza e che torni da lui. Prima di quel momento, l'uomo non ha mai sperimentato il dolore di una madre, ma ora le capisce, tutte, dalla prima all'ultima. Capisce Ameliè che non riusciva a staccarsi da Nate nemmeno per tre giorni fuori porta, capisce Julie che doveva chiamare Maze in continuazione, quando era fuori a far serata con gli amici, capisce Brooke che non si allontana nemmeno un secondo da suo figlio, ricoverato ormai da settimane in ospedale e capisce persino Freya che ha bisogno di dormire nello stesso letto di Justin, per poi rimanere sveglia tutta la notte a controllare che il petto del bambino si alzi e si abbassi regolarmente, senza alcun intoppo. « Non lo dire,
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    Chuck. Non lo dire nemmeno per scherzo. »
    Capisce il dolore di tutte perché ora è anche il suo di dolore. Stringe le labbra, così come fanno le braccia al petto, mentre volge il capo di scatto per guardare fuori dalla finestra, attento a rimanere più tranquillo nei lineamenti del viso. Non che abbia qualche problema ad esternare i propri sentimenti, non sono mai stati un vero problema per lui, ma non vuole farlo per lei. Adotta la tecnica che usa quando deve rimanere impassibile di fronte alle lacrime di una persona alla quale ha appena dato la notizia che il suo parente è appena morto. Aliena completamente la testa, come gli è stato insegnato durante i suoi primi giorni da matricola, si focalizza sul rimanere distaccato, senza lasciar trasparire nulla di ciò che effettivamente prova. Perché il dolore altrui, in quel preciso istante, è più importante del proprio. Così come lo è quello di Julie. « In ogni caso, lo sai che sono d'accordo con te. Sai come la penso sul lavoro del Ministero e della Squadra d'Inquisizione, in questo periodo. E non ho mancato di far notare il mio disappunto a Marchand stesso, non meno di qualche giorno fa. Neanche a me piace questo vigliacco temporeggiare, né mi piace la poca considerazione con cui si stanno portando avanti certe questioni. » Scuote la testa, nel sentire pronunciare il nome di Marchand. L'uomo che aveva perso la metà dei suoi esperti e fidati uomini per mano di riottosi che non avevano né arte né parte. Davvero deludente, quasi quanto l'assoluto non appoggio della Ministra. Il suo ritirarsi dalle scene, per dedicarsi a faccende di ben più grande importanza come lo può essere il suo matrimonio, lasciando il comando a persone incompetenti, aveva fatto sì che la percentuale del suo consenso pubblico ne risentisse pesantemente, tanto da far scaturire vere e proprie manifestazioni fuori dal palazzo del Ministero. E lui, se non fosse un personaggio tanto di spicco nella comunità magica e se non fosse così impegnato al lavoro, sarebbe lì, tra quei manifestanti, ad urlare tutto il suo dissenso nei confronti delle loro mani legate e delle loro braccia conserte al petto. «E' tutto così desolante, è..» Si passa una mano a coprirsi il viso, prima di stropicciarsi gli occhi, insoddisfatto. Non riesce nemmeno a trovare più le parole per descrivere la solitudine che prova. Perché sì, Nate è via da casi per nove mesi all'anno, torna quando vuole, se ne va quando più gli compiace, ma il saperlo al sicuro l'ha sempre fatto sentire pieno. Vivo. In quel momento non prova altro che tristezza e desolazione. «Non lo so. Non so più come riempire questo vuoto. Mi sta inghiottendo e io glielo sto semplicemente permettendo, se non faccio qualcosa di effettivo, di tangibile. Se lascio che siano loro, con i loro metodi lenti e inconcludenti, a fare tutto. Semplicemente non posso stare fermo.» Le lancia un'occhiata, mentre la vede muovere qualche passo, senza però avvicinarsi. Rimane a distanza, quasi volesse osservare lo stesso rispetto che sta osservando lui con lei. « Neanch'io posso più sopportare di starmene qui ferma a non fare niente » Se l'aspettava una risposta del genere? Assolutamente sì. Per quanto voglia