We don't submit to terror

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  1. AresCarrow
         
     
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    Nel combattimento smetto di pensare.
    La lotta è azione, istinto, annullamento di se stessi a favore di qualcosa di più antico e ancestrale, una parte animale ancora abituata a vivere nel presente. La spada dell'armatura fende l'aria nel tentativo di spiccarmi la testa dal corpo ma - abbassati! - riesco a schivarla senza troppe difficoltà. Incasso la testa, carico il peso sulle gambe e poi spingo in avanti, a tirargli una spallata con forza. Colpisco il metallo al centro esatto del pettorale, facendolo barcollare con un suono sordo, e poi muovo la bacchetta per scagliarla lontano. Il fracasso dei pezzi di metallo che si infrangono contro il muro decreta la fine di quel misero scontro. Mi raddrizzo e mi sistemo, esalando un profondo respiro prima di guardarmi intorno. I ragazzini che sono intervenuto a tirare fuori dai guai sono già scappati, precipitandosi giù dalle scale, ma di sicuro non riesco a fargliene una colpa: mi sarei adirato del contrario, e comunque non credo mi avrebbero trovato una compagnia piacevole.
    In pochi lo fanno, ultimamente.
    Mi passo una mano sul viso e ripongo la bacchetta nella tasca, scrocchiando il collo. E' la terza trappola in cui mi ficco, oggi, e inizio ad essere stanco. Senza pensarci inizio a seguire le ombre che si muovo lungo il corridoio, confidando che mi indirizzino verso la Sala Comune che dovrebbe aprirsi di lì a poco. Non sto facendo molta vita di comunità, in questo ultimo periodo, almeno dal giorno della mia discussione con Amunet. Con l'eccezione di qualche ora passata con i membri del Clavis - Edric e Rocky in testa, seppur per motivi diversi - l'unica persona con cui passo del tempo volentieri è Tallulah e anche lei quasi esclusivamente la notte, quando ci infiliamo sotto la stessa coperta. Mi piace il calore che mi trasmette, ne ho bisogno.
    Il resto del tempo l'ho passato girando di trappola in trappola, per tirare fuori chiunque ci si fosse cacciato dentro o anche solo per il gusto di affrontarle, una dopo l'altra, e uscirne vincitore. Non conto nemmeno più le persone che ho tirato fuori dai guai, e mentirei se dicessi che mi importa: il salvarli è un effetto collaterale della ricerca di me stesso che sto affrontando. Ne ho ricavato qualche ferita, ovviamente, e il grosso livido che spicca sulla parte sinistra del viso ne è solo l'esempio più visibile, ma vi ho trovato anche molto altro che non pensavo. Nella battaglia il pensiero acquista chiarezza, lucidità, e la persona che ne esce è sempre un pochino diversa da quella che vi è entrata. E armonia. Una nuova armonia con le voci che mi circondano, con quelle ombre che mi parlano e mi guidano e mi permettono di uscirne illeso ogni volta.
    Sento dei passi in un corridoio vicino, e faccio per voltare in modo da evitarli quando percepisco un'esitazione nelle ombre che mi anticipano. Mi fermo al centro di quell'incrocio di corridoi, e mi volto incuriosito. E' Amunet a venirmi incontro, e per qualche momento pare che non si accorga di me. Non ci siamo più parlati dal giorno della guferia, ne io ho fatto nulla per inseguirla, un po' perché ciò che aveva detto mi importa meno del fatto che avesse tirato fuori nuovamente la grinta necessaria a sopravvivere qui dentro, e un po' perché le sue parole mi hanno dato molto, troppo forse, su cui riflettere.
    Su di lei, su di noi, su ciò che è successo a nostro padre.
    E su di me.
    Soprattutto su di me.
    Ho modo di guardarla per qualche momento ancora, prima che mi noti, e poi non so bene come comportarmi. Così mi sposto, impassibile in viso, e mi appoggio all'angolo con una spalla, in attesa che lei mi raggiunga o passi oltre. Neutro, come il cielo che copra il castello da settimane, ormai. Neutro come quel silenzio che, finora, avevamo sempre saputo riempire di significati.
     
