I'll tell you my sins so you can sharpen your knife

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    « Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te ». Lo aveva detto Nietzsche, e dunque, per Albus, era automaticamente un dogma. Il Serpeverde, in quel metaforico abisso, sentiva di esserci caduto nel momento in cui aveva varcato la soglia della foresta proibita, armato di niente più che nobili intenzioni. Lo aveva fatto con ingenuità, con faciloneria, credendo che qualsiasi cosa ci fosse ad attenderlo dall'altra parte non fosse altro che l'ennesimo ostacolo a cui la vita sembrava ormai divertirsi a sottoporlo. Credeva di sapere, Albus. Credeva sempre di saperne una più del diavolo. Ma puntualmente gli veniva provato il contrario, e con altrettanta puntualità finiva per sbattere il muso sulla superficie fredda della propria presunzione. Qualcosa era cambiato, in lui, che lo accettasse o meno. Qualcosa era diverso, e non si trattava tanto dell'essersi trovato ad affrontare la schiacciante solitudine che volente o nolente ti mette faccia a faccia con le tue storture, ma piuttosto di una sorta di calcio di inizio. Quale fosse poi questo inizio o a cosa portasse, non lo sapeva, ma sentiva che quel momento aveva creato un'altra pietra miliare nella sua strada. Ne aveva avuto la conferma durante uno dei suoi sparuti giorni da ramingo, quando durante una delle sue esplorazioni si era imbattuto in uno di quegli esseri immondi che non avevano nulla a che fare con le creature riportate nei libri di scuola. In un tentativo più dettato dal panico che altro, Albus aveva castato l'incanto Patronus, e a sua sorpresa non ne era uscito il tarsier a cui era abituato, ma piuttosto un maestoso cervo dalle fattezze in tutto e per tutto simili a quello prodotto da suo padre. In un primo momento aveva creduto che si trattasse di un delirio dettato dall'insonnia, ma una volta tornato alla casetta sull'albero aveva riprovato l'incanto con più tranquillità, constatando che sì, la forma del suo patronus era cambiata. Non sapeva perché, ne' quando di preciso fosse accaduto, ma era così. E allora viene spontaneo chiedersi come mai proprio quella specifica frase di Nietzsche sia affiorata nella mente del ragazzo. In fin dei conti, quel cambiamento altro non sembrava presagire se non un qualcosa di positivo in lui. Ma il discorso è un altro, e l'episodio del patronus è esclusivamente funzionale in qualità di una sorta di prova del nove: la certezza schiacciante di un qualcosa che già si sa essere avvenuto. E infatti non è il cervo dei Potter il protagonista di questa storia, a cui esso fa solo da avvenimento rivelatore. Qualcosa era cambiato, lo sguardo di Albus si era volto a scrutare una parte della realtà di cui non aveva mai nemmeno sospettato l'esistenza, e inevitabilmente ciò era entrato nel suo sistema, ridefinendo le linee della sua coscienza. Aveva sentito la tossicità di quell'aria penetrargli nei polmoni, entrargli in circolo nel sangue, ma al contempo il suo sguardo si era mosso curioso nell'indagine di un qualcosa che sentiva di dover ricercare nelle vicinanze ma di cui effettivamente non conosceva la natura. Era come vivere in un sogno, una dimensione onirica in cui si è guidati più dal subconscio che dal ragionamento, e l'immersione nel proprio subconscio lo aveva portato a una deriva spirituale in cui tutto sembrava altro. « Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco. Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto alberi case colli per l'inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto ». Albus Potter era cresciuto con racconti di speranza, coraggio, nobiltà e fede. E in quei racconti, la sua naturale propensione al contrasto, vi aveva scorto sempre una patina illusoria, creandovi attorno un modo di oscurità. Con le sue sofferenza e la sua solitudine, lui costituiva, per così dire, lo sfondo di ombra al quadro di luminosità della famiglia Potter. E così si era sempre visto: come un'ombra, come una tinta scura in una tela altresì brillante. Aveva sempre visto in sé stesso una profonda oscurità fino a quando nell'oscurità vera non ci si era trovato sul serio; solo lì, pur se restio ad ammetterlo, aveva avvertito la sostanza sfuggente che da qualche parte albergava nel suo animo, una sorta di spettro luminoso non dissimile in concezione metaforica a un patronus. Difficilmente, tuttavia, il giovane Serpeverde avrebbe accettato l'idea di dar ragione a chi gli aveva detto che lui, volente o nolente, sempre sarebbe stato un simbolo di speranza per il semplice fatto di essere un Potter.
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    La sala comune Corvonero si era chiusa ormai da due o tre giorni, e già si erano iniziati a vedere i sintomi dei primi squilibri; se il lockdown li aveva tutti abbrutiti almeno in parte, ora l'essere confinati in uno spazio ancora più angusto, con ancor meno viveri e luminosità, li stava facendo diventare vere e proprie bestie. Albus, dal canto suo, aveva cercato di evitare quante più persone poteva, strisciando lungo le pareti con lo sguardo basso e la mano pronta ad afferrare la bacchetta. Un animale braccato, spaventato dal minimo rumore, incapace di chiudere occhio. I suoi pensieri variavano in forma e natura, ma per lo più si concentravano sui bisogni primari o sullo schiacciante senso di estraneità che intercorreva tra il proprio corpo e la propria mente. Avvertiva fin troppo e con fin troppa specificità, marinandosi all'interno delle sensazioni scatenatesi in lui la notte di Natale. Parlava ancor meno del solito, e passava lunghe ore a ripercorre retrospettivamente nei propri pensieri gli anni della sua intera vita, il tutto alla disperata ricerca di qualsivoglia fosse stato il momento a partire dal quale tutto aveva iniziato ad andare a rotoli. Ricercava un fattore scatenante, convinto che la nascita di Jay non fosse altro che la punta dell'iceberg. Ricercava un qualcosa, una qualsiasi cosa che potesse illuminare il proprio percorso e aiutarlo a capire cosa effettivamente fosse cambiato in lui, quale fosse il preciso istante che lo aveva condotto in quella strada di inesauribili patimenti e scelte sbagliate. E più ci pensava, più non riusciva a trovare una conclusione, martoriandosi la testa in quella paranoica e maniacale distrazione dai problemi più reali.
    Alla porta di Mazikeen Greengrass ci si era trovato quasi per sbaglio, seguendo uno strisciante subconscio che riproduceva una melodia in loop nel sottofondo della sua testa. Ci si era trovato e aveva bussato, realizzando solo a cose fatte il motivo che lo aveva portato lì. Quando la ragazza aprì la porta, però, per prima cosa gli occhi di Albus corsero a perlustrare il resto della stanza per accertarsi che non fosse in compagnia di qualcuno che desiderava evitare. Tuttavia, grazie al cielo, non era quello il caso, e così tornò a guardare la concasata in volto, stirandole un piccolo sorriso. "Ehi..hai da fare? A parte non morire, intendo." Che era un po' l'occupazione primaria di tutti quanti, di quei tempi. "Volevo chiederti un favore - nulla di troppo astruso, ma se non hai tempo o modo non fa nulla." fece una pausa, mordicchiandosi l'interno del labbro inferiore nell'indecisione e affondandosi le mani nelle tasche dei jeans. "So che tu fai tatuaggi..e per quanto possa sembrare un'idea immensamente stupida da realizzare proprio ora, vorrei farne uno. Il prezzo lo stabilisci tu: i soldi sai già che non sono un problema, e la mia calza ha ancora tre desideri intatti da esprimere."
