It's a fucked up world

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    Slytherin pride

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    « La squadra sollevamento-del-morale manda i suoi saluti. » Maze atterra sul letto lasciando cadere una serie di oggetti che obbligano Amunet Carrow a sollevare un sopracciglio con fare scettico prima di rigirarsi nel letto e mettersi a sedere con l'ormai risaputa apatia. Quanti giorni ha passato in quella stanza? Ormai ne ha perso il conto. Vive praticamente lì dalla sera del Natale, e il suo tempo viene scandito tra una doccia e un'altra. Tra l'entrata di una persona e un'altra, che il più delle volte parla a voce così bassa da non farsi nemmeno sentire. Le voci corrono; qualcuno evidentemente si affaccia per guardare, ma il più delle volte nessuno le rivolge la parola, anche perché ogni qual volta qualcuno ci abbia provato, o Mun stava dormendo, oppure ha risposto in maniera talmente scortese da scoraggiare quasi chiunque dall'avvicinarsi. Da Bella a Bestia è un attimo, e lei si rendeva conto che nonostante apparentemente non fosse poi mutato molto nel suo fisico, la sua anima si era imbestialita non poco. I pensieri fanno questo, le riflessioni a tarda ora, ripensare tutta la propria vita è il primo passo verso un florido annientamento. « Gauthier manda.. sigarette. Quanto originale. » Lei allunga la mano, richiedendo subito una bionda. « Dà qua. Gaughier ci ha capito tutto. » E dicendo ciò si mette la sigaretta tra le labbra aspettando che la ragazza gliel'accenda. Ispira affondo prima di lasciarsi cadere con la testa sul cuscino pesantemente. « Qualcuno ha lasciato questo aggeggio strano.. credo sia uno di quei vecchi mp3.. e poooi abbiamo, droga, un braccialetto di dubbio senso estetico, ooooooh, un maglione della nonna, e cibo. » Sbuffa con fare sconsolata, mentre continua ad aspirare dalla sigaretta. « Far pena alla gente è la più alta forma di umiliazione. » « Pena non pena, le scorte gratuite sono pur sempre scorte gratuite, ricordatelo tesoro. » Il proseguimento naturale di quel discorso, sapeva Mun sarebbe stato e poi pensa quando devono volerti bene per rinunciare ai loro tesori puro spirito di solidarietà. Le fu grata di non menzionare quel concetto. L'avrebbe soltanto portata a ritrarsi in se stessa con più forza. Mun si sentiva un peso, sapeva di esserlo, sapeva anche di non poter fare a meno di dipendere sempre da qualcuno in quel momento. L'idea di essere stata privata di una delle sue cose più preziose - l'indipendenza - la metteva in uno stato di cruciale difficoltà. Non c'era nulla di peggiore dell'idea di essere così apertamente bisognosa dell'appoggio altrui.« Toglimi una curiosità: perché la droga? » « In effetti non capisco dov'è finita la compassione delle persone. Dov'è alcol? » Alza gli occhi al cielo mentre si porta nuovamente la sigaretta alle labbra. « E' terapeutica? E azzarderei estremamente rara. » « Fantastico. Metà della gente che conosciamo pensa che io abbia un tumore al cervello che preme sul mio nervo ottico. » Quasi più plausibile di un dio della morte mi ha privato della vista. Sospira sconsolata prima di abbandonarsi ai tiri della sua sigaretta. « C'è un'altra cosa.. » E nel dire ciò, Tallulah le porge tra le mani un oggetto la cui consistenza sembra metallica. Un bastone. Uno di quelli ripiegabili. Cazzo, è quello per i non vedenti. Di scatto le prende un'ansia impressionante che le si propaga in tutto il corpo tutta insieme, mentre il cuore le batte all'impazzata. « La trasfigurazione ha funzionato piuttosto bene. » Commenta con il suo solito tono assente, mentre Mun se lo fa scivolare dalle mani improvvisamente, scuotendo la testa. Sarà anche apposto, ma io non lo voglio. Accettare quell'oggetto significa accettare la sua condizione, e Mun, a dirla tutta, non è pronta a farlo. Il suo comportamento degli ultimi giorni ne è la prova. Non ha varcato i confini di quella stanza neanche per un istante, si rifiutava di vedere quasi chiunque. Aveva continui sbalzi di umore, sensi di colpa. C'erano momento in cui avrebbe voluto rivedere così tanta gente; eppure si rendeva conto di non voler vedere nessuno, semplicemente perché lei non poteva vedere nessuno. Persino adoperare il termine le sembrava stupido e terribilmente patetico. Alla fine si riaddormenta, per l'ennesima vola cade preda a quegli incubi che la stanno tormentando ormai da giorni. Ma alla fine il momento arriva. Arriva il momento di risollevarsi, il momento in cui tentare di reprimersi ulteriormente diventa non solo altamente controproducente ma anche ridicolo. Questo è il momento clue. Quando ti sei ucciso ma continui a vivere. Sei ostaggio di te stesso, delle tue mancanze. Non ha senso andare nella direzione opposta del tuo stato d'animo, del tuo dolore, e allora lo abbracci e ci navighi. E' inutile indagare le occasioni mancate.Non sai mai se ti sei salvato dalla morte, o ti sei perso la vita vera. L'unica cosa tangibile è tentare di andare avanti, vivere per inerzia, con la consapevolezza nell'anima che morire non è una soluzione praticabile. Il dubbio amletico, un sortilegio che si sta sempre più spesso profilando nella testa della Carrow. E' più coraggioso vivere affrontare le vicissitudini di una vita che continua a infligger colpi a ciascun organismo vivente che ne varchi la soglia delle cose terrene, o è più coraggioso abbandonarsi a un sonno profondo ed eterno? A onor del vero, nel dubbio, fino a quel momento, la Carrow ha tentato in tutti i modi di vivere in una zona grigia, né bianca, né nera. Né vita, né morte. Una pausa forzata fatta di periodi di sonno perenne e momenti di dormiveglia, sempre ostinata a restare incollata a quel letto, tra le coperte, stretta negli stessi vestiti consunti. Il bastone è rimasto appoggiato sul comodino alla sua destra. Allunga la mano, una distanza che ha imparato a conoscere e misurare negli ultimi tempi, e a tastoni i suoi polpastrelli riescono ad afferrarlo. Si libera dalle coperte, si riabbottona la camicia e cerca con non poche difficoltà gli stivaletti ai piedi del letto. Ogni movimento è rallentato dal continuo barcollare al buio. E' un po' quando dopo un profondo sonno ci si sveglia completamente intorpiditi senza sapere esattamente dove trovare cosa. C'è nella cecità un senso di disorientamento immane. Roteare di pochi gradi a destra o a sinistra fa sì che tutta la prospettiva cambi, la pianta mentale di un posto che ti sei fatto, viene meno.


    Ma Mun quella stanza ha imparato a conoscerla. Tre passi a sinistra per arrivare ai piedi del letto. Si gira a sinistra e poi venti passi fino alla porta d'entrata. Da lì tutto è nuovo. Ed è allora che dispiega il bastone. Un paio di occhiali da sole attentamente calati sugli occhi a nascondere quella pattina biancastra che le vela ormai gli occhi. Poggia lo stecchino maledetto come lo sta già definendo a terra, e fa un primo passo. Sente di non essere da sola. Qualcuno stava animatamente discutendo in corridoio prima che quella porta si aprisse. E poi, di scatto non appena quella lunga chioma corvina fa la sua apparizione, qualunque rumore cessa. Si costringe a fare finta di niente, mentre inizia a tastare l'aria circostante di fronte a sé, per accertarsi che non ci siamo ostacoli. Una mano appoggiata alla parete. Sa che il terrazzo più vicino si trova a destra in fondo al corridoio. Ed è lì che si dirige, desiderosa di sentire nuovamente la fredda aria della notte scozzese. Poco le importa che la camicia di flanella che ha indosso non le basterà per ripararsi dal freddo. Ha bisogno di aria pulita Mun, di sentire nuovamente suoni diversi dal solito brusio di sottofondo di quelle stanze colme zeppe di persone animate dalla paura e dall'ansia. Alla fine le incerte mani tremanti, incontrano i pomelli solo per sentirsi stringere delle dita fredde attorno al polso. « Cosa stai facendo Carrow? » Non ha la più pallida idea di chi sia il proprietario di quella voce, e a dirla tutta non gliene frega nulla. « Non certo buttarmi. Ora per piacere toglimi le mani di dosso prima che mi alteri. » Caustica e terribilmente fredda. Glaciale come non mai. Non ha bisogno di baby sitter. Non ha bisogno di sentirsi trattare come se fosse di vetro. Non vuole la compassione della gente, non la loro pietà, non il loro continuo ronzarle intorno come se fosse un piccolo fiorellino appassito. « Capisci da te che è facile che sbagli mira.. incidenti di percorso. » Continua prima di stringere i denti sottraendosi a quella stretta in modo brusco. « Ora vaporizzati, per piacere. » Apre le porte del piccolo terrazzino, vi varca la soglia e appoggia il bastone contro la parete esterna della torre, solo per liberarsi le mani e chiudersi le porte alle spalle. Vuole stare da sola all'aria aperta. Niente di più. Non certo tentare il suicidio. Si siede a terra e controlla la tasca della camicia in cui vi ha infilato un paio di sigarette e l'accendino. Se ne accende una e butta la testa all'indietro, prima di sentire nuovamente le porte aprirsi. Sbuffa pesantemente, pronta a rialzarsi in piedi con uno scatto improvviso. « Allora non hai capito il messaggio eh? Devo essere più specifica? » Tenta di restare calma, di non arrabbiarsi, soprattutto di non partire con quel tono lamentoso che ormai volente o nolente la contraddistingue e si fa sentire ogni qual volta inizi ad arrabbiarsi. « Voglio stare da sola. Questo terrazzo è occupato. Ce ne stanno almeno altri tre nella Torre Corvonero. Posso gentilmente godermi una santa sigaretta in pace? » Scuote la testa con fare ormai rabbioso. « E poi chi cazzo sei eh? Cosa vuoi da me? »


