In memory

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  1. AresCarrow
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    La Torre di Corvonero si alza per molti piani oltre la Sala Comune, con i suoi dormitori impilati uno sull'altro, e le stanze in cui ci siamo divisi svettano verso il cielo. Ce ne sono abbastanza per tutti, di stanze, e a nessuno ormai manca un letto: è quella la misura più chiara di quanti non ce l'abbiano fatta, in quelle settimane che ci separano da Halloween. Alla prima apertura delle Sale Comuni, il primo di Novembre, parte degli studenti avevano dovuto accontentarsi dei divani, o di dormire per terra, ma ormai non è più un problema. Non lo sono i letti, non lo sono le coperte, e non lo è nemmeno il razionare il cibo. Anche quello è ormai qualcosa cui siamo abituati.
    Scivolo lentamente fuori dalla stanza di Tallulah, nella luce aranciata del tramonto, e mi dirigo verso i piani superiori. Di tutto quello che è accaduto, ho scoperto, quella reclusione è ciò che mi pesa di più. Vivere accalcato al prossimo notte dopo notte era stato duro, ma almeno c'era il castello in cui spaziare nel corso del giorno, mentre adesso...scuoto la testa e inizio a salire verso il tetto della torre, rampa dopo rampa. Più si sale e più l'ambiente si fa rado, di persone e di odori. I ragazzini hanno preso le stanze più in basso, poi i ragazzi più grandi e infine gli adulti. Lassù ci sono solo quelli che cercano un po' di solitudine, condannato all'isolamento da se stessi o dal gruppo, mentre ancora più in alto...
    ...il silenzio, e lei...
    L'ho vista salire poco fa, sola come raramente è.
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    Una parte di me continua ad essere profondamente gelosa nel vederla circondata da altri, ed è una cosa che mi è sempre bruciata. Solo che era diverso quando quel bruciore erano le sue stesse labra a lenirlo, nei nostri incontri notturni. Era un ferirsi a vicenda per il piacere di curarsi, ai tempi, o almeno ne sono sempre stato sicuro. Ora non lo sono più così tanto. Mi fermo in cima ad una delle ultime rampe si scale, voltando poi verso il corridoio alla mia destra. C'è una porta, in fondo, aperta per metà, da cui sento giungere i fruscii di una presenza. Spingo leggermente la porta con il dorso della mano bussando con il bordo di una delle bottiglie che tengo in mano sul legno. Fanno parte delle mie razioni, della parte di cibo e alcolici che tengo in disparte, non convinto che basti ciò che stiamo facendo. La finestra della stanza da verso ovest, e il cielo oltre il vetro è un tappeto di arancione e di viola. Diversi piani sotto di noi, i nostri compagni iniziano a prepararsi per la loro scarna cena - Spero di non disturbare - le dico entrando. Non so se stia aspettando qualcuno, ma di sicuro non è il genere di persona che non me lo direbbe. Mi avvicino e le porgo una delle due bottiglie. Birra fresca, scura, preziosa come oro in quel clima di austerità. Fanculo, meglio una sbronza in due che due sbronze da solo - Un segno di pace. Mi mancavi -


    Edited by AresCarrow - 8/1/2018, 22:07
     
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    Beatrix sta male e di conseguenza sta male Maze. Come Elliot con E.T. Se una sta male, l'altra sta male. Se una si ubriaca, si ubriaca anche l'altra. In maniere completamente differenti, è vero, ma Maze è influenzata dal malessere che prende Beatrix. Cerca di calmarla, di infonderle un po' della forza che ha lei, ma non ci riesce. Perché la sete è troppa. La dipendenza fa male, brucia le vene ad entrambe e Trixie ha bisogno di sangue. «Trixie ce la puoi fare. Sei solo contaminata, devi respirare. Devi lasciarmi respirare. Devi permettermi di aiutarti.» Ne va della saluta di entrambe, dopotutto. Ma la ragazza se ne sta in un angolo, rintanata, spaventata all'idea di rimanere in balia di quel dolore asfissiante. «Fa male. Ho bisogno di urlare, di piangere. Mi strapperei capello dopo capello, se solo me lo permettessi. Ho bisogno di lui. Un altro morso, uno soltanto. Te lo prometto. Ti prego, vai a chiederglielo. Soltanto un morso, uno soltanto.» E' sempre la stessa storia, da quando ha permesso a Lux di donarle il suo sangue. E' sempre la solita cantilena, quella che affolla la mente di entrambe. E' una supplica continua, una preghiera assordante, di giorno e di notte, che tiene sveglia anche Maze. E' stanca. Non dorme un paio di ore di fila da giorni, eppure quell'improvviso cambio di programma, che li costringe tutti in quella Sala Comune per lei è un bene. Andare ad affrontare le trappole con lo stato mentale al quale la costringe Beatrix non è l'idea migliore del mondo. Sa bene che, incasinata com'è, andrebbe a finire dritta dritta tra i tentacoli del kraken o, ancora peggio, tra le fauci di uno dei suoi adorati demogorgoni. La dipendenza di Trixie le sta rovinando l'esistenza, tanto da averla resa sfuggente ed evanescente. Sta con le persone il meno possibile, non vede Mun da giorni, ha salutato tre volte in croce Nate, si è defilata con una scusa ogni volta che ha incontrato Lulah e la maggior parte delle volte si è rintanata in quella stanzetta, nella parte alta della torre di Corvonero. Una stanza ormai inabitata. Da quando è cominciata la segregazione, sono molti quelli che non ce l'hanno fatta, per cause naturali o meno naturali. Perciò c'è più spazio, si sta più larghi, finalmente, e la situazione, ancora una volta, va a suo vantaggio. Ha la possibilità di starsene da sola, di disintossicare il proprio organismo per aiutare Beatrix. Fa fuoriuscire il sangue sporco, sperando che questo si rigeneri, producendone di nuovo, più pulito, senza avvelenamenti esterni. «Ti prego, no. Maze, non ancora. Non tagliarci ancora. Fa male, troppo male. Ho bisogno solo di qualche goccia di sangue, nient'altro. Poi starò meglio. Mi serve solo quello, solo un po'.» E Maze ha bisogno di farla stare zitta, giusto per qualche istante. Ha bisogno di calma, ha bisogno di riprendersi senza quel lamento continuo che le dà sui nervi, ma per il quale non può farci nulla. «No. So io cosa ci farà stare bene e il suo sangue ci farà stare ancora peggio.» E' perentoria, mentre Trixie le palesa il
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    ricordo di quanto sia buono quel sangue maledetto. Di quanto fosse squisito il sentirlo in bocca, caldo a contatto con la propria lingua. I capelli che, da biondo paglierino, tornano ad essere scuri come la pece, sotto il cappellino. «Smettila, Beatrix. Smettila!» Sibila, avvelenata, fin quando non avverte una presenza alle sue spalle. Non è più sola. Si volta lentamente, sapendo alla perfezione chi si ritroverà davanti. - Spero di non disturbare - Le trema la mano sinistra, in quello spasmo che non l'abbandona da giorni. Si blocca la mano, portandovi sopra quella destra, accennando un sorriso malizioso. «Non sto aspettando nessun altro, se è questo che vuoi sapere.» Vedi? C'è Ares. Non sei contenta di vedere Ares? Io so che lo sei. Trixie si acquieta, per qualche istante. Sorride debolmente e annuisce. Sì, è felice. «Avevo tutta l'intenzione di fare un tête-à-tête con me stessa, ma accomodati pure se vuoi. Mi casa es tu casa Gli lancia un'occhiata divertita, dispiegando la mano verso il letto più vicino. Trixie sembra essere sedata dalla sua presenza e Maze, per una volta, è felice veramente di dover parlare con lui. Sinceramente. Come ho fatto a non pensarci prima? Lui è il suo antidoto. E lo è ancora di più quando decide di offrirle una bottiglia di birra ghiacciata. Lo guarda accigliata e sorpresa, positivamente, allo stesso tempo, mentre le dita si attorcigliano intorno al vetro. - Un segno di pace. Mi mancavi - Mancanza. Una parola a cui Maze è abituata solo per metà. E' un sentimento strano, quello, che la tormenta da secoli, ma soltanto perché provato in prima persona. Il relazionarlo ad un'altra persona, nei suoi confronti, la fa sentire bene. E' piacevole mancare a qualcuno. E' bello sentirgli dire che le è mancata. Sorride, forse anche un po' imbarazzata. E' il primo che la cerca, da quando ha cominciato a fuggire via dai capannelli di gente, rintanandosi lassù più spesso del dovuto, per tentare di calmare Trixie. «Pieno di sorprese.» Si cita, ricordando ciò che gli aveva detto alla festa di Natale, mentre scivola lungo l'impalcatura del baldacchino più vicino, fino ad arrivare a terra. Fa saltare il tappo della sua bottiglia con l'ausilio della bacchetta e fa lo stesso con quella di lui. Beatrix non è il tipo di ragazza da birra, ma Maze ha imparato ad apprezzarla e di conseguenza, l'ha fatto anche la sua ospite. «Dov'è che le tenevi nascoste certe rarità? C'è chi sarebbe disposto a tagliarsi un braccio per un po' di svago.» O che ti farebbe volare di sotto dalla finestra della Sala Comune, se scoprisse dove tieni la tua scorta personale. Alza la bottiglia nella sua direzione, allungando le gambe avvolte da un pantalone di tuta di minimo due taglie più grandi. Inorridirebbero, entrambe, se solo Trixie non stesse così maledettamente male. «A cosa vuoi brindare?» Gli domanda, incontrandone lo sguardo azzurro per qualche istante. «Il mio brindisi è dedicato alla luce in fondo al tunnel.» Che si sbrighi ad accoglierci entrambe.
     