bene a Basil, Chuck sa che la personalità forte, tra i due, è sempre stata lei. Quella pronta a prendere le decisioni più drastiche, più inusuali e inaspettate. Perciò non è una completa sorpresa sentirla farsi avanti, a sostenere la sua tesi, eppure è sollievo quello che è possibile scorgere tra i lineamenti del viso dell'uomo, al di sotto del leggero strato di barba rada, del giorno prima. « Non posso garantirti l'appoggio di Basil, ma potrei provare a convincerlo. Se faccio leva sulle note giuste, mi ascolterà. E perfino lui ha capito che continuare ad aspettare una risposta dal Ministero è diventato inutile. Ma tu devi permettermi di aiutarti, Chuck. Ti prego, se hai intenzione di fare qualcosa... non farlo alle mie spalle. Non potrei sopportarlo. » Rimane a guardarla, mentre scivola verso di lui con lentezza. Il grado di intimità che raggiungono quelle parole è talmente profondo da fargli capire perché, nonostante tutto, sia sempre stata lei. Sia sempre stata Julie colei dalla quale è tornato, per avere una spalla, per essere un appoggio, per tornare a sentirsi una persona parzialmente completa. « Non quando ci sono le mie figlie di mezzo. » Stringe allora le labbra, non potendola correggere. Perché ad alta voce non è mai stato possibile chiamarle anche figlie sue. Non ha potuto mai accaparrarsi quel diritto che si è negato spontaneamente, per aiutare un caro amico. Ma è anche per loro che è così profondamente combattuto, è anche a loro che pensa, le poche volte in cui torna a casa dal lavoro e non prova a dormire sul divano del suo ufficio. Vorrebbe parlarne con Julie, vorrebbe renderla partecipe, ma sa di non poterselo permettere, seppur sia figlie di Julie, quanto lo siano sempre state anche di lui, al di là di tutto. Lei sembra capire tutto però, senza alcun bisogno di esprimerlo a parole, tanto da provare a confortarlo con una carezza dolce, lungo il viso. Chuck socchiude appena gli occhi nel sentire quel contatto, vi si crogiola al suo interno fin quando Julie non deciderà di staccarsi, nuovamente. Sospira sonoramente, dando voce a tutta la frustrazione che si tiene dentro da giorni. « Faremo tutto ciò che è necessario per riavere con noi i nostri ragazzi. E lo faremo insieme. » I loro sguardi si scontrano per quelli che sembrano essere dei secondi interminabili. La mano di Chuck che si muove in avanti, alla ricerca di quella di lei. Non vi si stringe intorno, ma i polpastrelli ne sfiorano delicatamente il dorso, quasi a volerle ribadire che lui, per lei, c'è sempre. «Lo faremo insieme fin quando ti saprò al sicuro. Se si presentasse l'eventualità in cui tu non lo sarai più, proseguirò da solo.» Non c'è alcun sentore di obbligo nella sua voce, seppur sia profondamente sicuro delle sue parole. Se la saprà in pericolo, sa benissimo che non ci penserà due volte prima di cominciare a fare di testa sua, lasciandola indietro, lì dove sa che non rischierà la sua vita o la sua carriera. «Posso prometterti questo, se è abbastanza per te.» Il volto che si gira dolcemente, per andare ad incontrare il suo palmo con le proprie labbra. Lo bacia, piano, quasi a fior di labbra, prima di tornare a guardare lei. «Tu dovresti cominciare a raccogliere consensi dall'interno. Nessuno può farlo meglio di te. Abbiamo bisogno di appoggio, se vogliamo anche solo pensare di arrivare da qualche parte. Due persone possono fare l'idea, ma un colpo di stato è un ballo di gruppo.» Comincia a dire, dettagliato e sicuro, come se vi avesse pensato fin troppo a quel piano che le dispiega di fronte agli occhi. Come se avesse passato degli interi giorni a fare macchinazioni e a pensare al tutto. «Io posso organizzare un gruppo di uomini.» Prosegue. «Preparati, che si possano infiltrare tra le fila senza destare troppi problemi. Pronti anche a morire per la causa, pronti a tutto per poter avere delle informazioni di prima mano e nessuno, meglio di coloro che vivono al limitare di