     
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    « Tu hai già usato qualcuno dei tuoi desideri? » Mormora il rosso, mentre si appresta a risalire le scale della sala comune Corvonero. Ormai quel posto lo conosce bene, quasi fino alla nausea. L'ennesimo regalino di Kingsley, rinchiuderli là dentro fino a data da destinarsi. Alcuni di loro, hanno imparato a convivere, altri meno, ma alla fine -in un modo o nell'altro- quei pochi che sono rimasti, restano tutti lì. Malia, a suo fianco, scuote la testa. Gli sono state donate quelle calze magiche, ma, dal canto suo, Weasley non ha avuto la più pallida idea sin dall'inizio di quale potessero essere i suoi desideri. Uscire di lì, probabilmente, ma era certo che non sarebbe stata così facile. Qualcuno ci aveva persino provato, a farlo, e non era finita bene. Niente ormai ad Hogwarts finiva bene, e per quanto potesse far male, per un animo puro come quello del giovane Grifondoro, ormai ci aveva fatto l'abitudine. Aveva visto alcuni suoi compagni gettarsi dalla finestra, dopo le parole di Kingsley, o nei giorni a seguire. In cerca di una salvezza, che fosse la morte o la fuga da quella prigione, poco importava. Li aveva condotti a non avere più riguardo verso le loro vite. Li aveva ridotti a credere che la morte potesse essere di gran lunga migliore rispetto a quella vita che conducevano. E Fred ci aveva persino creduto talvolta, quando era uscito da quell'inferno. I ricordi della foresta proibita erano ancora ben presenti nella sua mente. Quelle creature, quel dolore, le voci..Eppure ce l'aveva fatta, a rialzarsi. Certo, gli ci era voluto del tempo, e qualche settimana di paralisi parziale -letteralmente- ma ce l'aveva fatta comunque. Era tornato a camminare sulle sue gambe. Non sapeva per quanto sarebbe durata, perchè le medicine che Kingsley gli aveva offerto, non erano certo infinite. E, sicuramente, non avevano lo stesso effetto delle solite, quelle che ormai bramava più di qualsiasi altra cosa. Perchè camminava, Weasley, ma il dolore di quella spina dorsale completamente dissestata era rimasto. A volte delle fitte lancinanti lo colpivano all'improvviso, costringendolo ad accasciarsi per terra e rimanerci per svariati minuti. Ed altrettante volte il desiderio di restarci, lì per terra, era forte. Si trovava in uno stato parecchio strano, il piccolo leone. Voleva combattere per vincere, perchè in tempi quelli era l'unica cosa da fare, ma al tempo stesso voleva perdere. Lasciarsi andare al triste susseguirsi degli eventi, perchè fino a quel momento, lottare non gli era servito poi a granchè. Anzi. Eppure, alla fine, quasi come spinto da qualcosa che non gli apparteneva, da quel fuoco interiore che l'aveva da sempre caratterizzato, Fred si rialzava. Si rialzava letteralmente, si passava una mano tra i capelli, si asciugava il sudore dalla fronte e tornava ad essere il solito Fred che tutti conoscono. Quello un po' coglione, molto coglione, con la ridarella facile e quel perenne sorriso stampato sul viso. Un sorriso un tempo candido, puro e genuino, che adesso lasciava spazio a delle chiare note di falsità. Non stava bene Weasley, perchè tante, troppe cose lo turbavano. Non stava bene dentro quella fottuta torre. Aveva bisogno di della fottutissima droga per dimenticarsi quel suo fottuto dolore. Aveva bisogno di morfina, del cibo, dell'acqua, dei suoi amici,di lei. Dove cazzo era lei? Dove cazzo è? Di nuovo! Aveva urlato un giorno contro Malia, i nervi a fior di pelle. Si sentiva uno schizofrenico, talvolta. Passava da momenti di calma, di tutto va bene, a momenti di rabbia pura, decisamente fuori luogo per uno come lui. Freddie Weasley, quel bonaccione dagli occhi baciati dal tramonto che non si arrabbiava mai, era scomparso. O meglio, c'era, talvolta sembrava davvero esserci, ma erano momenti, prima che tutto il resto, tutto quello che era diventato e che quello stare chiuso in gabbia l'aveva reso, prendesse il sopravvento. Calmati, l'aveva intimato Malia, quella volta. Ma il leone, di calmarsi, non ne voleva proprio sapere. Erano rinchiusi in quella sala, fuori li aspettava chissà cosa, e lei era scomparsa. Era scomparsa di nuovo, eclissandosi nel nulla e lasciandolo con quelle solite voragini che si aprivano dentro di lui ogni qualvolta Amunet decidesse di dissolversi. Avevamo detto tregua, avevamo detto di concederci una pausa. Dove. Cazzo. Sei? L'aveva cercata, per i primi giorni. Ed aveva continuato a cercarla, il terrore che, chissà per quale motivo fosse rimasta chiusa fuori, che lo accompagnava durante ogni ricerca. Vedrai che è quì e sta bene gli dicevano alcuni. Va tutto bene, quelle parole ormai gli davano la nausea. Perchè non andava bene un cazzo, Mun era scomparsa, e lui aveva di nuovo paura di averla persa. Dopo esser tornato dalla foresta, seppur quelle settimane le avesse passate nella solitudine più totale dettata dalla sua nuova condizione, Fred era mutato. Nell'atteggiamento ma anche nei rapporti con gli altri. Aveva avuto paura di perderli, di non rivederli mai più, e quindi una volta tornato, una volta rivisti tutti coloro che amava, sentiva la necessità di averli sotto controllo. Di saperli al sicuro. Con Amunet, questa sicurezza non l'aveva. E ciò, unito a quel dolore che lo attanagliava dall'interno, e a quella condizione di prigionia, non faceva altro che aumentare i suoi scatti improvvisi. E quella notte assieme alla sua migliore amica, dopo ore passate a cercarla, a chiedere a chiunque se l'avessero vista da qualche parte, ad elemosinare persino la più piccola ed insignificante informazione che riuscisse ad infondergli un minimo di speranza, aveva sbottato. Aveva ruggito contro Kingsley, sputandogli contro tutti gli insulti ed i vaffanculo che si era tenuto dentro fino a quel momento. Aveva preso a calci ed a pugni qualsiasi mobile o statua avesse a portata di mano, e persino il muro di pietra, fino a che le nocche delle sue mani non avevano iniziato a sanguinare. Solo con l'aiuto di Malia, era riuscito a calmarsi. L'aveva placcato da dietro, costringendolo a placarsi, ed il rosso era precipitato allora per terra, lasciandosi andare. Lì avrebbe voluto scoppiare a piangere, ma non l'aveva fatto. Non ce la faccio più, si era limitato a mormorare, stringendosi le ginocchia al petto e nascondendovi il viso. Quelle parole erano trapelate lentamente dalle sue labbra, quasi simili ad un sussurro. Da quando tutto era iniziato, mai l'aveva detto. Persino dopo aver visto i suoi compagni morire, persino scampato a chissà quale trappola mortale. Eppure adesso quella semplice quanto insignificante frase aveva ottenuto concretezza, da un pensiero fisso ma mai estrapolato era diventata reale. E solo così, solo dopo averlo detto, Fred si era accorto di quanto fosse vero: no, non ce la faceva più. Ed era rimasto fermo in quella posizione fino a quando la rabbia non era scemata, sotto le parole e le carezze di Malia. Quindi, rialzatosi, aveva ricominciato. Un nuovo giorno che di giorno non aveva nulla, una nuova battaglia da combattere, una nuova ricerca da compiere. « Stavo pensando a dei biglietti per Las Vegas, una volta usciti di quì, ma penso che Kingsley non sia così avanti. » Scherza, svoltando l'angolo, prima di congedarsi con l'amica. E' tranquillo al momento, Fred, ma per quanto durerà? Ormai non si riconosce nemmeno più, e, sicuramente, non si fida più di sè stesso. Stammi lontano, potrei mordere, aveva fatto intuire a Malia, in quei giorni, ma l'amica non gli aveva dato ascolto. E quindi eccoli, a camminare assieme come se nulla fosse, come se tutto fosse tranquillo, nonostante siano passati giorni che sembrano mesi interi, rinchiusi lì dentro. Ormai Natale dev'esser passato, ed è più che sicuro che Capodanno sia alle porte. « Hey, che succede? » Mormora all'improvviso, lo sguardo che si sofferma su un gruppetto di studenti poco più in là. Un Tassorosso del quale non ricorda il nome viene spinto da due energumeni, probabilmente intenzionati a deprivarlo dello zainetto che porta in spalla. « La piantate? Abbiamo già abbastanza problemi senza bullismi del cazzo. » Mormora, dirigendosi verso il gruppetto. I due più grossi si fermano, guardandolo. « Sei tornato in piedi, Weasley? Le calze di Kingsley hanno funzionato coi desideri magici? Non sei più uno storpio! » Ridono, e -inaspettatamente- Fred ride con loro. « Hai ragione, non sono più uno storpio. A te come va, un cervello te l'hanno donato, le calze magiche?- Si gira poi verso l'altro -E a te, invece, te lo hanno fatto allungare di qualche centimetro? » I due lo fissano per qualche istante, lo sguardo sbarrato, mentre il rosso allunga una mano in direzione del ragazzetto. Su, vieni gli fa cenno col capo di allontanarsi, ed il compagno annuisce, seguendolo. Ma in fondo si sa, in queste situazioni, non è mai troppo facile. Uno dei ragazzi infatti si para loro davanti, mentre l'altro li aspetta dietro. Secondo loro, hanno deciso di sbarrargli la strada. Gli chiede di spostarsi, il rosso, mentre la comincia già a percepire, quella rabbia che gli infuoca il sangue nelle vene. Ma ovviamente, non ottiene la risposta sperata. Anzi una spinta in pieno petto, che lo costringe ad indietreggiare. E a rispondere. Inizia tutto con un pugno. Un bel gancio destro, sferrato contro il naso del primo ragazzo. Un colpo violento, accompagnato da giorni di rabbia repressa, che mette fuori uso il malcapitato per qualche momento. Ma l'amico, ferito nell'orgoglio, gli si getta addosso. Lo prende dalle spalle, lo solleva, e lo scaraventa sul pavimento in pietra. La schiena scricchiola in maniera assai preoccupante, ed il dolore lo costringe per terra per qualche istante, perfetto per dare il tempo all'avversario di assestargli un calcio sulla faccia, ed un altro in pieno stomaco. Sente il gusto del proprio sangue riempirgli la bocca, ma senza neanche accorgersene, si ritrova di nuovo in piedi, sollevato dall'unico compagno alleato in quella vera e propria rissa di quartiere. Ciò gli dà dunque la forza di scagliarsi contro l'altro, e cadono entrambi per terra, sotto il suo peso. Si divincola come una serpe sotto di lui, il ragazzo, ma il leone ormai è nel pieno della sua furia. Lo blocca con le gambe e parte il primo pugno, poi il secondo, il terzo, fin quando non perde il conto. Sente il crack del suo setto nasale spezzato sotto la forza dei suoi colpi, ed il suo sangue macchiargli le dita. Sente i suoi gemiti di dolore, vede il suo volto che si riduce sempre di più ad una maschera di sangue, eppure continua. Sfoga su quel povero ragazzo tutta la sua rabbia repressa, tutta la sua voglia di evadere da quel mondo di merda. Tutti quei va tutto bene del cazzo, tutto quel dolore che continua a non abbandonarlo neanche per un attimo, tutta quella preoccupazione. Mi sono rotto il cazzo, mi avete rotto il cazzo, e tu oggi la pagherai per tutti. « Fred, basta! » La voce del tassorosso non lo scalfisce, e neanche le sue mani che si arpionano alle sue spalle, nell'inutile tentativo di rialzarlo. Si divincola, mollandogli una gomitata. « Così lo ammazzi! » Lo ammazzi, Fred, così lo ammazzi. E nel sentire quelle parole, si rende conto che per quei folli attimi, avrebbe potuto farlo davvero. Avrebbe voluto farlo davvero. Si blocca subito allora, istantaneamente, rialzandosi. Si passa le mani sporche di sangue non suo tra i capelli, gli occhi sbarrati e l'espressione esasperata. Volevo ucciderlo, potevo ucciderlo. Lancia un'occhiata ai due ragazzi ancora in piedi, apre la bocca per dire qualcosa, ma non trapela nulla dalla sua gola tremendamente secca.
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    « Io...io...Devo andare. » Dice soltanto, ed è in quel momento che scappa. La fuga non è da lui, e si sente un codardo di merda mentre le sue gambe si muovono attraverso i corridoi senza una meta ben precisa. Sputa per terra il sangue che gli riempie la bocca, per via del labbro spaccato, e continua a correre. Niente di tutto ciò che ha fatto è da lui. Non si riconosce, e non gli piace ciò che vede. Vuole scappare da tutto questo, e perciò ha bisogno d'aria. Decide dunque di imboccare il primo sentiero che lo porta ad uno dei terrazzi della torre di Corvonero e, spalancata la porta, si immerge nel buio. L'aria gelida lo investe in pieno, e per qualche istante chiude gli occhi, prendendo un lungo respiro, la schiena poggiata contro la porta. Sollievo. « Allora non hai capito il messaggio eh? Devo essere più specifica? » Quella voce. Quella voce la riconosce. Apre gli occhi di scatto, per scrutare nel buio. E la individua, a qualche metro da lui. Istintivamente, un sorriso si allarga sul suo volto ormai barbuto. E' lei, è davvero lei. E' lì, è viva, sta bene. Tutto va bene, Mun non ha niente. Nessun mostro l'ha rapita, nessuna trappola gliel'ha strappata via. Va tutto bene. « Voglio stare da sola. Questo terrazzo è occupato. Ce ne stanno almeno altri tre nella Torre Corvonero. Posso gentilmente godermi una santa sigaretta in pace? » E' arrabbiata, e c'è qualcosa di strano, anomalo, nel modo in cui si muove. La osserva mentre si avvicina, Weasley, e quando le è ormai piuttosto prossimo, nota quegli occhiali da sole scuri sul viso. La guarda confuso, un sopracciglio inarcato. « E poi chi cazzo sei eh? Cosa vuoi da me? » Okay, adesso diventi inquietante, Mun. Di cosa ti sei fatta? « Buonasera anche a te Carrow. » Il tono di voce è sarcastico, mentre alza una mano per salutarla. Lei non sembra voltarsi verso il suo gesto, intenta per com'è a guardare in un punto fisso, ma non ci fa poi molto caso. « Sì, dai, anche a me sei mancata. E sì tranquilla, sto bene, gentilissima a chiederlo! » Il sarcasmo lascia spazio all'ironia. La sta prendendo in giro adesso come fa sempre, con una certa dose di tenero scherzo. Sorride, avvicinandosi a lei. La guarda meglio, per accertarsi che non abbia chissà quale ferita. No, il corpo è okay: respira di sollievo. « Che ti è successo? Perchè stai così arrabbiata? Non ti ho fatto niente, questa volta, credo. » Ridacchia. Non c'eri, come potevo farti qualcosa? Quella riflessione lo fa tornare serio per qualche secondo. Già, non c'eri. Perchè non c'eri? « E poi che cazzo significa chi sei? Ti sono bastati pochi giorni di sparizione e mi hai già dimenticato? Scordarti di me è un nuovo livello delle tue scomparse? » Il tono si fa più pungente. Non vuole litigare, ma deve ammettere di avercela un po' con lei per averlo fatto preoccupare così tanto, nonostante l'istinto di abbracciarla sia comunque forte. Sei quì, Mun, sono felice che sei quì. Ti prego, non lasciarmi, non di nuovo. Rimane fermo tuttavia, piegando la testa di lato, lo sguardo adesso fisso sui suoi occhiali scuri. « Carini quelli, comunque. » Li indica « Ma a che ti servono degli occhiali da sole senza sole? » La incalza, prima che alcuni tasselli si uniscano nella sua mente. Mun è scomparsa per giorni. Mun non l'ha riconosciuto e continua a tenere lo sguardo, celato da quei dannati occhiali, in punti non ben definiti. Il suo cuore perde numerosi battiti, mentre scuote la testa. No, impossibile. Non vuole crederci, quindi respira profondamente e stringe i pugni ancora sporchi di sangue. « Mun. A che ti servono? » Il tono di voce è serio, adesso, irremovibile. Se è uno scherzo non mi piace, okay che quello del preservativo è stato un po' da stronzi, ma dai, così no. « Non c'è niente di diverso sotto quei vetri, vero? » Ti prego, dimmi di no. Ho bisogno di un va tutto bene. Ho bisogno del tuo va tutto bene.
     
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    Oh, I drain your life 'til there's nothing left but your blood shot eyes
    Oh, I take my time 'til I show you how I feel inside

