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    So, so you think you can tell Heaven from Hell, blue skies from pain.
    Can you tell a green field from a cold steel rail?
    A smile from a veil? Do you think you can tell?

    Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane. Giorni di incessante tortura. In assenza d'altro non le era rimasto che pensare. E aveva pensato, ancora e ancora, di continuo, perché nulla le era rimasto oltre a quello. Persino le azioni più semplici che della sua quotidianità hanno sempre fatto parte, ora appaiono impossibili da svolgere. Le manca affacciarsi alla finestre e respirare l'aria di quell'oscuro mattino che ogni giorno si è profilato per quasi due mesi al rintocco della sveglia; persino quella luna piena perennemente erta nello stesso punto nel cielo, è un'immagine che sembra mancarle. Le manca potersi aggirare per i corridoi con i libro tra le mani, osservare quelle erranti figure dei suoi compagni sempre intenti a darsi da fare. Ma più di tutto le mancano le cose semplici, guardarsi negli occhi allo specchio e infondersi ogni mattina la fiducia di poter sottoporsi ai rischi di un nuovo giorno. Amunet Carrow ha sempre trovato la forza necessaria per navigare nel mare della vita dentro di sé, si è spesso autoelogiata, decantandosi e ammirandosi quasi come se una parte del suo spirito fosse in grado di sottrarsi dal suo stesso corpo per compiere un giro completo a trecentosessanta gradi di se stessa riuscendo a carpire tanto il bello quanto il brutto. E' questo il problema di avere troppa consapevolezza di sé; si finisce per non averne affatto. La sicurezza, finisce per diventare insicurezza. Più si è in grado di vedere, più l'autocritica si fa spietata, e paradossalmente la terra ferma sotto i propri piedi manca un po' di più ogni santo giorno. In mancanza dell'esaltazione di quello sconfinato egocentrismo, in mancanza di qualsiasi strumenti per guardare al di fuori di sé, le resta solo guardarsi dentro. Volente o nolente, la Carrow è costretta ad abbandonare la superficialità; che le piaccia o meno la superficie non esiste più, gli involucri sono venuti lentamente a mancare, e tutto si è trasformato nella melma grigiastra che i suoi occhi percepiscono tanto da chiusi quanto da aperti. I suoi si sono lentamente andati a intensificare, faceva grande affidamento sul tatto, ma per lo più tanto l'uno quanto l'altro erano una mera gratificazione di fronte alla punizione. Non ce ne era una peggiore. Smettere di sentire sarebbe stato un sollievo, ma non vedere era come toglierle qualunque sicurezza, alienarla in ogni modo possibile e immaginale, toglierle la possibilità di approcciarsi al mondo nella sua dimensione più terrena. Per un po' ha cercato di evitare persino di credere che fosse vero, poi ha iniziato a pregare, e infine è iniziato il periodo della contrattazione, dopo giorni avvolti da rabbia e frustrazione. Sta iniziando a negoziare con se stessa Amunet. Quella miriade di se che a volte assumono tratti fatiscenti e illusori. Se guarisco farò tutto ciò che non ho mai fatto. Scapperò, lontano, vedrò tutto ciò che non ho mai visto, farò tutto ciò che non ho mai fatto. Nella fase di contrattazione, Amunet Carrow decide che quel se diventerà la giustificazione al suo desiderio di non scendere più a patti. Se vedrò di nuovo, non distoglierò più lo sguardo. Tutte ipotesi labili, che si consumano con la stessa rapidità con cui arrivano, perché in cuor suo sa qual è il prezzo perché torni quella di sempre. Un prezzo che non pagherà, perché paradossalmente limiterebbe la sua stessa gamma di se. E allora che senso ha decidere di non scendere a patti, se lo stesso non scendere a patti, significa adempiere a un patto specifico? Nel dubbio dorme. Più del solito. E' riuscita a superare i limiti confinanti di quelle quattro assi di legno, ma non si è mai spinta oltre il perimetro circoscritto della stessa stanza. Nella fase di contrattazione, ha iniziato in parte a riprendere il controllo della sua vita. Fa piccoli passi, contandoli. Dal letto in cui si costringe ostinatamente da un paio di giorni e fino al bagno ci sono precisamente trenta passi; dal letto e fino alla porta che getta sul corridoio ce ne sono altri ventitré. Per arrivare alla scrivania ce ne sono dodici. Diciassette per la libreria. Il comodino e a un braccio di distanza. Dentro il bagno, sono cinque passi a sinistra per il gabinetto, altri tre a destra per la cabina doccia, il lavandino è davanti. Gli asciugamani sono in basso, il sapone a destra, il dentifricio anche. La vita di Amunet Carrow si è ridotta a un paio di numeri e la matematica elementare. Se dalla doccia devo arrivare alla porta d'entrata devo fare ventitré più tre passi; circa ventisei con un leggero margine d'errore. I passi devono avere più o meno la stessa lunghezza, altrimenti sbatto contro qualcosa. Se dalla porta devo tornare al lavandino ne devo fare ventiquattro, forse venticinque; non ventisei, altrimenti mi faccio male, non ventiquattro altrimenti non ci arrivo. Pensieri semplici, da linea piatta; funzioni cerebrali anestetizzate, a tratti ridotte all'osso, solo per poi iniziare a vorticare di scatto attorno agli stessi pensieri, alle stesse domande, tormentandosi con le stesse domande, gli stessi quesiti insensati e pressapoco inutili a ben vedere che le gravano sul cuore come un macigno.