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    Si era data da fare. Aveva ritrovato le energie per rimettersi in moto e fare qualcosa. Il più delle volte era terribilmente divisa, preoccupata, colma di pensieri e dissidi interiori, ma il castello era un ottima prova per non restare ferma. Spesso la si poteva sorprendere china su quella maledetta mappa; seguiva i nomi di ciascuno di loro; Ares, Fred, Nate, Maze, Betty, Olympia, Malia, Fawn, persino di persone che a malapena conosceva e con cui forse ci aveva scambiato si e no due parole in croce in tutta la sua vita. Alla maggior parte non si avvicinava nemmeno lontanamente, non ci parlava, li osservava nell'ombra; con altri la situazione era semplicemente strana. Per esempio la situazione con Fred.. quella era davvero strana. Parlavano sì, ma tra loro c'era sempre quel leggero velo di imbarazzo scaturito forse dai freni interiori che volente o nolente la ragazza si sentiva addosso. L'unico con cui si sentisse effettivamente a proprio agio era Nate, oltre a Maze che era sempre una costante nella sua vita, e alla loro compagnia si affidava più del solito; di cosa Douglas e gli altri avessero fatto non gliene importava più di tanto. Non condivideva, ma capiva, e su quell'argomento non ci si soffermava nemmeno lontanamente, semplicemente perché non voleva rattristarlo o rabbuiarlo e poi anche e soprattutto perché in un certo qual modo si sentiva colpevole di quella rotta che il fratello aveva preso in sua assenza. Per la maggior parte del tempo, era sempre attiva, sempre a correre di qua e di là, senza un moto ben preciso. Stava in compagnia dei più piccoli, per la gioia di chi effettivamente poteva essere più utile in altri modi. Di ronde tutto sommato ne faceva poche, semplicemente perché Mun non era una guerriera, non era una da assalto, e seppur sapesse cavarsela da sola, era pur sempre piccolina e mingherlina, e l'azione non faceva al caso suo. E così spesso e volentieri, Mun si riduceva a fare ciò che in un certo qual modo aveva promesso di fare; sostituire Albus Potter; esserlo, se necessario, per quanto la cosa era davvero fuori da ogni logica. Fare ciò che lui avrebbe fatto. Non lo conosceva abbastanza bene per sapere come si sarebbe comportato, non sapeva cosa lui avrebbe fatto in tante di quelle occasioni, ma tutto sommato, stava facendo un buon lavoro. Raccontava un sacco di menzogne a quei poveri poppanti, ma mentre sui più grandi la storia dell'è sparito e potrebbe non tornare più poteva funzionare - semplicemente perché il tempo per darsi alle ricerche, rispetto alla sopravvivenza, era chiaramente limitato, soprattutto quando nessuno sapeva di preciso da dove cominciare - sui più piccoli, affrontare un discorso tanto complicato come un'ipotetica morte era decisamente più complicato. Così si era data alle fantasticherie, non solo conquistandosi l'affetto dei cuccioli di Hogwarts, ma anche dando una versione piuttosto verosimile su quanto sia successo ad Albus Potter. L'ho visto scomparire all'interno di un libro in biblioteca. Probabilmente sta affrontando draghi celestiali e quando tornerà avrà un sacco di storie da raccontarvi. In tanto siete con me, e io giuro solennemente di non permettere che vi capiti nulla di male. L'approccio coi marmocchi era complicatissimo, davvero tanto, soprattutto quando a mettercisi c'era anche Ryuk che di tanto in tanto imperlava l'atmosfera già di per sé difficile da reggere, con i suoi commenti cattivi su come lei fosse un'assassina, e una bugiarda patologica e via così. Perché in fin dei conti, Ryuk pensava di essere l'unico a sapere la verità. Ryuk era certo che Albus Potter era morto e ora marciva sul fondo del lago nero, ucciso per mano della Carrow. E quindi, l'ultima settimana l'ha passata così; tra l'imbarazzo della scelta delle persone da evitare o con cui non voleva o non poteva parlare e una serie infinita di balle raccontate con un dolce sorriso sulle labbra. Oggi Miles si è perso. Non sa di preciso quando è sgusciato via da sotto il suo naso, uscendo dalla biblioteca. Così, dispiegando la mappa del malandrino, gli occhi della Carrow avevano iniziato a cercare il nome del bambino tra i vari locali del castello così come lungo le contorte linee degli esterni. Era da qualche parte al quarto piano. Da solo. Sbuffò infastidita scuotendo la testa. « Moses, ci puoi pensare tu per un po'? Uno degli elfi si è perso. Vado a recuperarlo. » Li teneva spesso in biblioteca, almeno finché la grande piovra che dominava il Lago Nero non faceva capolino. Aveva iniziato ad annotarsi il susseguirsi delle trappole più o meno dal giorno in cui aveva spedito Potter nella Foresta. I primi giorni l'evidenza di quelle annotazioni non le sembrò del tutto chiara, ma il continuo ripetersi dello stesso schema, aveva fatto sì che comprendesse come tutte le trappole scattassero in un ritmo ben preciso, e seppur non avessero orologi per misurare il quando, ormai poteva dire con certezza che la biblioteca era più o meno sicura finché il mostro nel lago non iniziava a creare danni. Perché si sa, dopo il lago, segue la biblioteca. Ogni giorno - se di giorni si può parlare.