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  3. AresCarrow
         
     
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    Si, era quello che volevo sapere, anche se ovviamente evito accuratamente di dirlo a lei. Mi limito ad entrare nella stanza, richiudendomi la porta alle spalle. Non giro la chiave nella toppa, lasciandola libera di aprirsi al semplice ruotare della maniglia, curiosoo in parte di capire se lei mi abbia detto la verità o se magari, invece, non arriverà davvero qualcuno a interrompere la nostra chiacchierata. Sarei curioso di scoprire chi, nel caso, rischierebbe di finire spinto contro il muro del corridoio, o lanciato nel vuoto dalla finestra della stanza. Edric? Nate? Uno qualsiasi dei ragazzi con cui l'ho vista ridere o parlare in quei giorni di reclusione? Non mi importa, non credo che farebbe comunque molta differenza. Non è una questione di proprietà, ne di rabbia, ne di gelosia. No, è una questione di determinazione e, in parte, di stanchezza. Sono stanco che a lei non importi nulla di me e sono stanco di comportarmi come se a me non importasse nulla di lei, e se anche non ho alcun modo di influire sulla prima delle due cose - ne avrei intenzione di farlo con la forza, nemmeno se ne avessi il modo - sono abbastanza sicuro che allo stato attuale delle cose potrebbe essere opportuno lanciare un messaggio chiaro circa la seconda. Qualcosa che suoni come "esisto anche io". Un promemoria, più agli altri che a lei.
    Mi sarei pentito molto di non averlo fatto prima, se ad uno dei due fosse accaduto qualcosa nel corso di quei mesi.
    - Posso andarmene, se preferisci restare sola - le dico, perché quella scelta non avrebbe avuto nulla a che vedere con terzi. Evito il letto che lei mi ha indicato, però, avvicinandomi invece alla finestra. C'è una vista, da quella torre, che si può solo immaginare dalla Sala Comune di Serpeverde. Lo sguardo spazia fino al Lago, da quel punto, sopra la Foresta e perfino oltre. L'incantesimo che si ha chiuso dentro il castello fa anche sì che tutto sia buio fuori di lì, freddo e grigio, ma non fatico a immaginare cosa possa essere il mondo se in un pomeriggio primaverile, da lì. Do le spalle al vetro, comunque, e mi appoggio al davanzale. Quel look informale che sfoggia adesso, sportivo quasi, è talmente insolito su di lei che ci metto qualche attimo a farci l'occhio. Le sta bene, ovviamente, ma Trixie è sempre stata una di quelle persone cui sarebbe stato bene anche un sacco dell'immondizia con due buchi per le braccia e uno per la testa - Mi piace che sia così - pieno di sorprese, mai banale. Ho sempre temuto di apparirlo, un po' banale, soprattutto a confronto con la maggior parte della gente che ci circonda, personaggi decisamente più irruenti e esuberanti di quanto io non possa mai essere ma la realtà dei fatti è che preferisco così, che le mie di sorprese siano discrete e private. Getto un'occhiata in direzione della porta ancora chiusa. Intime.
    Alzo la birra verso di lei una volta che Maze ne fa saltare il tappo, bevendone il primo sorso in silenzio. La guardo, senza fretta ne espressione, la guardo e basta. Mi è sempre piaciuto guardarla, e poco importa che fosse nuda o vestita, che fossimo soli o in compagnia: ogni suo movimento ha sempre avuto su di me un fascino tutto particolare, quasi fosse una danza che Trixie ballava con l'universo e che si potesse solo sfiorare, di tanto in tanto. Bella di una bellezza che è sempre andata oltre i semplici tratti di un viso - E pensa, per te è completamente gratis - di sicuro non vorrei un braccio, in cambio di quella birra, ne mi aspetto altre gentilezze a quel proposito. Un tempo non lo avrei specificato, nemmeno in maniera velata, e anzi forse sarebbe stato uno spunto interessante per qualche gioco da svolgersi lì, seduta stante. Bevo un altro sorso - E' bastato scegliere con cura quello da portarsi via la sera di Natale - aggiungo noncurante. I più si erano portati via acqua, pane e viveri, come suggeriva l'istinto, mentre io avevo puntato a quelle cose che ai miei occhi avrebbero avuto più mercato di lì a poco. Più valore - Gustale comunque, sono le ultime due - e forse è vero, forse no, non c'è bisogno che lei lo sappia.
    - Mi pare un buon brindisi. A quella, e a ciò che ci abbiamo trovato, nel tunnel - annuisco, prendendomi di nuovo qualche momento per osservarla, in silenzio. Alla luce che spetta coloro di noi che riusciranno a raggiungerla e a ciò che coglie coloro che non ce la faranno. Indico poi la porta con un cenno del capo, e con essa le scale che scendono e tutto il mondo che si stende sotto di noi. Molte cose da indicare con un solo gesto - Mun mi ha chiesto di lasciarle spazio, di darle tempo...come sta, Maze? - e, dopo qualche momento - E come stai tu? -
     
