Conspire against the odds

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    Un secondo prima c'erano e un secondo dopo non c'erano più. Giorno dopo giorno, i membri del Branco affinavano il loro legame indissolubile, dopo aver superato le ormai inutili domande del come e del perché. Che importanza aveva? Loro erano e come tali si sarebbero comportati. Ed erano talmente tanto e in maniera talmente spontanea che Holden non faticava neppure più a stare accanto ai propri affetti, quando sentiva che essi ne avevano più bisogno. Ogni giorno, si sedeva accanto a Tris anche solo per lanciarle uno sguardo e farle sapere silenziosamente che era con lei, che non l'aveva lasciata, che non l'avrebbe mai lasciata; appariva accanto a Pervinca, per stringerle la mano e cacciare al suo fianco i demoni che la attanagliavano; vegliava con discrezione perfino su Percy, quel bizzarro individuo a cui la ragione non avrebbe dato neanche una chance, ma che col cuore sentiva vicino, così incredibilmente affine. Ogni mattina, Holden si risvegliava nella magione della sua famiglia, a Inverness, e al contempo nel dormitorio della torre ovest di Hogwarts, là dove un altro sadico scherzo del padrone di casa aveva bloccato tutti loro per una settimana intera. Mai come ora, hanno bisogno di sapere che non sono soli. Questo, il cacciatore lo sapeva fin troppo bene: c'erano stati momenti, troppi momenti, prima che il Branco nascesse, nei quali la Corte dei Miracoli l'aveva soffocato a tal punto da rischiare di farlo impazzire ed erano state solo le lunghe sessioni di meditazione a permettergli di non sguinzagliare la sua parte più selvaggia e assetata di sangue. Il nuovo anno infine arrivò e loro non c'erano più. Holden rimase stranito nel non riuscire a compiere con la solita naturalezza un gesto che fino a quel momento era sempre stato così ovvio, così spontaneo: non riusciva a ritrovarsi a Hogwarts così come non riusciva nemmeno più a lasciarsi guidare dalla sicurezza di Tris o dai timori che di tanto in tanto esplodevano nel cuore di Pervinca, a cercare di offuscare la sua luce. Non c'erano più.

    Giorno 1. La consapevolezza che qualcosa di grande, qualcosa di grave fosse accaduto nella scuola di Hogwarts aveva iniziando lentamente a strisciargli nelle vene. Holden Morgenstern era un cacciatore, abituato a stare sempre un passo avanti nel tentativo di sopravvivere. Stare un passo avanti significa pensare al peggio per arrivarci preparato, al peggio. Pronto a tutto sempre e comunque. Niente aveva mai potuto spezzare il collegamento che il Branco aveva: non le distanze, non le barriere, neppure la potente maledizione di Alek Marchand o quella di Edmund Kingsley. Eppure, qualcosa finalmente c'era riuscito e qualunque cosa fosse, Holden se lo sentiva dentro, non poteva essere nulla di buono.

    Giorno 3. Nessuna novità. Joaquìn Diaz era apparso come un fulmine a ciel sereno, mezzo nudo e particolarmente agitato, lasciando Holden ancora più confuso e turbato di quanto non fosse. Neanche lui riesce a collegarsi con gli altri. Nessuno può. Aveva cercato di calmare il cubano e forse, in minima parte, ci era perfino riuscito.. ma chi avrebbe calmato lui? Nel suo cuore sentiva iniziare ad agitarsi onde di tempesta che non si sarebbero placate con la stessa facilità di quelle dell'amico. Accettò, volente o nolente, l'abbraccio di Jo e si stupì nello scoprire di averne bisogno anche lui. Calore umano, era un fattore così facile da non tenere in considerazione, una variabile che un cacciatore del suo calibro aveva sempre reputato come collaterale, superficiale perfino! Finché non erano arrivate le carezze di Tris, lo stare stretto fianco a fianco con Pervinca o, sì, perfino gli abbracci fin troppo stretti e calorosi del compagno di Diaz. Si lasciò abbracciare, Holden, per lenire il dolore dell'amico e, al tempo stesso, lenire il proprio.

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    Giorno 9. Su una collina al limitare del villaggio magico di Hogsmeade, due alte figure si stagliavano mentre il sole di un nuovo giorno iniziava pigramente a levarsi in cielo. Intorno a loro la fredda brezza dell'inverno scozzese investiva i loro volti rigidi, puntati contro il profilo della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Era riapparsa dal nulla nove giorni prima, proprio quando le comunicazioni con i loro fratelli all'interno si erano bloccate. Riuscire a vedere l'imponente sagoma del castello, con le sue alte torri e le sue mura secolari, non faceva altro che riempirlo di rabbia: era uno scherno che un sadico destino lanciava loro. Potete vederli, sono qui.. eppure, sono più lontani che mai. « Dobbiamo fare qualcosa.. qualcosa di concreto. » Daniel Campbell gli rivolse un sorriso bonario e uno sguardo estremamente eloquente: "dimmi qualcosa che non so?". Forse il cacciatore non ci aveva già provato? Forse, come tutti loro, non ci stava provando tutti i santi giorni? E tutti i santi giorni, era stato un fallimento dopo l'altro. « E cosa proponi? Forse con la tua testa dura riusciremo a sfondare i cancelli. » No, Holden non avrebbe certo potuto imputare a Daniel o a chiunque altro una scarsa dedizione alla causa, eppure questo non frenò il suo animo dallo scaldarsi, fuoco alimentato dalla benzina dell'ironia dell'uomo. « Non schernirmi, Daniel! Sono stanco. » Era rabbia quella che colorava la voce più alta del solito del giovane Morgenstern, ma non era indirizzata al compagno d'arme. Era la rabbia del sapere di essere impotenti di fronte a qualcosa di troppo complicato da capire, troppo grande da affrontare, forse troppo perfino da sconfiggere con le armi che avevano a disposizione. « Quando non ero che una pedina nelle mani sbagliate, Tris non si è arresa. Non si è mai arresa! » Perfino quando mi ha saputo al sicuro. Holden, di contro, quella sicurezza oramai non l'aveva più. Puntò l'indice contro Hogwarts, tenendo tuttavia gli occhi fissi su Daniel. « Tris non sapeva dove io fossi.. io lo so. Mia sorella è là dentro e, te lo giuro su Dio, non la lascio. Sì, forse prenderò a testate i cancelli ma ci entro là dentro! » L'impeto del giovane uomo che era prese il sopravvento nel cuore di Holden, solitamente fin troppo mascherato da adulto, più saggio e razionale del dovuto. Un cuore giovane non vede barriere impossibili da valicare, muri troppo alti da non poter essere superati o troppo spessi da non poter essere abbattuti. « Ho smesso di starmene con le mani in mano. » Un cuore giovane è pronto a gettarsi del vuoto, convinto che l'amore di cui è ricolmo lo salverà da un brusco atterraggio. L'illusione della giovinezza.

    [...] « E' una follia! »
    - « Lo so. » E lo sapeva davvero, aveva avuto modo di pensarci e ripensarci, analizzare la questione nella maniera più analitica possibile e da qualunque angolazione la si guardasse, quella rimaneva un'idea assolutamente suicida. Il piccolo Dimitrij non faceva altro che sottolineare l'ovvio, ma senza la solita punta di sarcasmo che un piccolo genio come lui adorava sfruttare. Era seriamente preoccupato. « Ti farai uccidere! » - « C'è questa eventualità, sì. » Aveva lasciato dietro di sé gli affollati marciapiedi di una Londra che si stava riprendendo dalle festività e che pian piano ritornava alla sua solita, frenetica vita. Il sole era tramontato già da qualche ora, i negozi volgevano all'orario di chiusura e gli uffici si svuotavano dai loro dipendenti: la giornata era ufficialmente finita, se non per il cacciatore. La mia è appena iniziata. « Lo dico a Joaquìn! Almeno ti ferma prima che tu faccia cazzate! » ma bastò un solo sguardo affilato al bambino per farlo desistere. Ho atterrato quel vampiro millenario al soldo di Alek, posso farlo anche con un cubano piagnucolone e un bambinetto alcolizzato. Si bloccò, nel vedere in lontananza il palazzo di Westminster, a ridosso del Tamigi. Il suo obiettivo giaceva poco oltre, da qualche parte là sotto: il Quartier Generale dell'Inquisizione e colui che lo guidava, Aleksandr Marchand. Se è completamente fuori di testa anche solo pensare di andare a bussare dritto alla porta di casa del proprio nemico? Sì, lo è. Da pazzi. Ma pazzo si sentiva Holden Morgenstern, o meglio disperato nel dover constatare di non aver nessuna speranza di poter salvare sua sorella e il resto del clan da solo. Non avrebbe trovato risposte, non le avrebbe trovate Daniel e non le avrebbero trovate i ribelli. Ma se qualcuno poteva avere risposte, quello era Alek: come capo dell'Inquisizione, sì, ma anche come veggente. Aveva già visto il dono del gitano all'opera, lo ricordava, e ricordava fin troppo bene quanto fosse accurato. Aveva perfino vaticinato l'esistenza del Branco! Cos'altro avrebbe potuto predire? Al contrario, Holden Morgenstern sembrava non essere mai stato tanto ottuso e cieco come in quel momento. Alek Marchand non ti aiuterà mai, sarà un miracolo se ti lascerà vivere ancora. Una parte di sé lo sapeva, memore di tutto ciò che il re dei gitani gli aveva detto durante il loro ultimo incontro. Ma un'altra ricordava, palpabili sulla pelle, le sensazioni che aveva provato stando a contatto col veggente, l'intensità del suo sguardo e la purezza che vi aveva intravisto nonostante tutto. « Se non dovessi tornare.. dì a Daniel che forse era meglio prenderlo a testate, quel cancello. » Il piccolo Dimitrij svanì alle spalle del cacciatore, che si immerse nel buio dei vicoli di Westminster.