    « Ecco dove ti eri cacciato! » Dice infine nel vederselo parare davanti agli occhi. Sospira sollevata quasi come se tenere quei marmocchi al sicuro fosse questione di vita e di morte. Non ci sto credendo. Mi sto seriamente affezionando agli elfi domestici? Alza gli occhi al cielo scacciando quel pensiero, mentre lo afferra per il colletto con un certo furore. « Miles! Lo sai che devi chiedere permesso a me o a Mo.. a Dean prima di uscire dalla biblioteca. » Il biondo sbuffa di rimando. Le sembra quasi di vedere qualcun altro. Te li sei anche plasmati a tua immagine e somiglianza eh? Prendono a camminare velocemente lungo i corridoi, tempo in cui Miles le racconta l'epopea in cui si è cacciato. « Ho visto un'ombra prima, mentre eravamo in biblioteca. Mi era sembrato di vedere.. » Il bambino si interrompe scuotendo la testa. « ..devo aver visto male. » La mora solleva un sopracciglio con fare sospetto, ma non si cura di quanto il biondo le stia dicendo, semplicemente perché di allucinazioni non vuole sentir parlare. Continua semplicemente a guidarlo per i corridoi. La bacchetta serrata nella mano destra e la mappa nella sinistra. Si trovano in una zona altamente trafficata, motivo per cui non ha motivo di preoccuparsi per il momento di eventuali trappole. Ed è allora che, mentre sta seguendo il suo nome e quello di Miles spostarsi lungo i corridoi, un nome nuovo le si para di fronte agli occhi. Aggrotta le sopracciglia e sospira mentre liquida le tracce di inchiostro sulla pergamena con un semplice. « Fatto il misfatto! » Si la infila nella tasca del cappotto per poi sollevare lo sguardo nella direzione in cui sa già che troverà niente meno che Ares.
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    C'è un istante in cui il cuore di Mun batte forte. C'è il panico, e tutti i sensi di colpa per quell'ultimo discorso che gli ha fatto. Se ne pente? No. Non se ne pente, perché Mun sa di averlo fatto per lui. A volte una brutta verità è meglio di una belle bugia, e Mun di belle bugie ne raccontava tutti i giorni, con una maestria inaudibile. Qualcosa tuttavia era cambiata. Qualcosa le aveva fatto cambiare idea. Un imprevisto che non aveva considerato e che ora stava facendo sì che riconsiderasse tutto il suo universo. Aveva sbagliato a restare in silenzio per tutto quel tempo, a non urlare al mondo il suo disagio e il suo disappunto. Aveva sbagliato a pensare che, il destino di ciascuno fosse unicamente proprio. Siamo sempre soli; ma non dobbiamo esserlo per forza. C'è sempre qualcuno che ci tende una mano in un modo o nell'altro. Oppure in alternativa c'è sempre qualcuno che ci sbatte in faccia la verità, per quanto terribile, e allora sta a noi decidere se accettarla e lasciare le cose come stanno, oppure riconsiderarci, reinventarci. Quindi, per quanto Mun sapesse che le sue azioni erano tutto fuorché giuste, aveva iniziato improvvisamente a voler rendere la sua realtà diversa. Voleva pensare che da un male potesse nascere del bene, che un'azione torta, potesse far sbocciare qualcosa di positivo. Non era certa che fosse il soggetto più adatto a portare avanti un simile rovesciamento, ma voleva credere che Ares ne avrebbe tratto le giuste conseguenze per se stesso, anche a patto di odiarla; era disposta a diventare un mostro se ciò gli avrebbe donato serenità e lo avrebbe portato a darsi una svegliata. Ma poiché nonostante tutto, era orgogliosa, estremamente inflessibile, e poco incline a rinunciare alla sua imprescindibile dose di ragione - anche quando la ragione non ce l'aveva del tutto dalla propria parte, Mun tutte quelle cose non gliene disse. Non gliene disse allora, come non avrebbe avuto l'intenzione di dirle nemmeno adesso. C'è un momento in cui i loro sguardi s'incontrano; e Mun sa, sa che dovrebbe fermarsi, parlargli, chiedergli come sta. Ma non ci riesce. Una parte di lei non vuole farlo, perché Mun si sente per la prima volta libera, libera di non appartenere a nessuno, libera di non dover rendere conto a nessuno e di non dover pretendere che nessuno la protegga, rischiando la propria vita. Si sta basando unicamente su se stessa, e forse, in parte, su un elemento accidentale, fluttuante nell'aria, lontano, a tratti etereo eppure tangibile. E quindi, non appena quello sguardo diventa impossibile da reggere, si ferma per un istante, lo analizza dalla testa ai piedi. Sta bene. Non che fosse un'informazione del tutto estranea a lei. Lo ha sempre osservato, non ha mai smesso di tenerlo d'occhio seppur da lontano, ma questo è il massimo che la sua volontà riesce a fare in quel momento. E allora, abbassa lo sguardo sul bambino al suo fianco, gli circonda le spalle e passa oltre, ben intenzionata a tornare dagli altri, per continuare il compito che da sé si è assegnata finché sarà necessario.

     
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  3. AresCarrow
         
     
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    E il silenzio si fa assoluto mentre lei rallenta fino a fermarsi.
    Le ombre tacciono, il ragazzino che è con lei non parla, perfino i rumori abituali del castello si fanno lontani, distanti, più facili da ignorare.
    In quell'istante spero che sia lei a dire qualcosa, a fare quel primo passo che io non sono in grado di compiere, per orgoglio e per amore, ma il silenzio si prolunga e noi restiamo entrambi trincerati dietro le nostre convinzioni. Amunet riprende il suo cammino e io resto lì, fermo in corridoio, ad aspettare che il rumore dei suoi passi prenda ad allontanarsi.
    Lascio che si allontani, che vada, e mi prendo il tempo di godere di quella ritrovata solitudine, della nuova capacità di lasciarla andare, di lasciarla libera. Significa forse che non mi getterei fra le braccia del Platano Picchiatore armato solo di coraggio e tanta buona volontà, se occorresse? No, quello assolutamente no. Perché non dipenderebbe da lei - ne da Tallulah, da Nate, da Edric o da tutte le altre persone per cui lo farei, anche con la certezza di non uscirne - ma da me, dal mio modo di vedere il mondo. Su quello aveva ragione, Mun, nel parlare dell'amore che provo, o non provo, per me stesso ma ho scoperto che le due cose non sono strettamente legate come pensavo, come sembra sia lei a pensare.
    Perché ho scoperto che non mi importa affatto che loro lo facciano o meno per me.
    Perché ho scoperto che non mi importa affatto di cosa significhi essere un Carrow.