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    - Posso andarmene, se preferisci restare sola - Gli lancia un'occhiata veloce, a metà tra l'aperta sfida e il divertito. Ares è sempre educato, Trixie le ha spiegato un po' le dinamiche della sua famiglia, quelle di cui nemmeno Mun le parla mai. I Carrow sono fatti così: sono eleganti, dalle buone maniere e parlano poco, dicendo sempre il minimo indispensabile, quello che serve a capire cosa stiano pensando, o cosa vogliano veramente. In questo piccolo particolare riesce a rivedere la gemella in Ares, al di là di tutti i punti di assoluta non tangenza tra i due. «Ho detto che puoi rimanere, stellina, non farmici ripensare.» Cosa che è probabile farei, se non facessi placare questa qui. La sente, la gratitudine di Trixie nel non averlo cacciato via, ma anzi, addirittura, averlo invitato ad unirsi a lei, come mai ha fatto prima di quel momento. Maze, dal canto suo, decide di provare a dare una seconda possibilità al ragazzo che ha di fronte. Lo squadra, indiscreta, ma facendo attenzione a non fargli notare il suo sguardo. E' davvero bello. Deve ammetterlo. Ha due grandi occhioni azzurri, un accenno di rada barba che gli conferisce quel di più che riesce a farglielo piacere in quel momento, molto più che in tutte le altre circostanze in cui si erano beccati, per caso o meno. Ha l'aria da principe azzurro, distinto, elegante, ben educato. Peccato che a me son sempre piaciuti di più i pirati. O i diavoli. Si chiede, mentre lo guarda, se Ares sia capace di essere anche un ragazzo malvagio, dai modi per nulla gradevoli, se sia in grado di saper prendere la situazione con forza, ottenendo le redini del gioco, ottenendo la completa devozione. Lo conosce solo attraverso gli occhi di Trixie, ha ancora qualche ricordo vivido di lui, in mezzo al calderone di memorie incrinate o andate perdute. Ricorda anche qualche particolare, qualche volta e Maze sa benissimo che Ares sa essere anche rude, quando vuole, non solo il bravo e taciturno ragazzo che sa essere di facciata. Chissà se sai essere proprio come piace a me. Pensa, mordendosi il labbro inferiore, mentre il pensiero, volente o nolente, fugge ai ricordi di qualche giorno prima, alla sera in cui era cominciato il declino per entrambe.
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    - E pensa, per te è completamente gratis. Gustale comunque, sono le ultime due - Gli sorride, mentre si stringe nelle spalle, cominciando a sentire freddo. Se all'interno sente un fuoco che divampa, lentamente, all'esterno muore di freddo e si costringe quindi a strisciare verso il letto, tirando verso di sé la coperta di lana che è piegata ai suoi piedi. Se la stringe intorno, fin quando non sente finalmente la pelle cominciare a riscaldarsi sotto il tocco gentile di quel pezzo di stoffa. «Mentre tutti si buttavano sui beni di prima necessità, tu hai deciso di buttarti sull'alcol. Ingegnoso. Sei riuscito già a ricavarci qualcosa? Soldi, scambi, altro Socchiude gli occhi, mentre appoggia la nuca al letto. Sa bene che in quei giorni di reclusione tutti cercano di vendere tutto a qualsiasi prezzo. Tim, lo spacciatore da cui ha deciso di servirsi, in assenza di galeoni, ha cominciato a chiedere pagamenti di altra natura, per esempio. Ma Ares, no, Ares non ce lo vede a chiedere del sesso in cambio di una bottiglia di alcolico. E non riesce nemmeno a vederlo intento a chiedere dei soldi, magari a dei poveracci che di famiglia sono messi decisamente peggio. Che dici, Trixie, tu che lo conosci, che cosa richiederà in cambio dei suoi servigi? Dapprima non le risponde e Maze si sente costretta a ripetere la domanda, cominciando a provare una punta di angoscia nel non ottenere alcuna risposta da parte sua. Ma alla fine, risponde e la voce sembra arrivare dall'oltretomba, tanto è flebile. «Ares è più intelligente di quanto tu possa credere. Potrebbe aver chiesto favori. Fanno sempre comodo, quelli.» Ha ragione Trixie. Io avrei chiesto un desiderio o due dalla calza di chiunque. Dopotutto è sempre la più malefica, tra le due. - Mi pare un buon brindisi. A quella, e a ciò che ci abbiamo trovato, nel tunnel - Riapre gli occhi, voltando il capo verso di lui, lasciando strisciare i capelli sopra il piumone del letto. Stringe le labbra, in un'espressione confusa. E' sicura di voler brindare a ciò che ha trovato nel suo tunnel personale? Potrebbe brindare per le trappole, per tutti coloro che vi sono morti al loro interno. Potrebbe brindare alle loro anime della quale è certa che una buona parte è andata a riempire le fiere schiere del posto da dove viene. Ma al dolore che sta provando, vuole brindare anche a quello? Vuole brindare alla triste fame che sente dentro di sé e che sta logorando Trixie? No, forse no, non vuole benedire le sue scelte avventate, non quella volta. Così beve, una volta soltanto, prima di appoggiare nuovamente la bottiglia a terra. Torna indietro con la testa, aspettando che sia lui a parlare. Ti prego, trova tu qualcosa da dirmi. Trova qualcosa che possa distrarmi da questo inesorabile oblio. Sii la mia lametta. - Mun mi ha chiesto di lasciarle spazio, di darle tempo...come sta, Maze? E come stai tu? - Accenna una risata che però rimane lì, sulle sue labbra carnose. Come sta Mun e come sto io? Domande più sbagliate non poteva farle. «Darle spazio è la cosa migliore, in questo momento.» Stringe le labbra, cercando di capire come voler proseguire. Se Mun non gli ha voluto dire della sua nuova condizione, di certo non sarà lei a tradire la sua fiducia, anche se Ares è suo gemello. «E' tutto un casino ultimamente, lo sai. Non è facile per nessuno.» E lei sta peggio di quanto potresti anche solo immaginare. Ma qualcosa mi dice che migliorerà. Questo però a lui non lo dice, non può aggiungere quei particolari, deve essere sintetica, anche mentre cerca di calibrare e scegliere opportunamente le parole. «Tempo e spazio sono relativi, ma non in questo caso. Porta pazienza, so che sei in grado di farlo.» Gli sorride, vagamente intenerita da quel suo preoccuparsi genuino. «Per quanto riguarda me, beh, sto Puoi vederlo da solo, non c'è bisogno di altro. «Tu al solito sembri stare sempre allo stesso modo. Bene come sempre.» Commenta, risistemandosi la coperta addosso, prima di accorgersi del solito spasmo che riprende. Stringe forte il pugno, trafiggendosi il palmo con le unghie affilate e dopo qualche secondo lo sente, il sollievo, quando qualche goccia di sangue prende ad uscire. Si guarda la mano, disattentamente, abituata a quel dolore piacevole, prima di tornare a guardare lui. «E' tutto vero o solo calcolata finzione? Vero o falso?» Forza, giochiamo.



    Edited by wanheda‚ - 17/1/2018, 20:50
     
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  5. AresCarrow
         
     
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    Deve esserci qualcosa di profondamente sbagliato nella natura dell’essere umano se risulta tanto difficile, di primo acchito, cogliere la differenza fra educazione e debolezza, fra sollecitudine e dipendenza. La osservo mentre attraverso la stanza, lasciandomi scivolare addosso tanto le sue parole quanto il nomignolo con cui decide di appellarmi, e quando arriva il momento di risponderle lo faccio con un semplice sorriso, leggero e appena abbozzato. Non rispondo a parole, osservandola e prendendomi il tempo di capire se ci ha ripensato oppure no, o se magari è il caso che ci ripensi io. C’è stato un periodo della nostra vita in cui le sue parole avevano il potere di ferirmi in maniera stranamente piacevole quando voleva, là dove la gelosia e il timore di perderla erano parte di un gioco delle parti che, più che dividerci, ci univa. Se ripenso ai momenti in cui la sapevo con altri, fuori dal nostro piccolo angolo di sicurezza, il misto di rabbia e di eccitazione con cui mi avventavo poi su di lei trova un senso solo nei momenti di pura dolcezza che ne seguivano, nelle premure, nei sospiri. Ora che l’ho persa quelle parole, quell’arroganza e quel disprezzo che pare divertirsi a indirizzarmi ogni qual volta che ne ha l’occasione, non sono che il pallido riflesso di ciò che era un tempo.
    Ora che non è più parte di qualcosa, semplicemente non è nulla.
    - Non solo sull’alcool - le spiego con la bocca ancora fresca di birra, ma di nuovo non aggiungo altro. Un po’ perché non è necessario che lei sappia del genere di scorte di cui parliamo ne della loro quantità perché io possa usarle per mantenere fede al mio compito e un po’ perché, nonostante tutto, non posso non trovare seccante la mancanza di fantasia che ha finito con l’attribuirmi. Una delle cose che ho sempre amato di Beatrix – e credo di aver infine ammesso con me stesso che amato - è il termine corretto – è il modo in cui sapeva vedere oltre le apparenze, oltre quella serena discrezione che tanti continuano ancora a scambiare per disinteresse, o per lentezza di pensiero. Che lei non sia più capace di farlo, o che non ne abbia più voglia, dice molto più di quanto non faccia il chiamarmi “stellina” - Soldi ovviamente - annuisco lentamente nello scegliere con estrema attenzione la più stupida delle opzioni da lei elencate: un intero baule di galeoni avrebbe meno valore, al momento, della coperta che Maze si sta avvolgendo intorno al corpo - Conto di pagarci la cena per tutti, stasera, a Londra - aggiungo ancora, posando la bottiglia piena per metà sul davanzale e lasciandola lì, a frazionare gli stentati raggi di luce esterna di un arcobaleno dalle sfumature ambrate.
    Mi stacco dal muro, allontanandomi dalla finestra e avvicinandomi al letto su cui lei si è stesa, quello che prima mi ha indicato. Mi casa es tu casa ha detto - Le lascerò entrambi - annuisco mentre mi appoggio con la spalla alla colonna del baldacchino. Quando ho visto Amunet e ho capito cos’era successo il mio primo istinto è stato tutto meno quello di concederle la libertà che mi stava chiedendo. Pallida e con il volto scavato, incapace di guardarmi in viso, ha rischiato seriamente che io mettessi mano alla bacchetta e mi arrogassi il diritto di scegliere per lei, chiudendola in un posto in cui mi fosse impossibile farmi fregare una seconda volta. Proteggerla era una mia responsabilità, e nemmeno il modo in cui le ombre mi consigliavano di starne fuori sarebbe bastato a fermarmi se non avessi rivisto in quegli occhiali lo spettro di mio padre. Anche lui si raccontava di farlo per lei? Anche lui era convinto di proteggerla, di proteggerci?
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    Scivolo in avanti, sedendomi sul bordo del letto, lo sguardo attratto da qualcosa cui fino a quel momento ho dato poca importanza - Stai - ripeto la sua parola, lo sguardo che resta fisso nel suo per qualche secondo prima di scivolare verso il basso. Il mento, il collo, la curva della spalla, il profilo di un seno. Il braccio, il polso, la mano - Un tempo non avresti avuto bisogno di chiedermelo, lo avresti saputo da sola - continuo a parlare mentre, delicato ma deciso, le afferro il polso e le faccio aprire le dita. Maze saprebbe come fermarmi con una sola parola, se lo volesse. Il palmo della sua mano appare costellato di piccoli tagli, che ancora spiccano sangue. Li sfioro con la punta di un dito, ne raccolgo una goccia e la guardo ricadere fra la linea della vita e quella dell’amore. Ne cerco di nuovo gli occhi mentre rifletto su ciò che ho visto. Non il palmo, non i tagli, non il sangue. Il sollievo. Non so quanti se ne sarebbero accorti ma io ho visto il dolore trasformarsi in piacere su quei lineamenti, e per lungo tempo mi sono impegnato a coglierne le sfumature. Non con tutti, ma con lei - Pensi che stia fingendo? Che fingerei anche con te? - e nel dirlo poso la punta di due dita al centro esatto della sua mano, sfiorando i confini di uno dei tagli per poi premere ruotare, a stillarne una nuova goccia di sangue e una nuova punta di dolore.
    A stillarne una sospiro di comprensione.
     