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    « Hanno chiesto di me? » Un quesito come un'altro, mentre si raggomitola su se stessa, stringendosi nella sua ormai inseparabile quanto estremamente calda camicia di flanella. E' piuttosto certa che se Tallulah è stata tra le prime ad averla trovata, è perché la serata di Natale sono finiti nella stanza di lei. O forse così non era, e la rossa aveva deciso di accamparsi lì perché a sua volta si era impietosita di fronte alle condizioni patetiche in cui riversava la Carrow. Hanno chiesto di me? Un quesito che non è chiaro stia ricalcando una certa aspettative o il bisogno di sentirsi dire che nessuno se ne era accorto del suo scomparire nel nulla come niente. Gli occhi velati da quella inquietante pattina bianca tentano istintivamente di seguire la fonte di rumore all'interno della stanza, senza sapere effettivamente in quale direzione guardare. Che senso ha guardarla se tanto non la vedo? Non ha senso. Questa idiozia non ha semplicemente senso. « Perché se qualcuno ha chiesto di me, sai cosa devi fare. » Davvero Mun? E tu sai cosa lei debba fare? Perché a dirla tutta ci sono momenti in cui è chiaro che la Carrow non sappia precisamente nemmeno dove si trovi. « Non voglio domande a cui non ho risposte. » A cui non voglio dare risposte. La forza persino di opporsi alla schiacciante verità le era ormai sgusciata come acqua tra le dita. « Loro come stanno? » Non è chiaro se ad Amunet Carrow interessi davvero di qualcuno in quel momento se non di se stessa. Sa solo che ha bisogno di fare conversazione, di sentire parlare qualcuno con un po' più di forza d'animo di lei. Un soggetto, la Weasley, che non era chiaro fosse adatta a farle da radiolina da compagnia. Ma in assenza d'altro, poteva solo che sperare si desse ai dettagli futili e irrilevanti.