    Del Quartier Generale dell'Inquisizione sapeva ben poche cose, informazioni carpite dai membri della gilda che vi avevano lavorato negli ultimi mesi. Sapeva che Alek la dirigeva e sapeva dove fosse, perfino come accedervi. Sapeva che a quell'ora non era popolata tanto quanto lo era di giorno, anche se le guardie non sarebbero mancate di certo. Aveva dovuto duplicare magicamente una delle loro uniformi e prendere in prestito uno dei loro tesserini per poter accedere all'edificio e, soprattutto, non essere schiantato a vista. Se c'era una cosa che aveva imparato su Alek era quanto profondo potesse essere il suo risentimento e con quanta cura sapesse intessere le proprie vendette: che fosse diventato un ricercato, così come sua sorella, Holden lo dava pressoché per scontato. E allora perché lo vuoi rivedere? Solo per delle risposte che sai già non otterrai mai? Solo tre settimane prima, aveva messo nero su bianco i propri pensieri e parte delle proprie emozioni, trascrivendole su pergamena e inviandole alla persona che meno al mondo le avrebbe gradite. Ora, percorrendo guardingo il lungo corridoio verso gli ascensori che l'avrebbero portato in basso, si sentiva ancora più attratto a lui. Lo voleva vedere, aveva bisogno di rivederlo. E aveva bisogno di aiuto, sì, ma da lui e lui solo l'avrebbe accettato. Le porte dell'ascensore si stavano richiudendo alle sue spalle quando un altro Inquisitore vi sgattaiolò dentro e tastò veloce uno dei pulsanti, portandosi accanto al giovane e squadrandolo. « Nuovo? Non ti ho mai visto. » Il cacciatore annuì, scoccandogli un'occhiata fulminea. L'inquisitore era un ometto tarchiato, sulla trentina, col fisico sproporzionato da una natura sgraziata, in perenne conflitto tra gli allenamenti in palestra e qualche ciambella di troppo. « Immaginavo.. dopo il casino a Hogsmeade, sai. Servono nuove leve! Benvenuto, io sono Bob. » e parli troppo. « Ho...skar. » Quanto odiava quelle situazioni, quanto odiava le coperture! Al contrario di molti altri abili cacciatori della Gilda, Holden non aveva mai avuto attitudini da spia. A conti fatti, era il peggior bugiardo che conoscesse. « Hoskar? Hai un accento strano.. del Galles vero? Mia suocera è del Galles, del Monmouthshire. Che posto del cazzo.. scusa eh? » Holden, improvvisatosi gallese, rimase interdetto di fronte al teatrino che l'inquisitore aveva messo in piedi completamente da solo. Mancavano solo due piani al livello più basso, due piani prima della salvezza. « Sai chi mi ricordi? Quel ricercato, Morgenstern. C'è la sua taglia in ogni bacheca. » Con la sua immagine? Chissà quale diavoleria aveva escogitato Alek: un frammento di ricordo estrapolato da un pensatoio forse, o una fotografia fatta a tradimento alla Corte? Non aveva importanza, gli Inquisitori conoscevano il suo viso.. e lo conosceva anche Bob.
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    « ...oh cazzo, oh c..! » Non fece neppure in tempo a recuperare dal fodero la bacchetta magica; con uno scatto fulmineo, il lupo aveva già tra le dita il pugnale estratto dallo stivale, puntato alla gola del nemico. « Non voglio farti del male, non costringermi a farlo. Voglio solo un'informazione: dov'è Alek Marchand? »

    Trascinò in uno stanzino il corpo incosciente di Bob, caduto a terra come un sasso dopo essere stato colpito in modo netto e preciso. Un senso di colpa aleggiava nelle viscere del cacciatore: quello non era un terreno di caccia, non era il suo posto. Non gli era concesso far male agli uomini, sebbene il fine superiore lo potesse giustificare di tanto in tanto. Non era ciò che era, non era ciò che voleva essere. Eppure, impadronitosi del proprio arco e con una freccia incoccata per ogni evenienza, sapeva che l'eventualità di dover trasgredire i propri principi morali era sempre dietro l'angolo. Bob gli aveva spiegato, con una certa titubanza data dall'acciaio del pugnale contro la carotide, che l'ufficio di Alek si trovava non troppo lontano, a qualche corridoio di distanza. Corridoi che sarebbero stati pattugliati da altri Inquisitori, probabilmente molto più svegli di Bob. Dovette bloccarsi più volte e cercare riparo fuori portata, per evitare che durante le ronde il passo lento delle guardie incrociasse il proprio; una volta che gli inquisitori si allontanavano, Holden continuava la propria marcia silenziosa, seguendo le indicazioni di Bob. E se Alek non fosse qui? Ci hai pensato? Non ricordava esattamente dove, le immagini erano confuse e indistinte, ma aveva memoria di tutte le volte che il gitano l'aveva raggiunto a cena già inoltrata, per terminare questo o quel lavoro in ufficio. Di tanto in tanto neppure si presentava. Alek è qui. Dev'essere qui. Superò l'ultimo corridoio e voltò l'angolo - l'ultimo - quando si imbatté in una figura che gli sbarrò il passo. Capelli mossi, barba curata, sguardo severo. E una freccia incoccata puntatagli contro. « Ciao, Alek. » Un timido sorriso imperlò e abbellì il viso duro del cacciatore, la cui voce aveva vibrato nel pronunciare il nome dell'inquisitore ad alta voce, per la prima volta dopo tanto tempo. Nella sua vita ordinaria, Aleksandr Marchand era l'incognita che non avrebbe svelato.. ma tra loro, non c'era nulla da nascondere. Eppure, sono ciò che teniamo nascosto a dividerci. « Pensi che io possa abbassare la freccia? » Hai pensato a ciò che ti ho scritto? Possiamo parlare, soli, come una volta?

     
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    «Signor Marchand, non ci sono troppe notizie nuove. Sempre le stesse.» Alek sbuffa, di rimando, mentre si muove sulla poltrona del suo ufficio. La penna che batte contro il naso, mentre cerca di pensare, più veloce di quanto la sua mente sembra volergli concedere. Quella situazione è un casino. Un grosso, enorme, fatiscente casino. Così come una mina vagante sembrano essere quei Ribelli. Capitanati dall'unico e solo Byron Cooper. Abbozza una risata, scrollando la testa, prima di tornare a guardare Perton, incitandolo con un movimento veloce di sopracciglia a proseguire in quel disastroso bollettino di guerra. Lui si schiarisce la voce e riprende. «Il castello è ricomparso, è vero, ma fonti piuttosto attendibili hanno confermato le sue parole. No, non si può comunque entrare. E i collegamenti che sembravano avere prima, con l'interno, sembrano essere scomparsi nel nulla.» Bene, questa è una piacevole svolta nel suo piano mentale, dove nell'ultimo periodo, il Ministero era sempre stato un passo indietro rispetto a loro. Lo sapeva, anche grazie alle sue visioni, che riuscivano a comunicare in qualche modo, con le persone all'interno del castello. Non ha mai capito effettivamente il come, ma ora questa informazione sembra impallidire ai suoi occhi. E' inutile saperlo, perché ora anche i Ribelli brancolano nel buio, così come fanno loro. Se la giocano ad armi pari, finalmente. Un sorriso morbido riesce ad arrivare alle sue labbra, quasi quella nuova incognita riesca a donargli un po' di pace. Si passa una mano sulla barba curata, prima di sporgersi nuovamente sulla scrivania, per riprendere a scrivere. Appunta, annota, arricchisce gli schemi che ha cominciato a compilare tempo addietro. Li riempie di frecce, di asterischi, di nomi. E' riuscito anche a dare qualche nome, a coloro che ha visto nella sua visione. Quella visione. Ha cominciato a stilare una lista di nomi di quelli che fanno parte del branco e di cui è riuscito a risalire all'identità. Una lista che, appena completa, consegnerà ai suoi Inquisitori, per farli entrare di diritto nella lista dei ricercati ufficiali dal Governo. Dopo qualche istante di silenzio, nel quale è soltanto udibile il muoversi raschiante della punta della penna contro il foglio sempre più fitto di scritte, Perton si schiarisce la voce, ancora una volta, per richiamare la sua attenzione. Alek alza gli occhi, incastonati in quella montatura tartarugata, dalle lenti trasparenti che sembrano rendere più intenso il colore azzurro dei suoi occhi. «Ah sì, sei ancora qui.» E' distratto. Ha la mente sempre piena di talmente tante cose, ultimamente. Il mondo gli sta crollando addosso, richiedendo l'aiuto delle sue spalle e lui non è più tanto certo di sapere gestire tutto, con la chirurgica e fredda calma che l'ha sempre contraddistinto. Aleksandr Marchand che sembra vacillare per colpa di Byron e la donna che si porta appresso. La serpe in seno. Renton Blake. Come tutti lì in mezzo. Beatrice Morgenstern, Melysandre Kendrick, Frank Esposito e da ultimo, Holden Morgenstern. Così come tanti altri che ha conosciuto in prima persona. «C'è dell'altro o posso congedarti?» Gli chiede, riabbassando lo sguardo, per tornare al suo lavoro certosino da detective. «In effetti c'è dell'altro.» Perton temporeggia quel tanto che basta ad avere la completa attenzione di Alek, che alza nuovamente gli occhi per incontrare quelli di lui. «Che aspetti allora? Me lo dici o vogliamo giocare a provare ad indovinare? Ti avverto: non sono proprio nell'umore congeniale per fare certi tipi di giochetti.» L'uomo, dai capelli brizzolati, sembra risvegliarsi da quel suo momento d'incertezza, scrollando il capo, rigidamente. «C'è stata un'incursione. Willow non fa rapporto da circa un'ora e non si trova. Crediamo che qualcuno dei Ribelli si sia infiltrato nel Palazzo.» Alek rimane così, fermo e pensoso, a guardarlo per qualche istante, senza muovere alcun muscolo del suo viso affilato. Ti prego, dimmi qualcosa che non so già. Fa i calcoli, mentalmente. Unisce i puntini delle sue visioni con quelli della realtà. Non può essere Byron. Non si può scomodare a tanto il valoroso condottiero che riporterà la libertà al popolo sofferente. Lui è il simbolo e il simbolo non viene mai mandato a morire, in prima linea. No, deve essere qualcun altro. Un soldatino, magari. Qualcuno talmente disperato da entrare di soppiatto nel suo impero, chissà a fare cosa. Magari ucciderlo? Che ci provasse. Alla fine arriccia le labbra, in un'espressione indecifrabile, che non lasciare intendere alcuna sua emozione. E' agitato? Non troppo. E' arrabbiato? Non troppo. Elettrizzato? Sì, forse questo sì. E' la prima cosa eccitante che gli capita da giorni. E quelli non sono di certo giorni belli per Alek. Il Natale non è mai stato una festa per lui e la sua comunità. «Non ostacolatelo troppo Sorride, beffardo, infine. Io lo aspetto qui.