Hogwarts, può sapere cosa vi accade all'interno. Potremmo scoprire come metterci in contatto con loro, come lo fanno loro. Potremmo scoprire come Nate, Maze e Gwen stanno.» Come stanno non se sono vivi. «Tu potresti occuparti della parte operativa. Hai a disposizione tutte le Stanze dell'Ufficio Misteri, chi meglio di voi potrebbe scovare la soluzione al problema di questo mistero Alza un sopracciglio, sorridendole, quasi a voler placare un attimo le acque, solo per qualche minuto. Le alza il viso con l'indice, le pizzica il mento, con un sorriso che va ad increspargli le labbra. «Nessuno meglio di te potrebbe usare le risorse extra del dipartimento a proprio vantaggio. Prenderesti, come dire, in prestito ciò che gli altri non riescono ad usare appieno. Una novella Robin Hood.» Scherza, per sentirsi un po' più leggero. «In effetti riesco a vederti nei panni della ladra.» Potrebbe quasi piacermi l'idea. Ridacchia, sommessamente, prima di tornare serio, improvvisamente. «Devi promettermi una cosa però: devi stare attenta. Devi fidarti solo di chi conosci, non cercare aiuto in coloro che conosci da poco e malapena. Basterebbe parlare con la persona sbagliata per far saltare ogni speranza.» La guarda intensamente, rimanendo in silenzio per qualche secondo, prima di avvicinarsi a lasciarle un bacio caldo sulle labbra. Le saggia con soavità, accorgendosi soltanto in quel momento di quanto abbia desiderato quella semplice vicinanza. Scivola all'indietro quasi subito, inclinando il capo, per poi umettarsi il labbro inferiore con la punta della lingua, come a voler carpire ogni goccia di sapore di lei rimasto tra le pieghe di esso. «Per far saltare in aria la tua parte del piano. E se dovesse succedere, non devi esserci tu di mezzo, in nessun modo. Mi hai capito?» Ora promettimelo tu.
     
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    Sono poche le volte in cui Julie Greengrass perde il controllo. Sin da giovane, ha sempre primeggiato nell'arte del distacco e della freddezza, distinguendosi per la sua bravura nel tenere lontane le emozioni e le sue passioni dal suo agire quotidiano. Eppure ci sono stati casi, nella sua vita, o meglio cose (e persone), che l'hanno portata a dimenticarsi per un po' della regola principale - che l'hanno vista abbandonarsi completamente ai propri desideri viscerali, o al suo istinto, senza preoccuparsi di pensare a fondo alle azioni che era sul punto di compiere. « Lo faremo insieme fin quando ti saprò al sicuro. Se si presentasse l'eventualità in cui tu non lo sarai più, proseguirò da solo. Posso prometterti questo, se è abbastanza per te. » Charles Douglas è uno dei responsabili principali di determinati momenti di cecità della sua vita. Non ha mai saputo spiegare il motivo - forse perché alla fine un motivo vero non c'è, forse certe cose semplicemente accadono in maniera casuale - ma quest'uomo è sempre stato in grado di avere un certo effetto su di lei, incapace talvolta di gestire le proprie reazioni. Come nel momento in cui lui volta il viso per baciarle il palmo della mano, e lei si ritrova con una scia di brividi lungo il collo e le labbra leggermente socchiuse. Non dovrebbe reagire così, questo lo sa bene, ma al contempo non è più in grado di tenere addosso quella maschera algida e distaccata ventiquattr'ore su ventiquattro. Sarà l'età che avanza, sarà la debolezza del momento, sarà che Chuck è Chuck. Sarà anche che, sebbene questo suo gesto sia così semplice, lei non è per nulla abituata a questo tipo di attenzioni. Basil le vuole un bene dall'anima, di questo ne è sempre stata certa, ma mai le concede queste tenerezze. Non perché voglia privarla di qualcosa, per carità, ma semplicemente perché per lui non sono naturali, e alla fine un amore si può fingere solo fino a un certo punto. Ecco perché Chuck rende tutto più difficile. Ed ecco perché, con lui, è stata più volte sul punto di mandare tutta la sua vita al diavolo.