    - Miles, puoi lasciarci da soli, per cortesia? -
    La nostra famiglia è una di quelle che ha permesso che si arrivasse a quella situazione, e anche su quello Mun aveva ragione. Siamo stati cresciuti male, e continuo a pensare che non sia una novità, ma siamo stati cresciuti per essere il genere di persone capaci di portare avanti quello che ci circonda, di ricrearlo, di espanderlo e diffonderlo. Essere un Carrow vuol dire mettere se stessi al primo posto, davanti a tutto, al punto da diventare il genere di persona capace di trasformare un castello in una trappola mortale solo per vendicare la propria morte. Mun è apparsa sconvolta da quel pensiero, dalle conseguenze che quella convinzione di Eddy Kingsley ha avuto sulla vita di tutti noi, ma io non l'ho mai trovato affatto strano. Concettualmente, a guardarlo da fuori, è stata una mossa strategica estremamente ben studiata, e non si discosta molto da biblico "muoia Sansone con tutti i filistei".
    Il problema è quando ti trovi dalla parte dei Filistei.
    Ho lasciato che si allontanasse, poi l'ho seguita fin quasi a raggiungere gli altri. Non so se è stata una sorpresa, per lei, ne era importante che lo fosse. Siamo comunque abbastanza vicini perché il ragazzino possa fare gli ultimi passi da solo, e per quanto ne so non ci sono trappole davanti a noi. Non che si possa dire con certezza, ultimamente. Aspetto di restare da solo con lei, comunque, prima di avvicinarmi ad una delle finestre. Guardo fuori, controllando che non ci siano sorprese in avvicinamento lungo il terreno, più sotto, o nell'aria prima di appoggiarmi al davanzale. Sto ancora guardando fuori, quando apro bocca - Sei una stronza - decreto, e suppongo che nemmeno quello possa essere una novità per qualcuno. Mi volto, la guardo, scuoto appena la testa - Avresti dovuto dirmelo, di entrambi...come hai fatto? - perché per quanto ne so io è stato Daimos a uccidere papà, e la stronzetta di Freddie si è suicidata, eppure non ho messo in dubbio nemmeno per un istante che non fosse metaforica, la sua affermazione. Che lei lo abbia fatto davvero.
     
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    « Miles, puoi lasciarci da soli, per cortesia? » L'eco di quella voce riesce a raggelarle il sangue nelle vene. Su una cosa aveva sempre contato: il fatto che come lei, Ares evitasse lo scontro finché le cose non si fossero dissolte nell'aria, quasi come se non fosse mai successe. Tante volte si erano scontrate, e il più delle volte, le liti tra loro si concludevano sempre allo stesso modo. Non parlavano per un po' e poi, di punto in bianco, tutto come se non fosse mai successo. Evidentemente non era questo il caso, forse perché la qualità di informazioni che Ares aveva ricevuto questa volta era leggermente diversa del solito. Mun era stata sincera con lui, forse sin troppo, per il bene di lei soprattutto. Aveva lasciato che il fratello vedesse le crepe. Non quelle superficiali che in ogni caso sarebbero state visibile a qualunque occhio abbastanza indagatore. No. Ares era stato invitato a guardare oltre la corazza superiore. Ed era la prima volta. Mun guarda il ragazzino al suo fianco, prima di fargli cenno di precipitarsi verso le porte della biblioteca là dove Dean Moses e il resto della squadra di elfi li attendevano. « Sei una stronza. » Fair enough. Se solo fosse una novità. Alza gli occhi al cielo e sospira mentre incrocia le braccia al petto. Lo sguardo si assottiglia appena mentre cerca di squadrarlo dalla testa ai piedi. E' dimagrito ancora un po'. Probabilmente una sorte quella che toccava un po' a tutti nell'ultimo periodo. « Avresti dovuto dirmelo, di entrambi...come hai fatto? » Corruga le sopracciglia mettendosi apertamente sulla difensiva.
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    « Non importa. » Asserisce di scatto appoggiandosi contro la parete dall'altra parte del corridoio. « Meno sai, meglio è. » Asserisce con una certe freddezza, seppur quei avvenimenti l'hanno profondamente segnata. Sin dalla morte di suo padre, Mun ha iniziato a trasformarsi. E' diventata una persona completamente diversa. Della ragazza fragile e debole che era ai tempi in cui Carrow Senior aveva ancora la presunzione di avere un certo qual potere su di loro, e lei stava ancora insieme al ragazzo dei suoi sogni, non ce ne era più altro se non una indistinta traccia. « Non te l'ho detto perché avevo bisogno di uno psicologo o perché avevo voglia di farti le treccine mentre mi abbandonavo a lunghe confessioni. » Millimetricamente calcolata in ciascuna parola, che soppesa attentamente prima di lasciarla fuoriuscire dalle sue labbra. « Te l'ho detto perché tu capisca.. » Che non sei tu il gemello sbagliato. Che non sei tu quello venuto su male. Che il tuo problema non sta certo nelle tue origini. Quanto di più terribile il nostro sangue potesse fare, è già stato trasmesso altrove. Ma tutte queste parole, Mun non gliele dice. Le pensa, ma non gliele dice. « ..in ogni caso non mi va di parlarne. » Liquida prontamente il discorso abbassando lo sguardo. « Tu stai bene? » Liti famigliari a parte ovviamente.