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    Lo aspetta, è vero, ma il ritardo lo rende impaziente e allora decide di uscire dal suo ufficio, giusto per farsi un giretto e magari andare a prendersi un caffè. Guarda l'orologio. In teoria è quasi ora di andare a casa, in pratica ormai quella è diventata casa sua. François è preoccupato, lo è da giorni ormai, ma capisce che la situazione è troppo tesa. Ogni volta che prova a rimettere piede alla Corte, quando è certo che sia tutto sotto controllo, è in quel momento che il patronus di qualche Inquisitore lo avverte di un nuovo pericolo, costringendolo a tornare al Quartier Generale. Perciò è lì che vigila, giorno e notte, il più delle volte. Cammina lento, lungo il corridoio, mentre torna alla sua scrivania, per riprendere a lavorare, quando una voce gli arriva alle spalle. Quella voce. « Ciao, Alek. » Chi altri, se non lui? Oh, mi hai beccato con le mani nel sacco. Maledizione! Alza le mani al cielo, lentamente, come a volersi arrendere a quell'assalto a sorpresa, prima di voltarsi con un sorriso che ha dello schernitore. Gli punta contro una freccia già incoccata. Una freccia, che dalle parole della sua lettera a Natale, sa per certo non essere per centrare il suo di cuore. «Guarda, guarda. E' arrivata la fanteria.» Non c'è alcuna vena di derisione nella sua voce, mentre ce n'è fin troppa nella sua mente. Ma non la esplicita, non ancora. « Pensi che io possa abbassare la freccia? » Questa volta il sorriso si tinge di sarcasmo, nell'udire quelle parole. E' quasi tenerezza, quella che prova. Perché riconosce in quelle parole la pura ingenuità che ha sempre creduto di vedere negli occhi di Holden. Prima di fare ciò che ha fatto, ovviamente. Ma in quel momento lo rivede, negli occhi ambrati del cacciatore che lo guardano con la stessa intensità di sempre. «No "penso." "Devi" abbassarlo.» Con un colpo veloce di bacchetta appella arco e freccia, così da ritrovarselo tra le mani. Se lo rigira tra le mani, come a volerne costatare la fattura. Probabilmente forgiato dalle mani dei migliori armaioli di Inverness. Gli sorride, questa volta più dolcemente, mentre apre la porta del suo ufficio e la lascia aperta, una volta oltrepassata la soglia. «Questo lo tengo io, sai com'è, precauzione. Non si dovrebbe mai giocare con simili cose.» Dice, appoggiando l'arma su un mobiletto dietro la sua scrivania, prima di sedersi al suo posto, come se nulla fosse successo. «Inoltre non è educato puntare armi contro il padrone della casa nella quale ti sei infiltrato con così poca lungimiranza. Dovresti saperlo. Ci sono delle regole imposte dalla morale e dal buon senso, per un quieto vivere.» Perché no, non credo tu abbia pensato ai possibili risvolti di queste tue azioni. Riprende gli occhiali, lasciati incustoditi per quei pochi minuti di pausa, lasciandoli scivolare su, lungo il naso. «Allora? A cosa devo questa piacevole visita Gli domanda, senza guardarlo negli occhi, mentre riprende a fare le sue congetture mentali, scrivendo giusto un paio di righe su un nuovo foglio. Holden Morgenstern è stato qui. Ha atterrato uno dei miei migliori combattenti. Rivedere il programma di guardia. «Cosa non ti era chiaro delle parole "Non farti più vedere"? Sono curioso.» Un'altra domanda che fuoriesce leggera e priva di rancore dalle sue labbra. E' ancora arrabbiato, molto, eppure ha avuto il tempo di pensare, di meditare e di capire che non vale la pena buttare tutte le sue energie nell'avercela con tutti coloro che gli hanno voltato le spalle. E' meglio rigettarle in qualcosa di più soddisfacente, come lo è riorganizzare le proprie risorse, per l'appunto. E magari fare innervosire il suo ospite a tal punto da farlo infuriare. Anche quello sembra essere piuttosto divertente ai suoi occhi. «Sei un cacciatore, sei un soldato, ma non credo ti sia stato insegnato troppo bene come si svolgono certe dinamiche. Forse perché non sei stato mai in guerra.» La penna corre sul foglio. «O forse perché sei semplicemente troppo giovane.» E inesperto. «Sicuramente, se mi concedi di darti un piccolo consiglio, non dovresti scrivere al nemico numero uno della causa che dovresti appoggiare con tutto te stesso.» Alza lo sguardo, per incatenarlo a quello di lui, per qualche istante. Sì, so che te lo stai chiedendo. L'ho letta. «Sopratutto non per augurargli buone feste. Potrebbe essere mal interpretato.» Specie se lo venissero a sapere i tuoi compagni d'armi.

     
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    Ancora una volta insieme, faccia a faccia. Ciò che Holden sentiva non era qualcosa di ben definito, aveva i tratti sfumati di un acquerello incompleto di cui non avrebbe saputo descriverne il contento. Bizzarro: gli aveva promesso che si sarebbero rincontrati, un giorno o l'altro, ma prima di allora non aveva mai pensato effettivamente a cos'avrebbe fatto, una volta rivisto il suo aguzzino. Perché, poi, volerlo rivedere? A pensarci con logica, non aveva senso. Holden Morgenstern avrebbe dovuto tenersi lontano anni luce da colui che l'aveva privato della libertà per quasi un anno, costringendolo ad una vita fatta di preghiera in solitudine, allenamenti, noiose passeggiate e feste in cui non si era mai sentito completamente a proprio agio. Costretto a una vita agiata, sai che sfortuna. Alek Marchand aveva trattato il suo prigioniero come un principe, ma agli occhi di un animo spartano e monacale qual era quello del giovane Morgenstern, il lusso che il re dei gitani gli aveva offerto spesso gli era sembrata quasi una seccatura. Una serie infinita di motivi per non rivederlo mai più, eppure eccoci qui. Ancora una volta insieme, faccia a faccia. « Guarda, guarda. E' arrivata la fanteria. » Il sarcasmo del padrone di casa arrivò puntuale e, come al solito, Holden lo comprese a stento. Ma fu l'ultimo dei problemi del cacciatore, nel momento stesso in cui Alek, con le mani alzate in segno di resa, si voltò guardandolo finalmente. Il cacciatore rimase immobile, alto e statuario con la freccia ancora incoccata, ma con gli occhi grandi e pieni di un sentimento sconosciuto. Era.. nostalgia? Forse, sì, ma una nostalgia bella, positiva. Aleksandr Marchand era a capo del regno sotterraneo che Holden, da indesiderato, aveva profanato e violato eppure, era palese, non c'era ostilità nel viso del ragazzo. Compì il primo errore: abbassò la guardia. Diede modo all'inquisitore di afferrare la bacchetta e così, facilmente, disarmarlo di arco e frecce. « No "penso." "Devi" abbassarlo. » Sbatté le ciglia più volte, muovendo le mani ormai libere dalla solida presa sulla propria arma prediletta. Solida, sì, ma evidentemente non abbastanza. Non che fosse un problema, in realtà. Ho un pugnale, due spade gemelle, le armi marziali e una bestia dentro di me.. tieni pure l'arco. In silenzio, come se nulla fosse, Alek si ritirò nel suo ufficio e Holden, attirato come dal canto di una sirena, lo seguì chiudendosi la porta alle spalle. « Questo lo tengo io, sai com'è, precauzione. Non si dovrebbe mai giocare con simili cose. » Storse il naso, il cacciatore, a quelle parole che avevano al gusto una leggerissima punta di sacrilego. Giocare? I Morgenstern sono convinti, da secoli, che proprio come una bacchetta sceglie il mago, un'arma sceglie il cacciatore. Il buon Dio gli aveva affidato l'arco perché divenisse sua mano, dispensatrice di giustizia sulla Terra: non andava di certo in giro a giocarci! « Inoltre non è educato puntare armi contro il padrone della casa nella quale ti sei infiltrato con così poca lungimiranza. Dovresti saperlo. Ci sono delle regole imposte dalla morale e dal buon senso, per un quieto vivere. » Come non infilarsi nella tana del leone? « Se avessi avuto cattive intenzioni, te ne saresti accorto. » gli fece notare, con la sua solita schiettezza disarmante. L'aveva colto alle spalle e se davvero la missione di Morgenstern fosse stata un mero e barbaro assassinio, tutto si sarebbe già concluso con una schiacciante vittoria. Invece Alek se ne stava là, comodo sulla sua poltrona, con quel fare supponente da direttore con cui Holden aveva imparato a convivere ormai da molto tempo e senza neanche un graffio. Avrebbe mai potuto scoccare una freccia contro l'uomo dall'altra parte della scrivania? Il destino aveva intessuto le sue trame facendo in modo di presentarglielo come un nemico: peggio ancora, come il peggiore e più acerrimo dei nemici. Ma col destino, Holden non aveva mai avuto un buon rapporto. Il mio destino era diventare Patriarca di una secolare dinastia di cacciatori. Com'era finita poi, entrambi lo stavano scoprendo insieme, in quel preciso momento. Il ragazzo rimase rigido e fermo nel punto in cui stava, come una statua di marmo, mentre il direttore si rimetteva gli occhiali e continuava a svolgere il suo lavoro come se niente fosse. Holden Morgenstern non è affatto un problema, questa era l'idea che stava dando. « Allora? A cosa devo questa piacevole visita? Cosa non ti era chiaro delle parole "Non farti più vedere"? Sono curioso. » Il tono di voce del gitano è ben lontano da quello che gli aveva riservato durante il loro ultimo contro, carico d'ira, di rancore e di delusione. L'Alek che aveva ritrovato era il mago posato e calcolatore che aveva conosciuto, il fine stratega. La maschera. L'uomo che sapeva pronunciare parole tanto avvelenate senza sembrare alterato. Pur con tutta la freddezza e il distacco del mondo, neanche Holden ci sarebbe riuscito. Era una bella domanda, comunque, quella che l'uomo aveva posto. « Te l'avevo promesso.. e io mantengo sempre le promesse. » Più o meno la risposta, che non era una vera risposta, che anche un bambino avrebbe potuto dare. Aggirare l'ostacolo nel più ampio e ingenuo dei modi, senza affrontare veramente la questione. Non so perché avessi così tanta voglia di vederti, ma se mi fossi fermato ogni volta che qualcuno mi minacciava di morte, sarei ancora sul fondo di un pozzo a Inverness a tremare di paura. « Sei un cacciatore, sei un soldato, ma non credo ti sia stato insegnato troppo bene come si svolgono certe dinamiche. Forse perché non sei stato mai in guerra. O forse perché sei semplicemente troppo giovane. » Assottigliò lo sguardo, Holden, nel cercare di leggere tra le righe delle parole di Alek, fallendo miseramente. Di quali dinamiche parlava? Era tutto semplice e lineare: voleva vederlo, aveva bisogno di lui ed era andato. Consapevole dei rischi, conscio della posizione di entrambi, ben cosciente perfino della disposizione d'animo di Alek. Tutti ostacoli che aveva voluto e voleva continuare a combattere.
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    In fondo, Alek aveva perfettamente ragione: aveva di fronte un cacciatore, un soldato.. e un giovane. Della gioventù Holden conservava l'ingenuità e la percezione dell'infinito: sapeva guardare lontano, Holden, e come tutti i giovani che guardano troppo lontano, si finisce per inciampare su qualcosa di così vicino da non averci fatto neanche caso. « Sicuramente, se mi concedi di darti un piccolo consiglio, non dovresti scrivere al nemico numero uno della causa che dovresti appoggiare con tutto te stesso. Sopratutto non per augurargli buone feste. Potrebbe essere mal interpretato. » Il volto di Holden si indurì di colpo, mentre un principio di torpore iniziava ad invadergli le guance. Non era un sentimento a cui era abituato, così ligio al dovere e marziale nei modi qual era, ma l'aveva provato diverse volte, e sempre per colpa di Pervinca: imbarazzo. L'imbarazzo che però stava provando di fronte allo zingaro, punto nel vivo dalle sue parole di scherno, faceva molto più male. L'hai letta davvero, dunque. Si era sentito stupido scrivendo quelle poche righe in cui aveva aperto il cuore come di rado osava fare; si era sentito più stupido nello spedirla, sussurrando ad uno dei gufi non tracciati di Inverness il destinatario della pergamena di auguri; si stava sentendo infinitamente stupido, in piedi al centro dell'ufficio. Un bambino troppo cresciuto che si sente preso in giro su una questione di grande importanza. « Non capisco perché: non sei mio nemico. » mormorò, senza riuscire però a guardarlo. Non fare il bambino Holden, sai bene che non è così. Aleksandr Marchand era il nemico, uno tra i più pericolosi e agguerriti, e ancora una volta il cacciatore si rifiutava di ammettere l'evidenza. Con amarezza, l'ultima volta che l'aveva guardato negli occhi, gli aveva detto di non essere dalla sua parte.. ma guardandolo in quegli stessi occhi, settimane dopo, non poteva non fare i conti col fatto di non essergli neppure avversario. Perché? Perché devo invischiarmi in una guerra che non mi appartiene? Perché dobbiamo fingere di essere ciò che non siamo? « Le persone mal interpretano in continuazione.. » Anche tu hai mal interpretato me, quando mi hai cacciato. « Tutti penserebbero che sia venuto qui per farti del male, per esempio. » Logico, chi ne avrebbe dubitato? In tanti conoscevano, anche solo per fama, l'abilità dei cacciatori della Gilda, alcuni dei quali venivano anche addestrati come spie. Avrebbero potuto uccidere un importante esponente politico, se solo avessero voluto. Se solo fossero stati questo. Io non sono un assassino. Gliel'aveva già detto una volta, che non gli avrebbe mai fatto del male, e la silenziosa promessa era stata mantenuta. Così sarebbe stato. Si avvicinò di qualche passo alla scrivania, osando solo in quel momento alzare gli occhi verso Alek. Il gitano lo fissò per lunghi secondi, durante i quali reggere il suo sguardo incandescente sembrò più difficile del previsto. Perché sei qui, Holden? « Ho bisogno di te, Alek. » La voce gli si smorzò in gola, mentre la mente pian piano elaborava ciò che la lingua in quasi competa autonomia aveva detto. Una verità di cui non aveva mai preso veramente coscienza: si era abituato talmente tanto alla presenza di Alek Marchand, alle sue gentilezze, ai suoi racconti durante i pasti, al suo modo con cui sapeva rendere intrigante qualsiasi argomento - comprese le sue diavolerie da veggente! - che quando tutto quello era venuto a mancare tanto improvvisamente, si era formato un vuoto. Holden l'aveva riempito di affetti, di continue visite a Hogwarts o a Hogsmeade, l'aveva riempito perfino con uno stupido e patetico alberello di natale mal ridotto per rendere felici i suoi amici e i più piccoli della gilda.. ma quel vuoto, comunque, era rimasto. E ancora una volta, si sentì stupido. Scosse la testa, incrociando le braccia al petto come sempre faceva quando si metteva sulla difensiva di fronte ad una situazione che non gli piaceva affatto. Holden Morgenstern pregava, pregava tanto.. ma quando si trattava di pregare qualcuno, smetteva di saperlo fare. Abbassò il capo. « Ho bisogno del tuo aiuto. » E ora ridi di me, ancora una volta. Sono pronto.
     