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    E' inusuale che Maze provi dell'interesse per le persone che ha intorno, se non vi sia un preciso motivo e di solito è perché sono affini alla sua personalità o perché ha delle ombre oscure quanto lo sono le sue. Lei però non riesce proprio ad inquadrarlo Ares Carrow. Non capisce cosa vi sia che riesca tanto bene a distrarla dalla vera essenza di quel ragazzo. Forse è l'aria enigmatica che si è andata creando intorno a lui per colpa del suo essere così taciturno e solitario. Forse è il suo inaspettato sbucare fuori dal nulla, quando meno lo si aspetta. E' forse anche quella strana storia tra lui e Trixie che lei proprio non riesce a capire, probabilmente perché Maze è sempre stata più diretta del dovuto, parlando apertamente dei propri sentimenti, anche quando sapeva con assoluta certezza che quella corsa in macchina si sarebbe conclusa con un semplice e letale schianto contro il muro invalicabile eretto dalla parte opposta. Riesce a capire quello schema confusionario solo fino ad un certo momento. Perché sì, ci sta l'eccitazione nel fare le cose di nascoste, ci sta la gelosia di saperlo tra le braccia di un'altra, ci stanno tutte queste dinamiche intriganti fin quando però non entra in gioco altro. Non è più bello quando uno dei due si fa male. Non è più piacevole quando si piange durante il sesso o quando l'unico pensiero fisso diventa il saperlo tra le braccia di un'altra e non tra le proprie. Non sono belli i ricordi che Trixie ha di quel sentimento asfissiante, per quanto sognante e vaneggiante possa diventare in presenza di Ares, quell'amore represso infastidisce Maze più di qualsiasi altra cosa. Le fanno ricordare la propria stupidità, quella che l'ha mossa per anni dietro un uomo che non l'ha mai contraccambiata. Che le ha fatto ripudiare qualsiasi suo punto fisso, mettendolo davanti persino a se stessa. E' desolante ritrovare quella sensazione nel corpo umano che si è scelta e forse è anche per questo che non accetta Ares nelle sue grazie. E' per questo che non gli permette di dimostrarle che è diverso, che non gli concede alcuna altra possibilità: perché ha deciso che Ares deve pagare. Deve espiare i peccati di tutto il genere maschile. Che, sadicamente, deve espiare anche i suoi peccati. Così si ritrova a sorridere, di fronte al suo evidente diniego. Ares si ritrae, non le dice tutto, proprio perché lei continua a trattarlo male ed è quella la reazione che Maze si aspetta da lui. Per una volta, aspettative e realtà sembrano collidere e le danno quella piacevole sensazione di normalità. Le piace il suo modo di reagire, finalmente, quasi sia confortante il vederlo allontanarsi da lei, proprio perché è questa la sua vita, la regolarità alla quale è abituata e nella quale sguazza felicemente essendo ormai piacevole. E' fatta così Maze, un giorno ama follemente e il giorno dopo scappa, o allontana l'altro talmente tanto da non poter più godere del suo respiro caldo sul proprio viso o il contatto rassicurante della sua pelle contro quella di lei. - Soldi ovviamente - Ridacchia, di gusto, sapendo che la sta prendendo in giro, volutamente, scegliendo la più sciocca tra le proposte che gli ha messo sul piatto dal quale scegliere. Si rivolta, Ares, si ribella all'ingiusto comportamento che Maze ha con lui e questo riesce ad affascinare la demone. Le è sempre piaciuto chi, alla fine dei giochi, mette anche i fatidici punti sulle i, senza lasciare nulla al caso. - Conto di pagarci la cena per tutti, stasera, a Londra - C'è sempre della bellezza nella ribellione altrui, dopotutto. E sentirlo liberarsi dal suo continuare a trattarlo male la riempie di una sensazione strana. Quasi come l'orgoglio che dovrebbe traboccare nel cuore di una madre nel vedere il proprio figlio muovere i primi passi. «Te ne saranno tutti enormemente grati. Ares Carrow, il salvatore. Ti porteranno in trionfo per avergli permesso di svagare un po'. Avrai il loro amore.» Annuisce, bevendo un ulteriore sorso di birra, prima di alzarsi e buttarsi sul letto che ha usato fino a quel momento soltanto per rimanere sorretta. «Già, avrai il loro amore.» Si ripete, riflettendo sopra le proprie parole. «Ma un sovrano che possa anche soltanto sperare di regnare a lungo deve anche guadagnarsi altro Sono i vaneggiamenti di una mente esausta, quelli. Un inutile blaterale di una persona che vorrebbe soltanto essere lasciata in pace da tutto quel dolore. «Quando te la guadagnerei la loro paura?» Volta il capo verso di lui, mentre lo vede farsi più vicino. Senza la paura, l'amore non basta. E' questo che le è sempre stato insegnato, il precetto che Maze ha imparato a seguire per secoli e secoli della sua esistenza. Segui i suoi movimenti, fin quando non si siede sul bordo del letto, poco distante dal suo corpo. Maze non scivola di lato per fargli spazio e non fa nulla per far sì che stia più comodo, mentre ne capta l'occhiata. Quell'occhiata che la percorre interamente, quasi a volerla inglobarla e allo stesso tempo farla a pezzi, per poterne recepire ogni particolare.
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    - Stai. Un tempo non avresti avuto bisogno di chiedermelo, lo avresti saputo da sola - Sorride beffarda. Il bue che dice cornuto all'asino. «Un tempo non avresti mai chiesto come sto. L'avresti capito con un'occhiata. Suppongo che i tempi siano cambiati, per tutti.» Eccola di nuovo, quella punta d'acido che Maze ha deciso di riservare al suo capro espiatorio di ogni male che abbia mai ricevuto. La sente, quella sensazione di rabbia repressa ribollirle nelle vene, ma poi sente anche Trixie, sente il suo bisogno e allora decide di rimandare, di calmarsi, socchiudendo gli occhi per qualche istante. Poi lui le afferra il polso sinistro e in tutta risposta, lei sente di volersi ritrarsi e ci prova anche, con un scatto all'indietro, ma poi riapre gli occhi e lo lascia fare. Gli dà il beneficio del dubbio, mentre lui sembra osservare con attenzione le sue ferite fresche. Si guardano per qualche istante e Maze si chiede cosa vorrebbe dirle. Hai capito ora? Non siamo più fatte per te. E' cambiato tutto. - Pensi che stia fingendo? Che fingerei anche con te? - La mano riprende a tremare tra le sue dita calde e lui fa l'unica cosa che Maze non si sarebbe mai aspettata da lui. Le provoca dolore, spinge forte, fin quando una fitta parte dal palmo della sua mano fino ad essere recepita dal suo sistema nervoso. Scariche elettriche si spiegano in tutto il corpo e un sospiro sofferto, di sollievo, la costringe a dischiudere le labbra carnose. Gliene è grata, gli è grata per quei pochi secondi di sollievo. Guarda il soffitto, per qualche istante. «No, non lo penso.» Risponde. prima di tornare a guardarlo. Stacca il busto dal materasso e si mette a sedere, lentamente, mentre gli occhi scivolano a soffermarsi sulle loro mani, intrecciate dal dolore e dal sangue. Sangue. Sempre questo maledetto sangue. Si libera dalla presa di lui e si porta il palmo alle labbra. Spreme i piccoli tagli, succhiandone via il liquido rossastro, fin quando la pressione sanguigna sembra regolarizzarsi e lo sgorgare cessa. «Che ci fai qui, Ares? Sii sincero con te stesso e con me, per una volta.» Ti apro uno spiraglio, sto creando questa opportunità di luce per questa storia. «Cosa pensi di ottenere da una causa persa? Perché deve esserti chiaro questo, voglio che lo sia: io sono una causa persa, per te.» E lo sarò sempre. «Quindi cos'è che vuoi da me? Vuoi recuperare un rapporto che, con il tempo, è andato morendo? Vuoi essermi amico? Perché continui a ronzarmi intorno anche se io continuo ad allontanarti? Perché io davvero non capisco dove pensi di poter arrivare. Sarà sempre peggio, e peggio ancora. E io non sono più io, non lo sono da tempo. E' tutto cambiato.» Scrolla il capo, insistente, come a voler far fuoriuscire tutto quel dolore dalla testa. Vattene, lasciami in pace. Lasciatemi da sola, tutti. La voce che si alza di qualche ottava, per la frustrazione. «Non sarà niente come prima, ci sarà solo più dolore, più sofferenza. E io non sarò mai come ero prima.» Non lo sarò mai più.