     
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    Da che mondo è mondo, l'uomo ha cercato di essere padrone di qualsiasi cosa: terre, persone, oggetti, tutto quanto. Qualsiasi cosa possa venirci in mente è soggetta all'avidità dell'essere umano e al suo animalesco piacere di assoggettarla al proprio volere. Il tempo era una di queste cose. Fa ridere a pensarci, siccome tutti sappiamo quanto astratta e fuggevole sia questa materia: inconsistente, impalpabile, probabilmente inesistente. Ma l'astrazione è il primo nemico della sicurezza, e dunque il modo di mettergli delle catene lo si è trovato comunque; per secoli l'uomo si è scervellato in calcoli e approssimazioni ingarbugliate pur di ottenere un solo piccolo strumento: l'orologio. Adesso può sembrare un qualcosa di scontato, ma a ben pensarci non è sempre stato così. C'è stato un tempo in cui il tempo stesso non era a disposizione di tutti, non era un elemento privato di cui ciascuno poteva disporre a proprio piacimento. Non c'erano convenzioni, ne' regole, ne' orari. Ti rifacevi a quello che trovavi a tua disposizione e te lo facevi pure andare bene. Eppure, anche la cosa più scontata di tutte, Kingsley aveva trovato il modo di sottrarla a tutti loro, puntando la luce su quanto artificiale fosse quel palcoscenico in cui si svolgevano le loro esistenze. Recitavano tutti una parte, illudendosi che la scenografia e le luci fossero la realtà fattuale delle cose. Kingsley aveva staccato la luce al teatro, lasciandoli tutti nel terrificante buio di una verità scomoda: che tutto era falsità e artificio. Sorelle e fratelli, fidanzati, migliori amici, tutti quanti si guardavano ora in volto senza riconoscersi, con le maschere ormai cadute a terra e il gioco delle parti interrotto senza preavviso. Ne aveva visti crollare, Tallulah. Se ne stava quasi sempre in infermeria, conscia del fatto che rendersi utile fosse in quella situazione la maniera migliore per rimanere protetta. Ogni giorno vedeva sgretolarsi sotto i suoi occhi le persone che incrociava quotidianamente per i corridoi. Spaventati, abbrutiti, abbattuti, traditi. C'era di tutto e di più. Un chaos estremamente ordinato, quello in cui li aveva gettati quella maledizione. Li osservava per lo più in silenzio, badando ai propri affari, ma un sorriso non mancava mai di increspare le sue labbra al carosello di sorprese che l'umanità continuava a servirle. "Hanno chiesto di me?" Con la pressione di entrambe le mani, torse la maglietta, strizzandola quanto bastava a farne colare l'acqua rosata nella bacinella in cui la stava pulendo. Quel giorno un Grifondoro aveva ben deciso di tentare la sorte e cercare di sfondare la porta della sala comune; inutile dire che la porta era rimasta lì e lui per poco non ci era rimasto secco. Curarlo era stato una tragedia, dato che il panico e la disperazione lo facevano divincolare come un maiale al macello, con l'unico risultato di peggiorare l'emorragia e macchiare i vestiti della rossa. "Oggi non ho avuto modo di parlarci. E' sorprendente quanto anche in uno spazio così confinato un sacco di gente riesca a rendersi irreperibile. Suppongo che le porte chiuse spieghino un sacco di cose." Strizzò una seconda volta per sicurezza, stendendo poi l'indumento ad asciugare sullo schienale di una sedia. Distrattamente afferrò un asciugamano dal bagno, passandoselo sul collo ancora un po' arrossato dal sangue del ragazzo, prima di cambiarsi con una vecchia felpa arrotolata nel fondo dell'armadio. Arricciò il naso nel respirarne l'odore, scuotendo tuttavia il capo. E' quello che passa il convento. "Perché se qualcuno ha chiesto di me, sai cosa devi fare. Non voglio domande a cui non ho risposte." sospirò, mettendosi a sedere a un lato del letto per far compagnia all'amica, carezzandole i capelli come una mamma farebbe con la sua triste bambina. "Loro come stanno?" Loro. C'erano tanti loro a cui la Carrow poteva riferirsi. "Tuo fratello se la sta cavando, lo tengo d'occhio." Come tutti i suoi cuccioli, Lulah non mancava mai di prestare attenzione ad Ares, offrendogli conforto e vicinanza qualora ne avesse bisogno. "Maze..beh..è Maze. Se c'è una persona che ho la certezza di rivedere dall'altro capo, quella è proprio lei." Perché ovviamente Tallulah annoverava senza problemi anche se stessa tra il ventaglio di persone che da lì ne sarebbero uscite intatte: non ne aveva il minimo dubbio. "Fred sta meglio, quanto meno fisicamente. E' come ogni Weasley e Potter che si rispetti: ha la pellaccia dura." Sorrise, impercettibilmente, conscia del fatto che comunque Mun non l'avrebbe vista. Sorrise e passò oltre. "Per quanto riguarda Nate, ahimè, penso di non avere notizie a suo riguardo: non lo conosco abbastanza bene, e in tutta onestà non ho avuto modo di incrociarlo." Si strinse nelle spalle, allungando una mano ad accarezzare quella dell'amica, stringendola appena in un moto di conforto. "Tu piuttosto..non mi hai ancora detto cosa ti sia accaduto. La notte di Natale ti ho vista salire qui e poi ti ho persa per ore. Vuoi parlarne?"