     
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  5. AresCarrow
         
     
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    Di nuovo non c'è menzogna sul suo volto.
    Appoggio entrambe le mani al davanzale, accanto ai fianchi, e incrocio i piedi all'altezza delle caviglie. Non sono mai stato svelto di parole come lei, e sappiamo entrambi che molti dei miei silenzi, che ad altri possono sembrare frutto di arroganza o di presunta superiorità, non sono in realtà altro che il tempo che mi serve per decidere come reagire a qualcosa. E' la maledizione di coloro che non vogliono mai tornare sui propri passi una volta presa una decisione, suppongo, quel bisogno assoluto di vagliare per bene le possibili conseguenze delle proprie azioni prima di agire. E io sto valutando se insistere, ora che so, o se invece passare oltre. C'è una punta di ammirata curiosità in quel desiderio di sapere come ha fatto senza farsi scoprire, ma di nuovo si torna ad una questione di fiducia: o mi fido di lei, e quindi è davvero meglio che io non sappia, o non mi fido e allora è inutile pretendere che sia lei, a fidarsi di me.
    In definitiva, non insistere pare comunque la scelta migliore.
    - Comunque le treccine mi stavano uno schifo - attingo ad un ricordo della nostra infanzia, per quella risposta, lasciata cadere come se fosse normale. Un momento felice, per quanto ridicolo, di quando avevamo quattro, o forse cinque anni. Io e lei, in casa da soli, seduti sul tappeto a giocare di fronte al camino, con Daimos che parlava ad alta voce nella stanza lì accanto. Non ricordo chi altri ci fosse in casa - di sicuro non padre, mai abbinato a momenti di serenità - ne come Mun mi aveva convinto a farla giocare "alla parrucchiera", ma è comunque un ricordo intriso di vera gioia, quello. Le risate, nostre e di Daimos, e le fraterne prese in giro che ci avevano trasformato per qualche momento in una famiglia quasi normale.
    Comunque alzo le sopracciglia, ad alleggerire la cosa - Cosa, Mun? - cosa dovrei capire, da lei, da quella confessione? Cosa dovrei ricavarne se non ammirazione, da quel gesto? Ecco un'altra delle cose che sappiamo entrambi: nostro padre meritava quella fine. E la meritava non perché fosse cattivo, o crudele, o violento. No, la meritava perché era meschino. Perché era un sadico. Perché era stupido. Perché non sarebbe mai stato in grado di fare quello che ha fatto lei, ne in maniera tanto astuta - Se lo meritava, e comunque ti rende una persona migliore di lui. Di me. Di Daimos - che, quindi, non era colui cui andava il merito. Quel fratello maggiore che, ai miei occhi, aveva il merito di aver fatto quello che io, per età o vigliaccheria, era colpevole quanto me di non averla protetta, e forse perfino di più. Perché era più grande, e meno succube, di sicuro.
    Muovo una mano, a farle cenno di avvicinarsi. E' strano parlare con lei a distanza - Me la cavo, come tutti - continuo dopo qualche altro momento di silenzio. Come si può stare, in quella situazione? Fare ronde e gestire le trappole mi è sicuramente più congeniale che stare in gruppo, con loro, a curare i piccoli come fa lei. Ad ognuno il suo, immagino. Emulo un sospiro - Darei un braccio per un pasto caldo in un bel ristorante. Tovaglia pulita, musica di sottofondo, un cameriere sempre pronto...appena usciamo di qui ti ci porto. Io e te, a Londra - decido. Una serata fra fratelli, in un luogo dove nessuno cerchi di ucciderci e dove sia possibile godere di un po' di privacy. Un sogno - Tu come te la cavi? -
     