    Fred Weasley Jr restava la persona più controversa presente nello spazio vitale di Amunet Carrow. La persona che a detta sua, le ha fatto più male tra quelle che amava. Il poco coraggio dimostrato dal ragazzo, ha gettato Mun in un rovente fiume di lava che lentamente ha distrutto tutta la sua vita; e a detta di Amunet, no, non è perché lui si è tirata indietro che ce l'ha con lui, ma perché si è sempre indirettamente battuto contro il petto decretandosi il leone di Grifondoro. Sembrava una stupida favola deformata. "Chi ti ha spinta in questo baratro?" "Il leone di Grifondoro." "No.. impossibile. Il leone rampante non potrebbe mai condannare una simile donzella a un destino così infame." "E invece lo ha fatto." Ma la verità nuda e cruda è che leone non leone, Fred Weasley aveva pur sempre sedici anni quando terrorizzato ha lasciato Mun ai piedi del London Eye, e per questo nessuno può realmente dargli tolto. E' una responsabilità infame sostenere una persona come Mun, ne ha avuto la prova concreta solo un paio di giorni prima. E poi, a dirla tutta, Fred Weasley, ha pagato con gli interessi lo sbaglio commesso in quel frangente. Nonostante fosse sempre sorridente, sempre pronto a infondere quella sua contagiosa allegria nel prossimo, la verità è che la vita non è stata affatto gentile nei suoi confronti. Ha dovuto lottare tra la vita e la morte; Mun lo ha visto con i suoi stessi occhi, quando quella notte dopo l'incedente, lo era andato a trovare di nascosto. Steso su quel letto di ospedale, infilzato di decide di tubi che correvano dentro e fuori dal suo corpo. La verità ultima è che tutti loro sono rimasti bambini, e da bambini si stanno ancora comportando, mentre la vita tenta di menare in maniera troppo cruente con ciascuno dei protagonisti di quella storia. A ben vedere, c'era da vergognarsi. Tutti loro dovevano solo che vergognarsi, perché a differenza di altri loro coetanei, Mun, Fred e tutte le persone a loro collaterali, alla vita non si sono affatto adattati, continuando ad aggrapparsi a quel giro di drammi adolescenziali, anche quando il mondo sembrava sfuggire loro da sotto i piedi. E questo certo non li rendeva colpevoli; non era colpa di nessuno. Erano semplicemente ancora inadatti alla vita, chi per un verso chi per un altro, continuavano incessante a voler restare aggrappati a una vita che semplicemente non poteva più svolgersi negli stessi termini che si erano accuratamente disegnati in tempi di pace. Vivevano come se niente fosse successo davvero; sempre più ammaccati, sempre più stanchi, sempre più feriti e martoriati, eppure si ostinavano a voler in ogni modo possibile e immaginabile restare attraccati a un porto comune che era crollato nel momento stesso in cui Edmund Kingsley aveva messo piede a Hogwarts. « Buonasera anche a te Carrow. » Quello è il momento in cui Amunet Carrow si blocca. Resta ferma, inerme, con quella sua sigaretta tra le dita che si consuma ad ogni spostamento dell'aria. Improvvisamente la rabbia defluisce tutta insieme dal suo corpo, lasciando spazio a un immenso scompenso che via via aumento man mano che realizza di essere finalmente in compagnia di una delle persone di cui negli ultimi giorni ha chiesto. Ha voluto rivederlo, la Carrow, più di una volta, eppure paradossalmente ha sperato di non rivederlo più, semplicemente perché non sarebbe mai stato più come prima. Mun non poteva più guardarlo negli occhi, né per accertarsi di come stesse o per convincerlo che andasse tutto bene, né tanto meno per spiegarli che in realtà nulla andava bene. Il contatto visivo, per Mun è sempre stato estremamente importante, tanto nelle situazioni quotidiane, quanto nei rapporti più intimi. Sapeva, la Carrow, che quei suoi occhi erano una maledizione, ne era consapevole e li sfruttava in ogni loro estrinsecazione. Quel ghiaccio era in grado di portarti in Paradiso, o contrariamente spedirti con un biglietto di sola andata all'Inferno. Ora erano stanchi, spenti, velati da quel leggero bianco che sfumavano quasi completamente i suoi occhi chiari, e soprattutto erano privi di qualunque emozione, incapaci ci meravigliarsi, o di imbestialirsi, erano diventati semplicemente un guscio vuoto. « Sì, dai, anche a me sei mancata. E sì tranquilla, sto bene, gentilissima a chiederlo! » Ogni sua parola, seppur ne percepisca la gioia intrinseca, le arriva come una coltellata. « Che ti è successo? Perchè stai così arrabbiata? Non ti ho fatto niente, questa volta, credo. » Ed è proprio quella felicità, quel sollievo intrinseco che riesce a percepire nel suo tono di voce che le fa più male. Si accorge, Mun, che Tallulah e Maze sono state davvero brave a tenere le voci a tacere, a tal punto che il giovane Weasley si trova completamente all'oscuro di tutto ciò che è successo negli ultimi giorni. Stringe i pugni e cercare di restare il più possibilmente calma, mentre si porta la sigaretta alle labbra, questa volta in modo più approssimativo. Ispira affondo, cercando di mantenere la calma, nonostante lo senta arrivare quel calore nelle guance e il rossore negli occhi che prendono a bruciarle. Vergogna e sensi di colpa, dolore e pentimento. Tutta una gamma di emozioni negative che hanno preso a esploderle nel petto sin dal momento in cui ha capito che qualunque sua bugia si stavano sgretolando di fronte ai suoi stessi occhi. Non c'era bugia che tenesse di fronte a una fulminante cecità. Prima di sparire dalla Sala Comune, Mun stava bene. Fisicamente parlando non era più ammaccata di chiunque altri. A parte graffi sparsi, era perfettamente in grado di reggersi in piedi, e tra quelle mura non era successo di tanto imprevedibile da provocarle quei terribili sintomi. Tace Mun, e tenta di mantenere il sangue freddo seppur in quelle circostanze le risulta complicato. « E poi che cazzo significa chi sei? Ti sono bastati pochi giorni di sparizione e mi hai già dimenticato? Scordarti di me è un nuovo livello delle tue scomparse? » Ti prego fermati Fred. Non andare oltre. Sta tremando, e non è certa sia solo per via del freddo. Si stringe le mani al petto in una mossa che ha tutta l'aria di crearsi uno scudo, prima di tirarsi su gli occhiali sugli occhi in una mossa involontaria, volta ad assicurarsi che gli occhi sono ben celati dai vetri scuri. « Carini quelli, comunque. Ma a che ti servono degli occhiali da sole senza sole? » Il respiro di lei si fa via via più pesante. Si sente oppressa. Quel macigno grava ormai sul suo cuore in maniera insopportabile. Grava sul suo stomaco, fino a provocarle conati di vomito che reprime solo per non peggiorare ulteriormente la situazione. E tace. Tace ancora, immobile in quel punto, come incapace di fare alcunché, persino di respirare. Ci sono svariati momenti in cui sembra quasi stia per smettere di esistere. Preferirebbe morire piuttosto che continuare quell'incontro. E' sempre stata brava a sfuggire, a scivolare come acqua tra le dita e tornare solo quando si sentiva a proprio agio, ma ora, se anche volesse farlo, non saprebbe nemmeno quanto lontana sia la porta. E' chiusa o aperta? Un brivido le percorre la schiena, prima di chiudere gli occhi e stringere i denti nella speranza di fermare il flusso di lacrime che si sente stia per arrivare. C'è rabbia e frustrazione, e una dosa incontenibile di stanchezza. E' semplicemente esausta. E' stanca di correre di qua e di là cercando di tenere insieme i pezzi. E' stanca di mentire, di tentare di tenere assieme quella maschera di porcellana ormai piena di crepe. A ogni passo, la sua magistrale copertura, architettata ad opera d'arte, sta crollando su se stessa. Sarebbe arrivato il momento. Lo sapevi. Ne eri consapevole. Tre cose non possono essere celate per sempre: il sole, la luna, la verità. La verità viene sempre a galla, e probabilmente ciò che Mun odia profondamente è che non era pronta. Non è stata avvisata che il momento era giunto. E ora si rende conto di non essere minimamente pronta ad affrontare quella pioggia di pallottole vaganti di cui ha parlato alla Weasley. « Mun. A che ti servono? Non c'è niente di diverso sotto quei vetri, vero? »
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    Ed è quello il momento in cui Mun sbotta. Non riesce a trattenere le lacrime e allora piange, piegandosi istintivamente sulle ginocchia, mentre si appoggia alla ringhiera del terrazzino, aggrappandovisi con tutte le sue forze per non perdere l'equilibrio. Non sa per quanto tempo resta in silenzio senza dire niente, ma man mano che va avanti, quel macigno si fa sempre più pesante, e non importa quante lacrime versi, la verità è che non riesce a estirparlo, perché ha di fronte l'unica persona a cui non avrebbe mai voluto fare del male. Eppure, quel tono di voce emergenziale, quel suo chiederle con così tanta insistenza se sta bene, non fa altro che metterla in guardia su quanto in realtà non starà bene quando a forza di insistere scoprirà cosa si cela sotto i suoi occhiali. « Non ce la faccio più. » Ci ho provato. Ho provato a tenerti lontano da tutt questa merda. Ho provato a tenerti lontano da me. Ci ha provato davvero, ma la verità è che volente o nolente, Mun l'ha comunque reso nuovamente parte della sua vita in un modo inaspettato, e ora non poteva più sbattergli nuovamente la porta in faccia senza una spiegazione. Non aveva la forza e nemmeno i mezzi fisici, per guardarlo negli occhi e ferirlo in modo tale da convincerlo di cambiare strada. Questa volta non posso proprio. Non posso vederti. Non ti vedo Fred! Non ti vedrò più. Stringe i denti mentre quel pensiero la porta a respirare in maniera sempre più pesante fino a quasi arrivare a restare senza fiato. « Non ci riesco più.. » Continua in un sussurro, lasciandosi cadere a sedere in terra, mentre si porta le ginocchia al petto, cercando di allontanarsi il più possibile, finché le spalle non incontrano le sbarre della ringhiera che circondano il terrazzo. « Ho rovinato tutto.. » Tossisce appena, prima di continuare in quello struggersi senza fine, in quel dolore lacerante che le sta esplodendo nel petto. « Non c'è più niente. » E' tutto buio. Vuoto. Inconsistente. E allora capisce Mun che dopo la negazione, dopo la rabbia, dopo la contrattazione, arriva la depressione. E questo il momento peggiore. O ti rialzi, accetti la tua condanna, oppure non vai oltre. La depressione è il punto del non ritorno, il momento più buio prima dell'alba. E fa male, è un miscuglio di tutte le tre fasi precedenti messe insieme. « Mi dispiace. Mi dispiace.. mi dispiace. Sono.. orribile. » In quelle parole c'è odio. Un odio inimmaginabile verso se stessa. « Ci ho provato Fred.. davvero. Ci ho provato. Ma non ce la faccio più. » E per quanto vorrebbe continuare in quel farfugliare senza senso, il fiato corto, quella crisi di nervi che la obbliga a passarsi le mani tra i capelli ossessivamente, tirandoli fino a quasi strapparseli, le impedisce di parlare oltre. Si dondola lì seduta per terra, non sapendo cosa fare, non sapendo più come mantenere insieme quel castello di carte che è già crollato. E' un cumulo, Mun, ormai privata di tutto il suo orgoglio, tutta la sua superiorità e superficialità. Non c'è più niente. E' tutto vuoto. Buio.

    I can be your reckless, you can be my stake
    I can be your heartache, you can be my shame
    When you're feeling reckless, when you're feeling chained




     
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    Caos. Esistono quei momenti di completo caos. Non li prevedi, non ci sei preparato, eppure loro sopraggiungono, senza preavviso alcuno, senza curarsi di nulla. Momenti inaspettati, momenti di completo panico. Momenti che ti sopprimono, arrivandoti addosso con tutto il loro peso. Ti schiacciano al suolo, rompendoti tutte le ossa ed impedendoti di respirare. E tu resti lì, senza neanche la forza di divincolarti. Resti lì impotente, spettatore estraneo alla tua stessa disfatta, lo sguardo sbarrato ed il cuore a martellarti il petto. Puoi essere chiunque, ma il caos è equo, e prima o poi colpisce tutti. Come la morte. Puoi essere un dio, e ti divorerà comunque. Puoi essere l'uomo più ricco del pianeta, e la tua fine sarà la stessa. Puoi essere un ragazzino nel pieno della sua età, con la mente di un sognatore, il sole negli occhi ed il coraggio nel cuore, ma, al termine di ogni cosa, se il caos ha già deciso per te, ti schiaccerà in ogni caso. Ed infatti eccolo, quel ragazzino, stanziato su quel terrazzo. Eccolo con quel suo sguardo di fuoco, e quella sua espressione serena che va scemando pian piano. Eccolo con quel suo cuore che comincia a battere sempre più forte, mentre la mascella si serra ed i pugni si stringono. La gioia del rivederla si dissolve, l'innocenza lascia spazio al sospetto, e la felicità alla paura. Ed un'unica, una sola domanda lampeggia tra i suoi pensieri: cosa ti è successo Mun? Quante volte glielo ha chiesto. Quante volte, ad una nuova cicatrice apparsa sul suo corpo, quelle parole sono trapelate dalle sue labbra tremanti, quasi automatiche. La prassi, dopotutto, era sempre la stessa. La guardava, capiva che qualcosa non andava, chiedeva nella speranza di ottenere una risposta e, che questa giungesse o meno, quel fottutissimo senso d'impotenza sopraggiungeva alla fine, in un modo o nell'altro. E lo sente, Fred, in questo momento. Ne percepisce le gelide note iniziare a crescere dentro di lui, capaci di spegnere quella fiamma vitale che lo costringe a stare in piedi ogni giorno. Ghiaccio contro fuoco. Morte contro vita. Questo sono sempre stati Mun e Freddie. L'uno capace di sciogliere l'altra, l'altra capace di spegnere l'uno. E sta iniziando a spegnersi, Weasley, in un processo lento e doloroso. Più minuti di silenzio passano, più quel gelo aumenta. Più lei non risponde, rimanendo con lo sguardo celato ma fisso in un punto non ben definito, più quel fuoco si dimena contro la fredda morsa del ghiaccio, inutilmente. Muore un po' dentro, Weasley, come è sempre morto tutte quelle volte in cui l'ha vista in una situazione del genere. E la cosa peggiore, la cosa che lo costringe a respirare a fondo per non incappare in una vera e propria crisi, è che non sa se questa volta troverà la giusta miccia per riaccendere quella scintilla di vita che lo ha sempre composto. Perchè se Mun è spenta, se Mun è solo ghiaccio, così è anche lui. E perchè ormai non si fida più di sè stesso, ormai non è più sè stesso. Fred Weasley l'impavido, Fred Weasley il leone rampante. A volte lo sembra pure, e assai difficile sarebbe dubitare del suo nuovo stato d'animo a dir poco controverso. In fondo, bugiardo di prima categoria com'è sempre stato, è ben capace di fingere. Ma di fronte a questo? Di fronte all'ennesima prova di quella fottutissima esistenza per abbattere quel suo dannato focolare? La più terribile delle prove, quella. Peggio di qualsiasi tranello di Kingsley. La più temibile arma tra le mani del caos: Mun. Da sempre il suo punto di forza e assieme il suo punto debole più grande. Prendete una bestia, di quelle forti. Di quelle che ti spaventano anche al solo pensiero di avvicinarti. Un leone, ad esempio. Ecco, prendete una simile creatura, quasi impossibile da abbattere. Potreste lottarci quanto volete, ma a forza bruta sarà assai difficile danneggiarla. Fermatevi allora qualche istante, mettete assieme i pezzi, e ragionate. Colpite un leone, e non si farà nulla. Ma danneggiategli ciò che ha di più caro, e allora sì che lo distruggerete. Rapitegli i cuccioli, minacciategli la famiglia, il territorio, il cibo e l'acqua, e incapperete nella lenta disfatta di una creatura tanto maestosa. Si getterà per difendere tutto ciò, darà sfoggio di tutta la sua forza ed il suo coraggio, ma alla fine cadrà, reso vulnerabile dai suoi punti deboli più meschini. La fine del leone. E quella fine sopraggiunge quando quelle lacrime iniziano a bagnare il viso seminascosto di Amunet. Ogni suo singhiozzo, ogni sua lacrima, è un fendente mortale scagliato contro la schiena della bestia. Quasi riesce a sentire Fred, quelle coltellate. Nella foresta proibita ne ha provato parecchio di dolore, più di quanto non ne abbia provato in vita sua, seppur difficile a dirsi. Ma quello è un dolore assai peggiore. E' una sofferenza che lo consuma dall'interno. Estirpa ogni scintilla di quel fuoco vitale e lo ricopre di completo nulla. Lo costringe ad un processo di lento degradamento che lo dilania sin dal profondo. Più Amunet soffre, più Fred si sente impotente. Di nuovo. E' successo tante, troppe volte. Tante volte lei ha cominciato a piangergli di fronte, senza un motivo ben preciso. E tutte quelle volte, quelle fottutissime volte, Fred sapeva esserci qualcosa sotto. Qualcosa di terribile, qualcosa di abominevole, osceno ed impensabile.
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    « Non ce la faccio più. » La voce di lei è ridotta ad un sussurro soffocato dai singhiozzi. Deglutisce, Weasley, schiude le labbra e fa per dire qualcosa, prima di scoprire che..Non ci riesce. E' schiacciato dalla sua sofferenza, e non è nella condizione più adatta per dirle che andrà tutto bene. Perchè non va bene un cazzo. Dietro quegli occhiali c'è qualcosa, lo sa, l'ha ormai capito, e la reazione di Mun non fa altro che aumentare ogni suo sospetto. E fa male, Dio se fa male. E lui non si sente più quel ragazzo di qualche tempo fa, o quello che si sforza di mostrare ancora oggi a chiunque. Non sente più come proprio quel fastidioso ottimismo, non è più capace di guardare il mondo dalla prospettiva migliore. L'ha fatto, l'ha fatto fino a poco tempo fa, fino a qualche giorno fa, e a cosa si è ridotto? Cibo per i demoni per settimane, paralizzato per giorni, costretto ad assistere alla morte ed alla scomparsa delle persone a lui più care, e ora questo. « Non ci riesco più.. » Continua a fissarla, senza riuscire a spiccicare parola. Il fuoco spento nei suoi occhi che cerca di carpire il minimo segnale, persino il più insignificante, attuo a dargli la più piccola speranza di essersi sbagliato. Guardami Mun, guardami. Ti prego, togliti questi occhiali e guardami. Sputami veleno addosso coi tuoi occhi di ghiaccio. Distruggimi col tuo peggiore sguardo. Ma fallo. Guardami. Vedimi. Come io vedo te. Ma lei non lo fa. Non lo vede, non vede la tristezza nel suo sguardo ed il panico sul suo viso. Non vede nulla di tutto ciò e si accascia per terra, completamente sfinita. Si allontana il più possibile da lui, fino a raggiungere la ringhiera del terrazzo con le spalle, le ginocchia strette al petto. La fissa in silenzio, Fred, ridotto ad una statua di sale. Non sa nemmeno perchè. Vorrebbe andare a stringerla, vorrebbe abbracciarla, ma non ne è capace. Al momento, la sofferenza di lei è entrata a far parte di lui, e lo paralizza. Ti è successo qualcosa, ed io non c'ero. Di nuovo. Ha perso, di nuovo. « Ho rovinato tutto.. Non c'è più niente. » Prende un lungo respiro, i pugni stretti così tanto che le nocche sono ormai bianche, e allora si avvicina. Si inginocchia di fronte a lei, sulle proprie gambe, e fa per allungare una mano per sfiorarla, ma la ritrae subito dopo. « Mi dispiace. Mi dispiace.. mi dispiace. Sono.. orribile. » Scuote la testa, seppur sia ormai certo che lei non possa vederlo. Non vuole sentire quelle parole. Lei non è un mostro. Gliel'ha detto e ripetuto tante di quelle volte. E lo pensa davvero, lo pensa ancora, persino dopo quella notte nel bagno dei prefetti. Coincidenze, situazioni, sbagli. Tutti sbagliano, in fondo, l'importante è pentirsene e non farlo più. Ma c'è qualcosa di più profondo. Non sa nemmeno perchè, ma lo sente. « Ci ho provato Fred.. davvero. Ci ho provato. Ma non ce la faccio più. » Si dondola su sè stessa, le mani che affondano tra i capelli e li tirano con forza. E allora agisce, il rosso. Protrae le braccia in avanti, fino a stringere le sue dita contro le mani di lei, per districarli da quelle ciocche martoriate. « Calmati, Mun. Okay? Calmati. » Le sue mani calde sono strette a quelle di lei, mentre le fa abbassare le braccia, senza lasciarla. « Respira profondamente, forza. Perchè se mi muori quì così, giuro che mi incazzo. » Una nota di leggera ironia, mentre sorride appena. Cerca il suo sguardo e non lo trova, quindi sospira. « Di cosa ti dispiace? Hai provato a fare cosa? » Il tono di voce è instabile. Sta tentando di mantenere una calma apparente, Weasley. Vacilla da ogni angolo, eppure resiste. Si mostra forte per lei. Le lascia le mani con quella stessa cautela che si usa con i cuccioli spaventati, e allora si morde l'interno della bocca. Fissa il vetro di quegli occhiali scuri, e senza nemmeno accorgersene, le sue mani si stanno già alzando. Le dita si poggiano alle astine nere, mentre glieli sfila piano. Prende un lungo respiro, il cuore in gola, e dopo qualche momento, riesce a vederli. Lui vede lei, lei non vede più lui. Ed è in quel momento che il colpo fatale arriva. Lo sente proprio lì, in pieno petto, così forte da farlo precipitare. E si accascia davvero, Weasley, cadendo a sedere sul pavimento in pietra. Rimane in silenzio per quelli che gli sembrano anni, gli occhiali di lei ancora stretti tra le mani. Dentro di lui, il caos. Un miscuglio di emozioni che non riesce nè a comprendere, nè a contrastare. Si susseguono tra loro, l'una dietro l'altra. Lo colpiscono da ogni angolo, lo feriscono in ogni parte, mentre una miriade di flashback gli passa davanti agli occhi. Mun picchiata, Mun piena di lividi, Mun cieca. Crack. Abbassa lo sguardo, e si accorge di aver spezzato in due gli occhiali. Tra tutte quelle emozioni, la rabbia rimonta. Ti è successo qualcosa ed io non c'ero. Ti hanno fatto questo ed io non c'ero. « Che cazzo è successo? » Non si rende nemmeno conto del tono di voce decisamente più alto del normale, sovrastato da un ringhio non particolarmente sommesso. Si sente di stare per esplodere, e allora stringe i pugni lasciando cadere i resti degli occhiali per terra, e respira profondamente, cercando di calmarsi. « Mun...Cos'hai agli occhi? » Si avvicina appena, sfiorandole il viso con una mano, e nel sentirla lì, concreta, la consapevolezza che tutto ciò è reale lo investe in pieno e lo fa allontanare di scatto. « Chi ti ha fatto questo? Ti prego Mun dimmelo. » Il tono di voce adesso è simile ad un lamento. La prega di dirgli la verità. Ha bisogno della verità, per quanto farà male. « Dimmelo, dimmelo, dimmelo. » La rabbia rimonta, il fuoco divampa all'improvviso. « Dimmi chi è stato e giuro che lo uccido. »
     