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    « Se avessi avuto cattive intenzioni, te ne saresti accorto. » Gli viene da ridere, ma si trattiene perché non è da lui essere così sadico nei confronti del prossimo. Perciò si ritrova a sorridere, pacatamente, quasi come se Holden non abbia aperto veramente bocca. Gli lancia un'occhiata, da sopra la bordatura degli occhiali. Lo fissa per istanti interminabili, senza aprir bocca. Senza fare il gentile padrone di casa, come è suo solito fare. Non lo invita a sedersi, non gli chiede se vuole qualcosa da bere, non fa nessun passo avanti per farlo sentire più a suo agio e per far acquietare un po' di quel disagio pressante che si è andato creando nell'esatto istante nel quale Holden ha messo piede nell'ufficio. Non fa assolutamente nulla per far sì che quella situazione migliori. Non è nelle sue intenzioni far sentire il benvenuto Holden, non lo è più da tempo, né a casa sua, né tanto meno nel posto dove lavora. Alla fine distoglie lo sguardo, tornando a trascrivere i suoi appunti. «Hai ragione.» Sentenzia, mentre mescola l'inchiostro nella boccetta con la punta della piuma. Fa qualche giro orario, per poi farne qualcuno antiorario: una specie di prassi quando si tratta di dover scrivere, quasi fosse diventato ormai un rituale scaramantico. «Me ne sarei dovuto accorgere allo stesso modo in cui tu ti sei accorto delle telecamere magiche istallate per tutto il Ministero? O magari allo stesso modo in cui hai capito che sapevo già saresti arrivato fin qui, da me Una piega calda compare sul suo viso, mentre non accenna assolutamente a rialzare il capo, ma continua a fare ciò che deve fare, come se nulla fosse. Come se lì, oltre quella sua scrivania in mogano, non vi sia nessuno. Come se fosse completamente da solo in quella sua stanza che è ormai diventata per lui anche una casa. Ed è veramente come essere in solitudine, per qualche minuto soltanto. Non si muove nulla, il pendolo alla parete sembra essersi mutato magicamente e tutto rimane così, galleggiante in quel vuoto cosmico che Alek percepisce come reale, tra di loro. Non si ricorda l'ultima volta che ha realmente provato una sensazione del genere con lui. Forse mai, nemmeno quando l'ha accolto in casa sua. E' sempre stato propositivo nei suoi confronti, più per il fascino esercitato dalla sua persona, dal suo carattere e dai suoi atteggiamenti che dal potenziale di quella merce di scambio che gli era capitata tra capo e collo. Ha sempre cercato di farlo sentire a proprio agio, seppur la condizione di carcerato sia pesata sempre fin troppo al ragazzo, ma l'uomo ha sempre cercato di non caricare troppo la mano, di alleggerire il peso che lui provava lasciandogli tanta più libertà di quella che un normale prigioniero dovrebbe avere. Ha tentato di avvicinarlo al suo mondo, all'arte, alla divinazione, cercando a sua volta di infiltrarsi, un po' alla volte, in quel complicato e articolato ecosistema che ad Holden era stato costruito intorno, fatto di regole, di preghiera, di meditazione, di fedeltà e di devozione, tutti concetti assolutamente astratti e lontani anni luce da Alek. Questa quindi è la prima volta che sente di avere un muro tra di loro. E' cosciente di averlo eretto lui stesso, Holden è il primo a ribadirlo, ma Alek non è più un ragazzino ma un uomo, non è a capo di un negozio di dolci ma dell'organo di difesa del Ministero e non è mai stato stupido. Fin da ragazzo, gli è stata insegnata l'arte dell'imbroglio, per poi replicarlo nel gioco delle carte da fare ai passanti sotto Notre Dame de Paris. Sa benissimo che più si guarda da vicino una cosa, più si riesce a perderne i particolari, per poi essere ingannato alle spalle, con un semplice trucco da mago di strada. E lui ha permesso troppo ad Holden. Gli ha permesso di avvicinarsi, di entrare in collisione con il suo mondo, gli ha permesso di scoprire lati di sé che probabilmente nessuno era mai riuscito a captare, perché nessuno gli era mai stato così tanto vicino come lo era stato il ragazzo. E seppur crede di aver capitato cosa veramente c'è nel cuore del giovane, quanto sia pura e profonda la sua ingenuità di base, il vederlo alle spalle di Beatrice, nella visione, gli è servito per risvegliarsi da quel sogno agrodolce che gli era andato così bene fino a quel momento, quel sogno nel quale aveva qualcuno a fargli da compagnia, seppur in maniera tanto distorta e malsana. Aveva ricevuto una chiamata in extremis dal suo senso del dovere, accumulato a tutte le responsabilità che una carica come la sua ha sempre comportato, e alla fine era tornato in sé, rompendo quella bella bolla di sapone che gli si era formata intorno. « Te l'avevo promesso.. e io mantengo sempre le promesse. » Scrolla la testa, in un gesto quasi impercettibile. Testardo di un Morgenstern, dovete avercelo nel sangue. «Quanto credi che valga per me una tua promessa?» Gli domanda con un mezzo sorriso a distorcergli le labbra. Sul suo viso non più alcun segno di rabbia o rancore, ma una pallida e placida quiete che fa accapponare la pelle per quanto è piatta. No, non è più arrabbiato. Ha avuto tempo per metabolizzare quell'astio travolgente, per poi indirizzarlo verso le giuste direzioni. Deluso, questo lo è sicuramente, ma Alek è sempre stato abituato a mantenere una certa calma d'apparenza, una maschera che porti il suo interlocutore a credere che niente possa farlo crollare, un velo bello resistente sotto il quale non è possibile carpire nulla, nulla che possa essere riutilizzato contro di lui. Fatto di neve e ghiaccio, fatto di ferro e sale.
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    «Sei un fuorilegge, sei un ribelle, sei un traditore come tua sorella, come Byron Cooper. Quanto credi sia importante per me anche una sola delle tua parole?» Zero, Holden. Valgono meno di zero. E questa volta alza lo sguardo, con sadismo, per poter cogliere ognuna delle reazioni che Holden lascia venir fuori, una volta che le sue parole finiscono di uscirgli di bocca. I lineamenti gli si induriscono appena e compare del rosso a colorare le sue gote. Alek continua a guardarlo fisso con quella punta di perfidia che non l'ha mai abbandonato, non quando si ritrova in una posizione avvantaggiata rispetto all'avversario. E Holden non sa gestire certe insinuate, certe frecciatine lanciate per caso, ma neanche troppo. L'ha imparato, per esperienza e sa benissimo che se vuole divertirsi, quelli sono i punti da colpire. La sua sfera emotiva, quella che non ha mai esplorato troppo in sua presenza. « Non capisco perché: non sei mio nemico. » Holden non lo guarda e a lui viene da ridere, tanto da lasciarsene sfuggire una. «Buffo. Credo proprio che debbano esserti spiegati nuovamente gli ordini dall'alto, allora.» Perché sua sorella opera al fianco di Byron e sì, Alek sa di essere sempre stato nel suo mirino, sin dalla morte di sua moglie e sua figlia. Ancora una volta preso come capro espiatorio per un qualcosa che è accaduto, ma non per mano sua. « Le persone mal interpretano in continuazione..Tutti penserebbero che sia venuto qui per farti del male, per esempio. » Vorrebbe roteare gli occhi, vorrebbe sbuffare come un bambino esasperato dal fatto che il suo amico non gli passa mai la palla, eppure si trattiene. Lo fa più per buona educazione, che per altro. «Ti prego, Holden, non dirmi che sei venuto fin qui per provare a convincermi delle tue ragioni.» Risponde alle sue affermazioni con assoluta franchezza, mentre prende a tamburellare le dita della mano sinistra contro il tavolo. Gli anelli del medio e dell'anulare sbattono tra loro dando inizio ad una strana melodia che accompagna le sue parole, facendole diventare quasi una poesia cadenzata da decantare. «Perché se è così, ti fermo subito e non ti faccio sprecare nemmeno fiato. Non ho bisogno di essere convinto che tu abbia torto o ragione o delle tue presunte connessioni con questa storia. Né ho alcuna intenzione di stare a sentire quella che sono certo sarebbe una bellissima storia sui come e i perché tu non abbia mai detto nulla. Non mi interessa.» Stringe le labbra, pronto ad indicargli la porta, dietro le sue spalle, per poi invitarlo cortesemente ad uscire e riprendere la via di casa, ma Holden parla di nuovo, guardandolo dritto negli occhi. « Ho bisogno di te, Alek. Ho bisogno del tuo aiuto. » Il primo istinto, quello più naturale e animale di Alek, lo vorrebbe far ridere. Gli comanda di ridergli in faccia, di deridere quanto sia piccolo e quanto sia umiliante il solo pensare di arrivare fin lì per chiedergli aiuto. Ma ancora una volta c'è qualcosa a bloccarlo. E' forse il suo sguardo perso, il suo candore, che ancora una volta si fa vivo, o forse è semplicemente un qualcosa alla quale non riesce a dare un nome. C'è per un attimo un fremito sul suo volto, che gli fa increspare la pelle intorno agli occhi. Ma è tutto troppo veloce per essere preso veramente in considerazione. Cerca di decifrare le sue emozioni guardandolo solo negli occhi, provando a scavare al loro interno. «Questa di certo è una motivazione ben più valida.» E' una mossa stupida, azzardata e suicida, ma sicuramente molto più degna del mio rispetto. «Un po' disperata, magari, e abbastanza sciocca, di certo. Su questo non ci piove.» In fondo infilare il dito nella piaga che sta cercando di richiudersi da sola è sempre stato un piacere per Alek e non può esimersi dal fare lo stesso con Holden, perché un po' di autocompiacimento ci vuole sempre. «Quindi, facciamo il punto della situazione, se non ti dispiace Riprende la penna, gira la pagina del quadernetto, incontrandone una linda e pinta che fa al caso suo. «Punto primo: hai deciso di venire fin qui, imbarcandoti in una missione suicida.» Mentre parla, prende appunto di ciò che dice. «Punto secondo: lo hai fatto perché hai bisogno del mio espresso aiuto.» Fa una piccola pausa, lanciandogli un'occhiata. «Punto terzo: fai parte della resistenza, per così dire. Punto assolutamente da non escludere.» Scrive tutto, per poi rimanere in silenzio ad osservare la propria scrittura per qualche istante. Poi si porta all'indietro, appoggiando la schiena alla poltrona. Si toglie gli occhiali e li fa oscillare, tenendoli per un'asta per poi assumere un'espressione confusa. «Ho qualche domanda, ovviamente.» E quando mai non ne ho qualcuna? «Ti manda tua sorella? Cosa ne pensa di tutto questo?» Voglio proprio sapere quanto è contenta di tutto ciò. «E ovviamente, ti sarà chiaro che io non faccio nulla per nulla. Non penso che tu sia venuto con la speranza di appellarti al mio buon cuore.» Sarebbe da sciocchi e tu non lo sei. «Perciò sentiamo: a cosa dovrei tornarti utile e in che modo hai intenzione di ripagare la mia eventuale gentilezza?» Gli sorride, beato. E' questo che viene insegnato da piccoli, a noi gitani. Unire l'utile al dilettevole, ricavare del guadagno persino dai sentimenti umani, se è necessario. Perché in fondo la regola è soltanto una.«Tutto ha un prezzo.»