    Sospira, piano, lasciando scivolare via la mano dal volto di lui. Quasi non ha ascoltato le sue parole, tanto era concentrata ad ammirare quel volto dai lineamenti perfetti. Ed è sempre questo il problema, alla fine, che in sua presenza Julie sente quasi di ritornare adolescente, con tutte le conseguenze del caso. Per questo ci sono volte in cui se ne distacca completamente, e lo evita, facendo di tutto per stargli lontano e non incrociarlo durante gli eventi ai quali presenziano insieme: perché minaccia la sua lucidità. Scuote piano la testa, una volta elaborate meglio le sue parole, e nel parlare suona più sicura che mai. « Proteggermi non è affare tuo. Devi proteggere loro, Chuck. A tutti i costi. » Sei loro padre. Spera che per lo meno questo sia chiaro. Spera che capisca che l'ultima persona di cui deve preoccuparsi, al momento, è lei. Perché se anche solo fosse necessario esporsi, per riavere le sue figlie, lei lo farebbe seduta stante, e questo non è necessario ribadirlo. Lo lascia parlare, piuttosto, decide di mettersi da parte e permettere che sia lui ad esporre le proprie idee. E più lui parla, più Julie si rende conto che quelli che immaginava fossero ancora solo pensieri confusi si stanno delineando come un vero e proprio piano d'attacco, o meglio, come lo definisce lui, colpo di stato. La donna comincia piano ad avvertire qualcosa di sempre più proibito in quella conversazione, tanto che mentre lui continua ad esporre i propri progetti lei si ritrova, per precauzione, a tirar fuori dalla tasca del tailleur la propria bacchetta e a castare un Muffliato non verbale che protegga la stanza da eventuali curiosi. Non che s'immagini che qualcuno li stia spiando al momento, ma in questi casi, e di questi tempi, non si è mai troppo cauti.
    Annuisce alle sue indicazioni, mordendosi sovrappensiero il labbro inferiore. Raccogliere consensi all'interno del Ministero per qualcosa che è decisamente lontano dalle vie canoniche è qualcosa di difficile, ma crede di avere qualche persona già in mente a cui rivolgersi. Gente fidata che non potrebbe mai tradirla, e che anzi potrebbe essere loro utile nell'impresa. Quando poi l'uomo sposta l'attenzione sul gruppo dei suoi uomini che s'infiltrerebbero fra le fila dei ribelli, per scoprire informazioni nuove, Julie non può fare a meno di storcere un poco le labbra, non troppo persuasa. Non è mai stata del tutto convinta di certe conoscenze di Chuck, così lontane dal loro mondo e così imprevedibili, talvolta. « E tu sei sicuro che questi uomini ti siano fedeli al cento per cento, Chuck? » Pronti a morire per la causa, ha detto. Ma è davvero così? Perché le parole sono una cosa, ma le azioni... « Non stiamo giocando qui, penso che tu lo sappia. E non possiamo permetterci alcun margine di errore. Non puoi affidare qualcosa di così importante a persone che potrebbero ritrovarsi ad essere trascinate dai moti della rivolta, da certe ideologie, chissà... Io mi fido ciecamente di te, Chuck. » Lo guarda negli occhi adesso, perché è importante che questo sia chiaro.
    G17T42H
    Che lui avrà sempre il suo appoggio più completo, che mai si ritroverà a dubitare della sua lealtà. Ma le altre persone, beh, quelle sono un conto a parte. « Ma ho bisogno che tu mi assicuri che questi uomini siano davvero pronti a morire per te. Per Maze, Gwen, e per Nate. Per loro prima di tutto. » Loro sono la cosa più importante, da proteggere e da salvare. Il più rapidamente possibile.
    « Tu potresti occuparti della parte operativa. Hai a disposizione tutte le Stanze dell'Ufficio Misteri, chi meglio di voi potrebbe scovare la soluzione al problema di questo mistero? » Annuisce piano, sospirando, senza però riuscire a ricambiare il suo sorriso beffardo. Il suo lavoro al Ministero è sempre stato qualcosa che fatica a condividere. Un po' per la natura della mansione, che di per sé richiede la massima riservatezza, un po' per una sua chiusura naturale. Ci sono tante cose che studia, giorno dopo giorno, tante realtà che ha imparato a conoscere, all'Ufficio Misteri, e delle quali non ha mai fatto parola con nessuno, se non con i suoi colleghi. Cose che non la fanno dormire la notte, a volte. « Prenderesti, come dire, in prestito ciò che gli altri non riescono ad usare appieno. Una novella Robin Hood. In effetti riesco a vederti nei panni della ladra. » E questa volta si concede di lasciarsi andare ad una risata leggera e altrettanto breve.