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    Abigail Grenn - alle 17:45 si reca presso gli alloggi del suo ragazzo confessandogli molto velatamente di essere una spia, cerca di avvertirlo sul pericolo che incorrono tutti per via degli uomini del padre. Durante la conversazione sarà piuttosto esplicita sulle preoccupazioni concernenti "un'ombra che si aggira tra di noi". Alle 18:30 dello stesso giorno si recherà verso l'infermeria rubando due flaconi di antidolorifici. Col calare delle tenebre, dopo la mezza notte, si assumerà le pillole contenute nei due flaconi. Morirà solo alle 5:38. Parte della disfatta è iniziata lì; non l'intera storia, ma di certo parte del principio della fine. E' iniziato tutto quando Amunet Carrow ha deciso di colpire attorno a sé. Prima il custode al campo estivo, poi Abigail Green. Scegliere persone attorno a sé che morissero in circostanze alquanto fumose non ha attirato l'attenzione inizialmente, ma certo, ha fatto sì che qualcuno iniziasse a porsi domande. Nessuno moriva a Hogwarts, nessuno aveva davvero motivo di voler morire, oltretutto. E se per il custode c'era pur sempre la possibilità che potesse esser scivolato nel dirupo in cui è finito per cadere rompendosi l'osso del collo, non c'erano altrettante chance che ben due flaconi di psicofarmaci finissero giù per la gola di una ragazza che tutto sommato, era sempre allegra e piena di vita. Sin troppo, avrebbe detto Mun. Perché lei, Abbie l'aveva a lungo osservata, e dietro quella maschera di buone intenzioni e gentilezze, si celavano sin troppi segreti. Un motivo che, qualcuno altro avrebbe potuto tranquillamente dire, che era sufficiente perché anche la Carrow finisse sul Death Note. E' diverso si dice lei. Egoisticamente parlando, si è sempre raccontata che quanto meno lei non nuoceva a innocenti, che la sua crociata fosse migliore di quella di altri perché epurava il mondo da stupratori seriali, assassini. Si era raccontata di aver reso il mondo un posto migliore. Con uno psicopatico in meno a piede libero, un bel po' di persone potevano dirsi al sicuro. Ma questo non solo non era compito suo, ma aveva rotto anche un equilibrio. L'equilibrio di quanto secondo alcuni fosse scritto nel destino. Se una donna, poniamo caso, era destinata a morire sotto i violenti colpi di uno stupratore che dopo avrebbe depredato il suo corpo anche da morta, doveva andare così. Ecco questo Mun non riusciva ad accettarlo. L'idea di una predestinazione, di un qualcosa che decidesse il tutto al posto loro, l'idea che il mondo di Ryuk avesse già scritto le loro sorti, significava ammettere che non ci fosse alcuna scelta per nessuno. Posso decidere di non prendere la macchina un giorno, evitando quel incidente stradale, ma finirò comunque per restare secco inciampando e fracassandomi la testa contro un oggetto contundente. Follia. Seppur Mun si dicesse la persona meno speranzosa del mondo, la verità era che aveva sin troppa speranza. « Calmati, Mun. Okay? Calmati. » Il suo respiro spezzato continua a non permetterle di calmarsi, ma quando le mani di lui le afferrano i polsi obbligandola a smettere di farsi del male, Mun inizia a ricordare com'è inspirare ed espirare. Una cosa che invece non vuole ricordare è il volto di Fred. Lo ha visto sin troppe volte in pena; quei suoi meravigliosi occhi, colorati di una pattina scura, dovuta al tormento di vederla in pena. Quanto danno ti ho arrecato? Io ti ho rotto Fred. Ti ho rotto prima ancora di volerlo farlo. Ti ho rubato l'innocenza e poi l'ho gettata alle ortiche come se non valesse nulla. Mun è tossica, è un fungo velenoso. E' edera appunto; si aggrappa a qualunque cosa incontri risucchiandone la vita per rinvigorirsi. Di suo non ha altro se non la malalingua e il veleno che le scorre nelle vene. « Respira profondamente, forza. Perchè se mi muori quì così, giuro che mi incazzo. Di cosa ti dispiace? Hai provato a fare cosa? » Domande. Così tante domande. E lei non sa cosa rispondere. Non sa cosa dire, non sa cosa fare. Non sa quale strada percorrere. La vecchia Mun sarebbe stata in grado di districarsi in una situazione del genere senza poi molte difficoltà. Ma quella Mun, era in grado di carpire la realtà, la conosceva bene, la visualizzava, ne scavava in profondità. La osservava con l'attenzione di un neurochirurgo che si trova nella sala operatoria da sedici ore e anche non dà segni di esaurimento. Ora è stanca, il suo sistema nervoso sembra averla abbandonata. Pensa Mun, pensa. Ma Mun di pensare a un'altra ridicola scusa da propinargli non ne vuole sapere. E allora resta in silenzio, con le mani incollate al busto e i pugni stretti nella stessa posizione in cui si trovavano quando ancora erano attaccati al proprio scalpo. Prima ancora che possa rendersene conto, viene scoperta. Non ha avuto il tempo di anticipare quella mossa; i suoi riflessi poi, con un senso in meno, si reggono come un tavolo a tre gambe, e così, non sapendo quando esattamente gli occhiali svelano il suo viso, si chiudono probabilmente in ritardo. Si copre il volto, Mun, con entrambe le mani, ma a giudicare da quel silenzio è troppo tardi e lui ha già visto. E poi, se anche si fosse coperta in tempo, davvero pensava Mun che a quel punto c'erano poi molti dubbi su cosa le fosse successo? Nemmeno lei, che si nasconde dietro a un dito da una vita, sarebbe così sciocca da pensare che la situazione non è evidente. « Che cazzo è successo? Mun...Cos'hai agli occhi? » Non è niente. Sto bene. Quante volte lo ha detto? Quante volte ha evitato questa disfatta? Quante volte si è crogiolata nell'idea che prima o poi le cose sarebbero migliorate? E sono migliorate. E' passata dalle mani di uno psicopatico nelle mani di un altro. Solo che mentre suo padre l'ha ferita nel corpo, Ryuk l'ha storpiata nello spirito, l'ha cambiata. Mun non è più quella di un tempo, a tratti è più umana che mai, altre volte invece, sembra non esserlo più. « Chi ti ha fatto questo? Ti prego Mun dimmelo. » Lei scuote la testa, tentando di scacciare le sue parole, la sua voce, quel lento tormento che sente nelle vene ad ogni sua parola, ad ogni sua preghiera. « Basta Fred, ti prego, non costringermi. » Si asciuga le lacrime con le maniche della camicia portandosi le ginocchia più vicine possibile al petto, nell'intento di crearsi quella corazza di cui ormai si fa portatrice da sin troppo tempo. Un riflesso involontario quello di abbracciarsi le ginocchia, quasi come se quel raggomitolarsi su se stessa potesse davvero proteggerla. Ma Mun non ha più scampo. Può evitare per un po' l'inevitabile, ma non può sfuggirgli per sempre. Non finché si troveranno chiusi in uno spazio così minuscolo come una Sala Comune. Non sono bastati i domini di Hogwarts al completo a tenerli davvero separati, non è bastato il suo continuo sfuggirgli, figuriamoci se gli sarebbe sfuggita in uno spazio vitale talmente ristretto. « Dimmelo, dimmelo, dimmelo. » Si copre le orecchi con le mani mentre dondola ancora, pur sapendo che ciò non riuscirà ad attutire i suoni e tanto meno il suo tono alterato. « Dimmi chi è stato e giuro che lo uccido. » Ed è quello il campanello d'allarme. Non sei più innocente. Non sei più un bambino. Ma questo non significa che siccome ti ho rubato l'innocenza, ti ruberò anche la purezza. E quindi resta in silenzio per un tempo quantitativamente infinito Mun. Volge lo sguardo di lato per cercare di celare il più possibile lo sguardo degli occhi di lui. Con chi vuoi prendertela Fred? Col tuo migliore amico o con un essere invisibile? Vuoi prendertela con chi mi ha rubato negli ultimi tempi o con chi mi ha rubato negli ultimi anni? Qual è il tuo veleno? Chi colpevolizzerai questa volta pur di trovarmi di nuovo scuse? Perché non è colpa loro. Non è nemmeno colpa di Ryuk. Qui c'è solo un mostro che si è approfittato di altre belve. Più o meno innocenti. Da sempre.

    E in tutta risposta, Mun sospira, trova la forza per rialzarsi e rimettersi in piedi, facendo leva sulla ringhiera del terrazzo, finché non si trova a spalle dritte probabilmente di fronte a lui. Non sa esattamente dove si trovino i suoi occhi, non è certa di guardare nella direzione giusta, ma ci prova. « Avanti allora, uccidimi. » Il sospiro affannato, una note di stanchezza e nessuna voglia di provare ancora ad arrabattarsi attorno a discorsi complicati. « Uccidimi Fred, perché è tutta colpa mia. Sono sempre stata io. » Stringe i pugni e i denti, mentre chiude gli occhi. Non è mai stata così sincera è priva di voglia di continuare come ora. Anche la sua ultima punta di orgoglio è stata gettata giù da quella torre. E' stanca di sentirsi urlare contro, di sentirsi fare domande a cui non sa rispondere o non vuole rispondere. E così almeno su quelle su cui sa rispondere, decidere di non sorvolare più. « Ho cercato di avvertirti, di tenerti lontano. Accidenti, ho cercato di fartelo capire in tutti i modi. » Fa una leggera pausa prima di sbuffare, cercando di buttare fuori più aria possibile. Forse se resta senza fiato smetterà di parlare. Ma non è quello il caso. « Lo hai persino visto. Tu l'hai visto. Ma hai sempre preferito distogliere lo sguardo. » Anche quando il problema era lì evidente di fronte a lui, Fred ha preferito guardare altrove, raccontarsi che Mun non aveva altro problema se non il fatto che suo padre la picchiava da piccola. « Sono sempre stata io, Fred.. » Ribadisce ancora una volta affinché si assicuri che non possa negarlo. « L'ombra che si aggira tra noi, sono io. » E dicendo ciò chiude nuovamente gli occhi. appoggiando la fronte contro la ringhiera. Il freddo concilia i suoi caotici pensieri. Ho tentato di dirti in ogni modo che non ero ciò che tu volevi vedere, ma tu hai voluto essere cieco, Freddie. « Questo.. » E dicendo ciò si passa una mano sopra gli occhi chiusi. « ..è la mia punizione. Sono stata io a farmi questo. » E devo farci i conti.

