Chasing cars

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    Prima c'è la negazione, poi la rabbia. E poi arriva quel passaggio intermedio della contrattazione e della depressione. Non è chiaro come si manifestino o dove si trovi Amunet Carrow di preciso; a dirla tutta la maggior parte delle persone non saprebbe nemmeno dire dove si trovi fisicamente. Un talento più unico che raro, nascondersi in uno spazio così piccolo come i dormitori Corvonero, oltretutto quando, le sue mosse sono ormai ridotte all'osso. La verità è che quella stanza non l'ha mai abbandonata. Ha provato a farlo. Ha cercato persino di dormire, sperando che quando si sarebbe risvegliata la luce sarebbe tornata. Ma non è successo.Ha persino provato a chiamarlo, pregarlo, implorarlo di tornare da lei. Perché una volta rimasta sola aveva finalmente realizzato cosa significassero le parole di Ryuk. Visto che con le buone non ha funzionato, tanto meno con le cattive.. riavrai ciò che hai perso solo quando avrai sistemato il moccioso. Ryuk l'aveva incatenata nel peggior modo possibile. L'aveva confinata nella sua mente, al buio, sola con i suoi pensieri, sola a riflettere. Ed è quando inizi a riflettere che le cose si fanno decisamente più complicate, perché darsi il tempo di pensare, significa iniziare a realizzare, ripensare a tutta la propria vita, fare ammenda, tormentarsi per una serie infinita di cose. Mun, nello specifico, aveva avuto modo sia di riflettere sul suo passato che sul suo presente. Si era ritrovata consapevolmente a mettersi in croce per troppe azioni, parole dette e sentite, gesti che implicavano riconsiderare tutto il suo universo. Quanto quella Hogwarts avesse fatto di lei, rasentava il ridicolo. Lei, la fiera Serpeverde, con una risposta sempre pronta a qualunque provocazione, vigile e in grado di fronteggiare qualunque situazione, in mezzo a quel caos si era paradossalmente riscoperta. Si era esplorata come non aveva mai fatto prima, si era compresa, e aveva capito che era una persona che, se possibile, le piaceva ancora meno della precedente. Tolta la sicurezza di una quotidianità scandita da impegni e compiti in classe, impegni sociali e sorrisi di circostanza, ne era rimasto solo un cumulo di macerie. Assassina per riscatto, tormentata dalla sua stessa condizione. Tolta l'inverosimile corazza della giovane donna di ferro, era rimasta solo una ragazzina insicura, piagnuccolante. Tolta la fierezza era rimasta solo la vergogna, il disgusto e il profondo odio verso se stessa. Paradossalmente non si era mai sentita così leggera come dopo la notte di Natale, come se un enorme macigno le fosse stato tolto dal petto in poco tempo. Ma al posto dei soliti pesi, se ne erano aggiunti altri, quasi per controbilanciare quella meravigliosa sensazione di soffice leggerezza che il suo animo si ostinava a volerle infliggere. Ma la domanda che forse qualcuno si è fatto è dove è finita Amunet Carrow? Sparita nella notte come una galeotta su per le scale che portano ai dormitori Corvonero e mai più rivista, per parecchio. A quel punto dire quanto tempo fosse passato di preciso era ancora più complicato. Non solo mancava la scansione tra giorno e notte che ne determinasse l'effettivo tempo trascorso. Mancava semplicemente tutto; qualunque forma di riferimento tempo spaziale era semplicemente svanita dai suoi occhi. Dopo un po' a tastoni, era riuscita a raggiungere uno degli armadi incastonati nei muri del dormitorio e lì si era adagiata, chiudendosi con non poche difficoltà le porte in faccia. Celata tra coperte e vestiti intinti di profumo scadente, si era raggomitolata su se stessa stretta nella stessa informa camicia di flanella. Sfinita come non mai si era abbandonata a un lungo sonno privo di sogni. Persino i sogni si rifiutavano ormai di regalarle una qualche forma meno sfocata, un accenno di luce e colore. Era come se paradossalmente la sua mente, seppur grondante di pensieri spesso persino disturbanti, si fosse fermata. A forza di soggiacere in quel buio pensò più di una volta di impazzire. I momenti migliori era quando qualcuno occupava la stanza. Ascoltava i loro discorsi, quasi come se ne facesse parte. Per fortuna nessuno dei vari invasori li conosceva abbastanza bene da scatenarle una qualche reazione. Per lo più sentiva discorsi sulla mancanza; bisogno di casa, mancanza di fratelli e amici, elaborazione di lutti. A volte qualcuno di più spregiudicato faceva gossip spicciolo o giocava a carte. C'era gente che persino in quel buio riusciva a trovare una luce. E Mun, quei soggetti si ritrovò a odiarli, a disprezzarli profondamente e soprattutto, cosa ancora peggiore, si ritrovò a invidiarli profondamente, perché immaginare la luce alla fine del tunnel significa essere già a metà dell'opera. Destino infame; arrivare a invidiare le persone che un tempo disprezzava per la loro leggerezza, che considerava stupide e insignificanti. Ora persino loro avevano un movente più forte del suo. Persino loro avevano più prospettive. Ed era quello il problema; Mun non aveva più prospettive, non aveva obiettivi. Nemmeno l'idea di cosa ci fosse oltre quei cancelli la stuzzicava più, semplicemente perché ormai era storpia. Si definiva già così; storpia, incompleta, sfregiata. E lo sarebbe rimasta, perché non c'era una sola possibilità perché lei acconsentisse a quanto il suo Caronte le avesse chiesto. Non più; non c'era speranze perché tornasse quella di prima, non a discapito di terze parti contro cui non aveva più la forza di scagliarsi. Dorme, poi si risveglia, ogni tanto fruga distrattamente nella borsetta, alla ricerca di cibo che alla fine non mangia, e si lascia cadere lì, tra coperte e vestiti, in quello che immagina il buio di un armadio meno oscuro di ciò che i suoi occhi velati da quella leggera pattina biancastra percepiscono. Ogni tanto si ritrova a canticchiare canzoni dell'infanzia, altre volte ricorda in automatico quelle filastrocche dell'asilo che ha sempre odiato. Ogni gesto, anche il più involontario, porta con sé un cumulo di ricordi che la portano a perdersi per ore. Ed è così che Mun ripercorre tutta la sua vita, sin dalle origini, tra immagini inquietanti, e ricordi appassiti, riscoprendo quella tenera bambina che un tempo è stata. Si chiede spesso come quella Amunet sia riuscita a ridursi così; quale è stato precisamente il passaggio che mandato tutto a rotoli? Potrebbe essere stato il primo schiaffo del padre, le prime prese in giro dei suoi coetanei bambini, oppure potrebbe ricondurla molta più avanti, al primo approccio con Ryuk. Ma a dirla tutta, prima ancora che Ryuk entrasse nella sua vita con un calcio rotante, Mun ha vaghi ricordi di altri mostri, nella sua vita, incubi, immagini che appartengono a un passato non poi tanto recente. Ricordi velati di immagini oniriche simili ad allucinazioni, come se quel mondo, quel substrato oscuro l'abbia sempre tormentata, quasi come se fosse stata scelta e osservata sin dalla nascita. E' forse è così; non si entra nel mirino di un dio della morte da oggi al domani, tanto quanto non si diventa schiavi se si è destinati a essere padroni del proprio destino. In quel armadio Mun arriva alla consapevolezza che forse quello è ciò che deve diventare. Forse quello è tutto ciò che vedrà. E si dispiace, si dispera, si arrabbia, perché improvvisamente si accorge di quante cose abbia dato per scontate, di quante cose effettivamente non ha mai avuto modo di fare. Si rende conto di non aver realizzato nulla nella sua vita, di non aver visto così tante cose. Nella privazione, la Carrow si accorge di quanto lei stessa si privava già in precedenza della vita. Quando sai di non poterle più fare, hai voglia di fare un sacco di cose. E' sempre così. Da quei pensieri la riscatta una voce che inonda con le sue delicate sonorità l'ambiente della stanza oltre le porte dell'armadio. Appoggia l'orecchio contro la superficie in legno e attende. Non riesce a capire se sia in dolce compagnia o meno, se stia effettivamente ridendo oppure se sta solo facendo quello che normalmente fa Maze, ovvero dissimulare, fare finta che tutto vada bene. In questo io e te siamo due gocce d'acqua in un bicchiere. Ma alla fine decide che non gliene importa nulla, e lotta contro il bisogno quasi spasmodico di restare celata, lasciando che su di esso vinca il desiderio di rivederla. Quel pensiero la obbliga a stringere i denti. No Mun, tu Maze non la rivedrai più. Non rivedrai più nessuno. E paradossalmente in quel momento si rende conto di ricordare davvero ben pochi volti. Li potrebbe contare sulle dita di una mano. Mancano alcuni che non si aspettava mancassero e ce ne sono altri che non dovrebbero nemmeno essere là. Uno tra tutti, non riesce a scorgere con nitidezza i propri fratelli, quasi come se non li avesse mai davvero visti.
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    Alla fine scaccia quei pensieri, libera la mente per paura che ogni piccola deviazione darà il via a un altro vortice di pensieri che la sottrarrà dalla sua missione: trovare il coraggio per uscire. Parlare con qualcuno. Alla fine sbatte pesantemente il palmo contro l'armadio. Una, due, tre volte. Finché un silenzio assordante non pervade l'ambiente che ricorda vagamente. Ora capisco la definizione di mostri nell'armadio. Ed è a quel punto che si schiarisce la voce, per paura che Maze e chiunque si trovi assieme a lei, possa pensare che quella sia una delle ennesime trappole o chissà quant'altro. « Maze? » Un filo di voce prima di appoggiare la fronte contro l'anta dell'armadio. Si sente già stupida, patetica. Quella non pare nemmeno la sua voce. La voce di Amunet è fiera e sicura di sé. Non trema e non si permette mai di non essere sentita. Si stringe le ginocchia al petto, avvolgendole nella camicia quasi come a volersi nascondere da quel senso di vergogna e necessità che si sente addosso. Patetica appunto. « Sei tu? » Chiude gli occhi sospirando pensatemene mentre inizia a sbattere la tempia contro la superficie in legno. Cristo quanto vorrei fracassarmi la testa contro questa fottuta porta. « Sono Mun. » Per modo di dire. In teoria sono Mun, in pratica sono patetica, piacere di conoscerti. « Se c'è qualcuno là, ti prego mandali via. » La voce trema. Si costringe a non piangere, ma la verità è che tutta quella frustrazione e l'impotenza di fare alcunché per divincolarsi le impedisce di restare una roccia. Perché non sono una roccia. Sono edera. Un cancro. Un tumore. Il parassita per eccellenza. « ..non lasciarmi da sola. » Un ultimo soffio acuto tra le lacrime prime di sbattere i piedi contro il fondo dell'armadio con una rabbia improvvisa. Si passa le mani tra i capelli, tirandoseli con forza, quasi come se cercasse di provare qualcosa, qualunque cosa. E' terribile vivere nell'ombra della persona che si era, soprattutto quando la sua immagine ti ride in faccia di continuo.