     
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  7. AresCarrow
         
     
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    Seduto sul letto accanto a lei la ascolto ridacchiare, e cerco di capire quanto della mia risposta l'abbia divertita davvero e quanto, invece sia una presa in giro nei miei confronti. Se esiste un modo di saperlo, però, al momento è al di fuori della mia portata e, come tutte le cose di quel genere, viene presto accantonata in quell'angolo della mia mente destinato allo smaltimento delle inutilità. Preoccupati di ciò che puoi cambiare e ignora il resto è una di quelle leggi di vita che ho sempre creduto di aver fatto mia ma che mai, mai! avevo davvero interiorizzato prima che Lulah mi aprisse quel mondo. Sono molte le lezioni che ho imparato in questi due mesi, e non posso che essere grato a chi me le ha insegnate. Probabilmente lo sarò meno quando verranno a bussare alla mia porta chiedendomi il prezzo di quanto mi è stato insegnato, ma al momento anche quella sembra essere una cosa decisamente distante nel tempo e nello spazio, un problema dalle molteplici incognite e di cui sarebbe del tutto inutile preoccuparsi al momento. Già riposto, a sua volta, nello stesso angolo di cui sopra - Ares Carrow il Salvatore - quelle parole suonano perfino più ridicole sulle mie, di labbra, di quanto non siano suonate sulle sue. uno sbuffo leggero, a scacciarle come un insetto molesto - Sarebbe davvero uno strano mondo quello capace di vedermi con una corona in testa - a capo di un esercito, probabilmente sì, ma sovrano...non è cosa che mi abbia mai sfiorato seriamente la mente, l'essere un uomo del popolo e una guida per coloro che osservano dal basso, e la sola idea di vedermi come dispensatore di saggezza e buon consiglio ha la stessa sfumatura di una barzelletta. L'immaginarmi intento ad arringare una folla sotto la luce dei riflettori non ha alcuna attrattiva, su di me, non mi interessa affatto, e probabilmente sarei molto più a mio agio nel ruolo di colui che bussa di notte. In definitiva sarei in grado di guadagnarmi la loro paura molto prima che di comprarmi il loro amore, se dovessi. - Quando mi interesserà farlo - le rispondo però, sincero. Se ripenso allo scarno esercito di persone che si stende nei piani sotto di noi non riesco ad individuare più di una manciata di individui cui mi interesserebbe condividere il tempo di una cena, e perfino meno coloro di cui mi importa abbastanza da desiderare di spaventarli. Che utilità ne avrei, al momento? Che divertimento?
    «Un tempo non avresti mai chiesto come sto. L'avresti capito con un'occhiata. Suppongo che i tempi siano cambiati, per tutti.»
    Le tengo la mano, intento a stillarne sangue, finché lei non la toglie e se la porta alle labbra - Suppongo di sì - ammetto, ma non è di sicuro l'unica cosa che io dovrei ammettere in questo momento. Perché ho il sospetto di aver compiuto più errori di quanto non abbia mai creduto, con lei, molti più di quanto non sia stato saggio fare. Ma c'è del distacco in questa consapevolezza, un distacco che mi spinge ad attendere, e a salvare quel poco che ancora rimane di salvabile. Del mio orgoglio, se non di lei.
    Scuoto appena la testa nell'ascoltare la sua risposta. Non lo pensa, non pensa che fingerei di fronte a lei, ma allora cosa? Di tutto quello che è il mio rapporto con Maze fin dal giorno in cui è tornata ho una sola, grande certezza: che c'è qualcosa che non so. Non ho idea di cosa sia, ma la conclusione più ovvia è che si tratta di qualcosa che riguarda quel mondo, quello delle ombre e dei demoni e della paura, cui Tallulah è stata così gentile da coinvolgermi. Piego appena la testa di lato, osservandola per la prima volta da una distanza inferiore a qualche passo. Il letto è morbido e la coperta ha quel lieve odore di polvere e chiuso che ormai avvolge tutto il castello, da quando gli elfi hanno smesso di pulirlo, eppure non sembra infastidire nessuno dei due. Siamo stati in posti peggiori, insieme.
    Abbasso lo sguardo sulla mia mano, ancora sporca del suo sangue, per rialzarlo solo quando sento il controllo incrinarsi nella sua voce. Piego la testa di lato, incuriosito, mentre dal suo breve sfogo sfuggono dettagli che mi colpiscono come piccole lame ghiacciate, affondandomi nella carne e trovando un posto nel mosaico di ciò che sta succedendo, donando un nuovo significato a cose la cui vera sostanza, forse troppo poco razionale per me, mi era sfuggita dalle dita. Attendo che lei finisca di parlare prima di distogliere lo sguardo, riempiendo quel momento con il silenzio della meditazione. Osservo la finestra, il vetro sporco e ciò che di stende oltre essa, e la bottiglia di birra piena per metà che vi ho lasciato poco fa. Un pensiero saetta caotico nella mia testa, rimbalzando come la pallina di un flipper e distraendomi da tutto ciò che incontra - Io sono sempre stato sincero con te. Non credo di averti mai mentito una sola volta, da quando ti conosco - parole calme, che scivolano fuori dalla mia coscienza come altrettante verità. Pietre miliari lungo la strada che ci ha portato fino a qui - Forse avrei dovuto dirti di più, ma non ti ho mai mentito - l'errore era stato quello di dare troppe cose per scontato, di credere che lei sapesse anche ciò che non le dicevo. Di credere davvero che avrebbe usato quella parola, quando il gioco non le sarebbe più andato bene.
    Di non averle mai detto che non mi avrebbe perso, se l'avesse usata, ma che anzi bramavo che lo facesse.
    La osservo per qualche momento, in silenzio, prima di allungarmi verso di lei e prenderle il viso fra le mani. So che le sporcherò un lato del volto del suo stesso sangue ma non mi importa, e mentre la sento irrigidirsi sotto la mia presa avanzo con il busto, alla ricerca di qualcosa che, suppongo, sorprenderà lei tanto quanto me. Le poso le labbra sulla fronte e le premo lì, leggere, il naso immerso nei suoi capelli. Non so come faccia, ma profuma ancora come un tempo. Profuma di lei. Inspiro, alla ricerca di quelle parole perfette che so non esistere - Sono qui perché mi mancavi - ripeto alla sua fronte, quasi sperassi di poterle iniettare quella consapevolezza dritta attraverso la pelle - E perché quale che sia il motivo per cui sei così decisa ad allontanarmi, Maze, quale la ragione per cui mi disprezzi tanto, non cambierà di una sola virgola che io sarò sempre e comunque qui, a preoccuparmi per te. E ben venga se odiarmi ti fa stare meglio - che differenza farebbe, comunque, dopo essermi dannato l'anima anche per lei, fra gli altri? Scivolo all'indietro, di nuovo seduto ai bordi di quel letto così estraneo. Ne ricerco di nuovo lo sguardo mentre la mia mente, così veloce in molte cose, fatica a trovare altre parole. Mi stringo nelle spalle una manciata di secondi dopo - E lo so - dico infine - Non so cosa sia successo, ma non puoi davvero credermi così scemo da non essermi accorto che qualcosa è accaduto. Solo, qualunque cosa sia, non cambia comunque nulla -
     