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    « Comunque le treccine mi stavano uno schifo. » Un lieve sorriso imperla le sue labbra di fronte a quelle parole. Non ricorda nemmeno l'ultima volta che ha davvero sorriso. Di recente si sente sempre come prosciugata. Quel continuo sparire, trascorrere tempo nella foresta, agire sempre furtivamente, la sta letteralmente svuotando di ogni energia. Di notte dorme davvero poco e quando succede, ha sempre gli incubi, sempre più inquietanti, sempre più terribili. Pensava di essere abituata anche a quelli - agli incubi - ma i mostri si fanno sempre più grandi, sempre più insormontabili, sempre più difficili da sconfiggere. E non c'è nessuno con cui possa parlarne. Non può parlarne con nessuno perché significherebbe mettere a repentaglio tutto il piano escogitato insieme ad Albus. Rischierebbero troppe vite, quelle dei loro fratelli, delle loro famiglie, dei loro amici e forse e soprattutto dei loro amati. « Se lo meritava, e comunque ti rende una persona migliore di lui. Di me. Di Deimos. » Scuote la testa Mun. Se solo Ares sapesse; se potesse anche solo intuire quanto intricato era il piano alla base probabilmente non sarebbe poi così incline al perdono. In quell'occasione, Mun ha manipolato tutti, se ne è usata, piegando le loro volontà alla propria, senza remore, senza riguardo, senza rispetto verso l'altrui indole. « Non importa.. » Dice in un filo di voce, mentre lo sguardo di perde nel vuoto e le mani si stringono più forte al petto, quasi cercando di crogiolarsi in quella sensazione.
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    « In ogni caso.. fisicamente è tutto merito di Deimos. Io non ho fatto molto. Gli ho solo dato un motivo.. valido.. » Mun ha solo spinto la situazione all'estremo. Era talmente disperata che avrebbe ben volentieri rischiato la propria vita. Aveva spinto il padre ad andare così oltre nel torturarla da obbligare Ares a scuotersi dal suo torpore e chiamare Deimos perché se ne occupasse. A quei tempi non sapeva se sarebbe funzionato. Il padre avrebbe potuto persino ucciderla, ci era quasi riuscito; non a caso, dopo quell'esperienza Mun all'ospedale ci era rimasta per quasi due settimane, con ferite gravissime che le hanno costato una convalescenza non indifferente. « Questa cosa deve restare tra noi. Se Deimos sapesse qualcosa, so che comincerebbe a fare domande ed io non saprei cosa rispondergli. » O meglio, saprebbe cosa rispondergli, ma è stanca di mentire. Eludere la verità è facile. Raccontare bugie su bugie invece, sta diventando un calvario. E Mun di bugie, al momento ne sta raccontando anche troppe. Ad un certo punto persino i bugiardi patologici ne hanno abbastanza. « Me la cavo, come tutti. Darei un braccio per un pasto caldo in un bel ristorante. Tovaglia pulita, musica di sottofondo, un cameriere sempre pronto...appena usciamo di qui ti ci porto. Io e te, a Londra. » Sospira a sua volta buttando la testa all'indietro. L'idea dell'immagine che il fratello le mette in testa le provoca nostalgia e una certa tristezza. Il loro tasso di vita precedente non combacia affatto con la situazione che vivono al momento, ma la verità è che Mun ha problemi con la mancanza del solito trascorrere lussureggiante fino ad un certo punto. Sono altri i suoi problemi, altro ciò che brama, altro ciò che le manca. Le manca l'ordine, il conoscere le regole del gioco, le manca sapere che il mondo si muove secondo determinate leggi fisiche. Questa situazione non sa contrastarla. Qui dentro, di fronte a tutte queste pressioni, non sa crogiolarsi nelle apparenze. Non ne ha modo. Qui, in questa Hogwarts, la vera natura di ciascuno di loro sta emergendo tutta insieme. « Credo che sarei disposta a ordinare persino un panino in un fast food e mangiarlo con le mani se solo si trovasse ovunque nel raggio di cinquanta chilometri da questo posto. » Come cambiano le priorità e le prospettive. « Ma, non rifiuterò il tuo invito. Io e te, a Londra.. » Ripete annuendo istintivamente. « Sto raccogliendo così tanti inviti a cena, che usciti da qui mangerò fuori per una settimana di seguito. » E la cosa non le dispiace che sia chiaro. Non tanto per l'invito in sé, ma perché l'invito conteneva un'implicita promessa. Ci rivedremo là fuori. Qualunque promessa del dopo era un modo come un altro per riaccendere la speranza, per pianificare sulle proprie sorti al di là del domani. Una cosa di cui Mun aveva bisogno più di ogni altra cosa. Pianificare, ordinare, vedere oltre l'istante seguente, vivere oltre la mentalità del carpe diem. Cogliere l'attimo non era una cosa che si sposasse poi molto con la sua mentalità. Aveva bisogno d'altro. Aveva bisogno di una prospettiva che andasse oltre. « Tu come te la cavi? » E la domanda che non voleva sentirsi fare, giunge. D'altronde è quella che maggiormente si fanno tutti l'un l'altro ogni qual volta si rincontrino. Come te la cavi? Come stai? Stai resistendo? Va tutto bene? Sono solo alcune delle declinazioni e delle variazioni sul tema, tutte volte a verificare che il proprio interlocutore non stia ancora svalvolando e ha ancora tutte le rotelle apposto. « Me la cavo. » Inizia quindi prima di corrugare la fronte rabbrividendo appena. Il fatto che non sia ancora morta nella foresta proibita, è già tanto. « Cerco di tenermi impegnata. » Dice quindi facendo un cenno verso le porte della biblioteca dove Miles è sparito poco fa per riunirsi al resto del gruppo dei bambini. « E cerco di pensare il meno possibile. » Perché se dovesse pensare, se dovesse iniziare a farsi una qualunque domanda in merito agli ultimi tempi, la sua mente imploderebbe. Stanno succedendo troppe cose disparate attorno a sé. « Perché se penso inizio a reagire male. » E lui ne ha avuto una degna dimostrazione. « Se inizio a chiedermi il perché delle cose, di cosa sto facendo, di come mi sto comportando, di come reagisco.. » Una leggera pausa tempo in cui si tormenta il labbro inferiore. « ..questo posto ci sta.. obbligando prima di tutto ad accettarci.. accettare cose, modi di essere che prima potevamo far finta che non fossero là.. » Deglutisce pesantemente mentre getta lo sguardo in quello del fratello. « Credo che la peggiore punizione di questo posto è che ci obbliga a essere autentici. » Veri. Sinceri. Onesti. « Sta lentamente svelando tutti i nostri scheletri nell'armadio. » E ce ne stanno così tanti. Per ciascuno di loro. Si riscuote da quel torpore improvviso e gli sorride quasi come se si fosse trovata per qualche istante in una specie di trance. « Ma io me la cavo. Sto bene. »