     
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    «A quanto la metti?» Gli occhi, divenuti verdi, di Maze si alzano ad incontrare quelli di quel deficiente di Garroway. E' viscido. Le sue mani sono troppo grandi, hanno troppo calli e le danno una brutta sensazione. Le ha sempre fatto un po' schifo, ma ha bisogno del suo piccolo aiutino per calmare Beatrix. Lui le sorride, subdolo come solo un serpente sa essere, e le passa un dito sotto il mento, così da costringerla ad alzare il viso verso di lui. Vuole essere guardato, gli piace essere al centro della sua attenzione. «Oh, bambolina, no. Pensavi veramente che ti avrei fatto pagare?» La nausea che prova Trixie, ormai completamente soggiogata dalla fame che le riempie la testa, si mescola al fastidio che prova Maze nell'essere toccata da quelle mani rozze e probabilmente sudicie. Si mescola alla schifo che prova nel capire benissimo dove vuole andare a parare, sapendo che glielo lascerà fare. Sente la sua mano intrufolarsi dietro la sua schiena, pronta a sgusciare sopra la maniglia, per aprire la porta della camera alle sue spalle. «Ho altro in mente qualcosa di speciale. Sono certo che ti piacerà.» Scoppia a ridere, mentre si lascia andare agli eventi, insensibile e indifferente, un po' come sta imparando ad essere per ottenere quello che le serve, nell'ultimo periodo. «Vuoi fare sesso. Sai che c'è di speciale e sensazionale in tutto questo!» Lo schernisce, mentre lui porta una mano alla base della sua schiena, per farla indietreggiare di qualche passo, entrando nella stanzetta. «Il piatto forte sono io, mi sembra ovvio.» Ride, graffiandole il collo con i suoi denti, prima di prenderlo a baciare, con una foga inaudita. Storce il naso, Maze, rimanendo inerme tra quelle braccia che hanno deciso di prendere il sopravvento su di lei. «Mi viene da vomitare.» Credimi anche io. Maze e Beatrix accomunate dallo stesso desiderio, per motivi completamente differenti. «E ho sentito dire un sacco di cose sensazionali sul tuo conto. Un sacco di voci. Potrai pagarmi dimostrandomi quanto sono vere.» Storce le labbra, mentre sente quelle mani vagare ovunque, fin quando non si allontanano per richiudere la porta dietro le proprie spalle. Ha un attimo di respiro, Maze, mentre si guarda intorno, intenta a cercare qualcosa da usare come arma. Per picchiarlo, talmente forte da fargli dimenticare persino il suo schifoso nome. Talmente forte da togliergli il respiro dai polmoni, se abbastanza fortunata. Uno in meno. Una bocca in meno da sfamare. Mi ringrazieranno tutti. «Chiama aiuto.» Le viene da ridere. Lei che chiede aiuto a qualcun altro. Praticamente impensabile. Praticamente impossibile. Per questo continua silenziosamente a guardarsi intorno, mentre Garroway e le sue manacce tornano ad insinuarsi tra i suoi vestiti, toccandola come se le appartenesse. Alla fine adocchia un porta candela in ottone, sulla scrivania di un sapiente Corvonero. La candela è consumata, fino alla base, con rigogliose bolle di cera ad adornarla. Deve aver passato tutta la notte a studiare alla luce di quella candela, si ritrova a pensare Maze, facendo qualche passo in avanti, per costringere il ragazzo ad avvicinarsi alla scrivania quel tanto da poterle permettere di allungare una mano per prendere l'oggetto. «Allora preparati, perché sta per arrivare la prima botta sensazionale.» Gli dice, assumendo quel suo solito sorrisetto angelico, quello che non presagisce nulla di buono. Mai. « Maze? » Lo sente, quel sibilo quasi sussurrato. Si guarda intorno, scostandosi velocemente dal ragazzo, che tenta di riprenderla, ma lei è più veloce, spostandosi di lato. « Sei tu? » Alla fine identifica il punto da dove arriva la voce. « Sono Mun. » Lo so. L'ha riconosciuta, alla fine. Fa un passo avanti, pensando che sia uno scherzo. E' pronta ad aprire le ante dell'armadio, per riderne con lei e magari farla unire al simpatico teatrino messo in scena con il viscido, giusto per divertirsi un po'. « Se c'è qualcuno là, ti prego mandali via. » Sente la sua voce tremare e il cuore di Maze trema, insieme ad essa. C'è qualcosa che non va e sembra averla capito anche Garroway, che aggrotta le sopracciglia e non cerca più di tirare a sé la ragazza. « ..non lasciarmi da sola. » E' in quel momento che Maze vede rosso, quando la sente soffrire. Come un toro, aizzato dal torero in un'arena. «Vattene.» E' perentoria e innaturalmente fredda, mentre non lo guarda nemmeno. «Ma il mio pagamen - «Vattene ora o giuro su quella faccia da cazzo che ti ritrovi che ti uccido. Lo faccio ora, con le mie mani. Non ho alcun problema a farlo. Te l'avranno detto le voci che sono anche pazza.» Si incontrano, i loro sguardi, solo per qualche secondo, prima che Maze gli ritiri addosso la sua roba. Quella per la quale vuole essere tanto pagato. Poi accenna la porta con la testa.
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    «Fuori. Ora. E chiudi la porta.» Non lo guarda nemmeno più, mentre si precipita verso l'armadio. Il cuore le batte fin troppo veloce. E' spaventata, perché non l'ha mai sentita così. Ed è dentro un armadio. Attende di sentire lo scattare della serratura della porta della camera, prima di spalancare le ante, con la punta della bacchetta accesa. La mano sinistra che le trema più del dovuto. Mun è lì, rannicchiata su se stessa, in quei vestiti troppo larghi che indossa e tra coperte dal profumo opprimente. «Che ti hanno fatto?» E' la prima cosa che dice, mentre cade a terra, sulle proprie ginocchia, portando avanti le mani, per portarle su di lei. Per controllare che stia bene. Per controllare che non sia ferita. «Chi è stato? Che è successo? Mun, ti prego dì qualcosa o altrimenti impazzisco.» Anche Trixie sembra essersi ritirata in se stessa, di fronte a quella sensazione ingombrante che sta provando Maze, per la prima volta, veramente. E' paura. E' la dannata paura che la fa straparlare, che le fa cambiare colore di occhi senza sosta, che la costringe ad accettarsi che stia bene. Che la fa muovere con dei movimenti concitati, schematici, quasi nevrotici. Che le fa sentire il proprio battito martellante, dentro le orecchie. Che le ha asciugato la bocca, lasciandola a quell'arsura agrodolce. Le punta contro la bacchetta, dal basso verso l'alto. Controlla le gambe, controlla il busto, le braccia, fino ad arrivare al viso. E' solo in quel momento che si accorge del velo lattiginoso che sembra essere sceso davanti alle iridi di Mun. La luce della bacchetta sbatte contro quei due specchi, senza però penetrarli. «Maze, credo le sia successo qualcosa agli occhi.» Lo sa Maze. La riconosce quella patina bianca, che riesce a rendere ancora più azzurro il colore dei suoi occhi. La zia di Trixie è cieca e gliel'ha vista negli occhi fin troppe volte. Cosa ti hanno fatto? Mun, chi è stato? Rimane di stucco. E senza parole. Le viene da piangere, le sente le lacrime affiorare, sbracciando per poter venir fuori. E le viene anche da vomitare, tutto il pasto che è riuscita ad accaparrarsi poche ore prima è lì, sulla bocca dello stomaco, pronto ad essere ricacciato fuori. Ma si trattiene, perché lei è lì, indifesa e vulnerabile come non l'ha mai vista. Così prende un respiro profondo, mentre si calma, passandosi il polsino del maglione sbrindellato che ha addosso per togliere il sudore che le bagna la fronte. Le mani tremanti che alla fine si avvicinano al suo volto, portandole indietro i capelli con delicatezza. Le carezza le guance, dolce, prima di portarsi di fronte a lei con il viso. «Mun..» è un filo di voce, quasi sussurrato. Sicuramente strozzato. «Mi vedi?» Ti prego, dimmi di sì.
     
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    Non era da lei. Non è mai stato da lei. Poteva crollare il mondo, sgretolarsi di fronte agli occhi di Amunet Carrow e lei non avrebbe battuto ciglio., eppure ora sembra non ci sia più niente oltre a quel buio Si è sempre convinta che in un modo o nell'altro, una soluzione c'era sempre e che lei l'avrebbe sempre trovata, non perché avesse qualcosa di speciale o perché avesse una qualche forma di marcia in più rispetto agli altri, bensì per il semplice implicito motivo che Mun non si sarebbe mai arresa dal fare in modo che il susseguirsi degli eventi andassero per il verso che lei considerava giusto. Aristotele diceva: ]« Deficere est iuris gentium. », essere irragionevoli è un diritto umano. E così si sente Mun di fronte a quell'improvvisa perdita del proprio lume della ragione, e si sente in diritto di farlo perché non ha niet'altro a cui aggrapparsi. Di scatto i suoi capelli prendono a svolazzare, presi dall'improvviso movimento dell'aria che scatena lo spalancarsi delle porte dell'armadio. Si sente allo scoperto, e per un istante il panico l'assale. Maze è la prima a vederla in quelle condizioni, così fragile, come una foglia nel bel mezzo di una tempesta, sbattuta di qua e e di là senza avere alcun contrappeso per opporsi. « Che ti hanno fatto? » Assieme alla voce spezza di Maze, si spezza anche Mun, per l'ennesima volta, come se lo smarrimento di lei fosse il proprio. Non è mai stata particolarmente empatica, Mun, eppure, adesso è come se ogni emozione esterna la pervadesse con la stessa violenza con cui cento lance appuntite trapassano il corpo di un infante. Le lacrime continuano a scorrere sulle guance pallide di lei, mentre si stringe con più forza le ginocchia al petto, quasi come se volesse ancora una volta combattere quel chiaro bisogno di abbandonarsi, di sfogarsi, di urlare al mondo intero che non ce la fa più, che quella vita non riesce più a sostenerla. Le mani fredde della ragazza la raggiungono, e per un istante, Mun sembra volersi sottrarre, quasi come se quella compassione, quella gentilezza le ricordasse per l'ennesima volta quanto poco stabile sia. Finché non diventa evidente che hai bisogno di aiuto, convincertene di non aver bisogno di nessuno è facile. Poi arriva quel momento in cui far finta di niente diventa impossibile, ed è lì che tutte le certezze crollano. E Mun si sentiva così, come se ogni sua certezza, ogni cosa che si è raccontata su se stessa fosse una bugia. Una meravigliosa bugia impacchettata e infiocchettata a dovere; un pacchetto preconfezionato in serie, pronto per finire sotto gli occhi di chiunque. A tratti prevedibile, superficiale, insensibile, fredda e asettica, ma quanto meno al sicuro da qualunque sguardo lungimirante che potesse carpirne le crepe. Ora tutte le crepe erano allo scoperto, sempre più evidenti. Un essere sfigurato tanto nell'anima quanto nel corpo. « Chi è stato? Che è successo? Mun, ti prego dì qualcosa o altrimenti impazzisco. » Ma Amunet Carrow sembra essere rimasta senza parole. Qualcuno là sopra deve divertirsi davvero tanto nel vederla completamente fuori di testa, fuori dal suo elemento, fuori dal mondo.. letteralmente. Scuote la testa e chiude gli occhi mentre sente le dita di le correrle qua e là come se cercasse di accertarsi che non abbia nessuna grave ferita. Oh deve essere davvero divertente per te non è vero? Non hai cercato di fare altro che chiudermi la bocca per mesi. Adesso sarai felice, riderai tanto, come hai sempre fatto. Hai sempre riso di me, mi hai presa per il culo, mi hai spinto a fare cose orribili, e non appena non ti ero più utile mi hai gettato tra due fuochi, lasciandomi da sola, per giunta nell'unica maniera in cui sapevi che non avrei avuto modo di reagire a cosa mi stesse succedendo. Complimenti. In tutta risposta si passa le mani tra i capelli, cercando di celare lo sguardo dagli occhi di Maze. Ma a dirla tutta non sa nemmeno dove si trovino di preciso nello spazio. « Mun.. » Lo sente, il soffio caldo di lei che le accarezza dolcemente e in sordina il volto, mentre le mani si apprestano a darle quel conforto che in fin dei conti Mun sa di bramare. « Mi vedi? » In tutta risposta, Mun chiude gli occhi e scuote la testa. E a quel punto le sue braccia si allungano appena, e brancolano al buio, fino a trovare le braccia di lei, le lascia scivolare fino a trovare le sue spalle, ed è allora che si aggrappa al suo collo e l'abbraccia in una stretta ferrea mentre scoppia a piangere silenziosamente, affondando il volto nell'incavo del suo collo. « Ho mai visto Maze? » Chiede di scatto in un sussurro tra un singhiozzo e un altro. « Ho mai visto davvero? » Perché a me sembra di esser sempre stata cieca, costretta a tenermi questo cappio al collo di cui volente o nolente alla fine mi sono persino scordata. Non sa per quanto tempo resta lì, cullata tra le braccia dell'amica, ma alla fine, come rinvigorita dal suo calore, si stacca e sospira, asciugandosi le lacrime con le maniche della camicia. « Ha vinto lui. » Asserisce di scatto tremante stringendosi nelle spalle. Hai vinto tu, già. Ma se non hai più bisogno di me, se non t'interessa più che cosa faccio, significa forse che ho di nuovo un libero arbitrio? Posso scegliere? Posso davvero fare tutto ciò che voglio? E mentre resta per un istante in silenzio, un barlume le attraversa la mente. Le dita di Mun saldamente strette attorno a quelle di Maze, mentre lo sguardo prende vagare vacuo in tutte le direzioni. Tira su col naso e si riscuote. Sa che quello è solo uno dei tanti sbalzi d'umore a cui sarà vittima nei prossimi mesi, ma per ora, decide semplicemente di sfruttare la scia che la fiducia e il sollievo di avere Maze accanto le infonde. E' approssimativa, brancola nel buio, non solo nei movimenti ma anche nelle sue mosse, nel pensiero. Un momento sta urlando e picchiando, il momento dopo batte i piedi per terra come una bambina capricciosa, quello dopo ancora piange, e poi si abbandona a sensazioni che nemmeno lei sapeva fossero lì, e poi tutto da capo come un cane che si morde la coda. Così è stato da Natale, e così continuerà a essere per troppo forse. « Maze.. chiudi la porta a chiave. » Nessuno può sentire, nessuno può entrare. Deglutisce fortemente, mentre si porta la tracolla rimastale addosso per tutto quel tempo. Scivola appena lungo la superficie in legno fino a lasciarsi cadere per terra, di fronte all'armadio. A quel punto immerge la mano all'interno della borsa e inizia a tirare fuori i pochi volumi che ha appreso. I suoi libri preferiti sono rimasti alla casetta sull'albero, quindi è certa di avere con sé solo quelli che semplicemente non può lasciare in giro. Due per l'esattezza, correlati del suo elegante taccuino nero che reca numerosi appunti e il fatidico libro della morte, tanto sottile e insignificante, quanto letale. « Questa storia mi ha costato tutto. Tenerla all'oscuro, parlarne, cercare di venirne a capo. Ogni provvedimento io abbia cercato di prendere nei suoi confronti, mi ha portato allo stesso risultato. Perdere qualcuno. » Se devo perdere anche te, in un modo o nell'altro succederà in ogni caso. « E' come un parassita che mi risucchia la vita. Ogni qual volta alzi la testa, Lui trova un modo per affossarmi ancora di più. »