     
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    « Non voglio sapere che cosa accadrà. Voglio sapere che cosa mi sto perdendo, che cosa mi sfugge, mentre sta accadendo. Ho sempre l'impressione mi sfuggano troppe cose.. capisci? Opportunità, persone, oggetti. » Una richiesta quella susseguita da una di quelle frasi fatte che ora ricalcava prepotentemente le cause della sua attuale situazione. « Il diavolo sta nei dettagli. » Quando è diventata così approssimativa? Quando la sua mente sopraffine, paranoica a dismisura, è diventata così irrazionale? Mun era il tipo di persona che calcolava al millimetro ogni passo. Ci era sempre andata coi piedi di piombo in qualunque situazione. E forse il problema era proprio il piombo. Tra le più dense e pesanti materie. Tossico. Si chiede quando quelle energie si sono distorte. Quando la fusione di quelle forze in equilibrio per inerzia si sono scompensate a tal punto da produrre una lega di piombo così opprimente. Tossica. Letale. Ora il piombo se lo sentiva anche la Carrow nello stomaco, nelle vene, come se tutte quelle colpe e quegli scompensi gravassero tutti insieme rimangiandosela dall'interno. Quando Mun aveva posto quei quesiti a Tallulah Weasley, correvano tempi insospettabili. Il suo rapporto col dio della morte non si era minimamente incrinato. All was well direbbe qualche poeta ladruncolo di periferia. Tutto andava per il verso giusto; futura Caposcuola, alle prese con una vita sociale che sembrava grondare di opportunità e risposte positive, eppure, la Carrow, già allora si sentiva orba, come se nel profondo sentisse che qualcosa le stesse sfuggendo come acqua tra le dita. Le redini della sua vita, tenute a freno con così tanti sforzi a tratti disumani, sembravano ribellarsi già allora e lei quella tempesta se la sentiva già nelle vene. In fondo, quei complicati quesiti sembravano celare un unico grande dilemma. Dov'è la libertà? Cosa mi frena? Perché non riesco a sfuggire a questo cappio? Un cappio fatto di tanti piccoli minuscoli nodi, ognuno formato da persone, situazioni, convenzioni e il più delle volte annodati a regola d'arte da lei stessa. Cieca forse, Mun lo è sempre stata, solo che la sua condizione era relegata a una disabilità mentale; un muro costruito con eleganti mattoncini minuscoli che nel tempo si sono poggiati uno sopra l'altro fino a formare un puzzle fatto di costrizioni subdole e ben architettate. Le clausole le ha sempre messe, i fori in quel suo muro c'erano sempre stati, è solo che per restare confortevolmente legata a un dramma interiore che a tratti non aveva nemmeno ragion d'esistere, ha sempre preferito non vedere niente. Bugie e favole; ecco cosa si è raccontata, riflettendo la sua condizione interiore nel prossimo. Perché se a se stessa raccontava bugie ben calibrate, figuriamoci al resto del mondo. Un cane che si morde la coda. Negli anni Sessanta, Jean-Luc Godard e François Truffaut riassumevano bene la condizione di Amunet Carrow in un'unica frase di un capolavoro che resterà nei ricordi degli appassionati per molti altri decenni, se non addirittura molto di più: « Non so se sono infelice perché non sono libera o se non sono libera perché sono infelice. » Sempre a raccontarsi che una via d'uscita non c'era. Eppure, ora, sembrava alquanto lampante ai suoi occhi, che in verità c'era sempre stata, seppur non nei modi in cui avrebbe voluto accadesse. Quando si dice, una soluzione c'è sempre, basta volerla, non si raccontano favolette della buonanotte. La verità è che non c'è cosa che l'essere umano non possa fare, a discapito di tutte le spinte esterne, se solo ha il coraggio di alzare la testa e vedere oltre il proprio confortevole orticello. La verità è che Mun ha sempre avuto paura di questo: la contingenza. La contingenza fotte, lo dicono anche i grandi pensatori. Gli eventi si evolvono sempre secondo una linea imprevedibile, seguendo leggi assolutamente non definibili. Un problema può avere infinite estrinsecazioni e infinite conseguenze. Non c'è nulla di prescrittivo - nessuna predestinazione - nella contingenza. E fotte appunto. Perché non sai mai in cosa t'imbatti. « Oggi non ho avuto modo di parlarci. E' sorprendente quanto anche in uno spazio così