     
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  7. AresCarrow
         
     
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    Che non lo importa lo dice lei, e per un attimo sono in procinto di dirglielo. Come fa a non importare il motivo per cui nostro padre è morto, e in quale mondo è possibile che non mi importi il "come" ci sia riuscita? Piego appena la testa di lato, indeciso se tornare sui miei passi e chiederle chiarimenti, ma alla fine decido di lasciar perdere e mantenere fede alla mia decisione di poco fa. Che non importi non è contemplato, ma posso accettare che lei non sia pronta ad approfondire la cosa. Cambierebbe qualcosa se lo facesse? Probabilmente sì, ma in questo momento lei non lo fa e a me non viene alcun dubbio di essere stato così vicino al ricongiungermi davvero con lei. Mi stringo quindi nelle spalle, una volta sola, a segnalare che va bene così. Non c'è pericolo che parli con Daimos di quello che mi ha appena detto, e non ci sarebbe nemmeno se lei non me lo avesse raccomandato: ci sono cose da cui gli altri sono sempre stati esclusi, in quanto a raccomandazioni.
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    Indietreggio appena la testa, esagerando, quasi mi avesse tirato uno schiaffo con quelle parole. Sto scherzando, ed è facile capirlo da mezzo sorriso che le rivolgo mentre mi stacco dal davanzale - Io invece ho invitato solo te - cosa che è vera, ma che probabilmente non cambierebbe il fatto che nessuno di noi avrà la possibilità di stare da solo una volta uscito da qui, ne con se stesso ne con pochi selezionati compagni di avventura - Ma è perché io so selezionare meglio le mie compagnie - ammicco una volta, affiancandomi a lei e porgendole il braccio. Davvero, un conto è patire l'essere escluso da quel ciclo continuo di attenzioni e amicizie in cui anche Mun è continuamente coinvolta, un altro è accettare di farne parte in maniera definitiva. La solitudine, quella vera, l'ambisco più di qualsiasi genere di compagnia e probabilmente la mia seconda decisione, dopo aver portato fuori lei, sarà quella di partire per qualche tempo, senza una vera meta - Io e te a Londra - ribadisco - A fare quello che vuoi, quanto vuoi. Posso perfino accettare di farmi portare a teatro, per una sera. Offerta una e irripetibile -
    Mi faccio un po' più serio mentre lei parla, annuendo appena di quando in quando. Sono sensazioni che conosco quelle descritte da Mun, situazioni in cui posso rispecchiarmi con una certa facilità. Sono sicuro che tutti, al castello, potrebbero. Quale sia la mia filosofia a riguardo l'ho deciso da tempo, come ho già avuto modo di dirle, e quella parte di me che è in grado di farsi domande etiche, di ragionare su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato, è stata messa in pausa il trentuno di ottobre. Probabilmente fra i due sarò io a patire di più il giorno in cui le porte del castello si riapriranno, non fosse altro che lei certe cose le sta elaborando adesso, man mano che accadono. Io le sto ignorando - Penso tu abbia ragione - ammetto infine - Sto capendo che alcuni dei nostri amici non mi piacciono poi tanto come credevo, e che altri invece... - un cenno della mano. Altri li sto rivalutando. Le indico la biblioteca in lontananza con un cenno del mento - Qualche giorno fa mi sono ritrovato dentro uno dei libri, sai? Non avrei mai pensato che un giorno la Regina di Cuori avrebbe cercato davvero di tagliarmi la testa... -
     