    E a quel punto sospira, alzando istintivamente lo sguardo verso l'alto. Un riflesso involontario. Niente di più. Non è come se avesse davvero bisogno di distogliere lo sguardo. Ok sto per iniziare. Ma è allora che inizia a tremare e scuote la testa. Perché è così difficile? Parlare. Si stringe le braccia al petto mentre inizia a battere nervosamente i piedi per terra rabbrividendo. Sembra che le parole non siano pronte a uscire. Come se qualcuno le stesse tagliando di continuo la lingua nel tentativo di frenarla dal dire qualunque cosa. « Abbiamo parlato spesso io e te delle principesse guerriere, delle amazzoni, delle donne irriverenti che ribalteranno il comune ben pensare. » Scuote la testa stringendosi nelle spalle. « Ti ho mentito.. non ci riesco. » Anche a te Maze, anche a te ho mentito. Più che Pentesilea sono Rapunzel nella torre; e se anche fosse, Achille mi ha già dato il colpo di grazia col volere degli dei. Cosa è rimasto ormai ad Amunet Carrow se non le storie? Le ha sempre amate, sin da piccola. Ne ha sempre cercato il significato nascosto, la trama ultima, l'essenza di ogni parola scritta dai grandi. « E' iniziato qualche anno fa.. almeno credo. A ben pensarci potrebbe essere iniziato molto prima che me ne accorgessi.. » A quel punto ispira profondamente, e fatte quelle premesse le racconta tutto. Getta la spugna, Mun, perché a dirla tutta ha bisogno di sfogarsi, e non c'è un'altra persona oltre a Maze con cui si sentirebbe davvero a proprio agio nel parlarne. Qualunque cosa Mun le abbia raccontato, Maze non l'ha mai giudicata, non si sono mai giudicate a vicenda, e così si sente di poterle raccontare tutte quelle cose senza esclusione di colpo. Le racconta del padre, di cosa succedeva a casa, le ricorda le cicatrici che deve aver visto non più lontano di qualche settimana prima sulla sua schiena. E poi le parla di Ryuk, mentre le indica le pagine a cui andare a scorrere le righe sugli shinigami e i traghettatori che lei e Albus sono riusciti a decifrare. Alla fine si passa tra le mani il Death Note, ma non glielo lascia toccare, perché, sa cosa succede quando lo si tocca: si viene risucchiati nel mondo di Ryuk, lo si può vedere, sentire, lasciarsi assillare da quei suoi modi infinitamente signorili e al contempo odiosi a dismisura. Le spiega quanto ha dovuto fare e come funziona, cosa succede se non segue le istruzioni e le regole del quaderno alla lettera, e nel suo tono di voce c'è tutto lo struggimento e il tormento di sentirsi colpevole di aver arrecato così tante perdite. Eppure, stranamente, è la prima volta che pensando a molti di quei nomi, si sente più leggera, come se quelle colpe fossero sue, ma al di fuori di sé. Le spiega che le anime che lei rende vengono traghettate dal dio della morte altrove. In quella che lui chiama Loggia. « Ecco, Lui sostiene che un paio di mesi fa una persona in questo castello gli ha sottratto un'anima per colpa mia. Perché ho trovato un modo di comunicare con qualcuno, senza comunicare davvero. » Un modo davvero insolito, fatto di messaggi in codice e una continua corsa contro il tempo. « E' solo che io gli avevo reso già impossibile traghettare questa persona altrove attraverso i suoi soliti metodi. » Perché il nome di Albus Potter, assieme a tanti altri compariva scritto erroneamente sul quaderno della morte ben quattro volte, rendendolo immune dal poter essere sottratto secondo le regole di Ryuk. Una libertà che Mun si era presa intelligentemente prima che il ciclo di morti si allargasse, per paura che la sua imprudenza l'avesse portata un giorno o un altro a scelte di cui si sarebbe pentita. Prima di sparire nella foresta, altri nomi sono stati aggiunti, molti altri. Quello di Maze era in cima alla lista. A livello subconscio, Mun, si conosceva sin troppo bene, se lo sentiva dentro che prima o poi quell'irragionevole moto di disperazione che si sentiva montare nel petto sarebbe esploso. C'erano stati giorni in cui, sotto le torture di Ryuk si era infatti pentita amaramente di aver reso immune all'intervento divino del quaderno, Albus. Sarebbe stato così facile far cessare il dolore; doveva solo scrivere il suo nome, e tutto il dolore sarebbe scomparso. In quei momenti lo avrebbe fatto ben volentieri. Avrebbe scritto qualunque nome Ryuk le avesse chiesto. Ma lui non voleva un nome qualunque; voleva uno di quelli su cui Mun aveva messo il veto. « E così ha cercato di costringermi a farlo diversamente. Nelle ultime settimane abbiamo pensato ingenuamente che sparire dentro la foresta avrebbe celato alla sua vista l'esistenza di questa persona. Ma lui lo sapeva, l'ha sempre saputo. Sapeva fosse vivo, e sapeva che io mentivo. » Ma a Ryuk piace giocare con le sue prede. Costretti com'erano in quel luogo, prima o poi le sue pedine avrebbero ceduto, avrebbero fatto quel passo falso che avrebbe dato alla situazione quel picco di drammaticità che tanto sembrava adorare. « E quando siamo usciti.. quando semplicemente quel posto era troppo e non ce la facevamo più, lui ci aspetta. » Chiude gli occhi stringendo i denti. Le immagini della sera di Natale le scorrono ancora in testa. Sono confuse, eppure paradossalmente ben delineate nella sua mente. « Ha cercato in tutti i modi di obbligarmi.. ci era quasi riuscito. » Ho quasi ucciso un'innocente. « Ma non ce l'ho fatta. Non sono riuscita a dargli quello che voleva. Non avrò sulla coscienza un'innocente, Maze. » Si stringe nelle spalle scuotendo la testa mentre un brivido le percorre la schiena. « E questa è la mia punizione per aver disobbedito. » Per esser stata debole. « E ora continuo a non capire che cos'ho fatto - cosa abbiamo fatto - di così terribile da averlo fatto arrabbiare. E non so come combatterlo.. e non so niente. Sin dall'inizio non ho mai avuto uno straccio di indizio o di risposta su come combattere questa cosa. »

     
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    Lei scuote la testa in risposta alla sua domanda e lo stomaco di Maze si stringe, in una morsa quasi asfissiante, tanto da lasciarla senza fiato mentre la guarda. Non è possibile. Com'è possibile? « Ho mai visto Maze? Ho mai visto davvero? » Ascolta le sue parole, rimanendo basita di fronte ad esse. «Ma che...» Non finisce la frase, perché non sa come proseguire di fronte alla consapevolezza che portano con sé le affermazioni di Mun. Chiunque, chi più chi meno, è abituato a vedere. In modi differenti, la metà delle volte in modo imparziale, tanto da costringere se stesso e chi sta intorno a vedere soltanto una parte dell'insieme. Loro, Mun e Trixie, rientrano sicuramente in questo caso. E' forse colpa dell'ambiente nel quale sono cresciute ad averle portate ad ignorare molto della profondità di ciò che le circonda, fissandosi sulla mera superficialità. Sono abituate a vedere la patina dorata che circonda le cose, le persone, sono abituate a giudicare un libro dalla copertina, credendo di non potersi mai sbagliare con questo metodo infallibile. Da quando Maze è nel corpo di Beatrix, la demone ha capito che gli umani sanno essere molto più selettivi e perfidi di quanto si sarebbe mai aspettata. E' un lato che adora del genere umano, ma capisce le parole di Mun, in quel momento, e si ritrova ad essere indifesa di fronte ad esse. Così scuote la testa, un paio di volte, prima di ricordarsi che l'anima non può effettivamente vederla. «Nessuno lo fa mai veramente, al di là di tutto.» Ma questo non vuol dire nulla, Mun. Sono fatti così gli umani: opportunisti e sempre alla ricerca del proprio tornaconto. Sono poche le eccezioni che è riuscita ad incontrare Maze, da quando è sulla Terra. Sono poche le persone che sarebbero degne di finire nella Loggia Bianca senza una vera e propria confessione e un profondo pentimento, una volta passate a miglior vita e tra quelle nessuno dei vecchi amici di Beatrix sembra rientrare. Non per cattiveria, ma ognuno di loro ha i propri peccati, umani, com'è giusto che sia. Sono tutti peccatori, chi più consapevolmente o meno. « Ha vinto lui. » Il suo sguardo saetta verso quello di Mun, mentre la mano stringe quella di lei impercettibilmente, senza nemmeno volerlo o accorgersene veramente. «Chi?» Le domanda un secondo prima di assistere definitivamente al crollo emotivo della mora. Le vede dimenarsi, la vede piangere, l'ascolta urlare, la vede farsi a pezzi. E lei rimane impassibile, si allontana soltanto di qualche centimetro, per lasciarle il suo spazio, non sapendo effettivamente come comportarsi di fronte a tutta quella rabbia, a quel dolore che sgorga da ogni suo movimento o gesto. Trixie sembra averla lasciata, non ce la fa a reggere una situazione del genere nelle sue condizioni e l'ha abbandonata a quelle sensazioni umane che non conosce e non ha effettivamente mai provato. Maze ha testato soltanto una gamma limitata di sentimenti, da quando è nel corpo della mora. Conosce la gioia, l'euforia, l'eccitazione, l'imbarazzo, il dolore, l'affetto. Ma non ha mai provato il desiderio forte di poter aiutare una persona senza effettivamente poterlo fare. Si rende conto in quell'istante di non essere mai stata più umana e debole. Assolutamente impotente di fronte a quella manifestazione di malessere e di odio. Le parole, dopotutto, non sono mai state troppo importanti per Maze, non se non seguite da fatti concreti, azioni tangibili e si rende conto che qualsiasi cosa le venga in mente di dire in quel momento è completamente inutile. « Maze.. chiudi la porta a chiave. » Aggrotta le sopracciglia, per qualche istante, ma non fa alcuna domanda, mentre punta la bacchetta verso la porta chiudendola con un alohomora. Lo schiocco della serratura fa capire ad entrambe che sono chiuse dentro. Nessuno entra, nessuno esce. Si fa indietro, per farle spazio, fin quando non si ritrovano faccia a faccia, sedute di fronte all'armadio, Maze che aspetta con trepidazione di capire cosa stia succedendo, rimanendo stranamente in silenzio. Gli occhi azzurri che incontrano i due libri che Mun tira fuori dalla sua borsa. Sono tenuti alla perfezione, come si aspetterebbe da qualsiasi oggetto che passa per le mani della Serpeverde, come ogni libro che le ha sempre visto maneggiare, d'altronde. « Questa storia mi ha costato tutto. Tenerla all'oscuro, parlarne, cercare di venirne a capo. Ogni provvedimento io abbia cercato di prendere nei suoi confronti, mi ha portato allo stesso risultato. Perdere qualcuno. E' come un parassita che mi risucchia la vita. Ogni qual volta alzi la testa, Lui trova un modo per affossarmi ancora di più. Abbiamo parlato spesso io e te delle principesse guerriere, delle amazzoni, delle donne irriverenti che ribalteranno il comune ben pensare. Ti ho mentito.. non ci riesco. E' iniziato qualche anno fa.. almeno credo. A ben pensarci potrebbe essere iniziato molto prima che me ne accorgessi..» Quando le sembra di non capire assolutamente nulla di ciò che le sta tentando di dire, quando comincia a pensare che forse si è incrinato qualcosa anche tra le sue memorie, le parole di Mun cominciano a prendere un senso, quando quel nome affiora sulle sue labbra. Ryuk. Il vecchio bastardo, dagli occhi profondi quanto un pozzo senza fondo. Mentre Mun le racconta di come sia stato crescere con lui, lei sa già benissimo dove andrà a parare quel discorso. E non andrà a finire come le storie che si sono sempre raccontare riguardo le principesse e le amazzoni, no. Abbassa gli occhi sul quaderno degli appunti, li segue guidati dall'indice dell'amica e per una attimo i suoi due laghi grigiastri si increspano e si fanno più cupi nel notare come si stringe al petto il libro della morte. Ancorata a quel pezzo di dipendenza dalla quale non può slegarsi, alla quale lui l'ha costretta. Mai avrebbe creduto di avere in comune con Mun anche quel tassello osceno della sua vita: la dipendenza da un demone, con motivazioni differenti, ma pur sempre così reale e mortale. L'ascolta parlare di cose che lei già conosce alla perfezione, la sente parlare della Loggia e per un attimo le si stringe lo stomaco per il nervosismo. Come un ladro che viene scoperto a rubare in casa di altri, perché si accorge di essere lei quella ladra di cui si parla. Perché lei altro non è che della stessa razzaccia della quale fa parte anche Ryuk. « Ecco, Lui sostiene che un paio di mesi fa una persona in questo castello gli ha sottratto un'anima per colpa mia. Perché ho trovato un modo di comunicare con qualcuno, senza comunicare davvero. E' solo che io gli avevo reso già impossibile traghettare questa persona altrove attraverso i suoi soliti metodi. E così ha cercato di costringermi a farlo diversamente. Nelle ultime settimane abbiamo pensato ingenuamente che sparire dentro la foresta avrebbe celato alla sua vista l'esistenza di questa persona. Ma lui lo sapeva, l'ha sempre saputo. Sapeva fosse vivo, e sapeva che io mentivo. E quando siamo usciti.. quando semplicemente quel posto era troppo e non ce la facevamo più, lui ci aspetta.» Parla di un noi, Mun. Di lei e una persona che ha salvato dalla morte alla quale la vuole costringere Ryuk. E parla anche della foresta, di come quel qualcuno si sia nascosto nella foresta
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    per sfuggire all'occhio letale del demone. Maze sa benissimo che non ci sono molte persone che sono scomparse nel nulla, dalla mattina alla sera e se c'è una cosa che sa di Ryuk è che punta sempre le pedine fondamentali, così com'è stato per lei. Perché uno dei motivi per i quali lei è lì è lui. E' Albus. E se lei sa cos'è, conosce le sue potenzialità, è certa che anche Ryuk sappia qualcosa, se non tutto. « Ha cercato in tutti i modi di obbligarmi.. ci era quasi riuscito. Ma non ce l'ho fatta. Non sono riuscita a dargli quello che voleva. Non avrò sulla coscienza un'innocente, Maze. » Il candore con il quale parla di quella vita innocente che non riesce a prendersi la fa sorridere amaramente. Per la prima volta, vede in Mun la se stessa di secoli prima. Vede l'innocenza che si macchia di peccato, ma che tenta di resistere a quell'onta scura che la reclama. La sente combattere e, curiosamente, questo le fa piacere. Il non saperla piegata, non del tutto. Il saperla ancora combattiva, come l'ha sempre immaginata. « E questa è la mia punizione per aver disobbedito. E ora continuo a non capire che cos'ho fatto - cosa abbiamo fatto - di così terribile da averlo fatto arrabbiare. E non so come combatterlo.. e non so niente. Sin dall'inizio non ho mai avuto uno straccio di indizio o di risposta su come combattere questa cosa. » Di nuovo quella terribile sensazione, di vulnerabilità estrema, di fronte alla quale Maze non sa come comportarsi. Chiude gli occhi, qualche istante, mentre davanti agli occhi le ritorna il ricordo di quella sera. Il ballo di Halloween. La lama conficcata nello specchio dello Shame e tra la confusione di parole e aggettivi, per lei ne lampeggiava uno ed uno soltanto. Umana. La sua più grande vergogna, la sua più grande bruttura, anche quando umana non lo era più da tempo. Capace di provare emozioni umane, di assimilarle, di star male, di empatizzare con la ragazza che ha di fronte, di rimanere imbambolata senza sapere come comportarsi. Perché cosa potrebbe dire o fare? Mun cerca risposte che lei può darle, risposte che potrebbero allontanarla, più di qualsiasi altra cosa. Così prende a distrarsi, cominciando a sfogliare il suo blocco degli appunti. Passa l'indice sopra la sua scrittura elegante ed estremamente ordinata, legge le annotazioni e sorride nel ritrovarsi ammirata ancora una volta di fronte all'acutezza della sua mente. Sei una mancata Corvonero, sempre detto e sempre continuerò a dirlo. «Hai un'etica morale, hai deciso di non prendere la vita che ti è stata richiesta, sapendo che ci saresti andata di mezzo te, te ne sei assunta tutte le responsabilità anche se non stava a te farlo. Io credo che tu abbia sempre visto più del dovuto.» Prende a dire, decidendo di non mentirle, un po' per ripagare la fiducia che Mun ha deciso di riporre in lei raccontandole cose che Maze sa benissimo non dovrebbe raccontarle, un po' perché è difficile continuare a portarsi quel peso. E' una sensazione orribile, quella della dipendenza da un qualcosa che ti grava sulle spalle e lei si è sempre ripromessa di non volerla più riprovare, non dopo aver deciso di andarsene dalla Loggia. «E tu sei troppo dura con te stessa, sei umana, sei mortale e tanto sei riuscita a sopravvivere, fino a questo momento, con un demone che ti succhia la vita, costantemente. Sei più forte di quanto tu possa credere.» Non finge nemmeno per un secondo di essere completamente all'oscuro di tutto questo, seppur l'abbia sconvolta sapere che Ryuk abbia puntato proprio lei, come sua mano della giustizia, come sua sicaria. E' probabile che Mun abbia anche ragione. E' probabile che Ryuk l'abbia scelta ancora prima, forse quando era ancora in fasce, sarebbe totalmente nel suo stile, dopotutto. «Beatrix Greengrass è morta il 3 Febbraio 2017. Non è mai rientrata dalle vacanze invernali ed è ufficialmente morta in un incidente stradale. Io le sono capitata tra capo e collo, il 7 Febbraio, invadendole il corpo. Una complicazione vitale, Trixie mi chiama così ogni volta.» Prende a confessarsi, le parole scivolano dalla sua bocca, le sembrano tutte terribilmente sbagliate, le sembra di addossarle un nuovo peso, ma non può fare diversamente, non questa volta. «Io mi chiamo Mazikeen e conosco Ryuk, fin troppo bene. Lo conosco da tanto tempo.» Sono stata risputata fuori dall'Inferno, sono un mostro come lui. E' confusa sul come continuare e di conseguenza lo è il discorso che riesce a tirar fuori, che le sembra non abbia né capo né coda. «Lascia che ti aiuti Le dita lasciano andare il quaderno degli appunti, che scivola a terra con un tonfo smorzato, e le ginocchia scivolano in avanti, fin quando non si ritrova di fronte a Mun. La guarda e lei non ricambia il suo sguardo e la tristezza prende a mescolarsi con i lineamenti di Maze.«Permettimi di portare il peso con te, Ryuk non può punire anche me e se anche gli venisse in mente di farlo, potrò sopportarne le conseguenze.» Una mano corre sopra quella di lei, attenta a non toccare il quaderno senza il suo consenso. Decide di essere umana come lo specchio le ha ricordato che è veramente. Come lei si sente di essere sempre stata e come ha sempre voluto essere. Umana. Forse non è nemmeno così tanto vergognoso, come ha sempre immaginato. «Permettimi di aiutarvi entrambi.» Tu e Albus. «Non so nemmeno come, ma potremmo trovare un modo. Una merce di scambio, qualcuno di più importante, posso farlo io al posto tuo..» Posso uccidere al posto tuo, non fa alcuna differenza comunque, io sono dannata per l'eternità, ma per te c'è ancora speranza. «Se mi permettessi di parlare con lui, potremmo trovare un modo. Potrei provare ad aiutarti.» Scuote la testa, sconsolata. «Fammi fare semplicemente qualcosa per te, perché io sono qui, sono con te.»