     
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    « Quanto credi che valga per me una tua promessa? » Il martire incassò il colpo senza battere ciglio. Forse era questo, dopotutto, il vero significato che avrebbe dato alle parole "missione suicida", come l'aveva definita Dimitrij e come poco dopo avrebbe ribadito lo stesso Alek: un suicidio emotivo, prima ancora che fisico. Se anche il cacciatore fosse confidente nel fatto che le speranze di uscire illeso dal Quartier Generale dell'Inquisizione ci fossero, e in fondo non erano poi così poche, non era altrettanto sicuro dello stato emotivo col quale sarebbe riuscito ad uscire. Il suo corpo era forte, forgiato da un ventennio di continuo e impietoso allenamento: i suoi muscoli erano stati temprati dai ghiacci del nord, dei quali sembravano costituiti essi stessi. Ma il suo cuore? Oh, il cuore di Holden Morgenstern era un cristallo fragile, il più delicato che si fosse mai visto nel petto di un cacciatore. Era come se Dio in persona avesse forgiato il corpo statuario del primogenito dei Morgenstern al solo scopo di custodire un'anima tanto pura, tanto incontaminata e altrettanto pericolante. Ma Alek Marchand aveva un talento particolare nell'osservare e trovare una crepa anche nella più perfetta delle armature: Holden non era mai stato invulnerabile, men che meno agli affondi del gitano. Sapeva, il ragazzo, di non avere mai avuto molto da offrire all'uomo in cambio della gentilezza che gli aveva sempre dimostrato, non beni materiali di cui Alek non avrebbe avuto bisogno né quella lealtà che Holden aveva sempre riposto in qualcun altro. La propria parola era tutto ciò che aveva da offrire, il proprio inattaccabile onore, la certezza pura e cristallina che qualunque cosa fosse accaduta una promessa di Holden Morgenstern avrebbe sempre avuto un peso, nel bene o nel male. Ma anche per questo serviva un atto di fede, in fondo, e Alek Marchand la propria fede l'aveva finita. E se non posso offrirti neppure la mia parola, cos'altro mi rimane? « Sei un fuorilegge, sei un ribelle, sei un traditore come tua sorella, come Byron Cooper. Quanto credi sia importante per me anche una sola delle tua parole? » Sospirò impercettibile, abbassando appena lo sguardo. Non capisci, ancora non capisci. Perché? Forse non avrebbe mai capito, Alek. Non avrebbe mai potuto capire le sottili ma sostanziali differenze che correvano tra fazioni che solo apparentemente rimanevano coese. Beatrice era stata chiara, il giorno in cui gli aveva affidato il compito di guidare le schiere del Branco fuori da Hogwarts. Non voglio che sia lui a guidare i nostri cari, non permetto a nessuno di fare da padrone a casa nostra. I fratelli del Branco correvano una maratona che solo apparentemente seguiva lo stesso tracciato di quello della Resistenza, così differenti erano gli scopi. Non esistevano parole semplici con cui avrebbe potuto spiegarlo ad Alek, non quando gli stessi soldati della Loggia Bianca non avevano la più pallida idea di dove avrebbe condotto il sentiero che era stato tracciato per loro. Tutto ciò che Holden sapeva era di non sentirsi parte della Resistenza - non in senso stretto - e senza ombra di dubbio di non dipendere dal volere di Byron Cooper. Proprio per quel motivo aveva deciso di sfidare la sorte e andarsi a cacciare nel luogo più pericoloso al mondo, la dimora del nemico: perché Alek Marchand poteva essere un nemico di Byron e sì, era sicuro che anche Beatrice avesse avuto dei trascorsi con lui dei quali tuttavia non sapeva niente. Ma Beatrice era rimasta intrappolata nella rete di entità che, proprio come il Branco stesso, non stavano combattendo una guerra politica e Byron non aveva nessuna voce in capitolo nelle scelte di un lupo. E tu non sei mio nemico Alek, che ti piaccia o no. Per quel motivo, sfidando ogni pronostico e col rischio di discussioni future con Beatrice, aveva deciso di chiedere aiuto all'ultima persona al mondo che avrebbe voluto averlo tra i piedi. Aveva promesso a sua sorella che avrebbe fatto tutto il necessario per tirarla fuori, nei limiti del razionale e della propria moralità. Ma se questo avesse significato sporcarsi le mani? Un'eventualità a cui Holden certamente aveva pensato, ma a cui non era ancora riuscito a scendere a patti. « Questa di certo è una motivazione ben più valida. Un po' disperata, magari, e abbastanza sciocca, di certo. Su questo non ci piove. » Sciocca e disperata, due aggettivi che probabilmente avrebbero calzato perfettamente su un Holden che, in balia del cambiamento, era stato investito da una tempesta capace di farlo vacillare. Proprio nel momento in cui aveva più bisogno dei propri affetti, dell'amore di Beatrice e dei consigli di Pervinca soprattutto, in modo da lasciarsi guidare nella ricerca del proprio nuovo io - un uomo capace di coniugare il passato e il futuro, il cacciatore e il lupo - i ponti erano stati tagliati. Incapace di capire quale delle proprie metà avrebbe dovuto far prevalere, se la razionalità o l'istinto, e ancor più incapace di bilanciarle nella giusta maniera, spesso Holden si ritrovava a farle tacere entrambe. Un Cacciatore non sarebbe mai sceso a compromessi e tanto meno sarebbe arrivato a chiedere aiuto al proprio peggior nemico; un Lupo avrebbe seguito l'istinto, tirato fuori le zanne ed estirpato il problema alla radice. Senza di essi, Holden rimaneva ciò che era realmente, un ragazzino. Sciocco e disperato. Ma nella propria sciocchezza, nella propria disperazione Holden era rimasto comunque puro e fedele a sé stesso: incontaminato, anche nell'abbassarsi a chiedere aiuto nonostante la posizione che si era ritrovato a ricoprire. Tutto per proteggere il Branco. « Quindi, facciamo il punto della situazione, se non ti dispiace. » Rimase a fissarlo con le braccia incrociate al petto, invitandolo silenziosamente a proseguire. Prima Alek avrebbe appagato il proprio ego, prima sarebbero arrivati a parlare delle cose veramente importanti. « Punto primo: hai deciso di venire fin qui, imbarcandoti in una missione suicida. » - « E' suicida solo se muoio. » commentò lapidario. E non ho alcuna intenzione di morire stanotte. « Punto secondo: lo hai fatto perché hai bisogno del mio espresso aiuto. » - « E' ciò che ho detto. » Incrociò la sua occhiata, illuminata di ombre enigmatiche. Alek non lo aveva deriso a quella richiesta, non apertamente come si sarebbe aspettato. La sua reazione, anzi, era stata quanto di più imprevisto avesse potuto immaginare. Alek stava effettivamente ascoltando, sembra quasi aperto alla possibilità. Quasi. « Punto terzo: fai parte della resistenza, per così dire. Punto assolutamente da non escludere. » Punto assolutamente da rivedere. Eppure, proprio all'ultimo punto il cacciatore non aggiunse alcun commento. Il punto della situazione si concluse proprio al terzo, lasciando un Alek riflessivo sopra la propria poltrona comoda. Senza gli occhiali, i suoi occhi parevano brillare ancor più di quella luce che Holden conosceva, un faro alimentato da più fuochi, la maggior parte dei quali sconosciuti. Sebbene Holden non fosse in grado di capirli, quei fuochi, erano proprio quelli per Holden la prova che Aleksandr Marchand non potesse essere un agente del male. Nessuno con così tanta luce può essere completamente buio. Era consapevole che più forte è la luce, più alte saranno le ombre, ma quella luce sarebbe rimasta in ogni caso un fatto concreto. « Ho qualche domanda, ovviamente. Ti manda tua sorella? Cosa ne pensa di tutto questo? » Il viso di Holden, se possibile, si indurì alla domanda dell'Inquisitore.
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    E' questo che sono per te: un burattino di Tris. Non vedrai in me mai nient'altro che questo. Un gregario. « Se pensi che, dopo un anno in cattività, Beatrice userebbe me per fare da araldo con te, non hai capito niente di ciò che siamo. » Famiglia. Dovere. Onore. Alek Marchand aveva imparato qualcosa del complesso e intricato mondo della Gilda, nei tentativi di Holden di spiegargli la propria realtà. Evidentemente si doveva essere soffermato alla superficie, la corazza esterna, il mondo freddo e glaciale di cui Richard Morgenstern era stato campione per eccellenza: quello che allontana i propri figli e, se necessario, li esilia. Ciò che Alek non doveva aver compreso era il cambio generazionale all'interno di Inverness, la disfatta dei vecchi preconcetti del Conclave a favore di un nuovo giorno. Un regno in cui l'affetto fraterno e l'amore non suonavano più come punti deboli ma come forza inarrestabile. Ne era certo: Beatrice si sarebbe tagliata una mano, prima di ordinare a suo fratello di tornare al cospetto del capo dell'Inquisizione. « Ciò che ti dico è esattamente ciò che voglio dirti, senza secondi significati. Io, Holden Morgenstern, ho bisogno del tuo aiuto, Aleksandr Marchand. » Non ne ha bisogno Beatrice, ma io. Non voglio l'aiuto dell'Inquisizione, ma il tuo. « Perciò smettila di trattarmi come il bambino a cui è stato chiesto dalla madre di andare a prendere l'acqua al pozzo. » Metafora pittoresca, tipica di quel ragazzo dall'arcaica educazione che al primo incontro con il gitano gli aveva dato del "voi". Inizia a trattarmi come l'uomo che sono e dimenticati di mia sorella. « E ovviamente, ti sarà chiaro che io non faccio nulla per nulla. Non penso che tu sia venuto con la speranza di appellarti al mio buon cuore. Perciò sentiamo: a cosa dovrei tornarti utile e in che modo hai intenzione di ripagare la mia eventuale gentilezza? Tutto ha un prezzo. » La verità era che , una parte di sé ci aveva perfino sperato. Di appellarsi al suo buon cuore, che era certo avesse, di riallacciare i rapporti e tornare ad essere quelle due persone a stretto contatto, con le loro differenze e le loro capacità ma capaci alla fine di raccontarsi, anche solo un poco. Quelle persone erano ora divise da un muro all'apparenza invalicabile, ma che di certo non avrebbe frenato gli sforzi del cacciatore per abbatterlo. Per Tris, per Pervinca. Per me, che questo muro non l'ho mai voluto tra di noi. Ma Alek, era chiaro, non aveva alcuna intenzione di ritornare sui propri passi. Voleva giocare, perché amava da morire giocare, e Holden era sempre stato un pessimo giocatore. « Siamo tu e io, soli. Possiamo smettere di fingere, una volta tanto? » Sono sicuro della maschera che indossi, per proteggerti. Ne uso una simile anch'io. « Smettila di recitare la parte del Direttore col coltello dalla parte del manico, perché lui il vantaggio l'ha perso. Nella guerra in cui vuoi tanto vedermi rivale, lui la battaglia di Hogsmeade l'ha persa. » Sei in stallo Alek, tanto quanto me. Mossa avventata pungolare l'orgoglio di un uomo ferito, tanto più se una delle ferite giace ancora bruciante nella parte più intima di sé. Ma a dirla tutta, Holden non era mai stato un maestro nell'arte di edulcolare le proprie parole per renderle più sopportabili. La verità è una e una sola: se fa male, lo farà in ogni caso. « Mi sto appellando all'uomo che ho conosciuto. Era lungimirante, creativo, vedeva oltre. In ogni senso. » L'uomo capace di affascinare un ragazzino scettico con un mazzo di carte e un fondo di tazza di té. « Credo che quell'uomo sia capace di aiutarci entrambi ad uscire dallo stallo in cui ci troviamo. » Hai capito ora? « Sto parlando di Hogwarts. Le cose sono cambiate e c'è qualcosa, oltre i sigilli della scuola, che ha bisogno della nostra attenzione. » Cose maligne le aveva definite Beatrice, senza neanche sapere esattamente di cosa si trattasse. Holden era sicuro che fossero state quelle stesse aberrazioni ad interrompere il collegamento del Branco. Neanche le potentissime maledizioni di Alek avevano mai potuto allontanarlo dai suoi fratelli eppure qualcosa c'era riuscito. Quel qualcosa andava eliminato: era come se Holden se lo sentisse nelle ossa, come se fosse nato per quello. « Non mi aspetto che tu abbia nascoste nel cassetto le chiavi dei cancelli o che dall'oggi al domani riesca a risolvere la situazione: l'avresti già fatto altrimenti, dico bene? » Hogwarts era un'importante roccaforte del Regime, ai tempi della presidenza di Kingsley. Ad oggi, nient'altro che un terreno di battaglia, neutrale, da riconquistare. « Ma.. non riesco a pensare ad una persona migliore di te per aiutarmi a rendere possibile l'impossibile. » Tu, Alek, e non il direttore Marchand. Marchand è offuscato dal proprio ruolo di stratega in una guerra che sta perdendo; Alek ha la fantasia e il coraggio dell'uomo libero. L'uomo che ho imparato a rispettare.