     
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    «Ti prego, Maze, ascoltami.» Non la sopporta più quella lagna giorno e notte. Beatrix ha deciso di prenderla per sfinimento, cercando di farsi dare quello che vuole. Ha bisogno di un morso, soltanto di un altro morso. E glielo ripete sempre. Sono pochi i momenti in cui sembra addormentarsi, lasciando Maze al silenzio tanto agognato, dove può finalmente riposare la mente e concedersi quel poco di pace che desidera da giorni. Ma sono solo poche ore quelle che le vengono concesse da quello sbaglio fatto con ingenuità. Perché è tutta colpa sua se Beatrix sta così male, ne è cosciente. E' lei che è volutamente andata nella tana del lupo a reclamarne il sangue. E' lei che ha passato il limite, non pensando minimamente alle conseguenze, come fa sempre. Per entrambe. E questa volta non ha valutato troppo bene lo spazio di manovra, non prendendo in considerazione il fatto che gli umani hanno reazioni differenti al sangue di vampiro e Beatrix sembra avere la peggiore di tutti: la pura dipendenza. E' come una tossica, quando le sussurra all'orecchio. E' come una completa cocainomane quando la sveglia nel sonno per urlarle che ha bisogno soltanto di un altro po' di sangue. Ha bisogno soltanto di un altro morso. Maze invece ha bisogno soltanto di pace e di tranquillità e quel senso di nulla l'ha trovato nelle pasticche. C'è ancora qualche pazzo, specie tra i suoi compagni di casata, che ha qualche rimasuglio rimastogli da prima del ballo di Halloween. Ne hanno le tasche tappezzate e le smerciano, in cambio di favori o soldi, il più delle volte. Ed è un gruzzoletto di galeoni che ha passato a Tim Carlton, prestante Serpeverde dell'ultimo anno, per avere un blister con quattro piccoli tesori chiamati "Blue Sky." Ha voluto solo e soltanto quelli, Maze, quando Tim le ha elencato i nomi dei prodotti che si trovano sotto la sua giacca. Il parallelismo con il suo soprannome l'ha fatta subito sorridere, così come la fa sorridere il domandarsi cosa se ne farà Tim con i suoi soldi. E' già tanto se è arrivato a Natale, ed è molto probabile che quei galeoni non vedranno la luce del sole. Non grazie a lui perlomeno. Ma della sua vita, in fin dei conti, le interessa fin quando continua a fornirle quell'inibitore per la coscienza tormentata ed ingombrante di Beatrix. Si chiude la porta alle spalle e si guarda intorno, circospetta, alla ricerca di movimenti sospetti. Non c'è nessuno, constata dopo qualche minuto di silenzio. Si porta avanti, fino al centro della stanza, dandosi una spinta con i palmi delle mani, usando come appoggio la superficie fredda dietro di sé. Non ha siringhe, non ha modo di fare a pezzi un cristallo con la sicurezza di ottenere comunque gli stessi effetti dal medicinale, così, senza pensarci lo manda giù, tutto intero, deglutendo con non poca fatica. Si porta una mano alla gola, sentendo il passaggio faticoso della sua salvezza lungo il condotto faringeo. Ne segue il percorso, mentre Beatrix sembra risvegliarsi dal suo stato di trance, quello grazie al quale Maze ha potuto agire senza essere disturbata. «Non ancora. Devi prenderti cura di me, non puoi semplicemente zittirmi così.» «Oh sì che posso. E lo faccio. Eccome se lo faccio.» Ha delle sfumature maligne la sua voce, così come è possibile percepirvi la tensione e l'estrema stanchezza. Passa di sfuggita davanti allo specchio che sta lì, appeso di fronte il proprio letto. Ha un aspetto strano. Goccioline di sudore le imperlano la fronte, le occhiaie violacee sotto gli occhi sembrano essere ormai parte integrante del suo nuovo look. Tutto per colpa di una svista. Una sola piccola svista che lo costa tutto questo tormento. E lei di torture se n'è sempre intesa molto bene. «Fin quando non avrò capito come riaggiustarti.» Si appoggia al letto, aspettando che tutto si vada affievolendo e i primi sintomi li ha guardandosi la mano sinistra. Quella che trema, sempre, nell'ultimo periodo. A poco a poco, mentre la droga le entra in circolo, le dita vanno fermandosi, così come lo fanno le voci lamentose nella sua testa. Finalmente c'è silenzio e Maze si butta indietro, affondando nel materasso, con le braccia aperte e un sorriso raggiante. «Fai dolci sogni, fiorellino.» Le terminazioni nervose di Beatrix sono momentaneamente anestetizzate e finalmente Maze ha di nuovo un corpo, tutto sotto il suo completo controllo. E' lì che comincia a pensare cosa potrebbe fare per quelle orette di libertà vigilata ed è quasi in procinto di addormentarsi, quando sente un colpo deciso alla porta. Si rialza, di scatto, avvicinandosi con espressione corrucciata.
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    Un'espressione che muta notevolmente appena i suoi occhi chiari incontrano quelli di Albus Potter. Oh, ma buongiorno! Segue per un attimo l'occhiata che lancia oltre le sue spalle e si domanda se stia cercando effettivamente lei. Sta quasi per assumere un piccolo broncio deluso, quando lui prende la parola. "Ehi..hai da fare? A parte non morire, intendo. Volevo chiederti un favore - nulla di troppo astruso, ma se non hai tempo o modo non fa nulla." Si rasserena immediatamente, appoggiando la testa alla porta. «Per te non ho mai da fare, dovresti saperlo ormai. Nemmeno la morte mi ferma.» Gli sorride, facendosi da parte quel tanto che basta per farlo entrare nel suo piccolo antro. Per quanto sia stanca, la droga prende ad avere l'effetto contrario, tanto da renderla più sveglia del solito, con gli occhi vispi e movimentati. E' decisa su di giri ed è difficile notarlo dai suoi movimenti concitati, se non la si conosce fin troppo bene. Alza entrambe le sopracciglia, eloquentemente. Di cosa hai bisogno, tesoro? "So che tu fai tatuaggi..e per quanto possa sembrare un'idea immensamente stupida da realizzare proprio ora, vorrei farne uno. Il prezzo lo stabilisci tu: i soldi sai già che non sono un problema, e la mia calza ha ancora tre desideri intatti da esprimere." Fare i tatuaggi: un'occupazione che Mazikeen, la demone, non avrebbe mai pensato di poter fare e neanche lontanamente saper fare. Ma Beatrix, a volte, le riserva non poche e gradite sorprese, due di queste il sapere disegnare e il saper maneggiare la macchinetta elettrica. Così Maze ha cominciato, inizialmente per gioco, a tatuare chiunque volesse, all'interno del castello. E la voce deve essere arrivato a Potter. Lo guarda negli occhi, specchiandosi in quei due laghi blu per qualche istante, prima di inclinare la testa di lato, con fare interrogatorio. «Pensi sia interessata ai tuoi soldi?» Oh andiamo, sono una Greengrass, mi potrei quasi offendere. «Non voglio i tuoi soldi, così come non voglio i tuoi desideri. Sarebbe crudele togliertene anche uno soltanto, di questi tempi.» E Maze lo farebbe, se fosse qualsiasi altra persona. Non esiterebbe ad alzare il prezzo e la posta in gioco, per mettere in difficoltà l'altro. Ma in questo caso l'altro è Albus e con lui non le va di essere crudele. Con lui è diverso, lo è sempre stato. «Agli amici faccio prezzi di favore. Sono certa che troverai un modo per ricambiare il favore, un giorno o l'altro.» Gli occhi si muovono veloci, a voler abbracciare l'intera stanza, prima di prendere la spalliera di una sedia, per trascinarla fino al centro della stanza. «Siediti pure.» Lo invita a fare, mentre si rigira a prendere un blocco da disegni. Recupera una penna incantata da sopra la scrivania e si siede di fronte a lui, sopra il proprio letto. Incrocia le gambe e vi poggia sopra il quaderno. «Allora, dimmi le tue idee, così butto giù un disegno e vediamo cosa ne esce fuori.» Parla velocemente, quasi la lingua non avesse più alcuna barriera, tutte spazzate via dal magico cristallino. «E sii più dettagliato e fantasioso possibile. Mi raccomando.» Alza appena lo sguardo, solo per indirizzargli un occhiolino.
     
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    "Pensi sia interessata ai tuoi soldi?" Si strinse nelle spalle, l'espressione della più totale vacuità dipinta in volto. Non avrebbe saputo dire cosa interessasse a Maze in quel momento, o in un qualsiasi momento. Che di soldi fosse già piena da sola, questo lo sapeva, ma sapeva anche che - come dice il proverbio - quello che non ammazza, ingrassa. I desideri erano la seconda cosa logica che aveva attraversato i suoi pensieri. "Non voglio i tuoi soldi, così come non voglio i tuoi desideri. Sarebbe crudele togliertene anche uno soltanto, di questi tempi." Le sorrise con una sfumatura di gratitudine, facendosi avanti nella stanza a piccoli passi come se stesse perlustrando un territorio nemico. Dentro di sé si spiegò quei movimenti cauti come un retaggio del periodo trascorso nella foresta; non si era ancora del tutto abituato alla realtà solida, quella popolata da persone piuttosto che creature, dove l'aria non era tossica e potevi permetterti di chiudere gli occhi e scivolare nel sonno senza il terrore di un agguato quasi certo. Ogni rumore lo faceva ancora sussultare, e il suono delle voci altrui - così come della propria - risultava ancora strano alle sue orecchie. Paradossalmente si sarebbe trovato più a suo agio se in quel momento fosse comparsa una di quelle creature immonde a cui ormai sembrava essersi abituato. "Agli amici faccio prezzi di favore. Sono certa che troverai un modo per ricambiare il favore, un giorno o l'altro." Per un istante aggrottò la fronte, lanciando un veloce sguardo alla Greengrass per analizzarne l'espressione. Un mezzo sorrisino comparve sul suo volto nell'atto di scuotere appena il capo. "Noto con piacere che non hai perso la tua vena enigmatica." disse, come a riecheggiare il loro ultimo incontro, al ballo, quando le aveva detto: "sei un vero mistero, Maze, fattelo dire." Parole in cui tutt'ora credeva fermamente, e che all'epoca pensava di aver tutto il tempo del mondo per scioglierne i nodi. Nonostante la luna fosse ferma sulla stesso punto nel cielo, sembravano passati secoli da quella notte, quell'ultima notte in cui si erano tutti potuti dire veramente ragazzi. Adesso cosa erano? Adulti? No, nemmeno per scherzo. Erano fantasmi, sospesi tra passato e presente, intrappolati in un limbo senza apparente via di uscita. I loro occhi non possedevano più quella luce gioviale che avrebbero dovuto avere, ma piuttosto dipingevano un quadro di disincanto, stanchezza e - per lo più - rassegnazione. Sembriamo tutti invecchiati di almeno dieci anni all'esterno, e regrediti di quindici all'interno.