    When darkness comes upon you
    And covers you with fear and shame
    Be still and know that I'm with you


     
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    La verità. Tutti la temono, nessuno escluso; nella vita, ogni persona indossa svariate maschere, fatte per lo più di meravigliose storie decantate nella più sontuosa delle maniere. Sotto quelle maschere ciascuno di noi è nudo, spoglio, e di per sé estremamente vulnerabile. Kafka diceva che è difficile dire la verità, perché ne esiste sì una sola, ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole. Ciò porta alla relatività e la relatività porta alla capacità di ciascun individuo di tramutare a proprio piacimento la verità, omettendo o plasmando le informazioni. La verità; tutti la temono, nessuno è pienamente capace di decantarla nella sua forma più pura. Non a meno che non si è nel punto del non ritorno. Maze e Mun sono lì in quel momento, su quel filo del rasoio su cui o si cammina, o si accetta la dura verità di cadere. Posta di fronte a tutta la sua disperazione e mancanza di appigli solidi quindi, la Carrow si abbandona, e nella più naturale delle maniere si toglie la maschera, ben consapevole che in ogni caso non sarebbe più in grado di mantenerla. Sono finiti i giorni in cui dietro a un sorriso era in gradi celare qualunque dispiacere, sono finiti i tempi in cui poteva indossare un paio di tacchi, tingersi le labbra dei suoi bei rossetti scuri, e camminare su quei corridoi marci con una labile convinzione di poter affrontare qualunque cosa. Ha bisogno di aiuto, ha bisogno di un supporto morale. Sente per la prima volta il peso della solitudine, negandola con tutta la propria forza. Non lasciarmi da sola, questo le ha chiesto. In cuor suo è quasi certa che quanto le ha raccontato sarà il suo colpo di grazia agli occhi dell'amica. Nessuno con un briciolo di spirito di autoconservazione sarebbe davvero in grado di rischiare la propria vita a tal punto da non lasciarla da sola in una simile situazione. Eppure, le persone sono fatte per sorprenderci. L'essere umano è per sua natura la creatura più imprevedibile che esista, e infatti, non appena Mun finisce il proprio racconto, viene pienamente colpita dalla consapevolezza di aver sbagliato tutto. Non era mai stata da sola; forse non lo sarà mai. La reazione della Greengrass ne è la prova vivente. Piuttosto che scappare, la mora le resta accanto, le stringe la mano, e attende silenziosa che Mun getti sul piatto le sue ultime considerazioni, manifestando il suo totale smarrimento. « Hai un'etica morale, hai deciso di non prendere la vita che ti è stata richiesta, sapendo che ci saresti andata di mezzo te, te ne sei assunta tutte le responsabilità anche se non stava a te farlo. Io credo che tu abbia sempre visto più del dovuto. » Un'etica morale. Quella precisa scelta di parola la porta ad abbozzare un leggero sorriso, seppur colmo di un'intrinseca amarezza. Mun si è a lungo convinta di averla un'etica, di non prendere indistintamente vite per il puro piacere di farlo. Eppure, sa che ci sono stati momenti in cui ha provato piacere, in cui si è sentita estremamente potente, in cui ha avuto la parvenza di potersi ergere al di sopra della ragione umana. Avere diritto di vita e di morte su chiunque ti cambia prospettiva, ti porta in certi momenti a pensare di avere una qualche forma di labile leva sul mondo, quando in realtà non è così, quando in realtà l'unica a essere divorata dall'interno era Mun stessa. « E tu sei troppo dura con te stessa, sei umana, sei mortale e tanto sei riuscita a sopravvivere, fino a questo momento, con un demone che ti succhia la vita, costantemente. Sei più forte di quanto tu possa credere. » Non avevo scelta. Si ritrova a pensare. Ci sono stati momenti in cui sarebbe stato più facile farla finita, smettere semplicemente di esistere, ma la verità è che non le era stata data nemmeno quella scelte. Il dubbio amletico era lontano dall'essere compreso dalla Carrow, o meglio anche solo sfiorato lontanamente. Non hai mai davvero finito con Ryuk, finché non è lui a finire con te. E in cuor suo, la mora si sentiva nelle ossa che non sarebbe stata nemmeno l'ultima volta che avrebbe sentito parlare di lui. Non poteva credere che il suo debito poteva dirsi saldato così facilmente. Perché a quel punto, vista o meno, idealmente parlando, la scelta di come trascorrere il restante dei suoi giorni poteva dirsi sua. Poteva abbandonarsi allo scompenso dovuto alle sue mancanza oppure combattere quel disagio trovando un'alternativa. E quando e se l'avesse trovata? Significava che avrebbe potuto condurre una vita normale? Le sembrava tutto troppo facile. « Beatrix Greengrass è morta il 3 Febbraio 2017. Non è mai rientrata dalle vacanze invernali ed è ufficialmente morta in un incidente stradale. Io le sono capitata tra capo e collo, il 7 Febbraio, invadendole il corpo. Una complicazione vitale, Trixie mi chiama così ogni volta. Io mi chiamo Mazikeen e conosco Ryuk, fin troppo bene. Lo conosco da tanto tempo. » No. Non è finita.
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    E quelle parole ne sono l'evidente prova. Immaginate di cadere dalla cima di una montagna, di essere trafitti da centinaia di lame contemporaneamente, di provare contemporaneamente tutte le delusioni che vi potrebbero essere inflitte in tutta una vita. Nemmeno tutto ciò, moltiplicato all'ennesima potenza possa dare la cifra del grado di smarrimento che Amunet Carrow prova nel sentirsi dire quelle cose. Beatrix è morta. Si ripete mentalmente, mentre cerca di collegare quelle informazioni tra loro. Io mi chiamo Mazikeen. Si ritrae di scatto con lo sguardo spalancato, mentre tira un lungo respiro. Non sembra trovare aria nei polmoni, si sente come paralizzata, colta in pieno da una serie di informazioni a cui non riesce a dare una collocazione ben precisa nel tempo. Conosco Ryuk, fin troppo bene. Tre. Due. Uno. Respira. Conta mentalmente tra ciascun soffio, mentre stringe i denti non sapendo a quel punto cosa fare o dire, come comportarsi. Ecco la verità è che è tanto semplice gettare sul piatto a qualcun altro le proprie verità. Si gioca in un campo che si conosce. Mun sa come reagire quando è lei a raccontare di se stessa a qualcun altro, può immaginare quali potrebbero essere le reazioni, può fronteggiarle se necessario. Ma non si è mai davvero trovata nella situazione opposta. Non si è mai ritrovata a sapere meno, a essere lei il target delle altrui verità, degli altrui segreti. E quello è un enorme segreto. Assottiglia lo sguardo confuso, mentre tenta di ripercorrere tutta la storia che vede protagonista la sua compagnia di stanza. Cosa so? Sa che Beatrix ha avuto un incidente, che prima di quelle vacanze di Natale il loro rapporto era pressoché normale, né particolarmente caloroso, ma nemmeno conflittuale. Due normali compagne di stanza; Mun sempre intenta a parlare poco e a scambiarsi parole di circostanza con la Serpeverde. Poi la svolta. Tornata a scuola era diventata diversa, ma nessuno, Mun per primo non ci aveva fatto caso. Tutti se lo erano spiegato come un effetto collaterale di quel brutto episodio. E a dirla tutta, poiché questa nuova versione di Beatrix le piaceva maggiormente, a maggior ragione ha deciso semplicemente di non farci caso. Né il fatto che la ragazza avesse insistito nel farsi chiamare diversamente, né tanto meno i chiari segnali di vivere con un'altra persona l'avevano messa sugli attenti, semplicemente perché, Mun come tutti gli altri aveva scelto di vedere ciò che le facesse comodo. A Beatrix era stato concesso il privilegio di vivere una nuova vita; chi erano loro per opporsi alle sue nuove scelte di vita? Si era persino detta fosse il suo personale modo per superare quel trauma. Nessuno più della Carrow poteva comprendere quanto fosse difficile superare determinati traumi. Parla di Beatrix al presente; come se fosse ancora lì. Altro punti unito a quelli prima. Chiude gli occhi sospira profondamente e cerca di ripassare mentalmente quanto è riuscita a metabolizzare in quegli attimi di silenzio. Maze e Beatrix sono due persone diverse - paradossalmente la cosa più facile da accettare dal suo punto di vista. Beatrix è morta, ma potrebbe essere ancora lì da qualche parte. Maze conosce Ryuk. Maze ha invaso il corpo di Beatrix. Maze non ha battuto ciglio di fronte a tutte quelle informazioni sulla Loggia, su un più che fondato oltretomba infernale. Maze lì dentro ci è stata? Non c'è un'altra spiegazione logica, seppur anche così tutto quanto risulti estremamente impossibile e improbabile e.. terrificante. C'è un mondo invisibile oltre le loro teste e quasi nessuno è in grado di vederlo. E di fronte a quelle informazioni, Mun è quasi pronta a ritirarsi, ritornare nel suo armadio e farsi piccola, richiudersi fuori dal mondo, ormai troppo sconvolta perché possa sentire altro. Se non fosse che chi ha realmente conosciuto è Maze. Lei e la sua compagna di stanza hanno iniziato davvero a legare solo quando la Greengrass è tornata in seguito al suo incidente. A quel punto deve solo capire, da che parte sta colei che Ryuk lo conosce fin troppo e bene e da tanto tempo. « Lascia che ti aiuti. Permettimi di portare il peso con te, Ryuk non può punire anche me e se anche gli venisse in mente di farlo, potrò sopportarne le conseguenze. » Come faccio a fidarmi, come faccio a crederti? Tutto ciò che la Loggia ha fatto è trarmi in inganno per trarre in inganno a mia volta altri. L'espressione di Mun non è diffidente, è piuttosto sofferente, le si legge in faccia la difficoltà e il dissidio che prova. Quella è pur sempre la sua amica, la persona di cui si è fidata ponendole tra le mani tutta la propria verità. Una verità di cui, a giudicare dalla sua reazione, non aveva la più pallida idea. « Permettimi di aiutarvi entrambi. Non so nemmeno come, ma potremmo trovare un modo. Una merce di scambio, qualcuno di più importante, posso farlo io al posto tuo.. Se mi permettessi di parlare con lui, potremmo trovare un modo. Potrei provare ad aiutarti. Fammi fare semplicemente qualcosa per te, perché io sono qui, sono con te. » Sussulta non appena le dita di lei le sfiorano la mano. E' sempre lei, si dice mentalmente chiudendo gli occhi, seppur non sappia più cosa pensare. Scuote la testa mentre un brivido le scorre lungo la schiena. « No. Niente più merci di scambio. » Ci ho già provato. Ma a dirla tutta a quel punto della storia, Mun non ne vuole più sentire. « Nessun altro si farà del male per me. Ne ho visto abbastanza.. sono stanca. »

