are you afraid of the dark?

Kurt

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    don't let them kill the wild animals inside of you

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    Tutte le mattine succedeva più o meno la stessa cosa: Nirvana rivolgeva un cenno con la mano al fratello maggiore e si tuffava lesta nei corridoio centrale per la spedizione giornaliera alla ricerca di beni necessari, sperando di poter reiterare il gesto la sera stessa, quando una delle sale comuni si sarebbe riaperta per lasciare agli studenti le poche ore di tregua a loro concesse. Non sapeva bene nemmeno lei come la stava prendendo, tutta la faccenda dell'anatema: dormiva di rado già prima che Hogwarts si trasformasse in una giungla di sopravvivenza e se la cavava discretamente bene con i nascondigli e la corsa. Si era anche sorpresa nello scoprirsi dignitosa nel compiere alcuni degli incantesimi che in classe aveva pigramente eseguito, con la naturale calma di chi non è nella situazione di strizza e non è costretto a salvarsi la pellaccia. Ma poi veniva la parte urticante, quella che la stava mettendo alla prova a dispetto di chi era sempre stata il giorno che aveva preceduto la dipartita di Kingsley: fare i conti tutti i minuti con l'ipotesi di lasciarsi alle spalle una persona a lei indispensabile. Glielo aveste chiesto un giorno prima, avrebbe scrollato le spalle e vi avrebbe rivolto un'espressione da schiaffi, inarcando le sopracciglia e dissolvendosi dal vostro raggio visivo, intimandovi che lei non aveva bisogno di nessuno e che meno aveva Dorian tra le scatole maggiormente la sua esistenza sarebbe rimasta beata e contenta. Non che non lo amasse, ma non vederlo per tre giorni sapendo che al quarto si sarebbero rivisti, avrebbero fatto pace per poi tornare a scornarsi con un qualunque pretesto - un po' per sfogo un po' per evidenti differenze caratteriali - non permetteva a preoccupazione alcuna di assalirla. Ed invece nel giro di una sola notte, la notte in cui tutto era cambiato e niente sarebbe stato come era prima, era arrivata a nuove consapevolezze ed immaginava un giorno in cui avrebbe bussato alla sua porta e quella sarebbe rimasta chiusa a doppia mandata: erano state una marea preoccupazioni, a quel punto, a travolgerla tutte insieme con la potenza di un maremoto. Di notte teneva gli occhi azzurro cielo puntati sulla figura mingherlina del Tassorosso, con compulsiva ossessione, con la paura che il soffitto potesse crollargli addosso o il pavimento ingoiarlo in un sol boccone, socchiudendo gli occhi e fingendo di prender sonno soltanto quando si accorgeva che fosse l'animo di Dorian essere in pena per lei. Invero - e lo sapeva bene - egli sarebbe stato molto più capace di lei di sopravvivere all'apocalisse in corso: campione in tutto, eccellente negli incantesimi di difesa ed attacco e formidabile su una scopa, il grado di cruccio per la sua capacità di restare in vita sarebbe dovuto essere proporzionalmente maggiore. Ma a sentire Nirvana andava tutto bene: le sue lunghe gambe l'avrebbero portata lontano e le sue esili dimensioni le avrebbero permesso di cercarsi un angolo dimenticato e restarsene lì qualche ora. « Sicura? Sto più tranquillo se ti scorto io. Esser stata la campionessa di nascondino ad otto anni non ti salverà da un bolide impazzito o peggio, dai demoni di cui si sente tanto parlare » Ma ecco che un compagno di casata di Dorian gli chiese dove aveva trovato il toast che aveva appena addentato ed il Tassorosso si voltò che, alla velocità di un battito d'ali di un colibrì, Nirvana era già sparita.