confinato un sacco di gente riesca a rendersi irreperibile. Suppongo che le porte chiuse spieghino un sacco di cose. » Si tira su a sedere, Mun, portandosi le ginocchia al petto, quasi a voler rendere fisica, quella mentale corazza di cui sa di essere ancora succube. Si abbraccia le gambe, e tira un lungo sospiro, mentre lo sguardo vacuo sembra farsi più riflessivo. « Ci sono rimaste ben poche priorità che hanno ragione di esistere. » Commenta pensierosa. « Immagino sia la cosa giusta. » Quell'ultima frase è un sussurro detto più tra se e se, mentre assottiglia appena lo sguardo. Il problema con Mun è che nulla va mai bene. E' lieta che nessuno abbia ancora insistito per sfondare quella porta con un calcio rotante. Forse finalmente la gente ha iniziato a capirla e comprende che non vorrebbe mai essere vista così. Al contempo, non può non sentirsi delusa. Mun. Sempre al centro dell'attenzione, ma possibilmente restando in un angolo. Sempre accompagnata ma in solitudine, e viceversa. Non sembra esserci effettivamente un verso giusto per cui prenderla. Ora meno che mai. « Tuo fratello se la sta cavando, lo tengo d'occhio. » Annuisce appena, lieta di sentire che il fratello stia bene. A lui è davvero grata di non aver ancora insistito perché la vedesse. Immaginare quei suoi occhi azzurri tormentati nel vederla stare male, l'avrebbe distrutta. Immaginare ma non vedere, è peggio del poter vedere effettivamente. « Maze..beh..è Maze. Se c'è una persona che ho la certezza di rivedere dall'altro capo, quella è proprio lei. » Il sorriso si fa leggermente più affettuoso nel sentir parlare di Maze. Anche lei è certa che Maze ne uscirà, tanto quanto è certa che Tallulah uscirà vittoriosa oltre quei cancelli. Il sangue freddo della rossa era a tratti impressionante. Nulla sembrava davvero scalfirla. Vi era una strana punta di invidia nei confronti della Weasley da parte di Mun. E forse, anche parecchi sensi di colpa per quanto le avesse indirettamente rivolto durante una delle liti più cruenti col fratello. La Weasley era una contraddizione. Non era certo se ci si potesse effettivamente fidare almeno in parte, o se era più saggio scappare dall'altra parte del mondo. Ma cosa poteva fare Mun in fin dei conti in quella circostanza? Aveva davvero una scelta? « Fred sta meglio, quanto meno fisicamente. E' come ogni Weasley e Potter che si rispetti: ha la pellaccia dura. » Abbassa lo sguardo istintivamente, annuendo prima di inumidirsi le labbra. « Sta meglio.. bene. » Perché tu dov'eri quando stava male Mun? Il disgusto verso la propria persona arriva quasi istantaneamente. Così tanti sensi di colpa per averlo lasciato da solo ad affrontare quello scoglio. « Per quanto riguarda Nate, ahimè, penso di non avere notizie a suo riguardo: non lo conosco abbastanza bene, e in tutta onestà non ho avuto modo di incrociarlo. » Il nome di Douglas non se lo aspettava nella lista. Quell'informazione riesce comunque a portarla a corrugare la fronte. Se la sta cavando, si obbliga a rispondersi da sé mentalmente. Non c'è modo perché Douglas muoia davvero in quella topaia. Passerebbe sopra al proprio sangue pur di varcare integro quei cancelli. Ne ho avuto la prova tangibile. « E' certamente dietro una di quelle porte chiuse. » Commenta con un filo di veleno nel tono di voce, convinta che la Weasley si riferisse forse anche e soprattutto a lui. Che Douglas si comportasse da vera bestia in quelle circostanze non era certo una novità. « E tu invece? » Una domanda che si rende conto non sgorga tanto dall'altruismo verso la rossa, quanto dalla paura che anche lei possa sbattersi quella porta alle spalle, lasciandola completamente da sola. Non è questo ciò che volevi? Isolarti? Evidentemente no. Non se non ai suoi patti. Anche nella miseria più nera, Mun non riesce a fare a meno di essere la solita egoista, la solita persona disfunzionale. « Tu piuttosto..non mi hai ancora detto cosa ti sia accaduto. La notte di Natale ti ho vista salire qui e poi ti ho persa per ore. Vuoi parlarne? » Ore? E' passato davvero così tanto tempo? Per Mun quei momenti si erano susseguiti alla velocità della luce. A malapena riesce a ricordarne gli esordi, in quale modo è precipitata così in basso tutta la situazione.