    Si stringe nelle spalle, abbassando per qualche istante lo sguardo dal suo. « Sarà perché ho rubato così tanti cuori nella mia vita, ormai... » scherza, roteando gli occhi al cielo, e accompagnando quella piccola battuta con un movimento teatrale della mano, con la quale si scosta i capelli dalla spalla.
    « Devi promettermi una cosa però: devi stare attenta. Devi fidarti solo di chi conosci, non cercare aiuto in coloro che conosci da poco e malapena. Basterebbe parlare con la persona sbagliata per far saltare ogni speranza. » Queste parole la costringono a tornare seria allora, e gli rivolge un breve cenno con la testa: a prescindere da cosa faccia, Julie Greengrass sta sempre attenta. Rimane immobile mentre lui si avvicina con il volto al suo, e si spinge un po' di più in avanti solo quando le loro labbra entrano a contatto, quasi come in un riflesso automatico. Lascia che si allontani però, e resta sul proprio posto, a mordersi il labbro inferiore per poter avvertire ancora il suo profumo. Sono questi i momenti che la distruggono, che le tolgono la capacità di giudizio. Queste le volte per cui gli chiederebbe di lasciar perdere, di non rischiare né mettersi in mezzo in alcun modo. Queste le debolezze che non può concedersi, non adesso per lo meno. « Per far saltare in aria la tua parte del piano. E se dovesse succedere, non devi esserci tu di mezzo, in nessun modo. Mi hai capito? » Sospira e annuisce, mentre fa un passo indietro, per poi voltargli le spalle. Sarebbe inutile negare questa sua richiesta, anche perché lui dovrebbe saperlo, che lei farebbe comunque di testa sua, dovesse presentarsi una situazione del genere.
    Compie qualche altro passo verso il centro della stanza, per poi voltarsi nuovamente e guardarlo, a una certa distanza. Deve sforzarsi per raccogliere tutte le forze che ha in corpo, così da tornare a essere Julie Andromeda Greengrass, quella donna perfetta e impeccabile che ha sempre tutte le risposte giuste sulla punta della lingua, e abbandonare Julie, la madre devastata, la donna sola e triste, in un angolo della sua mente. È necessario che sia forte. « Stai parlando con il Capo degli Indicibili, Chuck » gli ricorda allora, appoggiandosi con una mano allo schienale di una delle poltrone della stanza. Il suo tono è sereno, seppure perentorio. « Penso di essere abbastanza brava con i segreti, e nel non far scoprire le cose alla gente. » Ridacchia piano, lo sguardo che vaga per la stanza, per poi tornare su di lui. « A me servono le informazioni, lo sai. È quello che ci manca più di tutto, per capire che cosa è successo effettivamente lì dentro. Fino ad ora abbiamo capito che deve esserci stata una sorta di Maledizione a bloccare tutto, a rendere quel luogo invisibile e quelle persone introvabili. Magia Nera, è ovvio. Ma quello che sappiamo al momento è troppo poco per portare avanti le ricerche. » Dove sono, esattamente? Quanti sono? Come è successo tutto quanto? Possono vederci, da lì? Cosa sta succedendo lì dentro, mentre sono invisibili ai nostri occhi? Come si può comunicare con loro? Una serie di interrogativi che si è posta giorno dopo giorno per mesi, ma ai quali non è in grado, da sola, di trovare una risposta. Se non con un aiuto esterno. « Tu fammi avere più informazioni possibili. Non importa come. Non me ne frega nulla se qualcuno deve morire, o se sarete costretti a torturare chi sa qualcosa. Usate il Veritaserum, per Merlino, fate quello che volete. Ma è essenziale sapere nel dettaglio che cosa sta succedendo, per capire che cosa ha scatenato tutto questo. Prima scopriamo qual è il sortilegio che li ha intrappolati lì, prima troveremo il modo per spezzarlo. » E li riabbracceremo.
     
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