     
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    « Se pensi che, dopo un anno in cattività, Beatrice userebbe me per fare da araldo con te, non hai capito niente di ciò che siamo. » Inclina la testa di lato, aggrottando appena la fronte. No, è probabile che non abbia mai capito veramente quanto sia profondo e quali siano le dinamiche del rapporto tra Beatrice e Holden. Li ha sempre conosciuti e visti separatamente, non ha mai avuto il piacere di parlare con la ragazza del fratello, e sono state poche le occasioni nelle quali Holden si sia aperto veramente sulla sorella. Non conosce nemmeno, con assoluta certezza matematica, come sia il rapporto che intercorre tra un alfa e il suo branco. Per quanto Beatrice potrebbe dire il contrario, Alek ha avuto un piccolo spiraglio sulla sua anima ed è pronto a giocarsi una mano riguardo al fatto che lei non si considera assolutamente il capo di nessuno. Non le piace sentirsi al di sopra di qualcun altro, non le piace che qualcuno le ricordi che effettivamente lei è la testa pensante di tutto, eppure è questo, in parole povere. Perciò può azzardare l'ipotesi che Beatrice non gli ha chiesto di andare da lui. Sicuramente non gliel'ha ordinato, perché lei è quel capo ideale e liberale che non vuole far sembrare che effettivamente può imporre qualcosa alle persone che stanno sotto la sua guida. "Siamo tutti uguali, ognuno è il capo di se stesso." Riesce quasi a percepirla la sua voce che le rimbomba fastidiosamente in testa. Quanto potenziale sprecato, si ritrova a pensare. Perché la gente ha bisogno di una guida, di una persona che sappia prenderti le proprie responsabilità, che sappia dare il giusto peso alle proprie azioni, dando ordini ai marinai per permettere alla nave di andare verso la giusta direzione e di rimanere a galla, senza affondare alla prima volta che la comunità non è d'accordo e che ognuno ha un'opinione differente riguardo dove indirizzare il proprio sguardo. «Giusto. Vuoi dirmelo tu com'è che funziona? Il sangue prima del bene del branco? Non ti sacrificherebbe nemmeno per il bene di molte altre persone? Ne sei certo? Un buon capo deve sempre valutare tutte le opzioni, cercando di prendere la decisione che aiuti a preservare quante più vite possibili.» Una vita può essere sacrificata per il bene di una comunità ricca di anime, se si viene posti di fronte alla scelta "Una contro mille altre." « Ciò che ti dico è esattamente ciò che voglio dirti, senza secondi significati. Io, Holden Morgenstern, ho bisogno del tuo aiuto, Aleksandr Marchand. Perciò smettila di trattarmi come il bambino a cui è stato chiesto dalla madre di andare a prendere l'acqua al pozzo » Con un mezzo sorriso divertito, alza le mani in segno di resa, mentre si allunga appena sopra il tavolo, inclinandosi verso di lui. « Siamo tu e io, soli. Possiamo smettere di fingere, una volta tanto? Smettila di recitare la parte del Direttore col coltello dalla parte del manico, perché lui il vantaggio l'ha perso. Nella guerra in cui vuoi tanto vedermi rivale, lui la battaglia di Hogsmeade l'ha persa. » C'è una crepa leggera che si insinua nei lineamenti del suo viso a quelle parole. E c'è una voce nella sua testa, che sibila, infastidita. « Diavolo, avrei dovuto ammazzarlo quando lo avevo sotto tiro. Ma quanto parla e quanto lo fa a sproposito? » Lucien scalpita nella sua testa, in quel crepitante collegamento che, per ovvie ragioni, non è andato morendo, come altre cose, con l'avanzare della Loggia Nera sulla Terra. « E' diventato impertinente quanto lo sorella. Tutti e due che credono di avercelo solo loro. D'oro, tra l'altro. Ma qualcuno gliel'ha mai detto che hanno ancora le croste di latte materno sulle labbra? » Non può che concordare a quelle parole, annuendo mentalmente. Seppur sappia che non vi è alcuna malizia nelle parole di Holden. Non ha voluto tirar fuori quelle parole per stuzzicarlo, come farebbe sua sorella, ma è certo che per lui sia soltanto una semplice constatazione dei fatti. Questo però non toglie il fatto che stia tirando non poco la corda e a lui non è mai piaciuto il gioco del tiro alla fune. «Scusami, Holden, ma la mia pazienza ha un certo limite, limite che tu stai sfidando senza tener conto delle conseguenze.» Dice con estrema calma, fissandolo negli occhi. «Vorrei mettere in chiaro qualche questione che mi sembra ti stia evidentemente sfuggendo dall'ottica del quadre generale.» Appoggia gli occhiali sulla scrivania e si mette comodo per cominciare la sua arringa. «Non sono tuo amico. La stima che posso aver nutrito per te in passato non implica il tuo mancarmi completamente di rispetto. Non stai parlando al primo passante per strada, ma al capo dell'Inquisizione a cui, ti ricordo, tu e la tua gilda avete rivolto le spalle, rimangiando una parola ormai data da tempo.» Punto primo. «Inoltre, se proprio abbiamo deciso di voler di percorrere la strada della puntualizzazione, io quella battaglia non l'ho ancora persa. Posso aver perso la posizione geografica, ma io ho ancora le orecchie all'interno. Io so cosa succede dentro.» Lo guarda sorridente. «Si può dire lo stesso di voi? Perso il vantaggio della connessione mentale con il branco, cosa vi rimane? Una semplice posizione geografica dalla quale, è evidente, non state facendo nulla perché brancolate nel buio più totale.» E anche il punto secondo è andato. «Sono la seconda carica più importante dello stato nel quale vivi e mi basterebbe chiamare a raccolta tutti i miei uomini, in questo momento - che fidati, alla fine riuscirebbero ad abbattere anche un lycan forte come lo sei tu - per spedirti ad Azkaban, nella più rosea delle ipotesi, con il capo d'accusa di alto tradimento. Ti suggerisco di ricordartelo la prossima volta che avrai intenzione di mettere i puntini sulle i sbagliate.» Non vuole infierire oltre, perciò decide di non proseguire in quella che, secondo la sua visione, sarebbe una lista piuttosto pregna di punti a suo favore, al di là delle aspettative.
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    « Mi sto appellando all'uomo che ho conosciuto. Era lungimirante, creativo, vedeva oltre. In ogni senso. Credo che quell'uomo sia capace di aiutarci entrambi ad uscire dallo stallo in cui ci troviamo.» Hai sentito, Lucien? Sono in una posizione di stallo. Io, mica loro. Ride il suo amichetto nella testa e per qualche secondo Alek si unisce a lui. « Sto parlando di Hogwarts. Le cose sono cambiate e c'è qualcosa, oltre i sigilli della scuola, che ha bisogno della nostra attenzione. » E qui, nuovamente, il vampiro scoppia a ridere fragorosamente. « Potrei quasi ritenermi offeso per quel qualcosa. » « Non mi aspetto che tu abbia nascoste nel cassetto le chiavi dei cancelli o che dall'oggi al domani riesca a risolvere la situazione: l'avresti già fatto altrimenti, dico bene? » Qui non è del tutto d'accordo. Tenere sotto scacco i ragazzini all'interno del castello è come un lento e inesorabile proseguire il lavoro meticoloso di Kingsley. Non è mai stato d'accordo sulla linea guida adottata da Edmund, ma si ritrova piuttosto incline nel pensare che tenerli lì dentro sia la mossa migliore per tenere sotto controllo anche la situazione esterna. Sì, ci sono delle ribellioni, qua e là, tra i genitori dei ragazzini all'interno della scuola. C'è chi ogni tanto parla, con la mano davanti alla bocca per non farsi sentire da orecchie indiscrete, di fare una rivoluzione. Di buttare giù dallo scranno Norwena Zabini che, in fin dei conti, non ha attuato una vera politica invasiva per cercare di trovare una soluzione al problema Hogwarts. Ma appunto, rimangono semplicemente voci, perché la gente ha bisogno di parlare per sentire di essere appoggiata da qualcuno, per sentire che non è sola in quella situazione disastrata. I ribelli non sanno che pesci prendere e hanno la pressione della società che li guarda, sperando facciano qualcosa, all'interno la situazione è piuttosto piatta e costante, il Ministero riesce a rimanere a galla, rassicurando che sta impiegando tutte le proprie risorse per cercare di venire a capo della situazione. A conti fatti, dopo una prima sommaria occhiata alla situazione, chi sta messo peggio di tutti non è per niente Alek e forse deve ammettere che Edmund non aveva neppure tanto torto a giocare la carta "Usiamo a nostro beneficio i maghi di domani." « Ma.. non riesco a pensare ad una persona migliore di te per aiutarmi a rendere possibile l'impossibile. » « La carta della lusinga. Wow, questa non l'ha imparata a giocare nemmeno Beatrice e credimi, lo so per esperienza. Sono quasi ammirato, devo ammettere.» Okay, credo sia ora che qualcuno torni alle sue faccende. Ciao Lucien, mi metterò in contatto quando avrò bisogno di sapere altro. Divertiti, mi raccomando. E così dicendo, chiude la connessione come ormai ha imparato a fare con scioltezza, viste la continua pratica negli ultimi due mesi. Torna a guardare Holden e per un attimo prova compassione per lui. Non pena, no, solo un qualcosa di strano di fronte a quel suo abbassarsi persino ad andare ad appellarsi a lui. C'è talmente tanta disperazione nei suoi occhi che si sente mentre sospira, avvilito e sconfortato dal fatto che sa cosa sta per fare. «Beatrice, a quanto so, sta piuttosto bene e se la cava.» Non riesce a non fare una smorfia. «Ma questo è probabile che tu lo sapessi già. E' dura a morire, se l'ho capito io, figuriamoci te.» Si sente talmente magnanimo da accennargli la sedia con il mento. «Siediti.» Lo invita, mentre lui invece si alza, per andare ad aprire l'armadietto che ha alle proprie spalle. Un armadio sigillato con un incantesimo del sangue e pertanto, è con qualche goccia di quel suo liquido rosso che lo apre. E' lì che tiene una parte del suo equipaggiamento magico non prettamente convenzionale. Un luogo più sicuro del suo ufficio, tenendo fuori dai giochi la Corte, non vi è al mondo. Estrae una cassetta da esso, una tazza, una boccetta contenente un liquido oscuro e quello che sembra essere tanto simile ad un pensatoio. Porta tutto sul tavolo e lo dispone di fronte ai suoi occhi, affinché possa osservare ogni passaggio. «So che c'è dell'altro. Sono un veggente, ho visto alcune cose, ne so delle altre, conosco molti aspetti della situazione.» Ma non sarò di certo io a parlartene. Non tradirei mai Lucien in favore della Mano di Dio. Come Holden aveva fatto la sua scelta, Alek ha fatto la sua, seppur in quel momento si ritrova a piegare la definizione di quella parola a suo favore. «Posso farti scendere ad un nuovo livello di coscienza, lì dove il tuo spirito potrà vagare alla ricerca di una risposta, in una terra di cui però non conosci nulla. Devi essere disposto a perdere te stesso per trovare ciò che cerchi.» Apre la boccetta e ne versa parte del suo contenuto all'interno della tazza chiara, recupera alcune erbe dalla cassetta in legno e mescola meticolosamente l'intruglio. Quattro volte in senso orario, tre volte in senso antiorario e ancora una volta in serio orario. «Hai solo una possibilità, una solo domanda ti è concessa, nessuna di più. Pensa bene a ciò che vuoi sapere. Concentrati su ciò che desidera fortemente il tuo cuore.» Spinge la tazza di fronte a lui, per poi fare la stessa cosa con la ciotola profonda e intarsiata tanto simile ad un pensatoio. «Quanto e se ti sentirai davvero pronto, bevi la pozione e poi immergi il volto qui dentro.» Indica entrambi i passaggi con il dito indice, rimettendosi poi a sedere, di fronte a lui. «Mentre sarai altrove, non ti verrà fatto alcun male. Hai la mia parola, sono certo ti sarà sufficiente.» E' l'unica garanzia che posso darti.