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    « Io invece ho invitato solo te. Ma è perché io so selezionare meglio le mie compagnie. » Solleva un sopracciglio con fare piuttosto scettica mentre incrocia le braccia al petto stringendosi nelle spalle. « E io invece no. » Un sorriso amaro si dipinge sul proprio volto mentre continua quel naturale susseguirsi del discorso. Mun ha sempre pensato che Ares non approvasse appieno le sue compagnie. Se solo avesse saputo in quale direzioni si erano allargate ultimamente probabilmente avrebbe reagito se possibile ancora peggio. « Credo proprio che ci sono cose su cui noi due non andremmo mai d'accordo. Tipo la gestione del tempo o la scelta delle priorità. » Un chiaro esempio ne era stato il loro ultimo scontro. Da allora molte cose erano cambiate, la sua vita si era decisamente complicata. Era sempre più assente, avvolta in un vortice morboso fatto di bugie, balle raccontate senza distinzioni di colpo, sotterfugi e mezzucci non indifferenti per celare qualunque cosa stesse precisamente facendo. Si stava comportando come una povera galeotta, ma in fin dei conti, aveva davvero un'altra scelta? « O appunto, la scelta delle compagnie. » Fa una leggera pausa tempo in cui lo sguardo si perde in un punto ben poco preciso di fronte a sé. « Ma ecco, essere troppo selettivi in apparenza, è un male. Soprattutto quando sei una donna in un mondo fatto ancora a immagine e somiglianza del maschio alfa. » Solleva le spalle con fare noncurante. « In fin dei conti, una cena non ha mai fatto del male a nessuno. Tutto ciò che devi fare e sorridere, fare finta che vada tutto bene, ridere a qualche battuta squallida; è il sistema. »
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    Una visione davvero pessimistica quella della piccola piccola Carrow. Ma lei in fin dei conti, nonostante i tanti, troppi obbiettivi raggiunti dalle donne, era certa che la società fosse ancora maschio e che una donna, perché sopravvive, deve trattare da uomo. Non era una cosa che trovava molto aderente alla sua personalità, ma quella era la loro società, e lei, in quella società ci sapeva ancora vivere. Di scatto tira fuori dalla tasca del cappotto un pacchetto di sigarette e ne accende una, offrendolo al fratello nel caso in cui volesse fargli compagnia. Un tempo le bionde erano solo un bene di consumo davvero sporadico, ultimamente invece, allo spaccio aveva scambiato questo mondo e quell'altro per averne sempre alcune a portata di mano. Ed erano un bene davvero raro, che si pagava davvero caro, soprattutto quando la Carrow non era pronta a scendere a compromessi, sdoppiandole. Sdoppiarle significava rinunciare alla nicotina. E che senso aveva allora? « Io e te a Londra. A fare quello che vuoi, quanto vuoi. Posso perfino accettare di farmi portare a teatro, per una sera. Offerta una e irripetibile. » Gli getta uno sguardo colmo di sfida a quel punto, Amunet, ben consapevole che alcuni suoi gusti sono decisamente sopra le righe. « Attento a quello che prometti, Ares. E' un attimo che ti ritrovi a vederti un lungometraggio finalandese degli anni '30 o finisce per vederti Turandot di Puccini. » Al solo pensiero dell'emozione di Nessun Dorma, un brivido sembra percorrerle la schiena. « Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà! Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia. » Cita a memoria, mentre un sorriso leggermente più sognante si distende sulle sue labbra. Ci sono piccoli piaceri della vita che a questa Amunet Carrow mancano più di ogni altra cosa. Il piacere di un buon film, di un ottimo spettacolo teatrale, perdersi in un museo, leggere un libro in solitudine in compagnia di un ottima tazza di té in una bella caffetteria al centro. « Penso tu abbia ragione. Sto capendo che alcuni dei nostri amici non mi piacciono poi tanto come credevo, e che altri invece.. » Oh Ares, se solo tu sapessi.. si ritrova a pensare istintivamente mentre erge lo sguardo di ghiaccio in quello di lui. « Non hai idea.. » Si inumidisce appena le labbra prima di continuare. « Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno.. » Ed è una cosa che mi risulta davvero davvero difficile. « ..c'è una selezione naturale anche in questo senso in atto. » E nessuno poteva saperlo meglio di Mun, la quale, stava sperimentando il vortice del vedersi ritirare tutti su tutti i fronti più che mai. Il suo continuare non esserci la escludeva. E non era certa nemmeno se fosse lei a selezionare gli altri o se fosse semplicemente selezionata e scartata da altri. « Qualche giorno fa mi sono ritrovato dentro uno dei libri, sai? Non avrei mai pensato che un giorno la Regina di Cuori avrebbe cercato davvero di tagliarmi la testa.. » Uno sguardo leggermente più apprensivo si erge sulla figura del fratello. Non riesce a tenergli il muso troppo a lungo, questo risulta alquanto evidente. « E' prerogativa della Regina di Cuori.. tagliare teste. » E' per un istante quella frase sembra tingersi di mille significati celati, che Mun preferisce tenere per sé. « Se ti fa sentire meglio, io stavo per essere strangolata dalle piante nelle Serre. Per fortuna non ero da sola.. » Si schiarisce la voce, ben consapevole che il suo non essere da sola nelle Serre ha portato a tante sorprendenti novità che a dirla tutta adesso non sa più come interpretare di preciso. « E poi.. » Si interrompe per un attimo. Vorrebbe parlargli della foresta. Di ciò che sta facendo. Ma non può. Svelerebbe tutta la copertura. « ..mi sono data a cose leggermente meno pericolose. Non so quanto piaccio a quei mocciosi, ma in assenza d'altro.. » E in quel momento si interrompe ancora una volta tirando un lungo sospiro. « ..dovranno accontentarsi di me. »




     
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