     
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    Seppur difficile da credere, Fred Weasley Abigail Green non l'aveva ancora dimenticata. Certo era che non l'avesse mai amata, ma aveva fatto parte della sua vita comunque, per un periodo piuttosto lungo, secondo i suoi standard. Abbie rappresentava ancora quella macchia indelebile sulla sua reputazione d'eroe. Colei che non era riuscito a salvare, perchè mai era riuscito anche solo a capire. Comprendere il significato delle sue azioni, il perchè di quel gesto tanto estremo. Sulla Green, dopo la sua morte, ne erano state dette tante. Che fosse una traditrice, un'assassina ed una terrorista a Fred poco importava. Non doveva morire, e questo l'avrebbe sempre pensato. La morte non è mai una soluzione. Di cose che l'avevano spinto a metter da parte il suo ricordo, Weasley ne aveva fatte tante. Ad un solo un mese dalla morte della sua fidanzata, il Grifondoro aveva fatto parlare di sè, e non di certo per il suo animo da vedovo dispiaciuto. Il suo nome era apparso più volte su quella dannata bacheca dei pettegolezzi, seguito spesso dai nomi di altre ragazze. Era vero, Fred non l'aveva pensata in quella notte assieme a Malia nel bagno dei prefetti, nè tanto meno quel pomeriggio con Amunet alle docce. Ma questo non valeva a dire che se ne fosse dimenticato. Non l'aveva fatto fino a quel momento e probabilmente non l'avrebbe fatto mai. Ricordava ancora tutto, di Abigail. Il suo cervello sembrava aver immagazzinato tanti di quei particolari su di lei, da quando lei effettivamente non c'era più, da profilarsene un vero e proprio prospetto. Strano, a tratti avvilente, come era stato necessario per Abbie morire, per riuscire ad occupare un ruolo importante tra i ricordi del Grifondoro. Ricordi che nonostante tutto, nonostante fosse passato del tempo, continuavano a vederla protagonista, per lo meno alcuni. Quella sera d'estate, Abbie era giunta da lui. Era strana, aveva pensato, ma non più del normale. Tuttavia, sarebbe stato diverso, quella volta. Perchè quel pomeriggio trascorso nel modo più tranquillo possibile, si sarebbe rivelato l'inizio. Ci sono momenti della tua vita che rappresentano un inizio, o una fine talvolta. Non te ne accorgi, sul momento, eppure loro scorrono comunque, lasciandoti immergere in quel mare d'inconsapevolezza, capace di avvolgerti fino a quando non è ormai troppo tardi. E così era stato: troppo tardi. Troppo tardi nel capire cosa significassero le ultime parole di Abigail Green, troppo tardi nel ritrovare il suo corpo morto steso a terra. Ad oggi, se lo sentiva gravare sulle spalle quel non esser arrivato in tempo. Di nuovo. Era fatto così, Fred, e probabilmente mai nulla l'avrebbe potuto cambiare. Tutto ciò che succedeva alla gente che lo circondava, e che amava, l'avrebbe sempre visto come una propria colpa. Un proprio peccato. E allora eccolo, il cuore che continua a battere all'impazzata, mentre lo sguardo vuoto di Amunet fa di tutto per sfuggirgli, ma lui continua a tenere i suoi occhi di fuoco fissi su di lei. Cosa ti è successo? Perchè? Si sente ribollire il sangue nelle vene. Abbie era morta, e non era stato facile superarlo. Ma Amunet? Come avrebbe superato una simile faccenda su Amunet? Se lo sentiva davvero, quell'istinto. Lo stesso che l'aveva accompagnato mentre i suoi pugni si erano scagliati contro il viso di quel povero Corvonero, qualche minuto fa. Era una sensazione liberatoria, da un lato, ma estremamente dolorosa dall'altro. Lui non era questo, e non lo era mai stato. Un violento, un assassino, un mostro. Ma di mostri, negli ultimi tempi, Weasley ne aveva visti tanti. Non ci aveva creduto, fin quando non vi si era trovato a che fare. Non ci aveva creduto fin quando tutte le loro voci, i loro bisbigli e sussurri non erano entrati a far parte della sua stessa mente, cibo prelibato per quei demoni. « Avanti allora, uccidimi. Uccidimi Fred, perché è tutta colpa mia. Sono sempre stata io. » Eppure, nonostante tutto, Fred aveva continuato a credere. A tratti si faceva persino pena, per tutta quella cieca speranza che si ostinava a portare avanti. La stessa che lampeggia ancora lì, da qualche parte del suo animo dilaniato. Non so di cosa tu stia parlando, Mun, e ad ogni modo non voglio saperlo. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, così come non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Freddie Weasley Amunet Carrow l'ha sempre avuta lì, in un modo o nell'altro. Sotto gli occhi, tra le mura di quel castello. Ha visto la sua trasformazione, ha visto tutto il resto, eppure ha sempre continuato a credere. Persino dopo la notte di Halloween, ha creduto in lei. Che non fosse un mostro, che fosse successo per una semplice coincidenza. Autodifesa, paura, qualsiasi cosa pur di giustificarla. Per quanto ancora resterai cieco, Weasley? « Ho cercato di avvertirti, di tenerti lontano. Accidenti, ho cercato di fartelo capire in tutti i modi. » Non ha idea del perchè di quelle parole. Amunet è lì, ormai in piedi di fronte a lui. Aggrappata alla ringhiera del terrazzo, nessuna scintilla di vita in quello sguardo ormai spento. Continua a fissarlo, il rosso, il respiro che si fa accelerato ogni minuto che passa. Vorrebbe provare a spiegare come si sente, capire come si sente, per riuscire a calmarsi. Ma non ne è capace. Perchè è un marasma generale e letale di emozioni ciò che prova. E' confuso, prima di qualsiasi altra cosa. Non sa di cosa lei stia parlando, eppure lo sa benissimo. Forse l'ha sempre saputo, ma ha sempre finto il contrario. E quindi alla confusione si uniscono la rabbia, la delusione e la paura. Cosa succede? Perchè adesso? Cosa devo credere? Per la prima volta, si ritrova a dubitare. E non gli piace farlo, non vuole farlo. Quindi deglutisce, mandando giù quell'opprimente nodo alla gola.
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    « Ma di che parli? » Sente la propria voce trapelare dalle sue labbra appena tremanti, ed è simile ad un lamento. Non si riconosce, in quel tono di voce. Non si riconosce in niente di tutto ciò che sta succedendo. Dev'essere un sogno, probabilmente, uno dei suoi peggiori incubi. Si passa una mano tra i capelli, con fare nervoso. Vuole la verità, la vuole adesso, eppure non la vuole affatto. Qualcosa gli dice che farà male, e lui non è sicuro d'esser pronto. « Lo hai persino visto. Tu l'hai visto. Ma hai sempre preferito distogliere lo sguardo. » Scuote la testa. E siamo di nuovo quì, a negare l'evidente. Per un attimo, Amunet scompare. I suoi occhi vuoti assieme a lei. Si ritrova in quel bagno dei prefetti, Fred, lo sguardo fisso su quel cadavere dilaniato immerso nell'acqua. Mun è lì, immobile dinnanzi a lui. Non lo guarda nemmeno, ma continua a fissare quell'orribile scempio. Perchè volevo farlo. C'erano sempre stati, quegli indizi. In un certo qual modo, Amunet aveva sempre tentato di fargli capire qualcosa. Ma lui, dal canto suo, non aveva mai voluto farlo. E si ostina ancora a provarci, persino adesso, persino di fronte all'evidenza di un fatto tanto assurdo. L'aveva vista Fred, quella sera di Natale. Stava bene, Mun, qualche graffio forse, ma niente di particolarmente preoccupante. Nella sala comune di Corvonero, poi, non era successo nulla che potesse averla ferita così. C'era qualcos'altro, dietro quegli occhi di vetro. C'era sempre stato qualcos'altro, dietro la sagoma perfetta e compita della Carrow. E Fred, era semplicemente arrivato troppo tardi. « Sono sempre stata io, Fred.. » Le mani ancora strette tra i capelli si stringono, tanto da fargli provare dolore. Mormora qualche no, quasi come fosse una cantilena. « L'ombra che si aggira tra noi, sono io. » Poi, quelle parole arrivano. La presa si allenta, l'espressione si fa improvvisamente seria, glaciale. Un'ombra si aggira tra di noi. Con quelle ultime parole, Abigail Green l'aveva lasciato. Erano soli, in quella camera, quel pomeriggio d'estate. Non ne aveva parlato con nessuno, Fred. Non con Malia, non con Albus, nè con Hugo. Non ci aveva neanche fatto tanto caso, a quella frase. Inquietante, senza ombra di dubbio, ma ai suoi occhi insensata. Col senno di poi l'aveva persino ricollegata a Kingsley, colui che li aveva costretti a quell'inferno. Ma adesso...Si sente sotto attacco. Tu quest'Amunet non la conosci. L'ho fatto perchè volevo farlo. Vedrai nelle mani di quale mostro mi hai spinta. Sono sempre stata io, l'ombra che si aggira tra noi. « Questo..è la mia punizione. Sono stata io a farmi questo. » Non sente nemmeno le sue ultime parole. La testa pulsa così forte da far male, mentre quella miriade di pensieri lo investe, tutti assieme. « Abigail. » Mormora improvvisamente, il tono di voce simile ad un sussurro « Come fai a..Amunet, che significa? » Si rialza per avvicinarsi a lei, lottando contro il suo corpo che sembra esser diventato una statua di sale all'improvviso. « Cosa c'entra tutto questo con i tuoi occhi? » La guarda, senza che il suo sguardo venga ricambiato, e sospira. « Come puoi esserti fatta questo da sola? Un minuto prima stavi bene, e poi... » Non riesce neanche a finire la frase. Non riesce neanche a pensare. « Per favore, dimmi che significa. Dimmi che tu con Abbie non c'entri nulla, perchè è impossibile che tu possa c'entrarci qualcosa. » Ed io non voglio crederci. Allunga una mano, stringendo le proprie dita tra quelle esili di lei. Quel contatto rende tutto più reale. E allora lo sente, quel supplizio alla base dei suoi sensi. Paura. « Dimmi come sei finita così, voglio la verità, solo quella, altrimenti non posso aiutarti... » Non sei sola. Non lo sarai, non più, fin quando vivrò. « Ti prego. »
     
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    Da piccola Amunet Carrow è sempre stata ossessionata dalla figura del uomo nero nell'armadio e sotto il letto. L'uomo nero la seguiva ovunque; era appunto nell'armadio e sotto il etto, spesso nei ripostigli e negli antri oscuri della casa, era nelle enormi cantine della residenza dei Carrow e in fondo al pozzo che si ergeva in mezzo al frutteto sui domini della magione; i mostri, nelle loro varie forme la terrorizzavano a tal punto da urlare a volte, scappando come un coniglietto impaurito nella stanza del fratello al di là del corridoio. Le dicevano sempre che avesse una fervida immaginazione, che Mun era semplicemente troppo immersa in quel suo mondo di favole, che era tutto nella sua testa e che lei doveva imparare a smettere di inventarsi tutte quelle terrificanti storie. C'era chi avesse azzardato persino a vederlo come un cattivo presagio per lo sviluppo della futura personalità della bambina. Nessuno credeva all'uomo nero o all'appeso che spesso Mun vedeva dondolare fuori dalla finestra della sua stanzetta, ai mostri di diverse forme e dimensioni che si scagliavano su di lei nei momenti meno opportuni e più inaspettati. Lei abbracciava Kathleen, la sua fedele bambola di pezza e si costringeva ad andare a dormire, ma alla fine non accadeva mai e lei abbandonava sempre il suo bel lettone a baldacchino per scappare a volte da Ares, a volte da Deimos e poi ancora da Jolene; ma da sua madre o da suo padre.. loro, la più piccola l'avevano sempre visto come un esserino estremamente debole e insignificante. Se ne stava lì sotto le coperte col volto quasi completamente velato dai caldi involucri di piume d'oca, lasciando che solo quei luminosi occhi azzurri perlustrassero le stanze in cui cercava rifugio. Da piccola Amunet Carrow era una creatura estremamente malleabile, i suoi coetanei se ne approfittavano di lei, perché era una creaturina buona e cara, sin troppo fragile, perennemente intenta a non invadere il campo altrui, anche a patto di restar confinata in un angolo. Saggia sin dai primi passi, di una saggezza infantile eppure estremamente ricercata, sceglieva le sue battaglie con attenzione, evitando scontri inutili e attaccando quando i suoi fratelli o i bambini all'asilo meno se lo aspettassero. Era già cinica e disincantata, frutto di un nucleo famigliare tutto fuorché salubre, venuta su in un ambiente di serpi in seno e fervide ambizioni. In mezzo a loro era un ciglio spaventato, un giglio che fioriva dritto dalla roccia, ergendosi, nonostante la mancanza di nutrimento affettivo, forte e sana. Quella bambina non avrebbe mai voluto trasformarsi in questo drago sputa fiamme. Si è sempre ripetuta che avrebbe fatto meglio dei suoi genitori, persino meglio dai suoi fratelli, e alla fine, volente o nolente si è dimostrata la mela che cade più vicina all'albero. Perché buone intenzioni o meno, c'è stato un periodo in cui Mun avrebbe venduto persino sua madre pur di farlo smettere - il dolore. Dare un peso tanto grosso da gestire, come quel libro della morte, a una ragazzina, è come consegnare i codici nucleari di mezzo mondo a un infante. Tutto può succedere, nulla è escluso. Ryuk, di Mun se ne è approfittato, l'ha resa sua schiava relegandola tuttavia a un libero arbitrio fantoccio; l'ha resa colpevole pur non avendo scelta. Quelle morti gravano sul suo di cuore, perché le ha scelte, le ha calcolate, le ha architettate nei minimi particolari come una maestra dell'inganno qual è. L'uomo nero l'ha fregata e lei ci è cascata con tutti e due i piedi. Una mente brillante corrotta da un mentalista di primo ordine, un dominus delle parole. « Ma di che parli? » In mezzo a tutto quel marasma, Freddie Weasley era stata una dolce gentile parentesi. Si è sempre colpevolizzato di non aver fatto di più, di non riuscire a salvarla, di non essere abbastanza per poter fronteggiare quanto accadesse nella vita della Carrow, ma la verità è che entrambi erano due bambini. Se è vero che Fred non è stato abbastanza coraggioso da restarle accanto, è altrettanto vero che Mun è stata abbastanza codarda da scaricare indirettamente su di lui tutto il suo dolore. Bambini appunto; lo erano tutt'ora, perché seppur tentassero di ergersi a sopravvissuti, a ormai quasi adulti che stavano navigando in un mare destabilizzante, la verità era che Fred e Mun, chiunque stesse loro attorno, avevano ancora la parvenza di non avere la più pallida idea di cosa fare. Nessuna delle loro scelte poteva dirsi davvero stupida; o meglio, erano tutte stupide, nell'ottica di un ingenuità che volenti o nolenti non avevano perso. L'innocenza regnava in ciascuno di loro, perché la verità è che vi si aggrappavano fino a indossarla ognuno a modo proprio a mo di scudo. « Abigail. »