    Dopo aver eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità. E' rimasta in silenzio per un tempo infinito senza dire altro. Potrebbero essere passati pochi minuti come ore. Non ne ha la più pallida idea, ma sa che lei è ancora lì. E Mun dal canto suo si prende tutto il tempo del mondo per calmarsi e cercare di ripensare a tutta quella storia. Non le ha detto di andarsene e nemmeno lei dal canto suo, tolto il momento iniziale, non ha mai cercato di andarsene. Lasciato scivolare accanto a sé il quaderno, si è semplicemente abbracciata le gambe, incollando le ginocchia al petto. La schiena appoggiata contro l'anta dell'armadio alle sue spalle. Ogni tanto fa un qualche strana smorfia, mentre riprende da capo tutti i ragionamenti, ancora e ancora come un cane che si morde la coda. « Non sono abituata a tutto questo. » Ammette di scatto a un certo punto con un filo di voce. « Di solito sono io a saperne una più del diavolo mentre gli altri sono prettamente all'oscuro di tutto. E poi arrivano le domande, e i dubbi, e ci si aspetta che io abbia una risposta pressoché a qualunque cosa. E quando si accorgono che non è affatto così.. bum! » Allarga appena le braccia cercando di emulare un'esplosione. La verità è che non so niente, Maze. Non ho la più pallida idea di cosa sto facendo. Non so più dove sto vivendo, in mezzo a chi sto, di chi devo fidarmi.
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    « Non so se ho capito che cosa mi stai dicendo.. ma se ho capito.. » S'interrompe, mentre la voce oltremondo odiosa di Ryuk le torna alla mente. Ce ne sono altri, glie'ha detto più di una volta. Lei per prima ha visto il suo interesse nei confronti di alcuni soggetti. Maze per prima. Ryuk non aveva mai manifestato alcun interessi nei confronti della ragazza prima del suo ritorno, anzi, se possibile, i pochi commenti che le aveva riservato la annoveravano come una bambina viziata e oltremondo superficiale. « Lei è ancora lì vero? E quindi.. se è morta, tu la stai.. mantenendo in vita. » Suona tutto così assurdo, eppure, deve ammettere Mun che nemmeno la sua storia sia delle più logiche. Riesco a uccidere le persone semplicemente scrivendone il nome. Un dio della morte mi sta tenendo sotto scacco e in tutto ciò mi ha resa cieca. Deve liberarsi delle sue gabbie mentali. Comprendere finalmente che la realtà non è ciò che appare. Lei per prima avrebbe dovuto capirlo prima ancora di trovarsi in quella situazione, eppure ha sempre cercato di negare tutto, intenta com'era a dissimulare qualunque forma di anormalità. La mia migliore amica ha legami con la Loggia, Albus Potter vomita petrolio, ed io uccido la gente col pensiero. Davvero può ancora stupirsi di qualcosa? Procede sia per deduzione che per induzione. Tenta tutte le strade tirando giù ipotesi a cui spera che la ragazza possa offrire un quadro più completo. « Se hai invaso il suo corpo.. tu.. » ..da dove arrivi? « ..vieni da lì? La Loggia. » Il posto da cui Mun ben sa che proviene Ryuk. Tenta di restare calma Mun e di procedere come procederebbe nella risoluzione di un compito di pozioni particolarmente complicato. Si trova di fronte a una formula chimica ingarbugliata. Ma è tutta matematica. « Mi hai chiesto il permesso di parlare con lui. Quindi non hai alcun canale con quello che c'è là? » O semplicemente non funziona così? Si stringe nelle spalle, passandosi le mani tra i capelli. « E' in ogni caso inutile. Ha chiuso qualunque ponte la notte della Vigilia. Non si è più fatto sentire. Nessuna forma di comunicazione. Nessun messaggio.. nessun ordine. » Sospira affondo. « Credo stia aspettando che io crolli. » Una lunga pausa che la porta a sprofondare nei propri pensieri. Quel buio è terrificante, ma mai quanto l'idea di rinnegare le proprie regole in quel gioco crudele. Si è sempre imposta di non prendersela con gli innocenti. Le sue vittime sarebbero sempre state malfattori, persone che effettivamente avevano causato danni al prossimo, che erano pericolose. Ne uccidi uno per salvare tanti altri. Quello il mantra che l'ha salvata dal vedersi appieno come un mostro. « Quella sera mi ha detto una cosa. Ha detto: se non lo fai, verrà il giorno in cui potrò raggiungere anche gli altri. » Una chiara minaccia, un avvertimento. « Ma non ha minimamente senso. Lui non può influire su questa realtà. » Al di fuori di me. Una lama a doppio taglio, perché Ryuk aveva ben saputo giocarsi le sue carte contro la ragazza, costringendola spesso a fare cose indicibili, semplicemente torturandola. Tira un lungo sospiro, celando il proprio volto tra le ginocchia saldamente incollate al petto. « Io e te abbiamo iniziato ad avere un rapporto dopo che sei tornata. Io conosco davvero solo te. Chiunque tu sia.. tu eri lì. Sei qui, adesso. » Un'ammissione che le costa tanto; Amunet Carrow, la personificazione della diffidenza, sta facendo un atto di fede. Ha imparato che farli, può essere a volte tutto fuorché stupido, e può sorprendere. « E io mi fido di te. » Mi fido di ciò che provo standoti accanto. Di come stiamo insieme. Mi fido della fiducia che volente o nolente ti sei conquistata. Deglutisce, perché sa quanto ciò le costi. Permettimi di aiutarvi entrambi. Tu sai più di quanto dici. « Ma devi aiutarmi a capire.. perché ogni qual volta io sia entrata in questo mondo, ne sono rimasta ingannata o in qualche modo fregata. Quindi ti prego, aiutami a capire, perché so che lui tornerà, e devo sapere cosa vuole, perché lo vuole. » Altrimenti non so come combatterlo, e lui continuerà a fregarmi. « Continua a dirmi che ho infranto le regole, ma la verità è che io non conosco le regole. »

    Sometimes it's hard to follow your heart.
    Tears don't mean you're losing, everybody's bruising,
    Just be true to who you are!




     
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    Ha svuotato il sacco. Si è liberata con Mun di qualsiasi peso abbia portato fino a quel momento. Si sente più leggera nell'averle raccontato la sua verità, si sente particolarmente euforica perché quella è la sua prima volta. E' la prima volta che racconta ad un mortale chi è veramente, cercando di sfuggire al suo solito mondo basato ed eretto su una costruzione di bugie continue. E' un castello di carte tutta la sua intera esistenza, se vi si toglie soltanto una di essa, crolla tutto, lasciando scoperto ciò che vi si nasconde al suo interno, la vera essenza di Mazikeen. C'è un senso di assolutamente impotenza quando si butta tutto sul piatto, quando si permette a qualcun altro di vederti dentro, di vederti per come sei veramente. Non c'è niente di più intimo di una confessione a cuore aperto, raccontare un qualcosa di talmente destabilizzante da sconvolgere tutto. Niente, né un bacio, né il sesso, né l'essere fratelli può equiparare quella sensazione di assoluta impotenza, dopo aver rigettato fuori la verità celata. Ed è così che si sente Maze mentre guarda con occhi tristi Mun. Non le parla, continua a fare smorfie, ogni tanto, tenendosi stretta a sé le gambe. E più Maze la guarda, più sente di aver rovinato qualsiasi cosa, anche quella piccola parte di sé che comprendeva l'avere una persona fidata al suo fianco. Il poterla aiutare, sapendo che lei avrebbe fatto lo stesso, poter godere della sua compagnia, della sua amicizia, senza doppi fini alcuni, poterla amare, sentendo di essere ricambiata. Una sensazione talmente umana da farle paura, alle volte, perché non c'è niente di più distruttivo dell'amore. Lei lo sa. Tutto il male che le è successo, nella sua prima vita, è da attribuire all'amore e alla paura di esso. Tutto il dolore che ha dovuto sopportare nel mezzo è per colpa dell'amore. E ora, per colpa dell'amore, si ritrova a sentirsi impotente, non più potente e divina come si è sempre creduta, ma fin troppo esposta, con tutte le sue brutture, le sue paure, le sue pene in bella vista, pronti ad essere trafitti con un semplice coltello da cucina. Pensa di alzarsi, ad un certo punto, mentre si tortura le mani, non sapendo cosa fare. Pensa di alzarsi e andarsene, lasciandola lì, perché scappare via è sempre la sua soluzione. A tutto, soprattutto quando ha paura e ora ha paura. E' forse paura di essere rifiutata, di essere ricacciata indietro quella che sente. Non è di certo la paura di essere ferita, fin troppo abituata a quella sensazione. Mentre invece è diversa quella che prova ora, mentre non sa se dire qualcosa, se provare a farsi avanti per cercare di innescare una qualche reazione in Mun. «Hai già fatto abbastanza. Fai sempre troppo, è così che sei fatta, allontani la gente perché non sei capace di tenertele vicine. Gli sbatti la verità in faccia, ferendole, sperando che ti abbandonino perché non sapresti come comportarti altrimenti. Sei una merda di persona e ora lo sa pure lei.» Trixie è perentoria, è fredda, è indebolita, è stanca e tanto sa essere così chirurgicamente lapidaria. Le parti sembrano invertirsi, mentre Maze scrolla la testa, portandosi le mani alle orecchie, sperando di poterla zittire in qualche modo, perché non vuole sentire ciò che dice. Perché è tutto vero e ora anche Mun sa tutto. « Non sono abituata a tutto questo. » Lei rompe il silenzio ed è quasi doloroso per le orecchie di Maze sentire di nuovo un suono a rompere quell'assenza di rumori. Però la sua voce costringe Maze a fermarsi e Trixie a smetterla con le sue cattiverie. Lo sguardo scatta verso la mora e si illumina di una tacita trepidazione, pronta ad accogliere le conseguenze di quel bisogno di parlare che ha soddisfatto senza pensare con lungimiranza. « Di solito sono io a saperne una più del diavolo mentre gli altri sono prettamente all'oscuro di tutto. E poi arrivano le domande, e i dubbi, e ci si aspetta che io abbia una risposta pressoché a qualunque cosa. E quando si accorgono che non è affatto così.. bum! » A saperne una più del diavolo. Un sorriso debole si insinua sul suo volto, un sorriso che si piega al volere dell'insofferenza che prova in quel momento e allora se ne va, veloce come è arrivato. Non riesce a capirla la sensazione che le sta descrivendo Mun, forse perché da Trixie prima, e poi da lei, nessuno si è mai aspettato le risposte adeguate alle loro domande. Fare la ragazza stupida è più facile. E' semplice ricoprire quel ruolo, essere quella che ti può sbattere senza impegno ma che nel cervello ha poco o niente. Nessuno si aspetta nulla da te quando sei stupida. Mentre invece quando sei intelligente come Mun, beh, si aspetta il mondo e un simile peso è difficile da portare, riesce a percepirlo tra le pieghe sofferenti della sua voce. « Non so se ho capito che cosa mi stai dicendo.. ma se ho capito.. Lei è ancora lì vero? E quindi.. se è morta, tu la stai.. mantenendo in vita.» Inarca un sopracciglio Maze, mentre per la prima volta valuta quell'opzione. Lei ha salvato Trixie dalla morte. Ha fatto rinascere la vita nel suo corpo morente. La sta mantenendo in vita. E' con stupore che si appropria di quel pensiero, facendolo loro per la prima volta. Anche Trixie, che rimane in silenzio, è scioccata di fronte a quelle parole. «Sì, suppongo che si possa dire così.» Finalmente parla anche lei, rompendo il suo di silenzio. «E' comunque qui, è dentro la testa, seppur sia io ad avere il comando della baracca.» Suona strano dirla ad alta voce, quella verità così curiosa e particolare per il mondo umano. « Se hai invaso il suo corpo.. tu..vieni da lì? La Loggia. » Annuisce, per poi ricorda che lei effettivamente non ci vede più. «Loggia Nera, è così che si chiama. Ma se preferisci anche inferno va bene. Ha ancora il suo gran fascino, per quanto mi riguarda.» Si ritrova a sorridere, quasi con affetto materno quando ripensa a quel suo mondo sotterraneo. La sua casa o quella che ha sempre creduto lo fosse. « Mi hai chiesto il permesso di parlare con lui. Quindi non hai alcun canale con quello che c'è là? » Si ritrova ad annuire con la testa, ancora una volta, per poi mettere a parole i suoi gesti. «Esatto. Ho reciso ogni filo con ciò che c'è lì da quando ho deciso di andarmene. Non sento più nulla, non vedo più nulla da quel momento.» Le si stringe appena il cuore, mentre pensa a quello che effettivamente ha lasciato nell'aldilà. E' lì che ha lasciato un pezzo del suo cuore, la parte più grande, probabilmente. Qualcosa che però non le riesce a dire, perché, ancora una volta, non è il suo turno. E' il turno di Mun che è diventata cieca per colpa del suo mondo, per colpa di qualcuno identico a lei. E' il turno di Mun e del suo voler sapere di più riguardo un mondo di cui Ryuk, molto evidentemente, non le ha detto nulla, tenendola all'oscuro di tutto, seguendo le antiche leggi. Ma Maze non ha mai seguito le regole nella Loggia, così come non le segue sulla Terra, non quando non ha assolutamente nulla da perdere. « E' in ogni caso inutile. Ha chiuso qualunque ponte la notte della Vigilia. Non si è più fatto sentire. Nessuna forma di comunicazione. Nessun messaggio.. nessun ordine. Credo stia aspettando che io crolli. » Ma tu non lo farai. Tu resisti, lo fai sempre e lo farai anche ora, contro di lui.
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    « Io e te abbiamo iniziato ad avere un rapporto dopo che sei tornata. Io conosco davvero solo te. Chiunque tu sia.. tu eri lì. Sei qui, adesso. » Maze si è sempre sentita un miraggio, una chimera messa dentro un prezioso e splendido involucro. Perché nulla che appare al di fuori è suo. Si è sempre sentita nient'altro che un abbellimento messo dentro un qualcosa di già vivente, già con una sua vita, con una sua corposa identità. E poi c'è lei. Senza corpo, ma con uno spirito forte. E ora Mun le ricorda la cosa più importante: c'è sempre stata lei, non Trixie. Quando Mun ha avuto bisogno, c'era lei, e questo deve pur contare qualcosa. « E io mi fido di te. » E vale qualcosa anche per lei. Per una volta, qualcuno decide di rimanere, nonostante tutto, con lei. Vorrebbe avvicinarsi, abbracciarla, perché chi, tra le due, è sempre stata più fisica è proprio lei. Sempre desiderosa di quel contatto fisico di cui era priva nell'aldilà, forse è proprio per questo che si ritrova ad essere così tanto dipendente da quel semplice gesto umano. Ma comunque sia, non lo fa. Rispetta i suoi spazi, solo perché è lei. « Ma devi aiutarmi a capire.. perché ogni qual volta io sia entrata in questo mondo, ne sono rimasta ingannata o in qualche modo fregata. Quindi ti prego, aiutami a capire, perché so che lui tornerà, e devo sapere cosa vuole, perché lo vuole. Continua a dirmi che ho infranto le regole, ma la verità è che io non conosco le regole. » Maze è ben cosciente di conoscere soltanto una parte di quella storia. La sua, in quel mondo oscuro e fatto di tenebra e ombra. Ognuno opera da solo, non c'è comunione di beni tra i demoni, se non il guardare nello stesso punto, il fine ultimo. «Io ti posso raccontare la mia di verità e posso provare ad aiutarti così nel decifrare il suo tassello di storia. Posso darti una chiave di lettura diversa, uno specchietto di confronto.» Prende a dire, appoggiando la schiena al baldacchino alle sue spalle. «La mia storia è che mi trovo qui per vari motivi. Ho trovato un passaggio perfetto nell'istante in cui una mia discendente, Beatrix, ha esalato il suo ultimo respiro.» E non c'è stato momento in vita mia per il quale sono stata più grata. «E uno dei motivi per cui sono qui è Albus Potter Lo so che tu sai ciò che gli sta accadendo. Non lo capisci, probabilmente, ma lo sai. «E sono abbastanza certa che sia lui che tu hai tolto alle grinfie di Ryuk, nascondendolo anche dentro la foresta.» Non le porge alcuna domanda, non vi è alcun punto interrogativo in fondo a quella che appare essere un'evidente affermazione, perché non crede di aver bisogno di una risposta da parte sua. «Albus è un tassello importante, davvero tanto, nella plancia da gioco. E' talmente importante da averci fatto scomodare due demoni, come vedi.» Scoppia a ridere per qualche secondo, rendendosi conto di quanto appaia ridicolo persino alle sue orecchie quel discorso. «Il suo nome è sin eater. Mangia i peccati delle persone, le ripulisce dall'oscurità della Loggia Nera. Un sin eater nasce quando c'è troppa popolazione demoniaca tra di voi. E' direttamente mandato dalla Loggia Bianca, per cercare di contrastare l'avanzamento delle tenebre. Con il suo potere, espia i peccati della gente e toglie il pane da sotto i denti alla Loggia Nera.» Non a quelli come me, no, alla Loggia Nera. C'è distacco nelle sue parole, c'è un volersi tenere a distanza da tutto, forse perché da quando è sulla Terra, i suoi occhi non puntano più verso quel fine comune che dovrebbero avere tutti loro, gli indemoniati. I suoi occhi puntano verso altro. Si soffermano su Mun, si soffermano su quelli come Albus e ne rimangono incuriositi, affascinati, più di quanto ormai sia affascinata da casa sua. «Ryuk lo vuole perché portare un'anima come quella di Albus nella Loggia è una mossa decisiva in questa lotta che non ha né tempo né spazio. Va avanti da anni e si gioca sul conteggio delle anime che passano da una o dall'altra parte. E' tutto così effimero, se pensi ad una semplice morte, ad un trapasso, eppure diventa così importante se lo vedi in quest'ottica. Ogni anima che passa fa pendere la barca da un lato o l'altro.» Si stringe nelle spalle, come se quella che ha appena detto è semplicemente un'altra delle sue ovvietà. «E' questo che ti ha chiesto di fare fino a questo momento, Ryuk. Ti ha chiesto di riempire la Loggia Nera di anime che facciano loro vincere la guerra.» Non vuole essere dura nel dirle ciò, ma è giusto che capisca quale sia stato il suo ruolo nel casino in cui l'ha ficcata Ryuk. «La tua anima è davvero preziosa, Mun, credimi, per questo ti ha scelto. E' probabile che l'abbia fatto ancor prima di quando ti abbia effettivamente contattata. E' così che opera. Ti osserva, ti gira intorno, si fa vedere, eppure non entra mai veramente in collisione con te, non fin quando è cosciente di aver aperto una crepa dentro di te.» Ed è la paura lo squarcio che solitamente usa per entrare, indisturbato, nella vita di innocenti, come te. «Da quanto va avanti? Da quando hai memoria di lui? Quando è stato il momento esatto in cui si è avvicinato a te?» Le domanda infine, tornando a guardarla, chiusa com'è nel suo bozzolo fatto di gambe e braccia incrociate. «Prova a ricordare, ogni dettaglio è importante per capirne le regole.»