    Camminava a spron battuto da dieci minuti, mentre si diceva che quando (se?) tutto sarebbe finito non avrebbe voluto ritrovarsi in debito con suo fratello, dovendo ammettere al mondo intero di aver adottato il ruolo di principessa da salvare. Certo, era suo fratello e certo sarebbe stato meno grave che ripagare uno sconosciuto o una figura a lei ostile, ma era pur sempre un'immagine di sé con cui avrebbe fatto a botte tutta la vita. Non era una questione di coraggio, nel suo caso: mai la prima a proporsi e sempre troppo composta per sfidare il destino, non schizzava tra i corridoi in solitudine per dimostrare il suo valore ma, egoista e cocciuta, per saziare la sua sete di sapere. Quell'ultima notte infatti, un pensiero aveva condiviso lo spazio nella sua testa con l'eterno struggimento per il fratello maggiore: un'intuizione che la spingeva a credere che, nel caos d'un castello in cui non facevi in tempo a capire come eri sopravvissuto ad un fantasma fluttuante incazzato che venivi investito da altre calamità magiche e naturali di ogni tipo, vi fosse un luogo la cui attività avesse una parvenza di logica. Veramente un'intuizione e nulla di più: era stato un caso, che la sua compagna di stanza Aine le avesse raccontato di essersi rifugiata nella Stanza delle Necessità con la speranza di trovarvi respiro e si fosse ritrovata a dover affrontare la sua peggiore paura. Stessa cosa un altro ragazzo Serpeverde della sua classe, rientrato in Sala Comune con il supporto fisico e morale di due ragazzi che raccontavano di averlo visto delirante ciancicare parole riguardo la presenza di un drago sputafuoco, prima di vederlo svenire sul pavimento. E mentre i fantasmi non la lasciavano dormire e se ne stava quieta ad osservare la chioma bionda del fratello darle il turno per il riposo, aveva udito una terza ragazza della sua età raccontare sottovoce ad un altro di averci trovato suo padre, irato per i fallimenti della figlia. Insomma, tutti indizi che la riportarono alla lezione di Difesa Contro le Arti Oscure di due anni prima, quando un molliccio con le sembianze di drago era stato respinto trasformando il suo getto in una nebulosa profumata di rose ed un padre severo, figura temuta dalla ragazza che l'aveva invocato, aveva lasciato spazio ad un rapper che aveva rimato un'ode alla figlia migliore dell'universo. Ricordava bene la sensazione che aveva provato durante quella lezione: razionalmente, non si aspettava affatto che quella potesse essere la cosa di cui aveva più paura e quando si ritrovò ad affrontarla, di fatto, non ne fu in grado. Investita da una nuova consapevolezza, si era ritrovata immobile, spaesata: come fronteggiarla? Le ci vollero mesi per attutirla, comunque non abbastanza da lasciare il professore soddisfatto o il suo cuore libero dalla morsa che da quel giorno non avrebbe smesso di agghiacciarla. La questione era, a ben vedere, ancora lontana dall'essere risolta, e nemmeno la logica che l'aveva portata lì l'avrebbe liberata da quell'angoscia che l'assillava, martellante come un tamburo di guerra. Che le sue teorie un po' troppo creative potessero essere fondate, in ogni caso, non ci credeva nemmeno lei, ma si spinse comunque fino alla Stanza delle Necessità, pronta ad affrontare qualunque altro tipo di ostacolo con la bacchetta saldamente stretta tra le dita. Attese che la mastodontica porta si materializzasse al posto del muro di pietra mentre rifletteva sul fatto che forse era stata troppo ingenua, che c'era la possibilità che da quella Stanza non sarebbe mai più uscita. Si stava preoccupando allora di non aver lasciato un biglietto con su elencate le ultime volontà, quando Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, il personaggio principale dell'arazzo del settimo piano, prese ad urlarle contro minaccioso. « Tu! Non sai che cosa vuol dire passare tutta la vita ad imparare l'arte della danza classica, volerla impartire gratuitamente e per ringraziamento ricevere legnate, EH! » Nirvana lo guardò con espressione accigliata ed un po' interdetta, inarcando un sopracciglio ed osservando la figura in tutta la sua immensa bruttezza. Fu tentata di risistemare la otto pollici e tre quarti nella tasca, speranzosa di poter liquidare Barnaba con un paio di finte parole di conforto al massimo. « Hai la stessa espressione vacua di un troll, ragazzina. Sai che c'è? Adesso ti bastono io! » E magicamente accadde qualcosa che Nirvana mai avrebbe pensato potesse accadere, sicura non fosse mai accaduta nella storia del dinamismo degli arazzi del castello e la costrinse a fare un balzo rapido all'indietro: Barnaba era balzato fuori dal quadro ed agitava contro di lei un enorme mazzafrusto appuntito. Mentalmente elencò rapida tutti gli incantesimi che avrebbero potuto respingerlo, ma l'avrebbero distrutto per sempre: come al solito il cervello si mosse più in fretta della mano con cui impugnava la bacchetta e, a dispetto di tutte le lezioni di danza che non volle mai prendere da ragazzina, alzò rapidamente le braccia e le unì sopra le testa. Lottando contro la sua postura vagamente storta e rigida, si alzò sulle punte e poi volteggiò goffamente, compiendo quella che a grandi linee sarebbe dovuta risultare una piroetta. Fortunatamente il suo fisico longilineo si muoveva con naturale grazia ed il risultato non fu così disastroso: aveva pensato che assecondando la passione per la quale Barnaba era morto, forse, sarebbe riuscita a placare la sua imperitura ed un po' confusa sete di vendetta. La Serpeverde tentava di rimanere più immobile di quanto sarebbe dovuto essere quel dannato quadro, con lo sforzo di tenere le braccia altrettanto ferme in aria e gli occhi spalancati e sul punto di scoppiare in lacrime che fissavano quelli trasparenti del fantasma, implorando pietà. « Ottimo, davvero ottimo! Voglio la Seconda e la Terza Posizione per la prossima volta! » fece il quadro applaudendo mentre si ritirava e la porta per la Stanza delle Necessità lentamente si faceva nitida alle spalle della Serpeverde.