    Sussulta la giovane Carrow nel sentire nuovamente quel nome. L'ha tormentata per mesi, lo ha sentito ancora e ancora tra i suoi compagni, stampato su ogni maledetto giornale. Le ci è voluto molto prima di convincersi che la Green prima ancora di essere una loro coetanea era pur sempre un pericolo per l'incolumità di tutti. « Come fai a..Amunet, che significa? Cosa c'entra tutto questo con i tuoi occhi? Come puoi esserti fatta questo da sola? Un minuto prima stavi bene, e poi.. » Farfuglia Freddie, attanagliato da domande, che fanno scaturire negli occhi della piccola Carrow altre lacrime che scorrono silenziose e solitarie sul suo volto. « Per favore, dimmi che significa. Dimmi che tu con Abbie non c'entri nulla, perchè è impossibile che tu possa c'entrarci qualcosa. » Le dita di lei incontrano quelle di lui, e per un momento, Mun è pronta a fare retromarcia. E' pronta a mentire ancora una volta. Segue la traiettoria della sua mano per avvicinarsi, trascinandosi la mano di lui vicino al volto. Come un gattino in cerca di coccole, Mun poggia il palmo di Freddie sulla propria guancia, chiudendo gli occhi. Le sue dita sono calde, come sempre in netto contrasto con il gelo che domina le sue vene. « Non farmelo fare.. » Un sussurro talmente colmo di dolore e sensi di colpa, una muta preghiera che sembra perdersi nell'aria prima ancora di raggiungere il proprio destinatario, tanto è debole quel soffio. « Dimmi come sei finita così, voglio la verità, solo quella, altrimenti non posso aiutarti.. Ti prego. » No. Io ti prego. Ti prego di non chiedermi questa verità. Non questa. Tutto ma non questa. Perché se prima era una questione di vita e di morte, ora rimane solo una questione di orgoglio e di anime ferite. Delle conseguenze prettamente terrene scatenate da episodi che poco avevano di umano. La verità è sempre stata un concetto relativo per Amunet Carrow. Racconta solo ciò che ti fa comodo. Non stai mentendo, stai solo omettendo. Omettere, non era mai stato veramente mentire nella sua ottica, e così si era sentita in diritto di dover dire solo ciò che le faceva comodo, o in certi casi, quando le domande non era precise, non dire assolutamente niente. E lo avrebbe fatto anche in quel frangente se solo non fosse stato quel continuo omettere ad averla portata fino a quel punto, se solo le mille bugie, sotterfugi e segreti non l'avessero portata alla più miserabile delle condizioni. Una parte di lei urlava perché continuasse a mantenere celata tutta la sua copertura, l'altra invece, quella ormai leggera come una piuma sembrava costringerla a pentirsi. Pentirsi non tanti dei crimini che aveva commesso, quanto della bella bugia infiocchettata e confezionata che aveva rifilato a Freddie. Certo, lei non aveva alcun obbligo nel confessargli alcunché, eppure il loro legame emotivo, avrebbe dovuto costringerla a non restare indifferente di fronte all'affetto che il rosso aveva manifestato nei suoi confronti, di fronte alla perenne protezione che le ha offerto e il continuo rincorrerla. Non ne valgo la pena; aveva tentato di dirglielo in tutte le salse possibili e immaginabili, ma Fred era un sognatore, un idealista guerriero che sfoderava la spada per la Carrow anche quando quest'ultima era convinta di non averne bisogno. Ingenuo sì, ma non per questo meritevole di tutte le bugie che lei volente o nolente gli ha raccontato. Perché anche tacere, è a sua volta una forma di bugia. Sposta allora il volto appena per posare un leggero bacio sul palmo di lui, accarezzandogli appena le nocche con le proprie labbra, crogiolandosi nella rassicurante sensazione di quel calore, di quel implicito calore, che sapeva in cuor suo sarebbe venuto meno. « Ti ho mentito.. » Ecco il più grande peccato di Amunet Carrow nei confronti di Fred Weasley. La menzogna. Nietzsche diceva che chi non sa mentire non sa che cos'è la verità. E proprio la consapevolezza di conoscere il peso delle proprie azioni, gliele rendono ancora più pesanti sul cuore. « Perdonami. » Sospira profondamente, indietreggiando di qualche passo, frapponendo una distanza tale tra loro da evitare qualunque contatto. Perché non si merita il suo calore, e per quanto vorrebbe poterlo abbracciare e crogiolarsi tra le sue braccia sa che non ne ha il diritto. Te ne ho fatte passare di cotte e di crude. Non giustifica certo, gli errori che lo stesso Fred aveva compiuto nei suoi confronti, ma qui, non si trattava di controbilanciare gli errori dell'uno e dell'altro. Si trattava di gettare finalmente tutte le carte in tavola e scoprirle. A quel punto tira un lungo sospiro e si costringe a riprendere possesso del suo stesso controllo. « Mi dispiace che sia stato tu ad aver trovato il corpo. Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a quell'orrore. » Oh, ora le scuse ti piacciono, eh Mun? Oh vorresti averne abbastanza per scagionarti da ogni fottuto errore che hai commesso. Quella di Abigail era stata una morte tutto sommato gentile, tutto fuorché cruente e violenta. Non se ne era nemmeno accorta di aver esalato l'ultimo respiro, impasticcata com'era. Era facile per Mun, impartire punizioni a destra e manca. Scagliarsi contro assassini e traditori, finché a esserne colpite non erano le persone attorno a lei. Persone che avrebbero potuto giudicarla. « E mi dispiace che ad aver causato tutto quel.. tormento.. sia stata io. » Ormai parla alla rinfusa Mun, non sapendo precisamente da dove iniziare e come concludere. Quella storia è così lunga, così ingarbugliata. Dubita che nello stato attuale Fred possa collegare tutte le informazioni dando loro una spiegazione logica. Così, al solito, invece di prolungare le sofferenze, Mun va per il taglio netto e chirurgico. Resta in silenzio per un po', cercando di trovare il filo logico più semplice da seguire. Non vuole ferirlo più del necessario, non vuole che la caduta di Fred sia crudele. In cuor suo sa che non ha modo per evitare che si faccia male. Non quando non ha nessuna bugia abbastanza convincente per spiegargli come mai si è fatta così male. « Oltre ciò che vediamo, c'è dell'altro. » Inizia quindi ad occhi chiusi, con un tono pacato. Tenta di essere rassicurante. Si costringe a smettere di piangere. Si costringe di restare calma. « Molte delle favole che ci raccontavano da piccoli probabilmente sono vere. » D'altronde ai bambini babbani raccontano di creature mitologiche come i draghi e i grifoni, bestie che seppur non vediamo tutti i giorni, sappiamo esistano. Sono tra noi. Perché l'uomo nero allora non dovrebbe esistere? « C'è un mondo invisibile attorno a noi.. qualcosa di orribile e spaventoso, fatto di creature in grado di esaudire i nostri più reconditi desideri. A un prezzo molto alto. » Gli amici, gli affetti, la famiglia, l'amore. La vista. Forse prima o poi persino la vita. « In uno dei miei momenti più brutti, mi sono affidata a uno di loro. » All'uomo nero. Ai mostri sotto al letto. « E per molto tempo da quel giorno sono arrivata là dove i cavilli legali si ingarbugliavano, là dove la giustizia risultava fallace. » Se non puoi dimostrare che quell'amministratore delegato inserisce gesso nel latte in polvere da mandare in Africa, come fai a fermarlo? Come a fermare le migliaia di morti innocenti? Ne uccidi uno per salvarne mille. Questo si è detta Mun per molto, sin troppo tempo. « Ho fatto ciò che dovevo.. per fermare un sacco di inutile dolore. » Chiude gli occhi e stringe i pugni. Non è una giustificazione. Non la rende meno mostruosa. Ma se le colpe deve tenersele, se si pente dello spreco di linfa vitale, non altrettanto può dirsi dei suoi detentori. « Quest'estate ho chiesto che lo stesso succedesse ad Abigail. » Disse infine, prima che il respiro si facesse più affannato. « Ho visto la sua radio.. le lettere che si scambiava con il padre. Stavano progettando un colpo e lei gli offriva informazioni dall'interno. E così.. l'ho fermata.. prima che fosse troppo tardi. » E io sono contenta che quell'assassino ha tirato le cuoia; era pronto a uccidere centinaia di ragazzini. Qual è la differenza tra i Green e Kingsley? Il fatto che non ci sia riuscito? Indovina grazie a chi. « Me ne sono pentita.. quando ci siamo rivisti a scuola. » Disse infine con un filo di voce tremante. « E da lì non ho cercato altro che uscirne da questa situazione. Ho cercato aiuto.. l'ho trovato. Ma questo mondo si è dimostrato più furbo di me. » Si copre il viso cercando di fermare il flusso delle lacrime. « Questa è la mia punizione per aver sfidato la morte. » Non guardarmi. Non guardarmi ora ti prego. Vai via. Non riesco a sopportare l'idea dello sguardo che potresti avere adesso. « Ho cercato di dare la colpa su chiunque. Su papà, su di te, su Ares.. santo cielo ho cercato di colpevolizzare chiunque, davvero. Ma è solo colpa mia. L'ho voluto.. e adesso è giusto che paghi. »