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    Sospira stringendosi nelle spalle, per la prima volta in difficoltà su cosa farfugliare. Nella tasca della camicia le sono rimaste ancora due sigarette trovate negli indumenti del custode. Ne afferra una e se la mette tra le labbra in un moto di estremo nervosismo. Fa cenno alla rossa di fornirle del fuoco, prima di ispirare affondo la qualità scadente di nicotina, buttando la testa all'indietro. La salutista che conta le calorie nel caffè, finita a fare la ciminiera. Qualcosa è andato decisamente storto. « Ho giocato alla roulette russa con le persone sbagliate, nelle situazioni sbagliate, a discapito di altre persone sbagliate. » Si stringe nelle spalle mentre risponde intrisa di un cinismo freddo e calcolato. « Trova la cosa giusta. » Continua stirando un sorriso ironico mentre si porta nuovamente la sigaretta alle labbra ispirando profondamente. « E ora piovono pallottole vaganti. » Un misto di amarezza e consapevolezza. Nessuna esclusione di colpo. Cala un silenzio pesante. Pesante come il piombo che si sente sullo stomaco. Resta così, a consumare la sua bionda in silenzio, finché un ricordo lontano non le torna alla mente. « L'Eremita. La Torre. La Luna. Gli Amanti. Il Diavolo. » Se le ricorda perfettamente le carte estratte durante quel loro pomeriggio. Lulah non ha mai risposto al suo quesito. Prese da altri discorsi, quella sua domanda era rimasta sospesa nell'aria leggera dell'autunno scozzese. « Credi di potermi rispondere adesso? » Cosa significava? Cosa mi sta sfuggendo Tallulah? Deglutisce pesantemente mentre abbassa lo sguardo, cercando di restare il più possibilmente dignitosa. « Puoi anche dirmi una bugia. Non me ne accorgerei in ogni caso. » Ma il tono tremante la tradisce. « Raccontami una bella storia, Tallulah. » Pausa. « Raccontami questa storia. » Perché ho bisogno di sapere se era già tutto lì ed io ero già cieca prima di accorgermene.

     
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    "Ho giocato alla roulette russa con le persone sbagliate, nelle situazioni sbagliate, a discapito di altre persone sbagliate. Trova la cosa giusta. E ora piovono pallottole vaganti." Con un sorriso di serenità in volto, la giovane Corvonero si alzò dal capezzale del letto, percorrendo a passi misurati la stanza fino a raggiungere la struttura in legno sulla quale era accatastata, scaffale dopo scaffale, una fitta giungla di volumi di vario genere. Con il dito indice tracciò il percorso dei titoli, arrestandosi su quello di suo interesse. Un libro piuttosto imponente, segnato da numerose letture, che estrasse dallo scaffale, sfogliandone le pagine ingiallite fino ad arrivare al punto che cercava. "Es irrt der Mensch, solang er strebt." lesse solennemente, prima di chiudere il tomo con uno schiocco secco e sollevare lo sguardo eloquente negli occhi dell'amica. "Erra l'uomo finché cerca. Prologo in Cielo, Faust." Lasciò che il silenzio tra di loro si dilatasse ulteriormente, parlando piuttosto tramite uno sguardo che sapeva Mun non potesse vedere, ma era piuttosto certa che fosse in grado di percepire come una folata di vento sulla pelle. A braccia conserte, riavvicinandosi piano alla Serpeverde, riprese parola in tutta tranquillità. "L'errore è condizione per giungere alla verità. Sei sempre stata un'ottima studentessa, Mun, ma a mio parere dovresti - almeno in questo caso - uscire da quei panni e guardare a tutto ciò da una prospettiva diversa. Mi hai raccontato in una frase una storia che, detta così, sembra il resoconto narrativo di un compito in classe su cui hai segnato gli errori con la penna rossa." si interruppe, come a voler sottolineare con quel silenzio i pensieri che impregnavano quelle parole. Parole che sembravano il preludio a un lungo discorso pronto a illustrare una differente visione, a fornire un'angolatura nuova alla cecità di Mun. Parole che però, un prosieguo non lo ebbero. Vennero lasciate lì, forse perché ritenute già da sé piuttosto eloquenti. La ridondanza non era mai stata caratteristica di Tallulah, la quale aveva sempre preferito far scaturire negli altri un ragionamento proprio piuttosto