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    Doveva aver desiderato di risultare credibile più di quanto non lo fosse realmente stata, perché la porta si era materializzata giusto il tempo che Nirvana vi si infilasse con la velocità di un felino, dicendo addio per sempre a Barnaba, al settimo piano e soprattutto alla danza classica. Appuntò mentalmente che i quadri potevano uscire dalle loro postazioni e minacciare la gente di morte e si ripromise di dirlo al fratello non appena sarebbe tornata, se sarebbe tornata. Si guardava intorno, mentre si avvicinava al centro della Stanza diminuendo il passo, stretta negli stivali neri che indossava dal giorno del banchetto. Sì, perché lei nemmeno ci era andata a quel dannatissimo evento catastrofico scombina-vite, confinata com'era stata nella Sala Comune Serpeverde a svolgere i compiti arretrati. Era rimasta tutta la sera con i compagni di casata che non avevano trovato alcun accompagnatore o che avevano preferito fare altro, e a metà serata si era ritrovata con una combriccola di gente più o meno conosciuta a fumare erballegra nei sotterranei. La maggior parte erano più grandi di lei e, mentre rispondeva alle frecciatine di qualcuno lanciando altre stoccate qua e là, aveva guardato spesso questo ragazzo del settimo anno di cui non ricordava il nome - o che forse non aveva mai saputo - che non avrebbe mai potuto dimenticare: non aveva detto una parola ma se ne era stato lì, con quell'aria tragicamente affascinante ed il sorriso più inquietante che avesse mai visto. Nel momento in cui anche lui l'aveva guardata, si ricordò di essersi sentita come spogliata sotto il peso del suo sguardo, come se avesse potuto vedere oltre la sua carne: ma era stata una sensazione breve, perché poi l'aveva perso di vista sparendo chissà dove nel buio dei cunicoli sotterranei. Insomma da quel giorno era stato difficile procurarsi ogni genere di bene primario: l'assenza di un pasto regolare aveva portato le sue occhiaie a solcarle il volto più in profondità e le ossa a sporgersi dalla carne, e riuscire a trovare abiti nuovi e puliti in giro per il castello era diventata un'impresa a dir poco ardua. Rivolse lo sguardo al camino spento, Nirvana, avvertendo una sensazione di gelo nelle ossa: aspettò qualche minuto, ma oltre alle temperature di parecchi gradi più basse la Stanza sembrava la stessa dell'unica volta in cui ci era già stata. Si mise in ginocchio, sfregando freneticamente le mani alla ricerca di una fonte di calore: dalle finestre butterate entrava uno spiraglio flebile di luce, grigiastra per via della nebbia che avvolgeva la tenuta all'esterno. Aspettò qualche altro minuto ma non. stava. accadendo. nulla. Niente di niente. Da fuori ogni tanto entravano degli aggressivi e sferzanti spifferi di vento che le arrossirono le guance e le fecero sanguinare gli occhi cobalto. Rivolse uno sguardo al lampadario spento sulla sua testa. Si era forse sbagliata? Doveva essere per forza così, o a quel punto la sensazione terribile che aveva provato di fronte al molliccio sarebbe già tornata a tormentarla. Lentamente fece per ritornare in posizione eretta e, d'un tratto, come se pilotate da una forza oscura, le luci svanirono tutte assieme e fu improvvisamente buio pesto. Si guardava intorno con la faccia terrorizzata, sconvolta: gli occhi spalancati tentavano disperatamente di aggrapparsi ad un qualche barlume, ma l'oscurità rispondeva prevaricatrice con nient'altro che tenebre. Fu allora che avvertì una presenza dietro di sé, e la sensazione che potesse veramente aver ragione la annichilì. « Chi sei? » sussurrò con voce spezzata mentre frenava prepotentemente il tremolare delle proprie gambe, con la paura che la figura potesse rispondere come il molliccio quella volta: sono te, Nirvana. Sono inetta, imperfetta ed ogni cosa che dico riflette esclusivamente la mia egoistica volontà di potenza. Fallirò. Cadrò. Perderò tutto quello che credo di avere. La versione di te che tenti di inculcare al mondo non esiste, mentre io sono reale.

    Edited by nirvæna - 22/12/2017, 06:12
     
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