    Edited by wanheda‚ - 30/1/2018, 00:00
     
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    Uscire allo scoperto. Di questo si trattava. Mun e Maze si trovavano in quel particolare frangete delle proprie vite in cui arrivava la resa dei conti. Una specie di personale contabilità di quanto fatto e quanto raggiunto. Forse alla fine era destino. Forse era destino che si incontrassero, che legassero così tanto in così poco tempo. Forse in fin dei conti la predestinazione - un concetto che Mun rinnegava altamente - esisteva davvero, altrimenti era impossibile spiegare come di tutte le persone del mondo, si fosse attaccata così tanto proprio a un'appartenente di quel mondo che tanto temeva e disprezzava. Erano tante le informazioni da elaborare, tante le cose su cui avrebbe dovuto rimuginarci sopra per molto tempo. Improvvisamente la fase della contrattazione e della depressione viene messo da parte, per lasciar spazio all'elaborazione non tanto di perdite e di traumi, quanto di nuovi pezzi del puzzle che non aveva considerato. Per molto tempo ha pensato di essere l'unica. Nonostante Ryuk le avesse detto più e più volte che nessuno accanto a lei era chi diceva di essere, Mun aveva sempre sospettato fosse solo un altro espediente del dio della morte per far sì che lei si allontanasse dal mondo tutto. Ci aveva messo tutto l'impegno in quell'impresa; estraniarla dal mondo, fare in modo che lei perdesse qualunque forma di appiglio con ciò che la circondava. E per molto tempo ci era riuscito, finché non aveva completamente perso presa su di lei. Non sapeva esattamente quando fosse successo, quando effettivamente Mun ha smesso di abbandonarsi alle continue attenzioni del suo fido compagno. Non sapeva se fosse stato nello stesso momento in cui aveva deciso di combatterlo, o se quel processo era iniziato molto prima. Ha appreso tante cose nell'ultima mezz'ora Mun, ma in cuor suo, sa che, nel porre determinate domande, le informazioni non avrebbero fatto altro che moltiplicarsi. « Io ti posso raccontare la mia di verità e posso provare ad aiutarti così nel decifrare il suo tassello di storia. Posso darti una chiave di lettura diversa, uno specchietto di confronto. La mia storia è che mi trovo qui per vari motivi. Ho trovato un passaggio perfetto nell'istante in cui una mia discendente, Beatrix, ha esalato il suo ultimo respiro. » Annuisce e ricollega mentalmente quanto le è stato detto. La sua compagna di stanza è quasi morta. Ma prima che succedesse effettivamente, Maze si era impossessata di lei. Anche solo l'idea di pensare il concetto di possessione le mette i brividi. Tutto sommato, Mun è sempre stata una tipa piuttosto scettica. Aveva preso in giro più di una volta Tallulah e i suoi tarocchi e a lezione di divinazione non ha mai nascosto la sua palese dote nel vedere per credere. La affascinava, il modo in cui Tallulah raccontava del futuro, il modo in cui gettava lì in mezzo ai discorsi frasi enigmatiche su mondi altri, su persone altre. La affascinavano le profezie, il modo del tutto inesatto in cui veniva esposte, quasi volessero essere tutto il contrario di tutto, qualcosa in cui tutti potessero rispecchiarsi. L'occulto, il mistero, ha sempre una sua buona dose di fascino, ma da qui al prenderlo alla lettera, al pensare effettivamente che c'è dell'altro ne passa di acqua sotto i ponti. Ed era proprio lei a pensarlo, che se ne andava a spasso in giro con al seguito un'enorme ombra dagli occhi rossi e la voce spaventosamente ruvida e calda, quasi ammagliante. « E uno dei motivi per cui sono qui è Albus Potter. » Corruga la fronte a quel punto alquanto sorpresa e confusa, scuotendo appena la testa. « Come.. » ..fai a saperlo? Da quell'ottica non l'aveva mai vista. Non si era mai posta il problema che cosa potesse rappresentare Albus Potter al di fuori della cerchia di Ryuk. Perché era così importante? E soprattutto perché era in grado - a detta di Ryuk - di "rubare" anime. Rubare anime a chi poi? Tutte domande a cui è impaziente di conoscere risposta e quindi si azzittisce prima di interromperla. « E sono abbastanza certa che sia lui che tu hai tolto alle grinfie di Ryuk, nascondendolo anche dentro la foresta. » Silenzio assenso, seguito da un leggero abbassare lo sguardo, quasi volesse intimarla a continuare. « Albus è un tassello importante, davvero tanto, nella plancia da gioco. E' talmente importante da averci fatto scomodare due demoni, come vedi. » A quellle parole scuote la testa alquanto incredula non capacitandosi di cose sia riuscita a ficcarsi in quella situazione. Sembrava a volte che fosse una specie di calamita per i guai. Sul serio siamo passate dal parlare di Potter il nullafacente a Potter tassello importante? Questo mondo non ha più senso. Un tempo sapevi precisamente quale fosse il posto di chiunque. Adesso pare proprio che ci hanno rubato le sedie a tutti e dobbiamo ricominciare da capo. « Il suo nome è sin eater. Mangia i peccati delle persone, le ripulisce dall'oscurità della Loggia Nera. Un sin eater nasce quando c'è troppa popolazione demoniaca tra di voi. E' direttamente mandato dalla Loggia Bianca, per cercare di contrastare l'avanzamento delle tenebre. Con il suo potere, espia i peccati della gente e toglie il pane da sotto i denti alla Loggia Nera. » Attenta a ciò che desideri Mun. Perché a quel punto resta pietrificata. Sta iniziando ad avere un'idea piuttosto precisa di cosa è successo e la cosa la mette a disagio. Tutto inizia ad avere decisamente più senso, e seppur meno fumosa, la questione non le risulta certo più facile da risolvere. « Ryuk lo vuole perché portare un'anima come quella di Albus nella Loggia è una mossa decisiva in questa lotta che non ha né tempo né spazio. Va avanti da anni e si gioca sul conteggio delle anime che passano da una o dall'altra parte. E' tutto così effimero, se pensi ad una semplice morte, ad un trapasso, eppure diventa così importante se lo vedi in quest'ottica. Ogni anima che passa fa pendere la barca da un lato o l'altro. E' questo che ti ha chiesto di fare fino a questo momento, Ryuk. Ti ha chiesto di riempire la Loggia Nera di anime che facciano loro vincere la guerra. » E Potter gliene ha rubata una, portandola dall'altra parte. La luce alla fine del tunnel di una questione che l'aveva attanagliata per mesi. Se solo avesse saputo di avere la soluzione a tutti i suoi problemi sotto il proprio naso, si sarebbe risparmiata un sacco di liti, sangue amaro e probabilmente avrebbero anche trovato una soluzione. E invece, Mun ha fatto al solito suo il ladro in casa d'altri, basando il suo gioco su segreti e macchinazioni. Ed ecco dove sono finita. Nel buio. Stranamente quelle parole non la colpiscono. Se un tempo l'avrebbero tormentata terribilmente, ora, quelle azioni, seppur gravino sul suo cuore, pare quasi siano sparite.. molte sono davvero sparite. « La tua anima è davvero preziosa, Mun, credimi, per questo ti ha scelto. E' probabile che l'abbia fatto ancor prima di quando ti abbia effettivamente contattata. E' così che opera. Ti osserva, ti gira intorno, si fa vedere, eppure non entra mai veramente in collisione con te, non fin quando è cosciente di aver aperto una crepa dentro di te. Da quanto va avanti? Da quando hai memoria di lui? Quando è stato il momento esatto in cui si è avvicinato a te? Prova a ricordare, ogni dettaglio è importante per capirne le regole. » Tante domande, di fronte alle quali Mun corruga la fronte piuttosto confusa. Ma nonostante tutto, dà ascolto a Maze e tenta di seguirla in quel brainstorming chiudendo gli occhi, seppur non ne abbia bisogno. Stringe i pugni e si concentra. E improvvisamente un brivido le scorre lungo la schiena mentre fa riecheggiare tutte quelle immagini che l'hanno tormentata sin da piccola. « Ho sempre visto mostri.. » Asserisce di scatto, scuotendo la testa intrappolata in quel dissidio tra il voler ricordare e lo scacciare definitivamente quelle domande dalla sua mente. « Da piccola erano ovunque. Nell'armadio, sotto il letto, fuori dalla finestra. Ma tutti dicevano che avevo solo una fervida immaginazione. » E una volta cresciuta anche lei ha iniziato a credere a quello che le dicevano. Era solo strana; sognava troppo, e a volte i sogni si trasformavano in incubi. Il sonno della ragione genera mostri. « Sto realizzando adesso, che io e Beatrix non siamo mai state poi tanto diverse. Condividiamo la morte. » Perché anche Mun è quasi morta. E' morta più di una volta nei sotterranei della grande villa dei Carrow, stesa su quel lettino metallico su cui il padre, sempre più ossessionato dall'idea di compiere un'impresa che Mun non aveva mai compreso fino in fondo. Solo ora tenta di capire cosa stesse effettivamente facendo. Solo ora inizia a domandarsi perché quel vecchio libro era così importante per lui. Che cosa hai fatto? Quale parte mi hai fatto giocare nei tuoi mostruosi piani? Scaccia quei pensieri prima che altre domande ben più intricate la scuotano dalle fondamenta. « La prima volta che ho visto Lui è stato quando sono morta. » Ed era una presenza rassicurante in tutto quel buio. Il battito cardiaco di lei si era fermato per non più di qualche minuto, ma in quella dimensione onirica, erano sembrate ore. « E poi quando è successo di nuovo, era ancora lì. Svariate volte. » Non avrebbe retto ulteriormente. Ecco perché gli ho chiesto di ucciderlo. L'ho ucciso perché lui non conosceva più limiti. Aveva perso il lume della ragione. « All'inizio non mi proponeva nulla. Ma poi, un giorno, mi ha messo di fronte a una scelta. Ed io ero così a pezzi, così stanca, così sola.. » Scuote la testa. Erano successe tante cose in quel periodo. Era stata lasciata, i suoi amici si erano allontanata da lei, ognuno aveva scelto le proprie parti, e lei si era ritrovata sola, a combattere contro il drago dentro casa e oltretutto con l'idea che loro, avevano scelto Fred. E poi c'era l'indifferenza e la paura dei suoi stessi fratelli, di sua madre. Non aveva nessuno che le tendesse una mano. Era sola. E lì ad attenderla c'era solo Ryuk. Sospira profondamente, lasciandosi scuotere da quella sensazione che continua ad avere effetti negativi su di lei. Se non ci penso vivo. Vivo per inerzia. Appena ricordo, brucerei il mondo tutto. « Non ce la facevo più. » La voce si spezza e una lacrima scende indisturbata lungo la sua guancia. « Non riuscivo a sopportare oltre, Maze. » Continua battendo i piedi rumorosamente per terra, mentre si morde il labbro inferiore cercando di dominare quella crisi di pianto. E ora sono punto e a capo. Di nuovo come prima. Dalla brace alla padella. Passo dalle mani di un mostro a quelle di un altro. « E quindi gli ho detto di sì. » La rabbia è talmente tanta, che come presa da un istinto involontario, stringe il quaderno tra le mani con una tale forza da volerlo quasi spezzare a metà.