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    Maze tenta disperatamente di capire il comportamento di Ares. Cerca di farlo da quando Trixie si è messa in mezzo, pregandola di andarci a parlare, a Natale. Da quel giorno, è tornata a ritroso, grazie ai momenti passati in solitudine per colpa della compagna fatta dalla mattina alla sera. Ha cercato di unire i punti, di darsi una spiegazione del comportamento altalenante. Si è domandata per giorni perché continuasse a provare ad avere un punto di contatto con lei, soprattutto partendo dal punto di vista che lei ha fatto di tutto per allontanarlo. Ha cercato in tutti i modi, più signorili, eleganti o meno che fossero, di spingerlo via, di costringerlo a non starle vicino, con quei suoi occhi azzurri che è sempre riuscita a sentirsi addosso, persino a metri di distanza. Sono occhi che sembrano poterti passare attraverso, portando alla luce ben più cose di quelle che pensi di avere dentro. Lo guarda, mentre rimane lì imperterrito, di fronte alla sua crisi di nervi e si domanda se lui non abbia visto in lei ciò che nessuno ha mai visto, prima di quel momento. Qualcosa che costringa la gente a restare, quel piccolo particolare che fa dire agli altri "No, forse vale la pena." - Io sono sempre stato sincero con te. Non credo di averti mai mentito una sola volta, da quando ti conosco. Forse avrei dovuto dirti di più, ma non ti ho mai mentito- Chi è che non lo fa? Dire di meno di quello che effettivamente pensano? Tutti omettono qualcosa nella vita. Tutti preferiscono apparire forti e degni di nota, piuttosto che indifesi, con il cuore che cade a pezzi e l'anima fragile. E' un comportamento umano al quale Maze si è abituata con estrema facilità. Non dire le cose, ometterle, per il bene proprio, in primis, è sempre stato lo sport in cui si è destreggiata con maggior abilità, Evitare le domande scomode essendo la prima a porle, mettendola subito in una posizione di vantaggio sull'altro. Maze, in un modo o nell'altro, ritiene di uscire sempre vincitrice dagli scontri verbali, anche quando questi implicano parlare di un qualcosa di più profondo di qual è la moda per l'estate prossima o di che belli sono i tacchi Louboutin che ha acquistato nel suo ultimo viaggio a Parigi. Campionessa nazionale del salto della domanda difficile, dello sviare qualsiasi argomento compromettente e soprattutto uscire dalla situazioni scomode. Scomoda come sta diventando quella in cui la rigetta Ares, per l'ennesima volta. Si irrigidisce, appena lo vede scivolare verso di lei. Lo guarda, con un'espressione indecifrabile, mentre prova a ritrarsi indietro. E' pronta a scalciarlo indietro, ma le sue mani sono calde contro il suo viso, lui profuma di buono e Trixie si crogiola in tutto questo, calmando ogni terminazione nervosa. E la cosa più impressionante è che non tenta di baciarla come ha fatto la prima volta. No, non lo fa, inaspettatamente, lasciandola sbalordita, mentre le sue labbra si posano sulla sua fronte. Rimane così, senza saper bene cosa fare, perché lei non c'è abituata alla dolcezza. Non è questo che le è stato dato nei secoli ed è avvezza a tutt'altro comportamento, più rude, più immediato, volto ad arrivare ad un solo scopo finale. E' una statua di sale tra le sue mani, pronta a farsi a pezzi da un momento all'altro, mentre ha gli occhi sgranati, focalizzati sul colletto della camicia di lui, sotto il maglione. Vorrebbe da una parte divincolarsi via, ma dall'altra vuole rimanere a bearsi di quel contatto completamente disinteressato. E' un "Toglimi le mani di dosso" unito ad un "Non farlo, non ancora." - Sono qui perché mi mancavi. E perché quale che sia il motivo per cui sei così decisa ad allontanarmi, Maze, quale la ragione per cui mi disprezzi tanto, non cambierà di una sola virgola che io sarò sempre e comunque qui, a preoccuparmi per te. E ben venga se odiarmi ti fa stare meglio - Si spezza la magia, nell'esatto istante nel quale sente quelle parole. Si irrigidisce e si scrolla le mani di dosso, così come lui scivola indietro, nuovamente. «Come deve
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    essere bello il tuo mondo, Ares. E' bella la favoletta che ti racconti? Ci sono anche gli unicorni e gli arcobaleni? E lo zucchero filato?»
    Gli chiede, stringendo gli occhi e arricciando il naso, infastidita. «Pensi che l'odio equivalga ad interessamento? Perché se provo qualcosa per te, che sia anche odio, va bene lo stesso? Ma dove vivi?» Scrolla la testa, portandosi le gambe al letto, per poi cingerle con entrambe le braccia. «Non mi devi nulla. Non ti ho mai chiesto nulla, non ho mai voluto nulla in cambio degli orgasmi che ti ho regalato, davvero puoi tenerteli insieme ai ricordi, non c'è bisogno che tu rimanga qua per quello che ci ha tenuto legati un tempo. Non me la prendo. Puoi andare.» Teatralmente, dispiega la mano di fronte a sé, indicando la porta. «Non ti voglio qui a preoccuparti per me se non mi dai una motivazione vera di questa preoccupazione. Perché continui a fare così? Me lo vuoi dire? Perché continui a fare il contrario di ciò che la gente ti chiede? Di ciò che ti chiedo a mani giunte? Lasciami andare. Comincia per una volta ad amare te stesso. Metti te stesso al primo posto, invece che continuare a preoccuparti di come stia questo o quello. Smettila. Pensa a te, per una dannatissima volta.» E' ormai a ruota libera, mentre la mente sembra non sostenerla più. La lucidità sembra averla abbandonata da tanto. - E lo so. Non so cosa sia successo, ma non puoi davvero credermi così scemo da non essermi accorto che qualcosa è accaduto. Solo, qualunque cosa sia, non cambia comunque nulla. - Scoppia a ridere, di scatto, quasi come un attacco di nervi improvviso. Non cambia comunque nulla. Scuote la testa, stringendo a sé le gambe e conficcandovi le unghie per non urlare. Ares non capisce. E' entrato nel suo mondo e continua comunque a non capire nulla. «Che ti ha fatto Lulah, Ares? In cosa ti ha trasformato? Cos'è che vedi? Spiriti, ombre, parli con i morti, controlli un elemento, riesci a risucchiare la vita altrui? Qual è il tuo super potere?» Gli domanda di getto, inchiodandolo con i suoi occhi azzurri, quelli che sembrano essere diventati quelli di una pazza. «Qual è il cazzo di potere che ti fa credere che non cambierà nulla? E' cambiato tutto da mesi, probabilmente da anni e tu continui a fare l'ottimista. Pensando di proteggere tutti, di poterti preoccupare per tutti, beh, non è così.» Si calma, giusto qualche secondo, qualche secondo soltanto che gli serve a scivolare in avanti, sulle ginocchia, per poi pararsi di fronte a lui. La mano che corre al suo viso. Gli carezza la guancia, dalla tempia a al mento, rimanendo in silenzio. «Quando le tenebre verranno, ti sarà richiesto un sacrificio. Dovrai tagliare fuori delle persone. Ti verrà richiesto di lasciarne indietro più di quante tu possa pensare. E quando arriverà il momento, sentirai del dolore, fisico, nel fare una scelta tanto drastica. Perché quelle persone dovranno cavarsela da sole, quelle persone che fino a quel momento hanno contato su di te, saranno costrette a vedersela con l'oscurità, loro contro di lei. E non lo sapranno fare, perché ci sei sempre stato tu a proteggerle. E moriranno, molto probabilmente, per questo.» La mano si stringe appena sulla sua guancia, mentre le unghie si immergono nella sua carne morbida e dal calore conciliante. «Fai un favore a tutti e comincia a fare una scelta ora. Scegli te stesso, tua sorella, scegli chi ti pare, ma fallo. Per te e per chiunque ti sta intorno in questo momento. Dai la possibilità agli altri di prepararsi, per non morire, quando non verranno scelte da te.» La mano scivola via, mentre continua a guardarlo fissa, con un sorriso amaro che si profila sulle sue labbra. «E' Darwinismo. E' selezione naturale. Vince solo il più forte e tu faresti meglio ad esserlo, quel più forte, a pensare alla tua di vita prima di quella degli altri, perché il mondo non sarà altrettanto gentile, nei tuoi riguardi. Il mondo ti fotte sempre, è un dato di fatto.»