    "Siediti pure." colse immediatamente l'invito, schiarendosi la gola e arrotolandosi le maniche della camicia fino ai gomiti nell'attesa di ulteriori istruzioni da parte della concasata. "Allora, dimmi le tue idee, così butto giù un disegno e vediamo cosa ne esce fuori. E sii più dettagliato e fantasioso possibile. Mi raccomando." Si inumidì velocemente le labbra sullo sbocciare di un sorriso, inclinando appena il capo con un'aria ironica e straniata al contempo, quasi fosse divertito dal ricordo di una battuta sentita in passato. "Spero che tu abbia un bel po' di tempo a disposizione, allora. Perché quello che voglio chiederti non è un disegno o una frase, ma piuttosto..un processo. Prendi questo tatuaggio come fosse un'allegoria: io ti racconto la storia che deve trattare, e tu..beh, tu sei libera di rappresentarla come meglio credi." abbassò lo sguardo sul braccio sinistro, avanzandolo appena come a volerglielo mostrare, rigirandolo sotto i suoi occhi. "..su questo braccio." Gettate dunque le indicazioni di base, si mise più comodo sulla sedia, attirando lo sguardo nell'angolo in alto dell'occhio per tuffarsi nei ricordi che stava per riesumare dalla loro tomba. "Comincia nello stesso modo in cui comincia ogni storia: piangendo..nudo, sporco, infreddolito e spaventato."

    « I thought it up and brought up the past
    Once you've gone you can never go back
    I've got to take it on the other side »


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    Non avrebbe saputo dire quanto tempo trascorse a parlare. A un certo punto smise semplicemente di farci caso, lasciando che quelle parole fluissero da lui in un fume catartico che solo ora si rendeva conto di necessitare. Le raccontò tutto. La propria infanzia felice, analizzata retrospettivamente a individuarne i punti che avrebbero dovuto dargli il sentore di un futuro cambiamento: quell'idolatria cieca per la figura paterna, la presunzione di un bambino viziato, il piacere dell'attenzione mediatica scivolato lentamente nel soffocamento e negli atteggiamenti difensivi, la conseguente paranoia di sentirsi derubato, scisso, dal paragone col padre, la fobia dell'altezza e la bruciante frustrazione di non essere il figlio maschio che Harry desiderava avere, il ritiro nella scrittura e nella musica, l'alienazione, il cambio di colore dei suoi capelli. Sipario. Fine primo atto. Poi la solitaria adolescenza: il rinchiudersi all'interno della cerchia familiare, la diffidenza, le continue risse, il disprezzo verso ogni forma di autorità, i primi accenni di crisi depressive, e poi Betty, il primo amore. Un amore che aveva rovinato con le proprie stesse mani in quella sua sballata percezione di cosa significasse 'proteggere tutti'. La nascita di Jay, le bugie, i litigi feroci coi genitori, il tentativo disperato di controllare tutto, lo spaccio, il lento distacco da amici e famiglia, l'arresto, il crollo nervoso, il riformatorio e la fine della relazione con Betty. Sipario. Fine secondo atto. L'adolescenza matura: le diagnosi psicologiche, il rientro a scuola, le bocciature, il completo distacco da tutti, il peso sempre maggiore del segreto di Jay, la disperazione quando Hogwarts era stata chiusa con l'arrivo di Kingsley, la frustrazione al campo estivo e il terrore che Jay potesse essere morto, i litigi con Betty, l'incontro ad Hogsmeade con Evey, l'arrivo di Fawn, il ballo e la pubblica rivelazione di Jay, il lockdown e i suoi vari avvenimenti salienti fino alla sera precedente - quella passata con Fawn. "..e dovrebbe essere tutto..se non fosse che a un certo punto..non so, è come se si fosse creato un percorso parallelo. Credo fosse Ottobre. Episodi sporadici - lo psicologo le ha definite crisi. Un liquido nero simile al petrolio che mi capita di vomitare a intervalli irregolari, con intensità diverse. Riesco ad avvertirlo, quando c'è..è come una presenza estranea che il mio corpo si sforza di respingere. Credo che.." si interruppe, cosciente del fatto che continuare quella frase lo avrebbe portato ad aprire l'unico discorso che voleva tenere chiuso: Mun. Non sapeva se il non volerne parlare fosse più dovuto alla coscienza che quella non fosse una storia interamente sua da raccontare, oppure a un latente desiderio di distogliere i propri pensieri dagli innumerevoli sensi di colpa che quella faccenda aveva scatenato. Scosse dunque il capo, come a intendere di lasciar perdere. "..non lo so nemmeno io. Brancolo nel buio, tanto per cambiare. L'ultima volta, la notte di Natale, è stata la peggiore." il suo sguardo andò a puntarsi sulla porticina che separava la stanza dal bagno, indicandola con un cenno del mento "Sai come ti ho detto che più volte, negli anni, ho avuto la tentazione di mettere un punto di conclusione? Ecco, quella sera non ho avuto ripensamenti, nemmeno l'idea di lasciare Jay orfano mi ha trattenuto. Ero convinto. Volevo farlo, perché era semplicemente troppo. E ci sarei riuscito, se quella lametta non fosse caduta nello scolo del lavandino." Per un istante realizzò che Maze era la prima persona con cui ne aveva parlato, e che probabilmente sarebbe stata anche l'ultima. Si vergognava? Sì. Estremamente. Probabilmente era la cosa per cui più provava vergogna tra tutte le azioni di quegli ultimi diciannove anni. Prese un respiro profondo, riportando in fine lo sguardo negli occhi di Maze. "Sono stato abbastanza dettagliato?"
     
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    "Noto con piacere che non hai perso la tua vena enigmatica." Un sorriso traspare sulle sue labbra, mentre si impegna a non caricarlo di troppa enfasi. per non rendergli assolutamente palese il fatto che ha in circolo della droga che sta facendo, piano piano, effetto. «E' confortante che qualcosa, perlomeno, non sia cambiato.» Si ritrova a commentare, mentre il sorriso sembra traballare lievemente sotto il peso di quelle parole che, forse, non sono neanche troppo vere. «O magari sono soltanto estremamente conservatrice e terribilmente noiosa. Chissà.» Si stringe nelle spalle, ridacchiando per camuffare qualsiasi tentativo da parte dei suoi turbamenti di venire in superficie. Silenzia qualsiasi cosa, mentre gli dà le spalle, giusto il tempo di prendere l'occorrente per cominciare a buttare giù un'idea per il tatuaggio che vuole farsi. Non si fa troppe domande - non è sicuramente nelle condizione di porsene di troppe difficili - riguardo il tempismo strano che ha scelto di seguire Albus per andarle a chiedere di farsi un tatuaggio. Non è il primo che glielo chiede durante quei giorni di prigionia nella prigionia, è vero, è un modo come un altro per passare del tempo, per riempire delle ore che altrimenti scorrerebbero fin troppo lente. Ma Albus è intelligente, molto. E' un'anima carica di sfumature e l'unico vero interrogativo che si palesa nella mente delle Greengrass è proprio quello riguardo la tempistica adottata. Deve esserci dell'altro sotto, nulla è così semplice con lui. E vuoi forse perché ultimamente tutti non sembrano far altro che parlarle con l'unica intenzione di essere ascoltati da qualcuno, vuoi perché un po' empatica lo è sul serio, anche sotto effetti stupefacenti, ma le parole di Albus che seguono sembrano darle ragione a pieno. C'è qualcos'altro sotto. "Spero che tu abbia un bel po' di tempo a disposizione, allora. Perché quello che voglio chiederti non è un disegno o una frase, ma piuttosto..un processo. Prendi questo tatuaggio come fosse un'allegoria: io ti racconto la storia che deve trattare, e tu..beh, tu sei libera di rappresentarla come meglio credi. Comincia nello stesso modo in cui comincia ogni storia: piangendo..nudo, sporco, infreddolito e spaventato." Ha preso a scarabocchiare sulla parte alta della pagina bianca, quando capisce l'effettivo significato delle sue parole. Allora si sente costretta ad alzare lo sguardo, come a voler ricercare il suo. Ma Albus prende a raccontarsi, guardando altrove, come a voler mantenere un certo distacco, forse dalla sua interlocutrice, forse persino dalle sue stesse parole. E mentre lui comincia a dipingerle il suo processo, lei ascolta, stranamente, con attenzione, appuntandosi parole, creando scarabocchi, segnandosi nomi che, via via, ricorrono. Strani disegni scuri cominciano a prendere forma sul foglio una volta bianco e puro, si animano davanti ai suoi occhi, dando forma a ciò che le sue parole riescono a suscitarle. Non sa quando sia effettivamente successo, ma Maze si ritrova ad essere una dannatissima psicologa, nell'ultimo periodo. Raccoglie i pensieri di uno, ascolta i dolori di un altro, diventa la sacca da pugilato di un'altra. Non riesce a capire nemmeno come sia possibile, ma è diventata effettivamente una persona della quale la gente si fida a tal punto da riversarle addosso tutto il flusso di coscienza che non riesce più a contenere. Non riesce a comprendere se sia felice o meno della cosa, è una situazione decisamente nuova per lei, nella quale non sa come ci sia ritrovata veramente e non sa nemmeno se è più il disagio o l'ammirazione per se stessa a regnare sovrano dentro il suo cuore. "..e dovrebbe essere tutto..se non fosse che a un certo punto..non so, è come se si fosse creato un percorso parallelo. Credo fosse Ottobre. Episodi sporadici - lo psicologo le ha definite crisi. Un liquido nero simile al petrolio che mi capita di vomitare a intervalli irregolari, con intensità diverse. Riesco ad avvertirlo, quando c'è..