     
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    Non è mai stato arrogante, Holden Morgenstern, perché avrebbe significato mettersi in una posizione di superiorità che in generale, nella vita, non sentiva di avere. C'era stato un tempo, oramai remoto, in cui si era sentito un predestinato, scelto dal Fato per guidare un giorno l'armata inarrestabile dei cacciatori della Gilda, consacrata al Signore: sarò Patriarca, sopra di me soltanto il cielo, le mie parole Verbo di Dio. Pensieri ingenui di un bambino a cui avevano iniziato ad insegnare, nella grande cattedrale di Inverness, quale sarebbe stato il suo posto nel mondo. Poi il fondo di un pozzo e il buio, la luna e un ululato selvaggio avevano squarciato prepotentemente quei pensieri e ogni barlume di superiorità, rendendolo ultimo tra gli ultimi. Un martire devoto alla causa. Non sarebbe mai potuto essere arrogante, un crociato qual era Holden, sebbene di tanto in tanto peccasse di arroganza. Era indispensabile, nella vita che il destino aveva scelto seguisse. Davanti ad Alek Marchand, tuttavia, non si rese conto di esserlo stato, non totalmente. Il cacciatore credeva di essere nel giusto - come sempre - e sapeva di non aver smussato affatto la lama tagliente della verità, soggettiva o oggettiva che fosse. In fondo, per quanto profondo fossero la sua mente e il suo spirito, Holden rimaneva il più semplice degli uomini, capace di razionalizzare ai minimi termini la realtà che gli si dipanava sotto gli occhi. Prima Hogwarts e Hogsmeade erano proprietà esclusiva del ministero, gli Inquisitori facevano la guardia ai cancelli del villaggio. Oggi un Inquisitore viene schiantato a vista.. o peggio. Dunque, hai perso la battaglia. Non di certo la guerra, ma la battaglia sì. Tra i tanti misteri che gli erano cresciuti attorno come rampicanti, quella gli pareva una delle poche solide verità a sua disposizione e l'aveva giocata. Non poté quindi dire che la reazione del Direttore fosse inaspettata, perché da che mondo è mondo a nessuno piace perdere, ma come sempre Alek e Holden vedevano il mondo in maniera nettamente diversa.. « Scusami, Holden, ma la mia pazienza ha un certo limite, limite che tu stai sfidando senza tener conto delle conseguenze. » ..a cominciare dal fatto che Holden non credeva di aver varcato nessun limite. Certo, qualunque persona con un po' più di orientamento nel regime avrebbe capito subito che il solo trovarsi nell'ufficio dell'Inquisitore Capo senza fermo di arresto, addirittura con un'udienza in corso, poteva di per sé essere considerata una vittoria per cui sarebbe stato quantomeno saggio stare al gioco di Marchand. Di quella strampalata società però Holden conosceva solo le regole base, una delle quali recitava che tutti gli uomini sono uguali. Solo durante il periodo alla Corte dei Miracoli, aveva sentito nei confronti di Alek un certo grado di sottomissione - da prigioniero di guerra quale formalmente si sentiva, e solo sulla carta - ma una volta ottenuta la libertà i loro gradi si erano nuovamente riequilibrati. Perché tu sarai anche il capo dell'Inquisizione ma io sono un cacciatore, servo di Dio, e non ti sono inferiore. « Non sono tuo amico. La stima che posso aver nutrito per te in passato non implica il tuo mancarmi completamente di rispetto. Non stai parlando al primo passante per strada, ma al capo dell'Inquisizione a cui, ti ricordo, tu e la tua gilda avete rivolto le spalle, rimangiando una parola ormai data da tempo. » Sostenne il suo sguardo con la fierezza e, sì, perfino l'arrogante di un giovane uomo: perché non credeva assolutamente di averlo offeso o avergli mancato di rispetto - anche a chi perde una battaglia viene concesso l'onore delle armi -; perché se accordi erano stati presi in passato da parte di Richard Morgenstern e del vecchio, infame Conclave che aveva venduto il suo primogenito come uno schiavo, quella Gilda oramai era morta; perché non aveva metabolizzato a dovere quelle quattro parole che più di tutte avrebbero saputo ferirlo. Non sono tuo amico. « Inoltre, se proprio abbiamo deciso di voler di percorrere la strada della puntualizzazione, io quella battaglia non l'ho ancora persa. Posso aver perso la posizione geografica, ma io ho ancora le orecchie all'interno. Io so cosa succede dentro. »
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    Corrugò la fronte, il cacciatore, per la prima volta sorpreso da una novità che non si sarebbe aspettato. Un'eventualità che non aveva visto all'orizzonte. Era stato il Male, con la M maiuscola, a recidere il collegamento che le dita della Mano di Dio avevano tra di loro.. eppure Alek sosteneva di avere ancora orecchie all'interno. Dentro Hogsmeade ma anche dentro Hogwarts. « Si può dire lo stesso di voi? Perso il vantaggio della connessione mentale con il branco, cosa vi rimane? Una semplice posizione geografica dalla quale, è evidente, non state facendo nulla perché brancolate nel buio più totale. » E sa perfino del collegamento. Il particolare che gli aveva taciuto, negli ultimi giorni alla Corte dei Miracoli, era venuto a galla. Qualcuno aveva informato Alek e quel qualcuno, era chiaro, non stava dalla parte del Branco. Holden aveva sempre creduto, e non senza una punta di sollievo, di combattere una guerra che era parallela ma non contingente quella di Alek: la mia freccia punta il male della notte e non quello nel cuore degli uomini. Per la prima volta, vide su Alek aleggiare un'ombra malevola che non aveva a che vedere coi semplici giochi di potere. Non ho chiesto aiuto solo a un uomo, vero? Indirettamente, mi sono avvicinato all'oscurità che sto cacciando. « Sono la seconda carica più importante dello stato nel quale vivi e mi basterebbe chiamare a raccolta tutti i miei uomini, in questo momento - che fidati, alla fine riuscirebbero ad abbattere anche un lycan forte come lo sei tu - per spedirti ad Azkaban, nella più rosea delle ipotesi, con il capo d'accusa di alto tradimento. Ti suggerisco di ricordartelo la prossima volta che avrai intenzione di mettere i puntini sulle i sbagliate. » Puoi sempre provarci. Non gli diede risposta, ma continuò a fissarlo. Era entrato nell'ufficio da uomo disperato, era stato punto nel vivo della propria timidezza colto dalla nostalgia di ciò che credeva di aver provato per Alek ma, alla luce di ciò che l'istinto gli stava così fortemente ululando contro, sentì di dover fare un passo indietro. Non nei confronti della missione che si era prefissato - aveva promesso a Beatrice che l'avrebbe riportata a casa, costi quel che costi - quanto più nei confronti dell'uomo che credeva di aver conosciuto. Forse, rifletté, aveva visto nel volto del gitano una maschera inesistente. Forse sei davvero ciò che dici di essere e io troppo testardo per crederti. Rimase a fissarlo e Alek fissò lui, in una sequela di secondi interminabili. Fu ancora una volta il Direttore a parlare. « Beatrice, a quanto so, sta piuttosto bene e se la cava. Ma questo è probabile che tu lo sapessi già. E' dura a morire, se l'ho capito io, figuriamoci te. » Parole che diedero a Holden la conferma di cui aveva bisogno per non voler restare un secondo di più. Non erano di semplici spie le voci che sussurravano all'orecchio dell'Inquisitore Capo. E io solo ora mi rendo conto di quanto sia stato stupido venire fin qui e, tra tutti i veggenti, chiedere aiuto proprio a te. Era pronto ad andarsene, Holden, prima di arrivare al punto di non ritorno ed essere costretto ad affrontare verità scomode, troppo scomode. Fu Alek, ancora una volta, a sorprenderlo con un invito ad accomodarsi. Non dovrebbe farlo, sa che non dovrebbe, ogni parte di sé gli grida perché non scenda a patti col Diavolo ma il corpo del cacciatore si muove in avanti e prende posto innanzi alla scrivania, mentre il padrone di casa rompe il lucchetto magico di un armadietto e porta alla sua attenzione uno di quei "kit da diavolerie blasfeme" che Holden aveva studiato ma da cui si era sempre tenuto lontano. « So che c'è dell'altro. Sono un veggente, ho visto alcune cose, ne so delle altre, conosco molti aspetti della situazione. Posso farti scendere ad un nuovo livello di coscienza, lì dove il tuo spirito potrà vagare alla ricerca di una risposta, in una terra di cui però non conosci nulla. Devi essere disposto a perdere te stesso per trovare ciò che cerchi. » Strinse le dita in pugni stretti, mentre gli occhi seguivano con scettica curiosità tutti i passaggi del rituale divinatorio del veggente, che infine gli porse un intruglio di erbe e uno strano pensatoio. Perdere sé stesso, non era mai stato bravo a perdersi, lui che di professione letteralmente era abile a cacciare, trovare cose nascoste. Lui che non aveva mai toccato un goccio di alcol né alcuna droga, figurarsi! Proprio lui, per ironia della sorte, stava per scoprire il segreto più grande con cui fosse mai venuto in contatto. Perdendosi. « Hai solo una possibilità, una solo domanda ti è concessa, nessuna di più. Pensa bene a ciò che vuoi sapere. Concentrati su ciò che desidera fortemente il tuo cuore. Quanto e se ti sentirai davvero pronto, bevi la pozione e poi immergi il volto qui dentro. Mentre sarai altrove, non ti verrà fatto alcun male. Hai la mia parola, sono certo ti sarà sufficiente. » Smise di fissare il pensatoio per guardare l'uomo, alla ricerca di risposte che nel suo volto non trovò. Se risposte vi erano, erano accuratamente nascoste nel fondo della tazza che prese lentamente in mano e che avvicinò al naso, circospetto. L'aroma di erbe non conosciute punse i suoi sensi sviluppati, facendolo arretrare di un poco. Non sono pronto a perdermi. Non voglio farlo. Non posso, ora che sono certo di cosa si celi alle spalle di Alek. Ma cosa? « D'accordo. Lo farò. » Sei un folle, Holden Morgenstern. Un pazzo. Stai gettando al vento la tua incolumità, stai violando l'ordine della tua Matriarca. Non puoi fidarti di lui. « Ripongo in te la mia fiducia. » Senza indugio, buttò giù con un solo lungo sorso la pozione divinatoria e attese due, tre, cinque secondi. Ne attese dieci, venti, trenta. Attese finché i senti acuti iniziarono a farsi più leggeri, la vista più annebbiata, le parole strozzate in gola. Aprì di scatto gli occhi chiusi, Holden, rivelando due pozze bianche prive oramai di iride e pupilla. Solo allora, in stato di trance divinatoria indotta, il mago calò il viso dentro il pensatoio del veggente e affogò nell'oscurità.