    Il silenzio sprofonda nella stanza per un po'. « E' stupido. » Asserisce di scatto colma di rancore. « I suoi giochi gli si sono rivolti contro. E' stato fregato da due ragazzini. Ti rendi conto? » Ride con fare sarcastico mentre si asciuga le lacrime in un moto di rabbia. E probabilmente è ciò che lo ha fatto arrabbiare maggiormente. Essere fregato così platealmente dal gioco sbilenco di due soggetti strambi che non avevano la più pallida idea di cosa stessero facendo. Sempre approssimativi, non hanno mai saputo cosa stessero facendo.
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    « Sin da quando l'ho conosciuto, Ryuk non è mai stato intrigato quasi da nessun essere umano. Alcuni tuttavia hanno sempre destato la sua curiosità. Tu hai iniziato a destare la sua curiosità quando sei tornata. Ora ha tutto senso. » Compie una leggera pausa mentre tenta di ricordare i pochi soggetti a cui si è interessato. Tu eri una di loro Maze. E ce ne erano anche altri. Valuta l'idea di chiederle quanti altri ce ne sono in giro per il castello, ma decide di tenersi quelle domande per un secondo momento. « Li prendevamo in giro insieme. Io e lui contro il mondo intero. » Pausa. « Potter non era diverso da altri ai suoi occhi. Non all'inizio. Non c'è mai stata una volta in questi due anni in cui abbia manifestato alcun interesse nei suoi confronti. » Era accaduto di botto, dopo che le loro vite erano iniziate a orbitare nuovamente l'una attorno all'altra. « Sono stata io a fargli questo. E' colpa mia se sta così.. il primo è stato il mio. » Asserisce di scatto ben consapevole del fatto che tutto era cominciato in seguito alla prima confessione. Lui stesso le aveva rivelato che qualcosa di decisamente strano gli era successa in seguito a quella serata passata sul sentiero che collega Hogsmeade a Hogwarts. E quella consapevolezza la colpisce a quel punto come un fiume in piena. Un treno ad alta velocità che la investe senza preavviso, lasciandola lì in mezzo a quella landa desolata confusa e dolorante. Il ladro di anime. Resta in silenzio per un po'. « Capisco quello che dici. » Esordisce quindi di scatto. « L'altra sera Lui era pronto a sacrificare tutto il suo duro lavoro degli ultimi due anni pur di ucciderlo. C'era quasi.. » Apre il quaderno di fronte agli occhi della ragazza, iniziando a sfogliarlo. Non ha bisogno di guardarlo per sapere dove fermarsi. Ne conosce a memoria ogni pagina. Sfoglia una miriade di pagine, trentadue per l'esattezza. La trentatreesima è riservata a tutti i nomi che Mun ha deciso di scrivere in modo sbagliato per ben quattro volte, sottraendoli al giudizio di Ryuk. Ci sono tutti i suoi amici; si sono aggiunti nel tempo sempre di più, e verso il fondo, c'è anche il nome di Maze, anche il suo ripetuto quattro volte e scritto ogni volta in maniera erronea. Sulla trentaquattresima invece ci sono le sue vittime. Quando ha confessato ad Albus di averne ucciso il primo, il nome è scomparso, così come è scomparsa la stella assegnata a Judas Leroy sulla sua schiena. « Quanti ne conti ancora? » Le chiede quindi indicandole con l'indice la pagina adiacente a quella dei nomi sbagliati. Improvvisamente decide che è troppo, che a forza di arrovellarsi attorno a quei problemi è inutile. Tutte quelle informazioni hanno bisogno di essere metabolizzate, sedimentate. Ha bisogno di tempo per unire tutti i puntini; tempo e pazienza, e soprattutto una lucidità che ora non ha. E' tutto troppo fresco, è successo tutto troppo in fretta. E così, allunga appena la mano, cercando quella della ragazza nel buio. Non appena ne tasta le dita fredde come le sue, la avvolge con entrambe le sue e vi possa un leggero bacio sulle nocche. Affetto e gratitudine. Bisogno di sentirla vicina. Di sapere che è ancora lì. « Spiegami come funziona questa cosa. Come sta Beatrix? » Le sembra così ipocrita chiedere della sua vecchia compagna di stanza. Non è che Mun e Beatrix non siano mai andate d'accordo. Era che non sembravano compatibili. A lei non piaceva tutto quel parlottare della giovane Greengrass. La compagna invece era certa trovasse alquanto antiquate tante delle sue abitudini. A partire dalla musica che sentiva, ai libri che leggeva, al modo maniacale di mantenere la pulizia sia nella stanza che nel loro bagno comune. Mun poi, parlava poco ai tempi, era poco incline al aprirsi col prossimo, e certo tutto quel superficiale moto di Beatrix non l'aveva mai messa a proprio agio. Anche Maze le era sembrata simile inizialmente, ma non appena era tornata aveva avuto la sensazione che qualcosa era profondamente cambiato nella compagna di stanza. E ne era rimasta stranamente incuriosita, al punto da portarle a scambiarsi sempre di più, finché il lockdown non aveva definitivamente suggellato quel loro strano quanto intricato legame. « Ci sente? Mi sente? » Un leggero sorriso si allarga sulle proprie labbra. Per la prima volta vorrebbe poterla guardare negli occhi per chiederle scusa di non averle mai dato una vera opportunità quando era ancora in vita. « Come la gestite? Come.. » S'interrompe di scatto stringendo la mano di lei con più decisione. « Ora che so, devi sapere che io ci sono. Se hai bisogno di qualunque cosa, se vuoi parlare di questa cosa, se vuoi sfogarti - o anche non sfogarti, io non vado da nessuna parte Maze.. e Beatrix. » Un altro sorriso si distende sulle sue labbra. « Ciao comunque. Ora che non puoi rispondermi posso dirti che tutto quel parlottare era davvero snervante. E.. mi dispiace che non ci siamo mai date una vera chance. »


     
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    Vuotare il sacco fa paura, ma non avere più alcun segreto sulla propria schiena è decisamente strano. Maze sta lì, che ascolta Mun raccontarle la storia della sua vita, e si sente strana. Non bene, non male, non svuotata, non piena. E' incapace di dare una definizione concreta a quel sentimento che prova. E' solo dannatamente diverso da tutto quello che ha provato in quel momento. E' sempre stata una ragazza incline al dire le cose come stanno, dalla lingua biforcuta e senza alcun pelo sopra, ma quando si tratta di parlare della sua vera se stessa, beh, è decisamente diverso. E la cosa ancora più assurda è che Mun è ancora lì. Non è scappata via, non ha cominciato ad urlare, sperando che qualcuno arrivasse ad aiutarla ad affrontare la mostruosa creatura che ha invaso il corpo della sua compagna di stanza. E' ancora lì, che tenta disperatamente di venire a capo di quella situazione assurda, cercando di connettere i vari punti che ha capito di aver incontrato, nel corso della sua relazione complicata con Ryuk. « Ho sempre visto mostri.. Da piccola erano ovunque. Nell'armadio, sotto il letto, fuori dalla finestra. Ma tutti dicevano che avevo solo una fervida immaginazione. » Il pressapochismo è una dote che ha sempre detestato nella razza umana. Quando si è di là, non c'è spazio alle indecisioni, al "Sì, ma forse non è come appare veramente", a tutte le sfumature che intercorrono tra il bianco e il nero. No, è tutto più reale, più definitivo, non c'è spazio ad una seconda via, no, c'è solo il nero e stop. Mentre invece capisce che Mun ha dovuto affrontare tutti i colori intermedi. Ha dovuto scontare l'indifferenza altrui, si è trovata di fronte all'ignoranza umana che preferisce trovare una soluzione pratica ad un problema che altrimenti sarebbe spiegabile solo in modi astratti. Lei vedeva i mostri e la gente la definiva creativa, per non dire che era semplicemente pazza. « Sto realizzando adesso, che io e Beatrix non siamo mai state poi tanto diverse. Condividiamo la morte. La prima volta che ho visto Lui è stato quando sono morta. » Si riscopre a sapere poco o nulla di Mun. Lei le parla della sua infanzia, come non è mai successo prima tra di loro, quando i discorsi affrontati ruotavano intorno a quale fosse il colore migliore da abbinare agli occhi chiari di entrambe o quale fosse il capo più sexy di entrambi i loro armadi. Le cose si complicano, inevitabilmente. Quando ti crogioli sugli allori, pensando di essere a posto, che qualsiasi cosa il mondo deciderà di farti trovare in mezzo al cammino, tu sarai in grado di affrontarlo, è proprio in quel momento che comincia la salita. E loro solo lì, ai piedi della montagna, su una valle scoscesa, mentre cercano di capirsi a vicenda, di conoscersi a vicenda, per poi magari ricominciare a fidarsi l'una dell'altra e aiutarsi così a risalire il pendio. Così, seppur tristemente, annuisce alle sue parole, perché le comprende. «La morte è il passaggio propizio per passare dal nostro mondo al vostro. E' un evento raro e speciale perché c'è quel filo labile tra la vita e la morte che si assottiglia ancora di più e ci permette di attraversare. E' la trasmigrazione più facile da cogliere.» Vorrebbe aggiungere qualcosa riguardo la possessione, ma non lo fa. Con il senno di poi, la definizione che ha dato Mun della sua situazione è sicuramente quella che preferisce. Sta mantenendo in vita il corpo di Trixie, non lo sta possedendo come un inquilino indesiderato. « E poi quando è successo di nuovo, era ancora lì. Svariate volte. All'inizio non mi proponeva nulla. Ma poi, un giorno, mi ha messo di fronte a una scelta. Ed io ero così a pezzi, così stanca, così sola.. » Sospira, Maze, di fronte alla fragilità umana, di fronte a quello sgretolarsi che riesce a percepire nella voce di lei. E' sfinita Mun, lo sente, lo sa. Non ne può più, eppure è ancora lì, non si è abbandonata a se stessa, non ha messo fine alla propria vita, come probabilmente avrebbe fatto lei, nei suoi panni. Come ha provato a fare, un paio di volte. No, Mun è diversa. Mun è forte, Mun sopporta, Mun va avanti, non importa cosa le succeda, lei si impunta, può crollare magari, come fa in quel momento, ma si rialza alla fine. Le sue parole glielo testimoniano. « Non ce la facevo più. Non riuscivo a sopportare oltre, Maze. E quindi gli ho detto di sì. » Sentirla piangere, vederlo fare la ferisce. Non poterle stare accanto la ferisce. Ha paura anche ad avvicinarsi. Ma la paura del rifiuto è così umano e tangibile in lei da costringerla a rimanere sul posto, stringendo i pugni per non spingersi in avanti verso di lei. « E' stupido. I suoi giochi gli si sono rivolti contro. E' stato fregato da due ragazzini. Ti rendi conto? » Si unisce alla sua risata ed è vero piacere e gusto quello che prova nel ridere del demone della morte. Prova una smodata ilarità nell'immaginarselo nella Loggia Nera a leccarsi le proprie ferite, ferite inferte da due ragazzini di nemmeno venti anni. Ahia, quanto sei caduto in basso, Ryuk. Quanto? Battuto al tuo stesso gioco, deve bruciare così tanto. « Sin da quando l'ho conosciuto, Ryuk non è mai stato intrigato quasi da nessun essere umano. Alcuni tuttavia hanno sempre destato la sua curiosità. Tu hai iniziato a destare la sua curiosità quando sei tornata. Ora ha tutto senso. Li prendevamo in giro insieme. Io e lui contro il mondo intero. Potter non era diverso da altri ai suoi occhi. Non all'inizio. Non c'è mai stata una volta in questi due anni in cui abbia manifestato alcun interesse nei suoi confronti. Sono stata io a fargli questo. E' colpa mia se sta così.. il primo è stato il mio. » Annuisce, silenziosamente, valutando le sue parole. E' stata Mun ad attivare il suo potere, c'era quasi da aspettarsela la reazione di Ryuk, una volta che Albus si è andato palesando per quello che è veramente. E' diventato un faro luminoso e minaccioso ai suoi occhi. «Se non fossi stata tu a fare la prima confessione, sarebbe sicuramente stato qualcun altro. Non è colpa tua. Albus è nato così. Il gene dei sin eater rimane dormiente fin quando non viene attivato, ma è sempre lì, latente, dalla nascita. Si sarebbe rivelato prima o poi, con te o senza di te. Non prenderti colpe che non sono tue.» Tenta di farle capire che lei non ha commesso nessun errore. Non è colpa sua se Albus è quello che è, se è diventato un bersaglio mobile per molti dei demoni della Loggia. Lui è così, indipendentemente da quello che lei possa avergli
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    detto o fatto. « L'altra sera Lui era pronto a sacrificare tutto il suo duro lavoro degli ultimi due anni pur di ucciderlo. C'era quasi.. » La guarda, mentre sfoglia nervosamente il quaderno che ha tra le mani e allora si spinge in avanti, scivolando sulle ginocchia, quasi a volerla aiutare. Ma no, lei sfoglia e sfoglia convulsamente, fin quando non si ferma. « Quanti ne conti ancora? » Abbassa lo sguardo e comincia a contare. Nomi su nomi, sono troppi. Deduce che siano le persone che Ryuk l'ha costretta ad uccidere. Scrolla la testa e decide che non le darà una risposta che possa farla sentire ancora più male. Ed è quando rialza gli occhi, Mun si allunga per prendere una delle sue mani. Lei glielo lascia fare e per qualche istante rimane senza fiato, pietrificata di fronte a quel contatto che non si aspettava di poter avere, non in quel momento. Lei le bacia le nocche e Maze riprende a respirare, mentre dentro di lei si scioglie il fiume che si era andato congelando, dal momento in cui le ha rivelato chi è veramente. « Spiegami come funziona questa cosa. Come sta Beatrix? Ci sente? Mi sente? » Deglutisce, mentre Trixie decide di tornare a farsi sentire, dopo attimi e attimi di silenzio assordante. «Dille che ci sono. E dille che questo paio di pantaloni le sta davvero male.» Maze ridacchia, mentre stringe forte la mano di Mun stretta alla sua. «C'è, è qui, ti sente. Dice che questi pantaloni non ti rendono giustizia, a dire il vero.» «Le hai decisamente indolarato la pillola. Le stanno proprio male.» Sei assurda, riesci a pensare alla moda anche nelle tue condizioni.Fa un sorriso, mentre ricomincia a sentire la sofferenza di Beatrix, immediatamente. Respira a fondo, mentre cerca di contrastare quella voglia di sangue. Stringe gli occhi qualche secondo, mentre la prega di controllarsi perché non riesce a sentire altro che lei che si dimena e si strugge. «Potrebbe stare meglio, diciamo così. Ho fatto un errore di valutazione, qualche giorno fa e beh, al momento il suo corpo mi sta leggermente sfuggendo di mano, ma ci stiamo lavorando. Troveremo una soluzione.» Dire certe cose ad alta voce le fa strano. Poter parlare apertamente con qualcuno della sua situazione è liberatorio, è come sentire un peso che lentamente abbandona il proprio corpo. Le dà sollievo. « Come la gestite? Come.. Ora che so, devi sapere che io ci sono. Se hai bisogno di qualunque cosa, se vuoi parlare di questa cosa, se vuoi sfogarti - o anche non sfogarti, io non vado da nessuna parte Maze.. e Beatrix. Ciao comunque. Ora che non puoi rispondermi posso dirti che tutto quel parlottare era davvero snervante. E.. mi dispiace che non ci siamo mai date una vera chance. » Maze scoppia a ridere, inevitabilmente, mentre sente che potrebbe mettersi a piangere da un momento all'altro. Perché liberarsi completamente di qualcosa porta le lacrime, segno inequivocabile di quella zavorra che finalmente ti lascia respirare, senza alcun freno. Ma si trattiene, tirando su con il naso, mentre decide che il farsi avanti di Mun le stia dando campo aperto per muoversi in avanti. E così scivola ancora un altro po' avanti, fin quando non si ritrova alle spalle di lei e l'abbraccia, forte, stringendosela al petto, come una madre farebbe con sua figlia. O così Maze ha sempre immaginato che potesse fare una madre. Le bacia la testa, avvolgendola senza dare l'impressione di volerla abbandonare a breve. «Diciamo che io sono il capitano della nave. Però lei è sempre qui, nella mia testa, presente. Mi aiuta, mi consiglia, parla troppo ed è davvero snervante alle volte, hai ragione, ma è davvero una compagna di viaggio meravigliosa.» Gli occhi le si inumidiscono istintivamente e questa volta lo sa che quelle lacrime sono di entrambe. Un emozionarsi a vicenda per la vicinanza e la sorellanza che ormai si è andata creando con l'altra. «Anche se ha davvero dei gusti terribili in fatto di uomini, devo ammettere.» Si ritrova a commentare, mentre la sente ringhiare nella testa. «Non ti azzardare, Maze, ti meno, mi rimetto in forze e ti vengo a cercare. Lo faccio, giuro.» «Ci credi che è mezza innamorata di tuo fratello?» Boom, sganciata la bomba, mentre cerca di far distendere nuovamente la situazione, almeno per qualche istante, prima di tornare a lei. «Tu lo sai vero che ero seria riguardo Ryuk? Se c'è qualcosa, qualsiasi cosa, che io possa fare per aiutarti, trovare qualche collegamento, qualche informazione, qualcosa che ti possa tornare utile per distruggere questo filo tormentato che ti lega a lui, io ci sono. Con tutte le scarpe, fino alla fine.» Le parole le sfuggono di bocca, con una certa naturalezza. Come se fossero sempre state destinate a lei. «Se tu vuoi, io sono qui.» Riprende a dire. «Se tu mi vorrai, io sarò la tua persona, perché sono dalla tua parte, qualsiasi cosa accada.»