è come una presenza estranea che il mio corpo si sforza di respingere. Credo che...non lo so nemmeno io. Brancolo nel buio, tanto per cambiare. L'ultima volta, la notte di Natale, è stata la peggiore." Ogni strato di nebbia che si era andato formando nella sua testa sembra rialzarsi improvvisamente, mentre quelle parole la colpiscono in pieno. Lo guarda istintivamente, non riuscendo a beccarne lo sguardo nuovamente. Riesce a percepirne la frustrazione, la stanchezza che continua ad affossarlo e che gli ha più volte fatto suonare il campanello d'allarme nella testa, quello che suona soltanto quando si decide di mettere fine alla propria vita. "Sai come ti ho detto che più volte, negli anni, ho avuto la tentazione di mettere un punto di conclusione? Ecco, quella sera non ho avuto ripensamenti, nemmeno l'idea di lasciare Jay orfano mi ha trattenuto. Ero convinto. Volevo farlo, perché era semplicemente troppo. E ci sarei riuscito, se quella lametta non fosse caduta nello scolo del lavandino." Riesce a capirlo, alla perfezione. Ha incontrato altri sin eater, da che ne ha ricordi, sa alla perfezione quanto sia il dolore che sono costretti ad accumulare. Il proprio, quello di tutti coloro che decidono di confessar loro i propri peccati. E' un qualcosa di talmente forte e incalcolabile da essere sempre riuscito ad affascinare Maze. Il dolore, nella sua forma più pura. E' ciò che è costretto ad ingoiare Albus, prima di ricacciarlo fuori, sotto forma di una melma scura e maleodorante, talmente viscosa, da sembrare quasi voler mettere le radici, proprio lì dove viene rigettata. Perciò comprende il suo stato d'animo. Il volerla fare finita, voler mettere la parola fine ad una sofferenza di cui non si capisce il motivo, di cui non si sa altro se non la consistenza e il peso che accumula sul petto. Ragiona, Maze, mentre completa il ghirigoro finale della parola
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    "petrolio" che va a concludere il disegno della storia che Albus le ha appena raccontato. Non lo sa, è all'oscuro di tutto, da Ottobre. Non fa altro che sentirsi male, senza capirne il motivo. Ed è anche colpa mia. Quella consapevolezza prende forma nella sua testa, nello stesso istante in cui riprende a parlare e, finalmente, a guardarla. "Sono stato abbastanza dettagliato?" Cerca di sorridere, ma non ci riesce, non appieno perlomeno. «E anche parecchio intenso.» Commenta, prima di abbassare gli occhi, decidendo di tenersi impegnata nel fare altro. Le mani che sistemano la penna, con estrema lentezza, quasi a voler rimandare un qualcosa di assolutamente inevitabile. «C'è così tanta sofferenza. Così troppa sofferenza.» Non gli dice che le dispiace per tutto quello che è accaduto, ma quello è il suo modo per esprimere quel pensiero. E' strano quel legame che sente di avere con lui. Sa perfettamente che è un qualcosa esistente soltanto da parte sua, ma si è sentita connessa a lui dal primo momento in cui l'ha visto. Probabilmente perché se lei è lì, è anche per lui. Ed è strano quel senso di trasporto verso una creatura così diversa, così pura e degna, se messa in contrapposizione a lei. Le viene da sorridere, mentre pensa a quanto sia assurdo che questa volta sia stato proprio lui a cercare lei. Non più il male che tenta di allungarsi per avere un po' di bene per sé, ma anche viceversa. Un fluire reciproco tra lo yin e lo yang. «Io mi sarei lanciata dalla finestra della Sala Comune, probabilmente.» Aggiunge sovrappensiero, rendendolo partecipe di un pezzo di sé. Ma non aggiunge di averci pensato veramente, di aver sognato di lanciarsi di sotto, di lasciare quel corpo mortale, di abbandonare il dolore al quale la costringe costantemente, per poi tornare a casa, che forse casa non lo è mai dovuta essere veramente per lei. Ci ha pensato spesso, quando si rinchiudeva nella stanza più in alto della Torre di Corvonero, per tagliarsi e provare un po' di piacere dal fluire del sangue. Avrebbe voluto tanto mandare la lametta più in profondità, recidendo qualsiasi legame con la vita, ma Maze è una creatura essenzialmente egoista per natura. E' egocentrica, è narcisista, o così le piace credere. E sopra ogni cosa sa come sopravvivere e il tornare nella Loggia Nera non è nelle sue intenzioni, non lo è da quando si è allontanata da tutto quel dolore. «Ma tu puoi farcela a reggere tutto questo. Dico davvero. E' solo questione di abituarsi e questa non vuole essere una frase di circostanza. E' così. Al dolore ci si abitua, il corpo e la mente sono progettati per anestetizzarlo, sempre un po' di più, fin quando il dolore diventa la più grande forza che si ha a disposizione, la più grande arma, una sorta di super potere.» Tu sei un essere divino, come non potresti fare altrimenti? Sei nato per resistere, sei nato per salvare il mondo da quelli come me. Gli sorride, alzandosi per andargli incontro. Lascia scivolare il quaderno sotto i suoi occhi, così da lasciargli piena visione di ciò che è riuscita a creare grazie alle sue parole. «Come ti sembra?» Gli chiede, con enfasi. «Potrebbe ricoprire questa parte, ad occhio e croce» aggiunge, picchiettandogli con l'indice la parte alta del braccio sinistra. «E ci vorrà tanto lavoro, ciò equivale ad un sacco di tempo da passare insieme. Mi costringi a sopportarti per più di due ore, questo alza di molto il prezzo del favore che ti verrà richiesto in futuro, quando meno te lo aspetti.» Gli scocca un'occhiata divertita, mentre le labbra si increspano in un sorriso che spara possa stuzzicare quello di lui ad uscire nuovamente. «Soprattutto se hai intenzione di aggiungere qualche particolare in movimento.» Si scosta appena da lui, per andare a recuperare la macchinetta babbana che Trixie le ha sapientemente insegnato ad incantare affinché non abbia bisogno di un filo elettrico al quale stare attaccato. Una volta tirato fuori tutto l'occorrente dalla borsa, va a sciacquarsi le mani in bagno, per dare una parvenza di qualsivoglia forma di igiene. Ne riesce con le braccia alzate di fronte a sé, come un medico chirurgo prima della sua operazione e con un'espressione ironica sul viso. «Kingsley non è stato così generoso con il mio regalo sotto l'albero e non mi ha fatto trovare un paio di guanti in lattice, perciò ti devi accontentare di ciò che ci offre la casa.» Per fortuna, con un Gemino, gli aghi sterili per la testina della pistola è riuscita a duplicarli. Ne prende uno nuovo appositamente per Albus, sistemandolo, per poi girarsi verso di lui. «Ti dispiace se metto un po' di musica? Mi rilassa e mi aiuta a concentrarmi su ciò che devo fare.» E mi serve tutta la concentrazione del mondo per fare ciò che devo fare. Punta la bacchetta verso il giradischi di qualche Corvonero che non è ancora venuto a reclamarlo, che in quei giorni ha fatto da sottofondo a tutte quelle confessioni che le sono state fatte. Trovata una canzone che la soddisfa abbastanza, torna a concentrarsi su di lui. «Questo è il momento dove dovresti cominciare a spogliarti.» Di nuovo, il tono si tinge di pagliuzze divertite nel guardarlo. «O preferisci che ti dia una mano anche in questo?»

    Would you let me know your plans tonight?