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    Riusciva a malapena a vedere le proprie mani ad un palmo dal naso. Stretto nella mano sinistra il fido arco a dargli un poco di conforto. Fece un passo e calpestò una radice, un altro ancora venne attutito dal rumore di foglie morte. Necessitò di tempo per abituare gli occhi all'oscurità da cui era avvolto e, timidamente, intorno a lui comparirono le sagome di grandi pareti di pietra, tavoli distrutti, immensi archi al soffitto. Non poté riconoscere ad un primo sguardo la Sala Grande del castello di Hogwarts, se non impegnandosi per ricordarsi che proprio in quello spazio, a poca distanza, era stato ucciso Edmund Kingsley. Là era cominciato tutto, con una lama nella folla e del sangue versato. Incoccò istintivamente una freccia, sebbene la ragione gli dicesse di essere solo, perché l'istinto più feroce e viscerale gli urlava di proteggersi da ciò che si stava avvicinando. Un'ombra dal fondo della Sala. « Finalmente sei arrivato, Cacciatore. » Era alta, dai capelli corvini e occhi d'ambra scuri come la notte. « Tu.. sei me. » Il suo doppio, eppure così diverso. Identici nel viso, vero, ma chiunque avrebbe notato che nel demone della Loggia mancava quel barlume nello sguardo di Holden, il misto di martirio e speranza di cui il vero Holden era fatto. Negli occhi dell'ombra non c'era che arroganza e disgusto. « Io sono migliore di te. Ho abbandonato il nome imposto da mia madre e ho abbracciato il mio destino. Non sono un lupo, un servo. Io sono Seth, il Patriarca. » Ciò che tu non sarai mai, Holden. Alzò di scatto l'arco e scoccò la freccia, che trapassò lo spettro da parte a parte senza colpo ferire. « Poni le armi, Cacciatore. Le tue armi sono vane, non sei neppure veramente qui. Ti è stato concesso di spiare oltre il velo e noi te l'abbiamo permesso. » Il Doppelganger, con gli stessi disumani riflessi della sua controparte, afferrò un coltello dalla cinta per lanciarlo con precisione al cuore di Holden, il quale a sua volta venne superato. Un "Perché?" bruciava sulla punta della lingua di Holden: perché mi avete concesso udienza? Ma per quanto ingenuo fosse, Alek era stato fin troppo chiaro. Una sola domanda. Il doppelganger iniziò a camminargli intorno, con una punta di curiosità nel buio dei suoi occhi. « Conosci questo luogo. Quando tutti dubitavano, tu eri uno dei pochi che ci ha sempre creduto. Abbatterci era il sogno della tua vita. » Non abbatterli: "esorcizzarli". « E ora strisci al mio cospetto implorando risposte. » "Chiedi, dunque" gli disse silenziosamente l'espressione dell'altro. Ancora una volta, Holden ingoiò il boccone amaro della disperazione nell'essersi dovuto prestare a pratiche così poco ortodosse. Parlare col demonio, o con uno dei suoi emissari, era qualcosa che mai e poi mai aveva messo in conto di fare nella vita. Eppure, per Tris, l'aveva fatto. Tra le tante domande che gli vorticavano nella mente, ne scelse una sola. La domanda limite, la cui risposta ne avrebbe portate altre. « Come posso aprire i cancelli di Hogwarts? » Se entro a Hogwarts, entro qui dentro e otterrò tutte le risposte che mi servono.. ma prima ancora, otterrò mia sorella. Seth gli si avvicinò, parandoglisi davanti e squadrandolo divertito. « Come puoi aprire i cancelli dell'inferno? E' semplice, Cacciatore: non li apri. Non hai le chiavi. Ogni cancello ha una chiave e ogni chiave ha un custode. E tu.. » gli puntò un dito al petto, spingendo.« ..non sei un custode. Hai provato ad esserlo, custode di tradizioni e di persone, e hai fallito miseramente. » Ed era la più amara della verità. Holden aveva preservato con così tanta ossessiva cura le rigide tradizioni della Gilda, accettando perfino il proprio esilio a Romansburg, l'ultimo avamposto del Credo, solo per voi vedere Gilda e Credo morire. Aveva giurato di proteggere il Patriarca e aveva visto morire anche lui, sotto i suoi stessi occhi complici. Aveva giurato di proteggere Beatrice e l'aveva vista rimanere intrappolata nel peggiore dei luoghi. Non sei un custode, Holden. Non di chiavi, non di tradizioni, non di persone. « Qualcuno però aprirà i cancelli per te e i tuoi fratelli. Allora ci vedremo. E' una promessa. E noi rispettiamo sempre le promesse, non è vero? » Gli rise in faccia, il demone, prima di indietreggiare e lasciarsi nuovamente avvolgere dall'oscurità. La stessa che inondò gli occhi di Holden.

    Aveva ancora le orecchie piene della risata del suo doppio, un'eco lontana, quando la luce ritornò. Holden si rialzò dal bacile, realizzando di avere il cuore che batteva a velocità folle, una fastidiosa sensazione di calore e il respiro affannato. Come chi si sveglia da un incubo troppo fervido per non rimanerne spiazzati, il cacciatore iniziò furiosamente a guardarsi intorno con i grandi occhi sgranati, alla ricerca di qualcosa che potesse dargli un appiglio e farlo tornare coi piedi per terra. Gli arredi di un ufficio, il proprio arco posato poco più in là, Alek Marchand davanti a lui. Lo fissò mentre lentamente il respiro tornava a fatica a farsi regolare, così il cuore. Holden poteva vantare esperienze che non tanti avrebbero potuto raccontare ma sempre e solo nei limiti dell'umano. Alek gli aveva donato la più trascendentale e terribile delle esperienze. « E-era.. reale? » Si stropicciò gli occhi e le tempie, lasciando che i postumi della pozione allucinogena facessero il loro effetto. Avrebbe dopo fare i conti per un giorno intero con quel terribile cerchio alla testa, peggiore di tutte le sbronze del mondo: una bella ubriacatura non avrebbe potuto reggere minimamente il confronto con un viaggio spirituale nella Loggia Nera. Sospirò, rimanendo calmo e muto per qualche minuto con la testa china, prima di rialzarla verso il Direttore. C'era serietà sul viso di Holden, come sempre, e una severità imperlata di tristezza. « Lo so che non siamo amici e che non provi stima per me.. » Cosa siamo, se siamo, non lo so neppure io. Forse davvero nemici? Alek aveva un piede nella Loggia "sbagliata" e l'aveva dimostrato: del suo ruolo politico a Holden non avrebbe potuto importare di meno, ma quello era un dettaglio che non poteva trascurare. Eppure.. « ..ma mi hai aiutato e te ne sono grato. Anche se non sarà questa a ripagare il tuo prezzo. » Tutto ha un prezzo. « Ti sono debitore, Alek. » Anche se questo dovesse ritorcersi contro di me.
     
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