    When enemies are at your door
    I'll carry you away from war
    If you need help, if you need help.
    Your hope dangling by a string
    I'll share in your suffering
    To make you well, to make you well.


     
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    « Se non fossi stata tu a fare la prima confessione, sarebbe sicuramente stato qualcun altro. Non è colpa tua. Albus è nato così. Il gene dei sin eater rimane dormiente fin quando non viene attivato, ma è sempre lì, latente, dalla nascita. Si sarebbe rivelato prima o poi, con te o senza di te. Non prenderti colpe che non sono tue. » Comprende appieno cosa Maze sta tentando di dirlo, e in un certo qual mondo sente quelle parole come davvero sincere. Se doveva succedere sarebbe successo in ogni caso. E' certa che prima o poi una qualche confessione avrebbe in ogni caso messo il giovane Potter in condizione di rivelare la sua vera natura. Il problema non è quando, il problema è perché. E quel perché sta ormai attanagliando il suo animo sin da quando, arrivata al punto di rottura aveva semplicemente ammesso a se stessa di starci male per come erano andate le cose. Mun, ci stava male e in cuor suo odiava il fatto che che avesse abbandonato quella stanza lasciandola giacere da sola in un armadio per chissà quanto. « Il problema è che sono stata io. » Proprio io. Ammette amaramente mentre un sorriso colmo di desolante incertezza le sfiora il volto per un solo istante. Non le dà altre spiegazioni in merito, perché in fin dei conti nemmeno lei sa quale sia il problema. C'è solo un terribile disagio che continua a ronzarle tanto in testa quanto nell'anima, come se un pezzo del puzzle fosse saltato e le fosse sfuggito, non dandole la possibilità di vedere l'immagine intera del quadro che sembrava avere sotto il naso. Ecco sì; il problema non era il fatto che a far scattare quel meccanismo dei sin eater fosse Mun, era il fatto che fosse proprio lei, ciò che aveva portato. Sensi di colpa mastodontici attanagliavano di conseguenza il suo animo, perché non si può vivere nell'ombra, mantenere così tanti segreti tutti insieme, comportarsi come un ladro in casa propria, senza arrivare poi ad un certo punto in cui esplodi. E Mun era esplosa. A tal punto da fregarsene altamente di tutte le regole che Ryuk le aveva imposto, a tal punto da scavalcare la stessa segretezza che il dio della morte le aveva più e più volte postulato. Avrebbe calpestato la sua stessa vita in quel momento se fosse stato necessario, ma non sarebbe rimasta in silenzio un altro minuto. Perché paradossalmente, il dio della morte, aveva scatenato una reazione a catena. Un pezzo dopo l'altro, i tasselli del domino stavano crollando, e la Carrow non aveva alcuno strumento per impedire loro che continuassero a sgretolare pezzo per pezzo tutte le regole su cui si sorreggeva la sua esistenza. Convinzioni su convinzioni che erano una dopo l'altra crollate. La sua stessa compagna di stanza, ingarbugliata in questioni che pensava stessero attanagliando solo lei. Quanti altri erano rimasti intrappolati in un modo o nell'altro nella stessa gabbia? Quante anime in un modo o nell'altro erano legate a doppio filo a quella realtà altra?
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    « Non è una colpa.. è così e basta. » E basta, già. Rassegnazione e un nodo alla gola la obbliga a sospirare profondamente, mentre lascia vagare gli occhi privi di luce in un ambiente che per lei non esiste più. Rabbrividisce all'idea di tutto quel malessere che piano piano riemerge tutto assieme. Si sente stupida, e debole, e terribilmente fuori posto, quasi come se lentamente quel luogo, quelle trappole, quel continuo vivere senza regole precise e senza un ordine ben prestabilito, la sciupasse dall'interno. Io così non ci so vivere. Questo posto mi uccide. « C'è, è qui, ti sente. Dice che questi pantaloni non ti rendono giustizia, a dire il vero. » Sorride la Carrow e quelle parole riescono a distrarla. Non c'è da stupirsi che le recensioni di Beatrix sulla sua mise non siano delle migliori. D'altronde, ultimamente il suo armadio è peggiorato decisamente. Con le continue incursioni nella foresta proibita ha dovuto fare a meno di sempre più capi del vestiario che insieme avevano messo insieme, e così alla fine si era accontentata di un paio di jeans che le stavano decisamente troppo larghi, una camicia di flanella, qualche maglione e quel orribile paio di anfibi che aveva trafugato da uno dei tanti corpi. Ormai, la Carrow, al suo aspetto ci pensava sempre meno e se prima ancora qualche gentilezza se la concedesse ancora, la foresta proibita, quel luogo grigio e desolato l'aveva completamente deturpata di qualunque senso e percezione di bello. « Quando usciremo di qui, ti prometto non mi vedrai più con addosso un paio di pantaloni per i prossimi vent'anni. » E infatti, Mun è sempre stata una tipa ben poco incline ai jeans, ma anche a qualunque forma di pantalone in generale; ben più attirata dalle gonne, dai vestiti, da qualunque cosa esalasse femminilità allo stato pure, anche in quelle situazione in cui un po' di comodità non avrebbe certo fatto male. No.. niente più pantaloni. Anche se a ben vedere, non è che io avrò più poi tanto modo di lamentarmi di come mi stanno le cose addosso d'ora in avanti. A quel pensiero sospira cercando di nascondere la velata smorfia colma di amarezza che le attraversa il viso. « Potrebbe stare meglio, diciamo così. Ho fatto un errore di valutazione, qualche giorno fa e beh, al momento il suo corpo mi sta leggermente sfuggendo di mano, ma ci stiamo lavorando. Troveremo una soluzione. » Errore di valutazione. Stringe di rimando la sua mano con più forza cercando di raccogliere tutta la premura che vuole trasmetterle in quel gesto. Sospira profondamente; si sente impotente di fronte a quelle frasi, colme di amarezza. « Maze.. » Esita, perché ribadirle di essere lì per qualunque cosa sarebbe un'inutile ripetizione, oltre che una frase sopravvalutata. La verità è che non può fare molto, lo sa Mun. Non ha nemmeno idea di dove si trovi la porta rispetto al punto in cui si trova in quel momento. « ..quando vorrai, se lo vorrai, la troveremo insieme. » E di rimando a quella parole la stretta si fa ancora più ferrea. Non si è mai sentita più vicina alla ragazza come in quel momento. « Io.. io non so perché.. » Non so perché nonostante tutto, nonostante ciò che mi hai confessato ma.. « ..non c'è cosa che non farei per te. E voglio che tu lo sappia. » Respira, mentre tenta di trovare le parole giuste. « Io e te siamo scampate all'inferno, in un modo o nell'altro, siamo due fuggitive. E in quella prigione non ci torniamo più. Usciremo di qui.. te lo prometto. » Costi quel che costi. « Diciamo che io sono il capitano della nave. Però lei è sempre qui, nella mia testa, presente. Mi aiuta, mi consiglia, parla troppo ed è davvero snervante alle volte, hai ragione, ma è davvero una compagna di viaggio meravigliosa. Anche se ha davvero dei gusti terribili in fatto di uomini, devo ammettere. Ci credi che è mezza innamorata di tuo fratello? » La ascolta e a tratti riesce a sentire l'emozione che traspare dalle sue parole, a tratti invece percepisce il suo leggero fastidio. E riesce a sorridere di fronte a quelle parole, mentre corruga la fronte. « Un'altra anima colpita dal fascino dei Carrow. » Riesce persino a scoppiare a ridere di fronte a quella sdrammatizzazione estrema. « Dal modo in cui ne parli, immagino che non concordi più di tanto. » E non c'era nemmeno bisogno che Maze le rispondesse. Aveva notato il freddo comportamento che aveva adottato nei confronti di suo fratello, nonché i non pochi commenti cinici rilasciati in merito. E non voleva immischiarsi a dirla tutta. Quelli erano decisamente affari loro, e Mun non avrebbe mai tentato di ostacolare o premere per un'unione che evidentemente era troppo complicata. Sapeva con certezza che ad Ares Maze piacesse, o forse a piacergli era Beatrix. A quel punto non ne era più certa. Non sapeva quali fossero di preciso le sue tangenze e in quale momento si fossero estrinsecate nei confronti delle ormai due anime a cui stringeva la mano. « Non mi intrometterò. Solo una cosa ti chiedo.. non spezzargli il cuore. » Compie una leggera pausa, tempo in cui sospira. « Tra i due, Ares è sempre stato quello più di cuore. Si merita di essere felice. Molto più di quanto se lo meritano tanti di noi. » E in questo ci crede fermamente. Altruista, sempre pronto a dare una mano, intelligente, a tratti così brillante da lasciar spiazzati la maggior parte delle persone che avesse attorno, Ares era il prototipo del bravo ragazzo con una punta di accidia degna di Salazar. Purtroppo non sapeva scegliere le sue battaglie, il più delle volte era sin troppo ingenuo e viveva forse ancora in un mondo idealizzato. « Tu lo sai vero che ero seria riguardo Ryuk? Se c'è qualcosa, qualsiasi cosa, che io possa fare per aiutarti, trovare qualche collegamento, qualche informazione, qualcosa che ti possa tornare utile per distruggere questo filo tormentato che ti lega a lui, io ci sono. Con tutte le scarpe, fino alla fine. Se tu vuoi, io sono qui. Se tu mi vorrai, io sarò la tua persona, perché sono dalla tua parte, qualsiasi cosa accada. » E a quel punto Mun si lascia completamente avvolgere dall'abbraccio di lei, quasi come fosse una seconda guaina, una corazza naturale atta a proteggere quelle da lei stessa costruite. Chiude gli occhi e abbandona la testa contro la sua spalla, mentre le dita si stringono attorno alle sue esili braccia. E annuisce. Annuisce con convinzione perché non dubita minimamente delle sue parole. « Lo so. » Sussurra trasformando la stretta sul braccio destro una gentile carezza che si muove avanti e indietro lungo la sua pelle delicata. « E io ti vorrò sempre. » Nessun dubbio su ciò. « Sempre. » Ribadisce con più convinzione. « Anche se dovessi aver bisogno di aiuto a seppellire un cadavere, anche se dovessi fare la cosa più orribile al mondo, io ti vorrò sempre e sarai sempre la mia persona. Ed io sarò la tua. Finché lo vorrai.. finché.. ci sarò.. su questa terra. E anche oltre se potrò. » Lascia che quelle parole scivolino con genuinità dalle sue labbra, perché vuole che Maze sappia che non ci sarai mai un momento in cui non potrà contare su di lei. Per quel poco che potrò fare in queste condizioni, io Maze, non ti lascio. « Ma Ryuk è una mia responsabilità. Se dovesse ripresentarsi l'occasione, credo questa sia una mia battaglia. L'ho scaricata così a lungo e guarda dove mi ha portata. Ho cercato di chiedere aiuto, di lasciare che qualcun altro ergesse una metaforica spada infuocata per me. » Si stringe nelle spalle mentre continua ad accarezzarle il braccio. « Ma se ci sarà modo, Maze, credo sia tempo di capire se sono un'amazzone o una codarda. E se non dovessi essere un'amazzone, credo sia giusto che io.. soccombi. » Deglutisce di fronte a quelle parole. Il punto è che non si può sempre aspettare che il cavaliere sul destriero alato arrivi a salvare la situazione. Nemmeno i cavalieri solitari hanno risorse infinite e forze perpetue. « A forza di non prendermi le mie responsabilità mi lascio sfuggire tutto. Per sopravvivere, non vivo comunque. E scoprirai mia cara Maze, a forza di tornare a vivere su questa terra, che scendere a compromessi sulla propria vita, diventa davvero insopportabile a un certo punto. Gli anni passano e ti stufi di vivere nel limbo. » Una consapevolezza quella che accoglie con strana serenità. « Ma se vuoi aiutarmi, una cosa sola ti chiedo. Resta in ascolto; qualunque cosa dovessi sentire sul suo conto, potrebbe essermi utile. » Pausa. « Per il resto.. questo è il mio drago. » E tra me e lui qualcuno soccomberà. Ad un certo punto succederà.


     
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