    'Cause I just won't let go 'til we both see the light
    And I have nothing else left to say
    But I will listen to you all day, yes I will


     
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    "E anche parecchio intenso. C'è così tanta sofferenza. Così troppa sofferenza." Una mezza risata amara lo scosse in un sol colpo, finendo tanto velocemente quanto era affiorata. That's just my luck. "Tutto materiale per un romanzo coi fiocchi. E..beh..se non dovessi arrivarci, ora la storia la sai pure tu, quindi prendi come mia eventuale ultima volontà l'onore di scrivere la mia biografia. So che mi renderai giustizia." Si strinse nelle spalle, ironico in quel black humor che sembrava essere sempre stato la sua specialità, ma che negli ultimi tempi aveva decisamente ricevuto una grande spinta. "Io mi sarei lanciata dalla finestra della Sala Comune, probabilmente." Scosse il capo, come a voler allontanare quel pensiero. "Nah, soffro di vertigini. Vorrei evitare l'attacco di panico come ultimo ricordo." Strike two. Ormai ironizzare sulla propria morte era diventata un'abitudine, almeno per Albus. D'altronde, a un certo punto, quando il fondo lo hai già toccato, non c'è davvero più niente a trattenerti, o anche solo a farti vergognare dell'argomento affrontato. Se qualcuno se la prende con te puoi sempre farlo sentire in colpa raccontandogli la tua esperienza, no? "Ma tu puoi farcela a reggere tutto questo. Dico davvero. E' solo questione di abituarsi e questa non vuole essere una frase di circostanza. E' così. Al dolore ci si abitua, il corpo e la mente sono progettati per anestetizzarlo, sempre un po' di più, fin quando il dolore diventa la più grande forza che si ha a disposizione, la più grande arma, una sorta di super potere." A quelle, di parole, però, non rispose. Non per una ragione specifica, ma più per un ampio mosaico di motivazioni che gareggiavano tra loro su quale fosse più valide. Da un lato si sentiva già abbastanza spolpato per il racconto appena concluso, o quanto meno a sufficienza per non aver voglia di piombare in discorsi filosofici. Dall'altro non era totalmente d'accordo - e quando mai lo era, Albus Potter? Certo, era convinto che alla fine ci si abituasse a tutto, persino al dolore. Lui lo aveva fatto, ci conviveva da così tanto tempo che ormai non sapeva più definirsi senza di esso; era diventato una parte così grande di lui da aver offuscato pressoché tutto il resto, diventando una sorta di comfort zone dalla quale si faceva sempre più difficile uscire. Albus, per sua costituzione, non poteva essere felice perché non sapeva come farlo, non era letteralmente in grado di convivere con uno stato di quiete - e le sue scelte opinabili, impilate una sull'altra, ne erano la prova tangibile.
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    "Come ti sembra?" Sporse il mento per guardare meglio il disegno propostogli da Maze sul quaderno. Lasciò scivolare gli occhi tra le linee intricate, i disegni e le scritte elaborati, l'intreccio armonioso del tutto..e un sorriso comparve spontaneo sulla curva delle sue labbra, segno di un apprezzamento che a parole poteva essere solo ribadito. "Mi piace. Molto." disse, per poi sollevare nuovamente lo sguardo negli occhi della compagna. "Hai un talento." "Potrebbe ricoprire questa parte, ad occhio e croce." annuì, guardando per un istante il proprio braccio, cercando di figurarsi il tatuaggio già impresso sulla pelle, e sposando immediatamente l'idea. "E ci vorrà tanto lavoro, ciò equivale ad un sacco di tempo da passare insieme. Mi costringi a sopportarti per più di due ore, questo alza di molto il prezzo del favore che ti verrà richiesto in futuro, quando meno te lo aspetti." Ironicamente alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e sollevando le mani in fare di resa. "Comincio a pensare che ti presenterai a casa mia con un cadavere da seppellire. Il che, a dirla tutta, è una scelta molto saggia: ho fatto un bel curriculum da becchino in questi ultimi mesi." Come sotterro io, proprio nessuno. Mi sembrava giusto ripagare la massa muscolare messa sulle braccia con un bell'ornamento: ci voleva la fine del mondo per farmi fare attività fisica, a quanto pare. "Soprattutto se hai intenzione di aggiungere qualche particolare in movimento." Sollevò le sopracciglia, allettato dalla proposta, scoccandole un cenno d'assenso con la testa. "Kingsley non è stato così generoso con il mio regalo sotto l'albero e non mi ha fatto trovare un paio di guanti in lattice, perciò ti devi accontentare di ciò che ci offre la casa. Ti dispiace se metto un po' di musica? Mi rilassa e mi aiuta a concentrarmi su ciò che devo fare." Annuì velocemente, posizionandosi meglio a sedere sulla sedia. "Stai parlando con uno che passa più tempo con le cuffie nelle orecchie che altro - non puoi che farmi felice." Sorrise, scrollando le spalle a quelle parole. "Questo è il momento dove dovresti cominciare a spogliarti. O preferisci che ti dia una mano anche in questo?" Per un istante una scintilla di malizia attraversò il suo sguardo nell'incontrare quello della Serpeverde, aprendo le labbra come per dire qualcosa - probabilmente accettare la proposta e portare il gioco su un altro piano. Tuttavia richiuse presto la bocca, abbassando lo sguardo e togliendosi velocemente la camicia senza concedersi alla malizia con cui normalmente avrebbe impregnato quell'azione. Erano passate solo poche ore dalla sua notte con Fawn, e sebbene non avesse ancora capito quale fosse la loro situazione, era piuttosto certo che provarci spudoratamente con Maze non fosse la maniera più saggia per scoprirlo. Non trascurabile, inoltre, era il piccolo dettaglio dell'innumerevole lista di cazzate che aveva compiuto negli ultimi tempi, e la piuttosto chiara certezza che quella sarebbe stata l'ennesima. Sappiamo bene, Albus, che non c'è due senza tre, ma se fino ad ora ti sei scavato da solo la fossa, non significa per forza che devi anche chiuderti il coperchio della bara. Decise dunque di tenersi stretto quell'ultimo briciolo di dignità, schiarendosi la gola e trascinandosi un po' più avanti verso l'orlo della sedia, spostandosi verso un lato per favorire il miglior posizionamento del proprio braccio di fronte a Maze. Rimase in silenzio per qualche istante: una scelta generata dallo strascico di lieve imbarazzo residuo. "Ti ho raccontato una storia.." esordì infine, all'improvviso, ritrovando il modo di volgere lo sguardo al viso della Serpeverde. "..perché ora non me ne racconti una tu? Triste, felice..una qualsiasi. Può essere anche falsa, se vuoi. Ho recentemente scoperto che il ruolo di prete confessore - chi l'avrebbe mai detto?! - mi calza abbastanza." disse, sottolineando quelle parole con un mezzo sorriso a metà tra il divertito e il non detto. Perché quella, in fondo, era tutt'altra storia, l'unica che non aveva intenzione di raccontare.
     
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    "Mi piace. Molto. Hai un talento." Gli sorride, felice di essere riuscita a creare un qualcosa che effettivamente gli possa piacere. Un qualcosa di assolutamente personale, nel quale ha deciso di includerla. «Posso aggiungerlo al talento che impiegherò nello scrivere le tue memorie, se non dovesse andare a finire troppo bene per te?» Gli scocca un'occhiata allusiva, per poi fargli un occhiolino complice. E' un talento quello, il saper ridere di se stessi, sempre e comunque. Il sapere scherzare persino della propria morte, in modo tagliente, quasi asettico. E il sarcasmo pungente di Albus le è sempre piaciuto, perché sa essere diretto, senza mezzi termini, arrivando a colpirti in pieno, lasciandoti lì a domandarti se ti sta prendendo seriamente per il culo o è serio veramente. Si sente a suo agio con quel cinismo spicciolo che fa delle paure comuni dei mortali un pretesto per ridere. Ridere in faccia alla morte. Dovrebbe prenderla quasi come un'offesa alla sua persona, in qualità di demone della Loggia Nera, creatura composta da morte e ombra per la maggior parte. Dovrebbe irrigidirsi di fronte al tono sprezzante di Albus nel rivolgersi così poco sacralmente al passaggio nell'aldilà. Ma no, a Maze viene da ridere, proprio perché è Albus non ha paura. O magari ce l'ha, ha paura di morire più di chiunque altro - anche se le sue parole appena pronunciate la portano a credere che non sia effettivamente del tutto così. Ma le piace quel modo di esorcizzare quella che, ha imparato durante il lockdown, sembra essere la paura più naturale nei cuori degli umani. La morte, il terrore nel non sapere cosa vi è nell'aldilà, il terrore di provare dolore. Ci pensa su qualche secondo, mentre intinge la punta dell'ago nell'inchiostro