     
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    Fred Weasley, da che ne abbia memoria, è sempre stato un difensore della verità. Certo, di bugie ne ha sempre dette tante, questo bisogna riconoscerlo, ma si è sempre trattato di piccole verità deformate, la maggior parte delle volte sotto forma di scuse, per evitarsi questa o quella punizione. Per il resto, tolti i piccoli sbagli da adolescente qual'è, la sincerità ha sempre occupato il suo modo di fare, di pensare, di vivere. Messa al primo posto, sempre e comunque. Mentire, farlo davvero, non è una cosa che è mai rientrata tra le sue corde. Farlo con le persone a lui più care e riuscire poi a guardarli comunque negli occhi qualche momento dopo, non è un pensiero che l'ha mai sfiorato. Eppure, talvolta, anzi la maggior parte delle volte, ci sono quelle verità che fanno male. Quelle che non vorresti nè dire, nè sentirti dire. Quelle verità che speri fino all'ultimo siano false e che forse, una volta apprese, avresti sperato meglio in una bugia. Perchè sono realtà alle quali non sei preparato. Sono realtà che hai forse sempre pensato, in chissà quale angolo recondito -ma non per questo meno importante- del tuo cervello, ma ti sei sempre illuso del contrario. Perchè così è più giusto. Così fa meno male. Ma poi arriva comunque, il momento della svolta. Perchè se c'è qualcosa di certo, in questo mondo fatto di domande e prospettive distorte, è che la verità verrà a galla, in un modo o nell'altro, sempre e comunque. E quando ciò avviene, state certi che avverrà al novanta per cento nel modo più doloroso e sconvolgente possibile. Il trucco sta nell'incassare il colpo. Nello stringere i pugni, serrare la mascella, ed imparare a convivere con una nuova realtà. « Non farmelo fare.. » E Weasley, ad assorbire quest'ennesima pugnalata, non è sicuramente pronto. Non lo è mentre il suo sguardo d'ambra continua ad osservare il viso bagnato dalle lacrime di Mun. Non lo è mentre lei si stringe contro la sua mano, la guanciotta che gli sfiora le dita, come a volersene accaparrare il calore insito. Sta per arrivare, lo sa. La sente pulsare tra loro quella verità capace di distruggere qualsiasi cosa. Capace di annientare i loro animi già di per sè dilaniati. Abbiamo lottato fino ad ora, Mun, e l'abbiamo fatto fottutamente bene. Continueremo a farlo. Ne sono certo. Ci credo, ci credo davvero. Devo crederci. Quelle parole vorticano tra la miriade di pensieri che gli inondano la mente. Ha sempre creduto, Fred. Anche quando era sicuro di non farlo, per motivi più o meno leciti, l'ha fatto comunque. Ha sempre visto Amunet nel modo in cui l'ha voluta vedere. L'ha sempre vista sotto quella prospettiva che lui stesso, con il passare del tempo, è stato capace di crearsi. E si sa, in fondo, Fred è una testa dura. Per fargli cambiare idea, ce ne vuole. E non l'ha cambiata, appunto, fino ad ora. Neanche tutte quelle volte in cui lei ci ha provato, ci ha provato davvero, a farglielo fare. Prima che fosse troppo tardi. Quindi respira profondamente, le dita che si muovono lentamente sul viso di lei, in una carezza calda, delicata ed avvolgente. La supereremo, Mun, supereremo anche questa. Vedrai, non è niente. Io lo so. Lo sai anche tu, ne sono certo! E' lì da qualche parte, quell'animo da sognatore. Lo stesso che per tanti anni, seduti a quel baretto che tante volte li ha visti tra i propri tavoli, ha sempre cercato di confortare una piccola Amunet Carrow schiacciata da un presente fin troppo più grande di lei. Promesse, promesse su promesse. Si è sempre trattato di questo. Animo da eroe, idee rampanti e sguardo da utopista. Perchè l'ha sempre vista quell'utopia, il rosso. L'intero mondo agli occhi di Weasley è sempre stato un'utopia. Occhi innocenti, buoni e magnanimi, incapaci di cogliere la malizia, la cattiveria, il male. Almeno fino ad ora. Almeno fino a quando non ha scoperto, sulla propria pelle, che il male esiste. I mostri esistono. Ma tu non sei uno di loro Mun, vero? Dimmi che non lo sei. « Ti ho mentito.. » Le sente quelle parole. Le percepisce mentre gli penetrano sotto la pelle, una ad una. « Perdonami. » Scuote la testa, seppur sappia che lei non può vederlo. Gli sembra quasi di sentire la sofferenza che si cela dietro quella confessione. Un dolore interno, che gli cresce dentro, invadendolo fino a bloccargli persino il respiro. Prova a parlare, ma la gola è tremendamente secca, e le sue corde vocali sembrano non voler collaborare. Allora rimane immobile mentre lei si allontana, incapace di fare null'altro. « Mi dispiace che sia stato tu ad aver trovato il corpo. Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a quell'orrore. E mi dispiace che ad aver causato tutto quel.. tormento.. sia stata io. » Per qualche istante, il cuore si blocca. Una fitta al petto lo costringe ad indietreggiare di qualche passo, piegandosi appena, come colpito da chissà quale fendente. Sono stata io. Non riesce a respirare, il battito è inesistente e lui si sente morire per quei pochi secondi che sembrano durare una vita intera. La conosce Fred, la morte. Forse non nei più piccoli e preziosi particolari, ma vi ha avuto a che fare più di una volta, indirettamente o direttamente. Ha già provato una sensazione simile in passato. Gli si è fermato il cuore per qualche momento, durante l'incidente al campo di quidditch. Succede tutto in pochi attimi, e non te ne accorgi nemmeno. Un attimo prima respiri, vivi, un attimo dopo non esisti più. E' una sensazione a dir poco terrificante, ma liberatoria. Enfatica, potremmo dire. Ma non è lo stesso che prova adesso. No. Si sente morire, e fa male. Fa più male dello schianto che gli ha spezzato tutte le ossa. Fa più male dei tentacoli del tranello del Diavolo stretti contro il suo collo. Non capisce, eppure da un lato sembra saperlo benissimo. Forse l'ha addirittura sempre saputo. Forse l'ha predetto dalle ultime parole della Green. Ma non ci ha mai creduto. Non ci ha mai voluto credere. Ma ora eccolo lì, quel tradimento. Eccola quella confessione. Eccolo quello squarcio indelebile in quella sua utopia. « No, è impossibile. » Si sente dire. La bocca parla, ma il cervello non sembra esservi collegato. Non ragiona, Freddie, non ci riesce. E' in completo cortocircuito. Le labbra tremano, i pugni sono serrati, i movimenti nevrotici mentre il petto si alza ed abbassa velocemente per quel respiro accelerato. « No, no, non ti credo. E' impossibile. ...Tu..No. impossibile.» Continua a ripeterlo tra sè e sè come un mantra. E quasi riesce a convincersi. Abigail si è suicidata. Mun non c'entra nulla. Mun non c'entra nulla. Abigail si è suicidata. Abigail si è....« Oltre ciò che vediamo, c'è dell'altro. Molte delle favole che ci raccontavano da piccoli probabilmente sono vere. C'è un mondo invisibile attorno a noi.. qualcosa di orribile e spaventoso, fatto di creature in grado di esaudire i nostri più reconditi desideri. A un prezzo molto alto. In uno dei miei momenti più brutti, mi sono affidata a uno di loro. » Sa di cosa parla. Ne ha visti alcuni, di quei mostri. Ha sentito le loro voci penetrargli nel cervello. Non ci avrebbe mai creduto, prima dall'ora. Prima di finire dritto nella loro tana. Prima di diventare carne succulenta per la loro fame d'innocenza. Mi sono affidata ad uno di loro. « E per molto tempo da quel giorno sono arrivata là dove i cavilli legali si ingarbugliavano, là dove la giustizia risultava fallace. Ho fatto ciò che dovevo.. per fermare un sacco di inutile dolore. Quest'estate ho chiesto che lo stesso succedesse ad Abigail. » « Smettila. » Il tono è deciso, perentorio. Non voglio sentire altro, smettila. Se solo ci fosse un modo, si strapperebbe l'udito a mani nude, pur di non ascoltarla. Non vuole farlo, non può farlo. Amunet Carrow, uno dei più grandi cardini nella vita del giovane leone di Grifondoro. Una colonna portante. Un appiglio costante nonostante tutto. E ora? Cosa succede quando le fondamenta di un palazzo tremano? Crolla tutto. « Ho visto la sua radio.. le lettere che si scambiava con il padre. Stavano progettando un colpo e lei gli offriva informazioni dall'interno. E così.. l'ho fermata.. prima che fosse troppo tardi. » Una miriade di flashback gli attraversano la mente. Il cadavere di Abigail. Il sogno su Amunet ed il mostro del lago di tenebra. Le parole di lei. Il suo odio verso quegli assassini. La morte dell'inquisitore. La luce fredda nei suoi occhi di ghiaccio. E' tutto vero. I mostri sono reali, le loro azioni sono reali. Per chissà quanto tempo Amunet ne è stata vittima, e lui non si è mai accorto di nulla. Ed ora è ormai troppo tardi. Di nuovo una fitta al petto lo destabilizza per qualche istante. Gli viene da vomitare. Come se tutto quel dolore che prova al momento, quella sofferenza che lei gli sta riversando addosso, potesse rigettarla via. Forse se lo facesse il dolore cesserebbe. Respira profondamente, reprimendo un conato. « Me ne sono pentita.. quando ci siamo rivisti a scuola. E da lì non ho cercato altro che uscirne da questa situazione. Ho cercato aiuto.. l'ho trovato. Ma questo mondo si è dimostrato più furbo di me. » Lei si copre il viso con le mani, ma le lacrime continuano a sgorgare, ed ognuna di esse, è una nuova pugnalata inflitta. E' un'ennesima conferma al fatto che tutto ciò che gli sta dicendo è reale. « Questa è la mia punizione per aver sfidato la morte. Ho cercato di dare la colpa su chiunque. Su papà, su di te, su Ares.. santo cielo ho cercato di colpevolizzare chiunque, davvero. Ma è solo colpa mia. L'ho voluto.. e adesso è giusto che paghi. »
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    Continua a fissarla, dimenticandosi persino di battere le palpebre. E' in completo stand-by. Si sente fuori dal mondo, in quegli attimi. Intrappolato in un limbo fatto di domande e sensazioni. Prova rabbia, disperazione, angoscia, nostalgia, odio, amore, tutto assieme. Ognuna di queste emozioni lo colpisce e lo opprime col proprio peso, e lui si sente schiacciato, incapace di muoversi. Incapace di fare qualsiasi cosa. « L'hai...L'hai uccisa. » Sibila allora, lo sguardo assente fisso in un punto non ben definito. Il tono di voce simile ad un sussurro. « Tu l'hai uccisa e l'hai saputo per tutto questo tempo. » Respira profondamente. « ...Tu l'hai uccisa e l'hai saputo per tutto questo tempo! » Sbotta all'improvviso, esplodendo. « Come hai potuto tenermelo nascosto fino ad ora? Dio, io te ne ho pure parlato. Mun, te ne ho parlato! Hai avuto mille occasioni per dirmelo. Porca troia, ne hai avute così tante. E non l'hai fatto. Hai continuato a riuscire a guardarmi negli occhi nonostante sapessi tutto. » E' arrabbiato, Fred, terribilmente nervoso. La sua voce è ormai parecchio alta, mentre le ruggisce contro. « Non mi hai detto un cazzo. Perchè? Avresti potuto farlo. Avresti dovuto farlo. Ancora prima di ucciderla. Avresti potuto farla ragionare. Avresti potuto parlarne con me di ciò che stava tramando. Avremmo risparmiato sangue inutile e tu non avresti alimentato ulteriormente questo fottuto mostro di cui parli. » Non ti saresti dannata per l'eternità. « Avremmo trovato una soluzione. Ce l'avremmo fatta assieme, in qualche modo. Farei di tutto per te, sarei sceso all'inferno e risalito se è il caso. Ma adesso è troppo tardi. » Si poggia le mani sulla testa, stringendo le dita attraverso i capelli. Li tira fino a farsi male, ma quel dolore auto inflitto sembra non bastare a fargli sfogare quella rabbia repressa. « Tu sei cieca. Probabilmente dannata per sempre o chissà cosa. Ed Abigail è morta. » Pausa « E sai che c'è? Che, ora come ora, non me ne frega un cazzo che lei sia morta. E questo va contro ogni mio fottutissimo principio. » Io non sono questo. La morte non è una soluzione, non lo è mai. La morte non può essere giustificata. « L'unica cosa che riesco a pensare è a te nelle mani di questa creatura. Capisci? Mi hai ucciso la ragazza, mi hai mentito per tutto questo tempo, ed io continuo a preoccuparmi per te. Cristo, sono ridicolo! » Si colpisce la fronte col palmo della mano, mentre una risata nervosa gli scuote il petto. Molla un calcio alla ringhiera. E poi un secondo. Seguono un terzo ed un quarto, fino a quando non perde il conto ed infine, si lascia scivolare per terra, le ginocchia strette al petto, il viso seminascosto, ed il corpo scosso dai singhiozzi. Sta piangendo. Lo sta facendo sul serio, lo sta facendo dopo mesi, probabilmente persino anni. Lacrime copiose gli attraversano il viso, e più tenta di ricacciarle dentro, più quelle spingono per uscire, inarrestabili. Non vuole piangere, odia farlo, ma non riesce a smettere. Il cuore batte così forte da far male, il respiro è accelerato, bloccato da quei singhiozzi che cerca di trattenere, inutilmente. In un certo qual modo, è sollevato dal fatto che lei non possa vederlo in quello stato. Non ha mai pianto di fronte a lei, non ha mai pianto di fronte a nessuno a dirla tutta. Fred la roccia, Fred l'eroe. E' caduto, e l'ha fatto nel peggiore dei modi. « Ha vinto, di nuovo. » Mormora, la voce soffocata « Un altro mostro capace di farti del male, distruggerti e portarti via da me. Ha vinto. Ed io non sono stato abbastanza, di nuovo, neanche questa volta. » Singhiozza, stringendosi le dita tra i capelli. « E fa schifo. » Dove viviamo. Chi ci comanda. Dove moriamo. « Tutto questo, fa davvero schifo. Ed io non ne posso più. » Non sono più capace di combatterlo.
     
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    « L'hai.. L'hai uccisa. Tu l'hai uccisa e l'hai saputo per tutto questo tempo.. Tu l'hai uccisa e l'hai saputo per tutto questo tempo! » La consapevolezza è una lama a doppio taglio. Eleva verso nuovi orizzonti ma è anche capace di affondare. E ciò che Mun prova in quel momento è la consapevolezza di sentirsi allo scoperto. Ha sempre cercato di tenere lontano Freddie da quel mondo, perché lei più di tutti conosceva il sentimento di immane smarrimento che è in grado di propinare quel mostro, i suoi giochi mentali, la sua continua inesorabile fonte di malignità. Il mondo di Ryuk ruba la giovinezza, ruba l'innocenza, e seppur fisicamente la Carrow sembrava ancora essere una ragazza di diciotto anni, nei due anni di convivenza forzata era invecchiata almeno di dieci anni. Si comportava come una ragazzina, voleva aggrapparsi alla speranza di esserlo ancora, ma la verità era che nelle sue ossa si sentiva ormai il peso di un età anagrafica che non avrebbe dovuto avere. « Come hai potuto tenermelo nascosto fino ad ora? Dio, io te ne ho pure parlato. Mun, te ne ho parlato! Hai avuto mille occasioni per dirmelo. Porca troia, ne hai avute così tante. E non l'hai fatto. Hai continuato a riuscire a guardarmi negli occhi nonostante sapessi tutto. » E quelle di Freddie hanno tutta l'aria di coltellate nello stomaco, colpi al cuore e costanti botte contro la sua mente frastornata che quelle parole se le è sempre aspettate e le ha sempre temute più della morte stessa. Le ha sempre temute, ne ha sempre avuto paura. Essere giudicata da Freddie le ha sempre messo terrore, semplicemente perché, nei suoi occhi, Mun si è sempre specchiata in modo ideale. Freddie l'ha sempre guardata come si guarda un'opera d'arte, come se non si avesse l'esatta dimensione di cosa si ha di fronte, ma si è certi di essere di fronte a qualcosa di inesorabilmente prezioso. Le piaceva sentirsi preziosa, sentirsi apprezzata, sentirsi amata nell'illusoria parvenza di perfezione che leggeva negli occhi di lui. Mun ha sempre amato l'idea della perfezione, il sogno di qualcosa di impossibile da scalfire, che nell'immaginario collettivo sarebbe sempre rimasto integro. Freddie Weasley è stato per tanto tempo l'integrità di Mun, e lo è diventato ancora di più da settembre quando i loro destini si sono inesorabilmente riscontranti nuovamente. Seppur fossi marcia all'interno, finché non lo avresti saputo, con te potevo essere la ragazza di un tempo, anche se non lo ero più, anche se tutto è cambiato. Perché aggrappata al passato, Mun ci è sempre rimasta; le manca quella vita, e più di tutto le manca se stessa. Le manca quella ragazza teneramente curiosa, innamorata della vita, che guardava ogni più piccolo dettaglio con gli occhi di un animaletto che aveva ancora tanto da vedere e imparare. Le manca non essere spregiudicata, le manca sorridere con la consapevolezza che un sorriso rende una giornata valente di essere vissuta. Le mancano quei due ragazzini che giunti alla fine della giornata, riuscivano ancora a vedere la luce alla fine del tunnel. « Non mi hai detto un cazzo. Perchè? Avresti potuto farlo. Avresti dovuto farlo. Ancora prima di ucciderla. Avresti potuto farla ragionare. Avresti potuto parlarne con me di ciò che stava tramando. Avremmo risparmiato sangue inutile e tu non avresti alimentato ulteriormente questo fottuto mostro di cui parli. »
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    Perché? Se lo chiede anche Mun, mentre si copre il volto con le proprie mani cercando di fermare il nuovo flusso di lacrime che quelle continue coltellate le provocano volenti o nolenti. « Avremmo trovato una soluzione. Ce l'avremmo fatta assieme, in qualche modo. Farei di tutto per te, sarei sceso all'inferno e risalito se è il caso. Ma adesso è troppo tardi. Tu sei cieca. Probabilmente dannata per sempre o chissà cosa. Ed Abigail è morta. E sai che c'è? Che, ora come ora, non me ne frega un cazzo che lei sia morta. E questo va contro ogni mio fottutissimo principio. L'unica cosa che riesco a pensare è a te nelle mani di questa creatura. Capisci? Mi hai ucciso la ragazza, mi hai mentito per tutto questo tempo, ed io continuo a preoccuparmi per te. Cristo, sono ridicolo! » E questa è la consapevolezza ultima. Quella di aver distrutto tutto, di aver distrutto una delle persone più care che avesse. Perché se è vero che una persona la si può distruggere attraverso l'azione, è altrettanto vero che la si può distruggere in assenza di una qualunque reazione. Negli occhi di Fred, Mun si è rispecchiata, ha cercato quella luce che le mancava, ha tentato disperatamente di aggrapparsi alla sua di luce, e alla fine, l'ha spenta. A forza di tenerlo lontano da tutto il marcio, ha distrutto tutto; ha tentato di tenerlo sempre fermo nella sua bolla, dove nulla lo avrebbe toccato e distrutto, così come lui ha provato a tenere lei nella propria bolla prima. E alla fine, era stato tutto inutile, perché quando forze maggiori s'innescano, due bambini non sono altro che pedine. Freddie e Mun erano questo; pedine in un gioco che non comprendevano e che non potevano condurre. Non ha mai sentito così prepotentemente il gusto della sconfitta, del fallimento. Questo è l'amaro della perdizione. Perché più tenti di proteggere una persona impedendogli di farsi le ossa, più si ritroverà impreparato quando verrà il momento. Mun aveva indorato la pillola di Freddie per troppo tempo, facendogli credere che andava tutto bene, e che i suoi scompensi fossero semplici storture caratteriali. Così come Freddie prima di lei, le ha indorato la pillola, facendole credere che le sue cure e il suo affetto sarebbero bastato per stringere i denti di fronte alle ripetute violenze del padre. Si erano ingannati a vicenda, volendo ripetutamente vivere nelle loro rispettive bolle di sapone, crogiolandosi nel affetto e nell'affinità che provavano l'uno nei confronti dell'altro, indipendentemente dagli sbagli che ciascuno di loro aveva commesso, indipendentemente dai fattori esterni. Un ambiente protetto, messo sotto vuoto, quello in cui avevano condotto avanti il loro dolce gioco di conquista. E ci erano caduti, con entrambe le scarpe, forse più di quanto avrebbero desiderato. E ora arrivava la vita vera. Sente vibrare la ringhiera sotto le proprie mani, ogni qual volta lui la colpisca violentemente. Quella rabbia riesce a entrarle nel circolo, esplodendole dentro come ulteriori coltellate che si infrangono contro quel cuore martoriato. E poi i singhiozzi. Il respiro affannato, il tirare su col naso. Lo sente, riesce a percepirlo, sta piangendo. E non riuscire a vederlo, non potergli andare incontro, non poter essere se stessa la sta uccidendo dentro. E' frenata da tutta quella marea di sensi di colpa, da quelle parole colme di rabbia che per buona ragione le ha rivolto. « Ha vinto, di nuovo. Un altro mostro capace di farti del male, distruggerti e portarti via da me. Ha vinto. Ed io non sono stato abbastanza, di nuovo, neanche questa volta. E fa schifo. Tutto questo, fa davvero schifo. Ed io non ne posso più. » E la goccia che fa traboccare il vaso, arriva. Arriva sempre. E' lì in agguato; tra Fred e Mun poi, è sempre solo questione di tempo.