     
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  9. AresCarrow
         
     
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    Per un attimo il sospetto che stia per sfuggirmi dalle mani si fa certezza, e io quasi la vedo allontanarsi dalla mia stretta. Stringo appena le mani, non tanto da forzarla ma abbastanza perché il mio desiderio si trasmetta in quel gesto, e con esso la mia intenzione. E' solo quando le poso le labbra sulla pelle calda della fronte, là dove il profumo dei suoi capelli si mischia con l'odore acre del suo dolore, che si blocca, incerta, e arriva perfino a rilassarsi. Socchiudo gli occhi a quel contatto, e inspirando lentamente arrivo a sentirmi un poco a casa, più al sicuro. Per un momento, il lungo istante di quel bacio, la sconosciuta sul cui volto si posano le mie mani smette di essere Maze e torna ad essere Trixie, la mia Trixie, e io sono di nuovo quel ragazzino stupido capace di gettare al vento qualcosa di tanto prezioso. Mi godo questo momento, cesellandolo nella mia memoria come un gioielliere farebbe nell'oro, nel tentativo di non perderne nemmeno una sfumatura. Il suo profumo, il suo calore, la luce opaca che filtra dalla finestra e il pulviscolo che si agita nell'aria, intorno a noi. Tutti dettagli di un ricordo che altro non è che un bivio, un bivio che io scelgo di imboccare nell'unica maniera in cui sono completamente inadeguato: parlando.
    Apro le mani e la lascio libera di allontanarsi, e mentre lei torna la persona che è diventata il mio volto assume di nuovo l'annoiata distanza di colui cui non importa.
    E' il mio animo che si fonde con le ombre da cui ho imparato a farmi cullare, nella cui assordante moltitudine ho imparato a trarre conforto. La consolazione di non essere più uno, ma parte di molti. Di non essere mai più davvero solo.
    Indietreggio appena mentre lei inizia a parlare, per poi scivolare giù dal letto e alzarmi in piedi. Le rivolgo le spalle e mi muvo verso la finestra, inseguito da quelle parole che mi scivolano intorno, sfiorandomi ma non colpendomi. Le ombre nella stanza sembrano essersi fatte più dense, i contrasti aumentati, e io posso scorgere occhi di tenebra che ci scrutano curiosi da ogni angolo in cui sia possibile nascondersi. Mi sento sotto processo, un dito analizzato dal resto della mano, e al contempo mi sento forte, tranquillo. Distante. Raggiungo il davanzale e afferro la birra che vi ho lasciato poco fa, voltandomi fino ad appoggiarmi nella stessa posizione di prima. Ne bevo un sorso, mentre l'ascolto, mentre l'ascolto davvero. E' sorprendente quanto poco la gente ascolti, quanto poco si fermi ad analizzare la musicalità di una parola, la cadenza di un discorso, la bellezza delle parole. Quasi resto estasiato dal movimento sublime delle sue labbra, frutti gonfi di passione, soavi al punto da privare ogni parola del suo reale significato. Resto grato a quella parte di me che continua a registrare meccanicamente tutto ciò che sento, archiviandolo solo una volta spogliato da qualsiasi significato emotivo.
    Il peso di quel disprezzo saprebbe schiacciarmi, se così non fosse, e nell'ammirarla mi lascio dondolare dal buio che mi circonda in attesa che finisca.
    Quando le sue labbra si fermano, però, io resto ancora immobile, a bere e ad osservarla. Gli attimi si sommano, uno sull'altro, mentre cerco di impilarli in un discorso che non dia adito a qualcosa di simile a quanto ho appena assistito, che sappia dirle qualcosa che io stesso non credo di poter comunicare a parole. Distolgo lo sguardo per puntarlo in angolo della stanza, là dove non c'è niente se non un addensarsi più buio, quasi solido alla vista. Se c'è un consiglio, là dentro, è qualcosa di riservato ai miei occhi, o a quel nuovo senso che pare sbocciato al centro esatto del petto. E' come vibrare di qualcosa che non è mio - Il mio mondo è orribile - le rispondo alla fine, tornando a guardarla. Parlo con calma, lentamente, come se la cosa non mi interessasse o non mi riguardasse. In parte è così. Non c'è giudizio, in quelle parole, ne alcun sentimento. E' la realtà dei fatti, e io l'ho accettata. Mi porto la bottiglia alle labbra e ne bevo un sorso, l'ultimo. Una punta di delusione mi sorprende, nel trovarla vuota. Il mondo a volte sa essere davvero crudele.
    La poso in ordine, sul davanzale, lasciandola lì a futura memoria prima di tornare di nuovo su di lei. Per un attimo sono tentato di provare a spiegarle quanto sia ingiusto da parte sua cercare di credere di avermi capito, di aver colto le mie motivazioni, quando in realtà sono passati mesi e lei non ha la minima idea di cosa mi passi per la testa. Nessuna di loro lo sa. Nessuno mi ha fatto una sola domanda, ne dato una sola spiegazione. Nessuno mi ha parlato, nessuno si è preoccupato, nessuno si è unito a coorte con me, cercando di farmi capire qualcosa. Mi hanno acceso e lanciato per il castello, senza controllo, e adesso si lamentano che il mio comportamento non è quello che si aspettano da me. Sarebbe triste, se non fosse buffo, ma questo sì che non riuscirei a farglielo capire - Perché non mi importa - le dico invece, con calma - Non mi devi nulla, non me lo stai chiedendo. Molto bene, ne prendo atto. Ti senti meglio adesso? - e riesco perfino a sorridere, almeno per metà. Va comunque bene, non sono mai stato bravo, in quello.
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    Mi allontano dal davanzale e torno verso il letto, fino a poggiarmi con la spalla ad uno dei pilastri del baldacchino. La osservo dall'alto - E io non ti devo nessuna spiegazione - puntualizzo un attimo dopo. Altra sacrosanta verità - Non solo perché tu, oggi, hai deciso che la desideri - esalo un sospiro, mentre rifletto e cerco i dettagli di quello che intendo invece spiegarle, che voglio dirle. Quelle verità che ci tengo a mettere di fronte a lei, in modo che lei possa accettarle o respingerle. Immagino che la prima riveli quanto di romantico mi resti ancora nell'animo - Quegli orgasmi sono la parte che meno mi è interessata, di te. Erano un mezzo, non un fine. Il mezzo sbagliato, forse, ma comunque un mezzo - perché io l'amavo, e immagino in parte di amarla ancora. Come potrei non amarla, come potrei non volerla? Trixie resterà per sempre il metro di paragone per qualsiasi donna io abbia conosciuto, o che conoscerò in futuro.
    Piego appena il lato, assecondando quella carezza perfino quando le unghie si sostituiscono ai polpastrelli, quando il dolore prende il posto della morbidezza. Perfino quello è un gesto da cui trarre del piacere, e un certo conforto. E' qualcosa che riconosco, in una qualche maniera - Avete sempre scambiato la calma per innocenza. Per stupidità - esalo - Non ho la presunzione di credere che quando verrà il momento mi sarà possibile fare la differenza, o che sarà facile, o che non sarà doloroso. Solo, penso che sarà quello che sarà a prescindere da quello che credo ora - alzo gli occhi, alla ricerca dei suoi, e alzo una mano, a fermare il suo gesto a posarla su quella che Maze mi ha messo sul volto. La tengo ferma lì, sospesa in aria - Quando arriverà il momento, Maze, farò quello che dovrò fare e sopporterò quello che dovrò sopportare, finché avrò la forza di farlo e perfino oltre, fin dove mi sarà possibile. Ucciderò chi dovrò uccidere e sacrificherò chi dovrò sacrificare, perché se c'è da fare una scelta io ho già fatto la mia - ma non le dico quale, non la pronuncio a voce. Non so se saprei negarle quel segreto, se me lo chiedesse esplicitamente, ma lei non ha ancora fatto e io quindi taccio, ancora. Un errore comune, in cui comunque sono più a mio agio che con il suo opposto. Intreccio di nuovo le dita con quelle mi Maze, ancora alte, e contino a frugare il suo sguardo alla ricerca di qualcosa - Cosa è cambiato, Maze? Come sei cambiata? -
     