scuro. Prova a ricordare il momento della sua effettiva morte. C'era il fuoco, le fiamme che le avviluppavano il corpo ancora nel suo fiore degli anni, il dolore cocente, le parole in una lingua antica che la legavano per l'eternità alla Loggia Nera, maledicendola per il suo essere una strega. Ricorda quei frammenti che ormai non le fanno più provare nulla, ma tra questi non trova la paura. Anche allora, come ora, Maze non temeva la morte, forse perché non vi si era mai preparata, avendo soltanto diciassette anni. Nessuno le aveva detto che avrebbe abbandonato il mondo con così tanta velocità e probabilmente, ai tempi, era troppo lo shock provato, da aver anestetizzato qualsiasi terminazione nervosa, tanto da non farle provare altro che il dolore. Forse riesce quasi a capirli gli umani, loro e quell'irragionevole paura della cessazione di ogni stimolo. Però, giustamente, lei sa la verità. Sa che c'è vita, una volta passati di là. In una forma sicuramente diversa, poco ma sicuro, ma l'anima non cessa di essere. Non nella forma illustrata dal pensiero degli Epicuristi, per esempio. "Comincio a pensare che ti presenterai a casa mia con un cadavere da seppellire. Il che, a dirla tutta, è una scelta molto saggia: ho fatto un bel curriculum da becchino in questi ultimi mesi." Gli sorride, pacata, non ammettendo ad alta voce che lei, in quei mesi, non si è degnata di muovere un dito quando c'era da seppellire un cadavere. Anzi, una volta ne ha pure lasciato uno tra gli alberi della Foresta, prima di riuscire a trovare la via per il ritorno alla civiltà. Ma il fatto che non abbia mai aiutato a farlo, non vuol dire che non sia perfettamente in grado di ripulire le proprie tracce. Anzi. «Potrebbe essere un'idea, anche parecchio plausibile.» Un ghigno derisorio si palesa sulle sue labbra. «Ma credo che opterei per qualcosa di più poetico. Magari potresti scrivermi l'elogio funebre, se non dovesse andarmi troppo bene qui dentro.» Morire da umana una seconda volta, le fa strano anche semplicemente il pensiero. Eppure sa che Albus potrebbe fare un ottimo lavoro, anche se non lascia mai entrare nessuno in quel suo modo da letterato. Ma lei, da brava stalker, l'ha visto scrivere un paio di volte e conoscendo anche un po' i suoi gusti, è certa che farebbe del suo meglio. «Sono certa che mi dipingeresti meglio di quanto non sia.» Si morde l'interno del labbro inferiore, mentre non c'è alcuna vena di vittimismo nella sua voce. E' così, ne tirerebbe fuori un quadro che la Maze in vita avrà provato solo ad imitare, non essendolo mai lei in prima persona. «E mi raccomando, ricorda al mondo quanto sono brava a letto. E' una parte essenziale che voglio che nessuno si dimentichi mai.» Scoppia a ridere questa volta, mentre la musica prende ad aleggiare nella stanza, unendosi così all'imbarazzo che si formando, probabilmente per colpa della sua battuta. Storce le labbra, mentre tenta di pensare a qualcosa da dire per rimediare, ma in fondo lei ha sempre avuto un rapporto piuttosto semplice con il lato fisico di se stessa e anche il parlarne piuttosto apertamente, anche con ex partner da quel punto di vista, non la mette a disagio in alcun modo. Ma giustamente non si può dire di tutti così. I suoi occhi occhi chiari seguono i suoi movimenti, mentre si toglie la camicia e per un attimo si domanda se non sia il caso di girarsi. Ma sei seria? A parte che già hai visto tutto quello che c'era da vedere, come pensi di farglielo il tatuaggio? Ad occhi chiusi. La sua io interiore la rimette in riga, mentre torna a sorridergli, cercando di essere più conciliante e rassicurante possibile. "Ti ho raccontato una storia....perché ora non me ne racconti una tu? Triste, felice..una qualsiasi. Può essere anche falsa, se vuoi. Ho recentemente scoperto che il ruolo di prete confessore - chi l'avrebbe mai detto?! - mi calza abbastanza." E' divertente che Albus si riferisca a se stesso
    WDqNG68
    come prete confessore. E allo stesso le fa tristezza il fatto che non sappia veramente di esserlo. Così ci rimugina un po' su, avvicinando alla sua sedia un baule del Corvonero che aveva abitato quella camera, prima di lei. Vi si siede sopra, guardandolo di traverso. «Se la memoria non mi inganna, non hai altri tatuaggi, perciò te lo dico..farà male.» Come predisporre al meglio l'animo di una persona al dolore. «Ma probabilmente non sarà nulla in confronto a quelle che il tuo psicologo ha definito crisi.» Così è già meglio no? «Comunque, se ti faccio troppo male, ti prego, fermami. E' meglio bloccarci per qualche istante, per poi riprendere, invece che doverti soccorrere per uno svenimento che rimanderà la cosa ad essere finita in futuro.» Spera di essere stata abbastanza chiara, mentre porta una mano alla bacchetta, per poi puntarla contro il suo braccio. Ghirigori colorati che ricalcano il disegno del tatuaggio compaiono sulla sua pelle. Delle linee guida da seguire, per non andare completamente alla cieca. «Allora, vuoi una storia, giusto? Temo di non essere brava come te a parole.» Le viene da ridere, mentre stringe le dita intorno alla macchina di ferro. L'avvicina alla parte alta del tatuaggio, decidendo di prendere a tatuarlo da lì. L'ago entra una volta, due volte, tre volte nella sua pelle, prima che Maze si giri a ricercarne la reazione. «Ce la facciamo? E' abbastanza sopportabile?» Gli domanda, guardandolo dritto negli occhi, certa così di poterne captare qualsiasi responso. Gli sorride, quasi a volerlo incoraggiare, allora, per poi riprendere a fare il suo lavoro. Ci sono istanti, che sembrano essere lunghi quanto delle ore, in cui decide di non parlare, lasciando che sia la musica a riempire il silenzio che c'è tra di loro, accompagnato soltanto dal rumore falsamente elettrico della macchinetta. «Okay, facciamolo. Ho fatto una cazzata. Una delle mie tante, a dire il vero..» comincia così a dire, dopo aver valutato ogni sua parola, prima di pensare anche soltanto di aprire bocca. Decide di aprirgli la sua mente, per qualche istante, per permettergli di entrare e darci un'occhiata. «Qualche giorno prima di Natale, per l'esattezza lo stesso giorno in cui sono riuscita a trovare la crepa tra quello che c'è nella Foresta e questo mondo.» Gli lancia uno sguardo veloce, sapendo che lui lì dentro c'è stato con Mun. Ma questo non lo dice ad alta voce e lo tiene per sé. «Ho incontrato una persona che è stata molto premurosa con me. Mi ha fatta stare bene, mi ha guarita dalle ferite che avevo riportato e mi ha confortata.» Questo è minimizzare davvero. E non è dire tutto. «Solo che quello che mi ha dato per stare bene era troppo forte, così forte da aver costretto il mio corpo a desiderarne sempre di più. Ogni giorno che passa è peggio. Ho questa sete continua, che mi logora, ogni istante.» La voce è tranquilla, grazie anche all'effetto della pasticca in circolo nel suo corpo. Sembra che tutta la sua efficacia si sia riversata nel placare Trixie, la cui mente dorme come un angelo, riuscendo a concederle quegli attimi di libertà pura. «Credo di esserne dipendente. Completamente. Lo penso di giorno, lo sogno anche la notte e farei di tutto per averne un altro po', solo un altro po'.» Si passa la lingua sulle labbra, a quel pensiero, per poi mordersele forte, come a volersi punire. «Ma sto cercando di resistere. Ci sto provando davvero, con tutte le mie forze, ma ci sono giorni peggiori di altri, che mi fanno desiderare nient'altro che andare a cercare questa persona per implorarla di darmene ancora un po'. E il non farlo mi fa male, un male atroce, che mi arde le vene e mi fa desiderare di buttarmi giù davvero da questa torre.» Accenna una risata, che muore sul nascere, mentre passa un fazzoletto a raccogliere le gocce di sangue che fuoriescono dalla sua pelle calda. «Sono patetica, lo so, ma è difficile resistere a qualcosa che si desidera così ardentemente.» La dipendenza, la droga peggiore di tutte. «Se non fossi arrivato tu, probabilmente, tra qualche ora mi sarei fiondata fuori da quella porta per andarlo a cercare. Possiamo dire che mi hai salvata, in un certo qual modo, dall'avere l'ennesima crisi Si stringe nelle spalle, mentre si ferma per qualche istante, per guardarlo in volto. «Sono stata abbastanza convincente e dettagliata?» Se ne esce, con un mezzo sorriso sulle labbra, per poi tornare a pizzicargli la pelle con l'ago. Decide di essere più evasiva possibile, mentre tenta di capire quanto effettivamente sappia di se stesso. Prova a tastare il terreno sul quale si stanno muovendo entrambi. «Come sono le tue di crisi?» Gli domanda d'improvviso, buttando lì quel punto interrogativo come se non fosse nulla di che. «Come sono cominciate? Sei riuscito a dargli una spiegazione logica?»