che indurgli una tesi già bell'e pronta. Errare. Un verbo che racchiude in sé due significati: commettere un errore e vagare senza meta. L'erranza è, per sua definizione, la condizione più profondamente umana: si vive vagando, raminghi, alla ricerca di un posto nel mondo, senza certezza alcuna di quale esso sia, della sua esistenza, o del risultato di tale ricerca. Commettere errori non si traduce nelle nostre vite come una nota di demerito che finirà per toglierci punteggio dal risultato finale del compitino, ma piuttosto come una scelta, un'opportunità; hai deciso di scoprire proprio quella, tra le carte coperte che ti vengono presentate, e ora sai a cosa porta. "L'Eremita. La Torre. La Luna. Gli Amanti. Il Diavolo." le carte che avevano scoperto qualche mese prima "Credi di potermi rispondere adesso? Puoi anche dirmi una bugia. Non me ne accorgerei in ogni caso. Raccontami una bella storia, Tallulah. Raccontami questa storia." Sospirò, rimettendosi a sedere da un lato del letto. Schiarì la voce, scrocchiò il collo e prese un respiro profondo. "E' una storia che si è già avverata." disse piano, stringendosi appena nelle spalle. "O meglio, si tratta di due storie. Quella che poteva essere, e quella che è stata. Vedi, le carte si dispongono a croce: le prime tre vanno in linea orizzontale, e le due rimaste vengono messe rispettivamente sopra e sotto alla carta centrale. La progressione in orizzontale è: presente, passato, futuro. Quella in verticale: potenziale, presente e motivo. La lettura in riga è piuttosto diretta: si inizia dal presente, lo si analizza in luce del passato e se ne prevede il futuro più probabile. Il braccio verticale, tuttavia, è tutta un'altra storia: ovvero quella che potrebbe potenzialmente verificarsi - e per quale motivo - se interveniamo in tempo sul presente." Nello spiegare quel meccanismo, Tallulah si figurò mentalmente la disposizione delle carte, riportando alla propria memoria il motivo principe per cui quel pomeriggio non aveva dato a Mun alcun responso. Comunque fosse andata, eri destinata a soffrire. In un modo o nell'altro, saresti stata tratta in inganno. Non ho avuto la crudeltà di dirti che una scelta vera, tu, non ce l'hai mai avuta. "Quando hai scoperchiato le carte, il danno era già fatto: un punto di rottura tra passato e presente. Un passato che hai condotto con prudenza e saggezza - tipiche dell'Eremita -, alla ricerca di una verità che ti ha condotto alla condizione del presente: la Torre, ovvero il fallimento, la superbia punita. L'atto di tracotanza sottinteso nella relazione tra le due carte è ciò che ti ha messo di fronte a un bivio infelice, inevitabile. Da un lato, nel ramo del possibile, avresti potuto trovare l'amore - uno persino felice, forse..almeno per un po'.." si interruppe, come a voler dare più pregnanza alla frase successiva "..ma in circostanze artificiali, poiché la carta che lo avrebbe permesso - ovvero il Diavolo - è la più negativa del mazzo. Quell'amore idilliaco sarebbe stato contaminato da una premessa malevola che, magari non nell'immediato, ma presto o tardi avrebbe portato allo stesso risultato presagito dalla carta del futuro." Vuoi realmente saperlo? "La caduta nell'errore, simboleggiata dalla Luna. Vedi, la Luna è una carta insidiosa, e ha questo significato perché la sua luce riflessa tende a nascondere le insidie che ci circondano. Per seguire i testi divinatori alla lettera, la sua definizione è precisamente: circostanze tentatrici." Sospirò, stringendosi nuovamente nelle spalle e sottolineando la chiusura di quella sessione con uno schiocco di lingua sul palato. "Non era nei piani, Mun, che tu evitassi di soffrire. E forse, il lato positivo, è che hai scelto la via più diretta per farlo, riducendo la sofferenza di altri intorno a te." fece una pausa "Paradossalmente, pur essendo destinata a fallire, hai fatto la cosa più giusta." Non era una storia a lieto fine, è vero. Ma non è nemmeno questa, la fine.

    « Ed io non vedo più la realtà
    Non vedo più a che punto sta
    La netta differenza tra il più cieco amore
    E la più stupida pazienza »


     
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