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    - Il mio mondo è orribile - Beh, almeno questo denota quanto tu sia umano. Come tutti gli altri. Il mondo di Ares è orribile, come lo è quello di Mun, quello di Albus, quello di Fred. Come lo era il mondo di Trixie, prima di incontrare Maze. Come lo è tuttora il suo mondo, intrappolata nel proprio corpo, incapace di reagire, di muoverlo, di essere il solo e unico controllore delle proprie mosse. Il mondo fa schifo. Il mondo mortale fa davvero schifo, è questa la conclusione alla quale è arrivata Maze dopo quasi un anno di convivenza con quel genere umano che sa essere peggiore di un inferno fatto di pene da scontare e torture alle quali sottostare senza possibilità di opposizione alcuna. La cosa forse peggiore è che il genere umano tenta di essere migliore, cerca disperatamente di sembrare qualcosa che non è: tutti a provare ad essere delle belle e rispettabili persone, tutti che tentano invano di essere buoni di cuore, di essere gentili e premurosi con l'altro, di mettere sempre una buona parola, quella che riesca a cambiare l'umore del prossimo. Tutte cazzate. La maggior parte di coloro che hanno una faccia da santarellino, prossimo al martirio, è una massa informe di bugiardi, di meschini doppiogiochisti, di spaventosi leccaculo. E' forse questo l'unico dettaglio degli umani che Maze non riesce proprio a capire. All'inferno non c'è spazio per provare ad essere qualcuno che non si è. I bugiardi diventano i sinceri e i dannati si trasformano nei veri impostori, costretti a mendicare appena qualche minuto di riposo, tra una nuova frustrata e il calore del fuoco che prende ad ardere qualsiasi cosa. Ai suoi occhi esperti sembra quasi che la Loggia Nera diventi il luogo migliore nel quale ha abitato finora. Perché il mondo umano fa davvero schifo e per un attimo, un attimo soltanto riesce a compatire Ares. - Perché non mi importa. Non mi devi nulla, non me lo stai chiedendo. Molto bene, ne prendo atto. Ti senti meglio adesso? - Scrolla la testa, indispettita, mentre scalcia con forza la coperta che aveva addosso, fino a qualche istante prima. Come una bambina viziata, Maze prende a fare i capricci. «Mi sentirò meglio soltanto quando prenderai a darmi ascolto.» Alla fine dice, lanciandogli un'occhiata di sbieco. E' infastidita dal modo di comportarsi di Ares. Perché continuare a stare intorno a persone che non ti vogliono lì? Perché essere così irrispettoso della sfera personale altrui? «Sei davvero snervante, quando ti ci metti, lo sai, Ares?» Lancia tra di loro quella domanda retorica che non ha bisogno di alcuna risposta, essendo una quanto più decisa affermazione. Ares sa essere tremendamente fastidioso, quando la smette di fare il musone filosofico, che se ne sta nelle sue. E Maze, a conti fatti, non sa quale delle due versione preferisca. «Ce la metti tutta per farmi arrabbiare e io so essere davvero diplomatica. Davvero tanto. Ma tu..tu no signore, fai di tutto per farmi arrabbiare, per tirare fuori il peggio di me. Tu e tua sorella siete quanto di più lontano si possa immaginare.» Perché non le somigli un po' di più? Scuote la testa, sbuffando sonoramente. - E io non ti devo nessuna spiegazione. Non solo perché tu, oggi, hai deciso che la desideri - E allora che cazzo ci fai ancora qui? Urla la propria mente, trafitta dai mille aghi del fastidio che prova in quell'istante. Vattene, vattene via lontano e lasciami andare. Trixie emette un lamento sommesso, mentre Maze dichiara la sua sconfitta, alzando bandiera bianca. Io ci ho provato, Beatrix, non posso farci niente. Non sono te. Mi dà sui nervi. «E' tutta una difesa, non è facile essere un Carrow. Te l'ha raccontato Mun. E tu sai benissimo che non è facile nemmeno essere una Greengrass. C'è tanto sopra le nostre teste. C'è tutto il peso del mondo.» Le aspettative, la morte lenta di un anima pura.
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    - Avete sempre scambiato la calma per innocenza. Per stupidità. Non ho la presunzione di credere che quando verrà il momento mi sarà possibile fare la differenza, o che sarà facile, o che non sarà doloroso. Solo, penso che sarà quello che sarà a prescindere da quello che credo ora. Quando arriverà il momento, Maze, farò quello che dovrò fare e sopporterò quello che dovrò sopportare, finché avrò la forza di farlo e perfino oltre, fin dove mi sarà possibile. Ucciderò chi dovrò uccidere e sacrificherò chi dovrò sacrificare, perché se c'è da fare una scelta io ho già fatto la mia - Scrolla la testa, Maze, con un sorriso perfido a deformarle le labbra mentre lo guarda fisso, con quel suo sguardo spiritato. La sua mano intrappolata in quella di lui, sospesa a mezz'aria. «Oh no, non sto di certo dicendo che sei innocente. Non mi fraintendere. Ti stai macchiando di un crimine enorme: il sacrificio consapevole. Tu stai mandando al macello persone che si sono affidate a te, le stai facendo credere, le stai illudendo che ci sarai quel giorno. Ma tu quel giorno ripiegherai su altri, perché non potrai fare il paladino della legge, il salvatore delle masse e proteggere tutti..no, non ci riuscirai. E' troppo grande persino per te.» Un sorriso affiora sulle sue labbra, inconsapevolmente, mentre smuove le dita tra quelle di lui, come a volersi liberare dalla sua presa, ma non facendolo mai davvero. «A queste persone l'hai detto che non sono loro la tua scelta? Non sono loro la tua prima scelta?» Lo guarda, tranquilla, riprendendo il pieno controllo su di sé, accantonando per un attimo il dolore che Trixie le infligge costantemente. Ignorando il fiato corto e il sudore freddo che sente all'attaccatura dei capelli: tutto quello che deve fare per cercare di avere controllo su di lei. «Ai tuoi amichetti ricchi l'hai detto? Nate lo sa che salverai prima altri, quando dovrai farlo?» Non aggiunge gli altri nomi, al di fuori della loro cerchia, ma sa benissimo che così facendo Ares potrà capire che sa benissimo chi ha scelto. Chi è stato costretto a scegliere dal potere che Lulah gli ha donato. «Come pensi la prenderanno, quando gli volterai le spalle, senza nessun preavviso? Illudere le persone..non c'è cosa peggiore.» Lo incalza nuovamente, alzando le sopracciglia. Cosa pensi che faranno tutti? - Cosa è cambiato, Maze? Come sei cambiata? - Scoppia a ridere, stringendo la presa sulle sue dita. Ora gli interessa, hai sentito Trixie? Ora vuole sapere cosa è cambiato. Siamo tornate importanti, ora che non c'è nessun'altro ad oscurarci. Si passa la lingua sul labbro inferiore, andando ad umettare la sua secchezza. «Vedi è strano..» prende a dire, strizzando gli occhi come se divertita da un pensiero silenzioso che le ha appena attraversato la mente. «Tu non mi devi alcuna spiegazione, non quando la voglio io perlomeno. Però io la devo a te, quando la vuoi te. Dopo mesi di mia assenza nei quali non ho visto nemmeno una lettera da parte tua. Ti sei chiesto come stavo? C'è mai stata una sola volta in cui hai pensato di scrivere per sapere dove cazzo fossi finita?» La scintilla di quell'ira lasciata a dormire per troppo tempo si fa strada tra i suoi lineamenti, rendendoli talmente fastidiosi da apparire persino belli. «O forse dovrei dire..dove cazzo fosse finita Beatrix.» La lingua scocca contro il palato, mentre Trixie si ribella, nella sua testa. «No, non così. Non dirglielo così. Non così.» Si lamenta, in quel flebile sussurro che Maze decide di non ascoltare. No, perché è stanca di tutti quei giochetti. Stringe più forte la mano di Ares, sorridendo malefica. «Perché è così. Io non sono la tua dolce, dolcissima Trixie. Bravo, tesoro, sei intelligente, hai seguito le molliche di pane e alla fine eccoci qua, sei arrivato a bussare alla porta della casetta di marzapane.» E sono io la tua strega cattiva. Gli occhi da azzurri diventano scuri, torbidi, eppure lucenti, illuminati dalla scintilla della pura euforia, mentre la fila superiori di denti scintilla nella penombra. «Perché Trixie è morta. E' questo il come sono cambiata.» Alza le sopracciglia, come a volerlo convincere delle sue stesse parole. «E' morta quasi un anno fa, il 3 Febbraio per l'esattezza. Tu sei stato uno dei suoi ultimi pensieri mentre il suo corpo veniva scaraventato fuori dal parabrezza rotto di una macchina e tu chissà che facevi in quel momento. L'hai sentita? L'hai sentita morire sul ciglio di una strada, da sola e impaurita? Chissà cosa hai pensato i mesi successivi, chissà che cosa ha continuato a frullarti in questa bella testolina, mh?» La mano che infine si libera dalla sua presa, per poi riprendere a carezzargli il viso, ancora una volta, prima di recidere ogni contatto, lasciandola cadere sul suo grembo. «Ora mi credi quando ti dico che non abbiamo più niente da condividere? Non ce l'abbiamo da tanto tempo. Sei libero, Ares, puoi andare, sei assolto da qualsiasi peccato. Non hai più alcun vincolo che ti lega a me.»

     
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