    Edited by wanheda‚ - 30/1/2018, 22:16
     
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    "Se la memoria non mi inganna, non hai altri tatuaggi, perciò te lo dico..farà male. Ma probabilmente non sarà nulla in confronto a quelle che il tuo psicologo ha definito crisi. Comunque, se ti faccio troppo male, ti prego, fermami. E' meglio bloccarci per qualche istante, per poi riprendere, invece che doverti soccorrere per uno svenimento che rimanderà la cosa ad essere finita in futuro." Annuì, seguendo il suo monito con gli occhi puntati sul viso di lei, serio in volto. Sebbene Albus fosse una di quelle persone la cui soglia del dolore - più per necessità e abitudine che per altro - era abbastanza alta, non aveva la più pallida idea di cosa lo avrebbe atteso dall'altro lato dell'ago se non per mero sentito dire. Alcuni lo definivano un dolore lancinante, altri ancora raccontavano di un vago pizzicorio al più fastidioso. In ogni caso tenne a mente il monito della concasata nel momento in cui si mise meglio a sedere, dandole una visuale migliore del braccio. "Allora, vuoi una storia, giusto? Temo di non essere brava come te a parole." Rise, di rimando alla risata di lei, inclinando appena il capo di lato come a scacciare ciò che aveva appena detto. "Stai facendo la modesta." fu la sua ironica risposta, poco prima di abbassare lo sguardo sulla pelle in procinto di essere tatuata, già adorna della traccia che da quel momento in poi avrebbe visto sul proprio braccio per il resto della sua vita. La punta dell'ago entrò giusto un paio di volte, abbastanza per fargli intendere quale tipo di situazione dovesse aspettarsi. Fastidio. Almeno per il momento. Ma si sarebbe aspettato decisamente di peggio. "Ce la facciamo? E' abbastanza sopportabile?" ancora una volta si ritrovò ad annuire, inclinando le labbra in uno smorfia noncurante. "Non garantisco per le ore a venire, ma per ora direi che ce la possiamo ampiamente fare." Alzò lo sguardo, trasformando la smorfia in un piccolo sorriso, un po' per incoraggiare se stesso e un po' per mostrarle che poteva tranquillamente proseguire senza aspettarsi urla o calci di sorta. "Okay, facciamolo. Ho fatto una cazzata. Una delle mie tante, a dire il vero..Qualche giorno prima di Natale, per l'esattezza lo stesso giorno in cui sono riuscita a trovare la crepa tra quello che c'è nella Foresta e questo mondo." come in risposta a una sorta di scossa elettrica, nel momento in cui Maze alzò lo sguardo nei suoi occhi, Albus distolse velocemente i propri, cercando di salvarsi in corner nell'atto di mettersi a fissare il farsi del tatuaggio. "Ho incontrato una persona che è stata molto premurosa con me. Mi ha fatta stare bene, mi ha guarita dalle ferite che avevo riportato e mi ha confortata. Solo che quello che mi ha dato per stare bene era troppo forte, così forte da aver costretto il mio corpo a desiderarne sempre di più. Ogni giorno che passa è peggio. Ho questa sete continua, che mi logora, ogni istante." Quelle frasi, però, lo portarono automaticamente a rialzare le iridi sul volto di Maze, aggrottando la fronte in un'espressione preoccupata. Fece per aprire bocca, ma non ebbe tempo di dire nulla che lei riprese subito a parlare. "Credo di esserne dipendente. Completamente. Lo penso di giorno, lo sogno anche la notte e farei di tutto per averne un altro po', solo un altro po'. Ma sto cercando di resistere. Ci sto provando davvero, con tutte le mie forze, ma ci sono giorni peggiori di altri, che mi fanno desiderare nient'altro che andare a cercare questa persona per implorarla di darmene ancora un po'. E il non farlo mi fa male, un male atroce, che mi arde le vene e mi fa desiderare di buttarmi giù davvero da questa torre." "Maze io.." ..non lo sapevo, non lo immaginavo. Se solo avessi saputo..non lo so..qualcosa lo avrei fatto. Sicuramente non sarei venuto qui a chiederti un tatuaggio. "Sono patetica, lo so, ma è difficile resistere a qualcosa che si desidera così ardentemente." Quelle parole lo ammutolirono sul posto, costringendolo a stringere le labbra in una linea serrata, mordendosi l'interno di quello inferiore e abbassando lo sguardo nella stessa maniera in cui un cane abbassa le orecchie, consapevole. "Lo so." disse piano, per poi continuare in un tono leggermente più alto "Ma non sei patetica. Hai solo bisogno di una mano..e cazzo se non ne abbiamo un po' tutti bisogno, ultimamente!" fece una piccola pausa, cercando il suo sguardo con la stessa meticolosità di chi cerca di avvicinarsi a un animaletto ferito "Non mi voglio imporre e non voglio fare il passo più lungo della gamba, ma..per qualsiasi cosa, io ci sono..lo sai, vero?" Magari non te ne ho dato l'impressione, magari non mi sono nemmeno impegnato a farlo, ma così è. "E non lo dico come pagamento al tatuaggio. Lo farei a prescindere." Perché so molto bene come ci si senta ad annegare senza nessuno a tenderti una mano. Ma so ancora meglio a cosa porti rifiutarla, quella mano. "Se non fossi arrivato tu, probabilmente, tra qualche ora mi sarei fiondata fuori da quella porta per andarlo a cercare. Possiamo dire che mi hai salvata, in un certo qual modo, dall'avere l'ennesima crisi. Sono stata abbastanza convincente e dettagliata?" Si ritrovò a soffocare una mezza risata a metà tra l'amaro e l'ironico. E' un eufemismo. "Diciamo che cominci a farmi vergognare di essere venuto da te coi miei problemi del cazzo in primo luogo." Una pecca piuttosto comune, quella del signor Potter: tendere a dimenticare che al di fuori da se stessi esiste un mondo, uno pieno di persone, persone che hanno altrettanti problemi non meno importanti dei propri. Ma l'essere umano, per sua natura, è egocentrico, e tende ad espandere la sua visuale fino a renderla gigantesca, senza rendersi conto di non essere altro se non un piccolo tassello del quadro generale. Quei giorni, Albus, li aveva passati a cullarsi nel proprio dramma, perché era ciò che Albus faceva e in cui riusciva meglio: lasciarsi andare alla propria parte di verità, annegarvi all'interno. Non aveva pensato agli altri, non aveva pensato che forse, le persone attorno a lui, non stessero poi tanto meglio. E ogni volta, con maggior vigore, quell'errore gli veniva continuamente sbattuto in faccia dalla realtà dei fatti. "Come sono le tue di crisi? Come sono cominciate? Sei riuscito a dargli una spiegazione logica?" Sospirò, abbassando lo sguardo sulle linee che cominciavano a prendere forma sul suo braccio, su quell'inchiostro nero che colava insieme al sangue, ricordandogli sin troppo vividamente quelle crisi. Fissava quel marasma come ipnotizzato, compiendo respiri lenti e immagazzinando il costante dolore dei ripetuti pizzichi sulla sua pelle. Faceva male, sì, non abbastanza da fermarla però. Faceva più male tutto il resto: l'ignoranza, l'impotenza, la colpa. "Come non lo so.." cominciò a dire poi, dopo qualche lungo istante di silenzio, senza staccare lo sguardo dal proprio braccio. "Per il quando, si parla di Ottobre." Si interruppe ancora, titubante. Da una parte sapeva di non poter dire tutto - perché avrebbe necessariamente dovuto tirare in ballo la storia di Mun -, dall'altra sapeva anche quanto sparate in aria potessero sembrare le sue supposizioni. Supposizioni che già a lui stesso sembravano più deliri che altro, figuriamoci se le avesse pure private di un contesto. "In realtà non so che spiegazione dargli, e mi sembra di brancolare nel buio ogni volta di più. Sono arrivato a considerare che nemmeno dipenda del tutto da me..cioè..che venga tipo innescato da fattori esterni. Parole, forse situazioni, o azioni..non lo so." Sospirò, scuotendo appena il capo come a voler allontanare quel discorso che, ne era cosciente, altro non poteva apparire se non completamente sconclusionato. "E'..." aggrottò la fronte, fissando un punto impreciso, probabilmente inesistente "..strano. E' più di un semplice malessere fisico. E' una sorta di sensazione..più di una a dirla tutta. E' come se stessi infilzando il coltello nel cuore di una persona e, allo stesso tempo, fossi quello che viene pugnalato." le sue labbra si strinsero in un'espressione amara, come se qualcuno gli avesse appena cacciato un limone giù per la gola. "E' terrificante..e disgustoso." E alla fine ti senti sempre come se qualcosa, di tutto quello schifo, ti sia comunque rimasto dentro. Scacciò tuttavia quelle parole con prontezza, agitando la mano libera in aria come a dirle di lasciar perdere. "Scusa, ti sto ammorbando con dei problemi di cui nemmeno io conosco la natura, figuriamoci! Ne verrò a capo in qualche maniera: ormai di cose strane e fuori dal mondo ne ho già viste un po', non mi stupirei comunque di nulla." Sottolineò quelle frasi con una breve risata amara, abbassando ancora una volta lo sguardo a controllare l'opera d'arte in via di creazione sulla sua pelle. Inclinò appena il capo, come ad osservare meglio il tutto, per poi stendere un piccolo sorriso. "Beh, almeno adesso, con il tuo aiuto, potrò sembrare abbastanza swagger da essere credibile se esce fuori che sono tipo posseduto da un demone, no?" Quasi ironica fu la leggerezza con cui buttò lì, inconsapevolmente, quelle parole, ridendoci pure sopra con un certo gusto. "Nonna lo diceva sempre che i tatuaggi sono da satanisti. Magari quando mi rivedrà si deciderà una volta per tutte a fissarmi un appuntamento con l'esorcista invece che con la figlia-tricheco dei vicini . Sono traguardi." Tanto nonna Molly già un po' di suo lo pensa che io sia il nipote problematico. "Magari te la faccio conoscere, quando usciamo. Così le spiegherai la tua parte di responsabilità nella corruzione della mia anima casta e pura."
     
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    "Maze io.." Forse è per questo che, da quando è sulla Terra, preferisce far parlare gli altri. Non le piace la sfumatura di compatimento che prende la voce degli umani quando si rendono conto di avere qualcosa di diverso da quello che credevano di fronte agli occhi. Non le piace essere compatita, non le piace che qualcuno provi pena per lei, la fa sentire ancora più vulnerabile e mancante di quanto non si sente già in quel momento, imbottita di droga solo per cercare di vivere qualche attimo di santa pace che negli ultimi giorni non le è concessa. "Lo so. Ma non sei patetica. Hai solo bisogno di una mano..e cazzo se non ne abbiamo un po' tutti bisogno, ultimamente!" Continua a guardare imperterrita il suo lavoro, mentre sente lo sguardo di lui su di sé. Ma non vuole guardarlo, si sente fin troppo esposta per alzare gli occhi, che è certa stiano mutando velocemente tanto quanto lo sta facendo il suo umore, e specchiarsi in quelli di lui. Chissà cosa vi potrei leggere dentro. "Non mi voglio imporre e non voglio fare il passo più lungo della gamba, ma..per qualsiasi cosa, io ci sono..lo sai, vero? E non lo dico come pagamento al tatuaggio. Lo farei a prescindere." Si sente però richiamata da quelle parole e allora gli lancia un'occhiata di sfuggita. E' imbarazzo quello che è possibile leggere tra i lineamenti del volto di lei, eppure vi è anche una scintilla di pura gratitudine nel sorriso distratto che si apre sulle sue labbra. Un tacito grazie che non arriva a parole, ma che si può intuire dal suo sguardo. Torna al suo lavoro, passando nuovamente il fazzoletto sopra il pezzo di tatuaggio che ha appena finito e lo guarda, allontanandosi di qualche centimetro per avere il quadro generale della cosa. La pelle è arrossata, esce ancora del sangue, il fazzoletto è pieno di inchiostro e macchie rosse, ma il tatuaggio è bello. E' bello davvero. E' incompleto, ma Maze riesce già a carpirne la profonda bellezza e l'intricata complessità di ciò che vi è dietro. "Diciamo che cominci a farmi vergognare di essere venuto da te coi miei problemi del cazzo in primo luogo." Il sorriso soddisfatto che appare nel guardare il suo piccolo capolavoro arriva ad illuminarle gli occhi, mentre lo guarda. «Ognuno ha i suoi.» E ho imparato da poco che i miei problemi non sono più importanti di quelli degli altri. Pensa. Perlomeno quelli delle persone a cui tengo. Si corregge mentalmente. «E i tuoi sono tanto complicati, davvero tanto, a giudicare da questo. Non minimizzare il tuo dolore.» Picchietta il tatuaggio con l'unghia dell'indice, prima di riprendere a tatuargli ancora un altro pezzetto.
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    "Come non lo so..Per il quando, si parla di Ottobre." Lei lo sa com'è cominciato. E' stata la stessa Mun a confessarglielo, eppure Maze sa di non poterglielo rivelare. Non la parte di storia di qualcun altro, perlomeno. "In realtà non so che spiegazione dargli, e mi sembra di brancolare nel buio ogni volta di più. Sono arrivato a considerare che nemmeno dipenda del tutto da me..cioè..che venga tipo innescato da fattori esterni. Parole, forse situazioni, o azioni..non lo so." Stringe le labbra, Maze mentre lo ascolta parlare. Sei davvero troppo intelligente. Com'è che non ti ha smistato tra i Corvonero quel cappello puzzolente? Si ritrova a pensare, tra un passaggio e l'altro dei suoi movimenti. E' diventata ormai brava nel farlo. Segue i propri disegni, segue le linee, ma ci aggiunge sempre qualcosa di diverso, di proprio, nel completare l'opera originaria che aveva in mente. E si ritrova ad aggiungere dettagli che ha capito di dover aggiungere soltanto in quel momento, mentre sente le parole di Albus. Piccoli dettagli, qua e là, frutto dell'ispirazione che la sua musa le sta donando in quell'istante. "E'.....strano. E' più di un semplice malessere fisico. E' una sorta di sensazione..più di una a dirla tutta. E' come se stessi infilzando il coltello nel cuore di una persona e, allo stesso tempo, fossi quello che viene pugnalato. E' terrificante..e disgustoso." Arriccia il naso, riuscendo quasi a percepire il dolore che le sta descrivendo. Carnefice e vittima allo stesso tempo. Deve essere una morte lenta, una morte agonizzante ogni volta. "Scusa, ti sto ammorbando con dei problemi di cui nemmeno io conosco la natura, figuriamoci! Ne verrò a capo in qualche maniera: ormai di cose strane e fuori dal mondo ne ho già viste un po', non mi stupirei comunque di nulla." Il sentirlo brancolare nel buio della propria stessa natura le fa provare dell'inadeguatezza. Io so qualcosa che tu non sai e ti sto mentendo apertamente, mentre tu hai riposto la tua fiducia in me, raccontandomi parti essenziali della tua vita. "Beh, almeno adesso, con il tuo aiuto, potrò sembrare abbastanza swagger da essere credibile se esce fuori che sono tipo posseduto da un demone, no?" Scoppia a ridere, Maze. Non sa se è per la contrapposizione reale che quell'immagine le crea in testa o se è semplicemente divertita dalla situazione. Sicuramente le fa ridere il tutto, tanto da costringerla a staccare l'ago dalla sua pelle per non combinare qualche macello. "Nonna lo diceva sempre che i tatuaggi sono da satanisti. Magari quando mi rivedrà si deciderà una volta per tutte a fissarmi un appuntamento con l'esorcista invece che con la figlia-tricheco dei vicini . Sono traguardi. Magari te la faccio conoscere, quando usciamo. Così le spiegherai la tua parte di responsabilità nella corruzione della mia anima casta e pura." Si passa la lingua sull'arcata superiore dei denti, quasi a rendere più smorfiosa la sua espressione. «Sicuro? Le devo raccontare proprio tutto? Tutto tutto Diventa angelica, mentre sbatte le ciglia lentamente e assume dei lineamenti fintamente seri. «Quanti anni ha? Ammetti che vuoi farla morire per prenderti prima la tua parte di eredità.» Si ritrova a dire. «Perché io, quando mi assumo le mie responsabilità, generalmente lo faccio fino in fondo. Come quando vuoto il sacco.» Davanti ai suoi occhi si dipinge la scena di lei che racconta a tavola cosa si sono detti nella Torre di Astronomia ad Halloween. «Potrebbe rincorrermi con la croce stretta tra le mani.» Come fossi l'anticristo. Scoppia a ridere, divertita dei propri stessi pensieri, prima di tornare seria. Vuotare il sacco. Lo guarda negli occhi e arriccia le labbra, con fare pensieroso. Da dove comincio? Come te lo dico? Come faccio a farmi credere? Allunga appena una mano a carezzare quella di lui, in un gesto distratto che sembra darle coraggio. «Albus..» lo chiama sul filo di un sussurro. Quanto cavolo è difficile? Non riesce nemmeno a trovare le parole giuste. «Se ti dicessi che so cosa ti succede, perché ti succede, mi crederesti?» Tutto si blocca per qualche istante. Il suo respiro, la musica in sottofondo raggiunge le sue orecchie come arrivasse da un posto lontano, i suoi occhi traballano di timore nel rivedersi in quelli di lui. «Se ti dicessi che non si tratta di un demone che ti ha posseduto, ma che sei a tutti gli effetti un'entità celeste Si passa la macchinetta tra le mani, con fare nervoso. «So che conosci la storia di Mun.» Sentenza secca e lapidaria, mentre lo inchioda con il suo sguardo verdastro. In fondo le mezze misure e il girarci troppo intorno non le sono mai piaciuti. Quando ti lanci da uno scoglio, l'impatto con l'acqua ti fa mancare l'aria nei polmoni, ti irrigidisce, ma è un colpo unico, tutto insieme. Poi il corpo si rilassa, abituandosi ancora più facilmente alla temperatura dell'acqua che lo circonda. «Conosci anche quella di Ryuk, quindi non ti dovrebbe essere troppo difficile credere che esiste altro, oltre i demoni.» Il tono di voce si fa più avvolgente e concitato. «Se ti dicessi che esiste la Loggia Nera, più comunemente chiamato inferno ed è da lì che viene Ryuk, ma che anche esiste un suo controbilanciamento naturale, la Loggia Bianca e che è da lì che viene il gene che è rimasto sempre sopito in te?» Arriccia il naso a tradire la tensione che la sta pizzicando. «Vi chiamate sin eaters. Mangiatori di peccati. E' di questo che vi nutrite, delle confessioni che vi vengono fatte, in seguito ad un pentimento sincero nel cuore. Ed è probabilmente questo che ha innescato il palesarsi della tua natura. Qualcuno ti ha confessato un peccato, tu l'hai perdonato e l'hai espiato rigettandolo fuori, sotto forma di una sostanza viscosa e nauseabonda simile al petrolio.» Carezza con dolcezza quella stessa parola che ormai fa parte della sua pelle, grazie al suo inchiostro. «So che non sei l'unico perché c'è fin troppa Loggia Nera sulla Terra per non creare una sorta di equilibrio con altrettanta Loggia Bianca a contrastare il suo avanzare inesorabile.» Rialza gli occhi ad incontrare quelli di lui. «Se ti dicessi tutte queste cose, mi crederesti, Albus?»



    Edited by wanheda‚ - 28/2/2018, 12:48
     
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