    Si riscuote dal torpore, asciugandosi le lacrime. A quel punto non sa di preciso dove si trovi. La sua voce proviene dal basso, ma se anche cercasse il suo sguardo, non potrebbe vederlo. La frustrazione è alle stelle, si sente così priva di strumenti, si sente persa. E in tutto ciò, nella sua testa continuano a riecheggiare tutte le sue parole. Ogni frammento di rabbia che le ha rigettato addosso, tutta la sua frustrazione, il dolore, la disperazione, diventano inesorabilmente di Mun e viceversa. Un tumulto di emozioni destinato a esplodere. « Papà era un mostro. » Esordisce in un sussurro mentre l'immagine di quell'uomo austero le torna alla mente provocandole brividi lungo la schiena. L'immagine del padre, la sua presenza costante nella propria mente continua a terrorizzarla, nonostante sappia non possa più torcerle nemmeno un capelli. « Ma papà non mi ha portato via da te. » Si morde il labbro inferiore prima di chiudere gli occhi. « Mi ha fatto male, mi ha rotta in un modo che non potrò mai superare; ma non mi ha portato via da te. » Semmai, Carrow Senior ha dato loro una ragione per restare uniti. Ha ferito entrambi, perché ferendo Mun ha ferito indirettamente anche Freddie, ma la loro storia, il loro amore non è stato spezzato da lui. « Sei stato tu ad allontanarti perché non ti sentivi abbastanza. Perché pensavi che lasciandomi.. avrei cosa? Avuto più chance di combattere il mostro? Senza di te. » Fred era andato bene, si era arrabbiato, le aveva detto ciò che si meritava - diavolo, era stato forse sin troppo buono nei suoi confronti. Perché riscopri vecchie ferite? Perché devi sempre renderla una questione proiettata su di me? Credi che mi faccia sentire meglio? « Non devo darti spiegazioni sul perché l'ho fatto. Quello è un peso che mi porterò nella tomba e la sua memoria mi perseguiterà per sempre, ma è una mia colpa. » Fa una leggera pausa, mentre il tono martoriato si spezza. Tira un lungo respiro e stringe i denti. « Volevi sapere la verità.. com'è successo. E' così che è successo. E il mio unico peso che non riuscirò mai a perdonarmi è di averti mentito appunto, di averti guardato negli occhi e di averti tradito. Di aver deciso che tu non fossi pronto per sentirti dire la verità. » Sospira. Non mi hai detto un cazzo. Perchè? Avresti potuto farlo. Avresti dovuto farlo. Ancora prima di ucciderla. [...] Avremmo trovato una soluzione. Ce l'avremmo fatta assieme, in qualche modo. Farei di tutto per te, sarei sceso all'inferno e risalito se è il caso. Ma adesso è troppo tardi. « Adesso è troppo tardi hai ragione. » Il tono pensieroso, mentre ripensa ancora e ancora alle sue parole, a quello che le ha detto. Le cose sarebbero potute andare in maniera diversa. Tutto poteva essere diverso a questo punto della storia. Ma mancava qualcosa perché lo fossero.
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    « E quindi prima non lo era? Prima che la tua ragazza morisse, prima che io ti mentissi, prima che tu facessi di tutto per strapparmi ogni straccio di certezza che tu stesso mi davi? Prima di tutto questo, non era già troppo tardi? » E' colma di sentimenti contrastanti, Mun. C'è tutto lì. La rabbia, la frustrazione, l'amore, la delusione, l'affetto, lo struggente sentimento di perdizione, lo smarrimento. C'era tutto. In quelle parole c'era tutta la gelosia che aveva provato un tempo nel vederlo in giro con chiunque, felice, sereno, circondato da amici e parenti, dalle varie ragazze che si sono probabilmente susseguite tra le sue lenzuola. « Quando Fred? Quando avrei dovuto parlartene? » Quando ti scopavi qualunque cosa respirasse dopo avermi detto che non eri abbastanza? O forse quando ti godevi il campo estivo con la tua ragazza-spia? Avrei dovuto confessartelo dopo esser andato a letto con la tua migliore amica, in seguito a un chiaro tentativo di riavvicinamento? O forse avrei dovuto dirtelo dopo avermi umiliata di fronte a tutta la scuola? .. dopo tutto ciò che ci eravamo detti poche sere prima di ballo..Scuote la testa mentre un brivido vertiginoso le percorre la schiena. Non è solo colpa tua. Lo so. So di non averti dato certezze. So di non averti dato nulla a cui aggrapparti. Perché avevo paura. Avevo paura di cascarci di nuovo da sola. « Mi fai incazzare! Mi fai incazzare da morire, perché dopo tutto questo tempo, ancora non hai capito che non ho bisogno di un eroe. Non voglio che tu sia un eroe. » Non te l'ho mai chiesto. Non l'ho mai chiesto a nessuno! E tu ancora ti ostini a colpevolizzarti per non essere abbastanza. Chiude gli occhi, combattuta. « NON PUO' RICADERE TUTTO SULLE TUE SPALLE! » A questo punto urla, colta in piena dalla disperazione. La rabbia le monta nel petto; non ce l'ha con lui, probabilmente ce l'ha con se stessa molto più di quanto ce l'abbia col mondo tutto, con le situazioni, col mondo in cui il fottuto giro della ruota decida inesorabilmente il lancio della moneta. « Io posso vivere da sola, contrariamente a quanto mi sia stato detto ripetutamente negli ultimi tempi. Non mi piace, ma so farlo. » L'ho sempre fatto, soprattutto negli ultimi due anni. « Sai con cosa non posso vivere invece? Con l'instabilità! Questo posto instabile mi ha letteralmente fatto uscire di testa più e più volte, perché io ho bisogno di ordine. » Perché io ho bisogno di capire, ho bisogno di sapere, ho bisogno di essere certa che ogni cosa è al proprio posto. Un'ossessività e un modo maniacale di vivere che è venuto fuori, solo quanto, ogni certezza di Mun è venuta meno. « E invece tu non hai fatto altro che farmi uscire di testa, Fred. Hai fatto sempre tutto il contrario di tutto. » Mi hai lasciata per dirmi due anni dopo che non avresti mai dovuto lasciarmi. Questi stessi due anni.. i due anni in cui mi sono trincerata dentro per te, evitandoti come la peste nera perché non potevo nemmeno sostenere il tuo sguardo, mentre un'ombra mi seguiva ad ogni passo cercando in tutti i modi di allontanarmi da chiunque. Si piega appena sulle ginocchia mentre si afferra il capelli cercando di ritrovare la calma necessaria per smetterla. Per smettere di parlare, per smettere di pensare. La testa le sta scoppiando. Le vene sul collo pulsano colme di una tensione estrema. « E adesso continui a destabilizzarmi, continui a essere tutto il contrario di tutto. Continui a voler essere per me ciò che a te farebbe stare meglio. » Respira affondo. Ormai le energie tutte si sono prosciugate. Il soffio di lei è a malapena percettibile. « Lo so che essere l'eroe è più facile che esserci, ma io avevo bisogno di quello.. avevo bisogno che tu ci fossi, non che tu mi salvassi. Perché paradossalmente essendoci mi avresti salvata. » Mi serviva stabilità; e non me l'hai mai data. Nemmeno adesso. Anche ora, con le tue reazioni stai facendo crollare ogni mia certezza. Che cosa ti ho fatto? Come siamo arrivati a schiacciarci così tanto? « Non è l'essere cieca o dannata il problema.. è solo che.. noi due non ci siamo mai capiti. » Siamo solo una bellissima bugia. « ..e ci siamo distrutti a vicenda. »

    I hear you're asking all around
    If I am anywhere to be found
    But I have grown too strong
    To ever fall back in your arms




     
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    « Papà era un mostro. » La sua voce giunge ovattata, tanto che è difficile percepirla. Ha perso il conto dei minuti in cui è rimasto fermo lì, raggomitolato contro quella ringhiera. I singhiozzi si son fatti così insistenti, ad intervalli regolari, che ormai sembra non farci più caso. Forse piangere non fa poi così schifo, pensa. Forse piangere ti aiuta a rigettare fuori ogni cosa. Ed è quello che sta facendo, Fred, sta buttando via tutto. In ogni lacrima vi è una parte di sè, una parte di loro, che sguscia via fino a dissolversi nel nulla. Forse è questo ciò che meritavano sin dall'inizio, dissolversi in un mare di lacrime. Perde la rabbia, perde la gelosia, perde la tenerezza. L'ingenuità, l'innocenza, la fiducia. Perde un po' di tutto ed un po' di niente. Ed infine si ritrova vuoto, un guscio inerme e privo di tutte quelle emozioni che l'hanno sempre accompagnato. Non sa cosa diventerà, non sa cosa sarà una volta rialzatosi. Cristo, non sa nemmeno se riuscirà a rialzarsi, a dirla tutta. Si è rotto qualcosa. L'equilibrio è stato spezzato. Tutto sta crollando a pezzi lentamente. « Ma papà non mi ha portato via da te. Mi ha fatto male, mi ha rotta in un modo che non potrò mai superare; ma non mi ha portato via da te. Sei stato tu ad allontanarti perché non ti sentivi abbastanza. Perché pensavi che lasciandomi.. avrei cosa? Avuto più chance di combattere il mostro? Senza di te. » Ed eccolo che ritorna, quel suo peccato. Eccola che ritorna quella colpa che probabilmente lui non sarà mai capace di espiare. La sente crescergli dentro, espandersi attraverso ogni suo vaso sanguigno per insinuarsi in ogni tessuto, ogni cellula. Non importa cosa farà, non importa quante volte si batterà il petto in attesa del perdono. Alla fine dei conti, la questione sarà sempre e solo quella. Lui rimarrà sempre quel ragazzetto incosciente che, troppo spaventato in una situazione ben più grande di lui, l'ha abbandonata. Per quanto ancora dovrò pagare, per questo? « Non devo darti spiegazioni sul perché l'ho fatto. Quello è un peso che mi porterò nella tomba e la sua memoria mi perseguiterà per sempre, ma è una mia colpa. Volevi sapere la verità.. com'è successo. E' così che è successo. E il mio unico peso che non riuscirò mai a perdonarmi è di averti mentito appunto, di averti guardato negli occhi e di averti tradito. Di aver deciso che tu non fossi pronto per sentirti dire la verità. » Il tono di lei si fa più deciso. Le lacrime sul suo viso di porcellana sembrano arrestarsi per quegli attimi, ed in quegli occhi vacui, Fred riesce a leggere una punta d'odio. Risentimento, rabbia, instabilità. E lui non è pronto a questo. Forse un tempo lo sarebbe stato. Sì, un tempo non sarebbe mai arrivato ad una situazione del genere. Non l'avrebbe mai neanche lontanamente immaginato. Lui a piangere, a rimanere inerme sotto le parole della Carrow. Impossibile. Ma se c'è una cosa che ha potuto imparare in quegli ultimi tempi, ahimè sulla sua stessa persona, è che di impossibili, esistono ben poche cose. Non credeva possibile la morte delle persone a lui più vicine: ed è successo. Non credeva possibile il tradimento: ed è successo. Non sa più in cosa credere o cosa non credere. Rimane lì, con le ginocchia ancora strette al petto, a piangere come un disperato. Più lei parla più le lacrime scorrono sul suo viso. E più quelle scorrono, più Fred si perde. Sta perdendo l'innocenza, sta perdendo la speranza. Non se ne accorge, al momento, ma è un punto di svolta quello. Quel piangere, quello sfogarsi, lo aiuteranno a capire cos'è giusto e cos'è sbagliato. Ci vorrà del tempo, e farà male, Dio se farà male, ma ci riuscirà. Il leone risorgerà, seppur al momento gli sembra la cosa meno improbabile di tutte, e lo farà nella maniera più irruenta possibile. Ma per ora, Weasley rimane lì. Rimane lì, spezzato, come non lo si è mai visto in giro. Gli occhi bruciano, le guance sono ormai umide, il petto gli fa male, scosso da tutti quei singhiozzi. E lei continua. Lei nonostante tutto continua. « Adesso è troppo tardi hai ragione. » Basta. « E quindi prima non lo era? Prima che la tua ragazza morisse, prima che io ti mentissi, prima che tu facessi di tutto per strapparmi ogni straccio di certezza che tu stesso mi davi? Prima di tutto questo, non era già troppo tardi? » Ti prego, basta. La osserva, quei due carboni ardenti ridotti a due semplici specchi vuoti. Vi si riflette tutto, al loro interno. Prima cosa: pietà. Implora pietà, Fred. Il leone rampante di grifondoro sta implorando pietà. E' tutto troppo. Il passato mi opprime, il presente mi schiaccia, il futuro non esiste. Ma lei non riesce a vederlo in quella condizione umiliante in cui si trova, quindi si auto convince che, magari, è per questo che sta continuando. Magari è per questo che continua a sferrargli coltellate ovunque. Al cuore, specialmente. Ed è ridicolo. Nonostante tutto, lui continua a difenderla. Continua a credere in altro. Un altro ormai oltremodo flebile, instabile, ma al quale si ostina ad aggrapparsi. C'è ancora una scintilla di insignificante speranza in lui, nonostante ne abbia rigettata ormai parecchia con quelle lacrime. « Quando Fred? Quando avrei dovuto parlartene? » Scuote la testa, tirando su col naso. « Basta, per favore... » Non la riconosce nemmeno come la sua voce. E' spezzata dal pianto e simile ad un lamento. Sono davvero io? E' a questo che mi sono ridotto? E' a questo che mi hai ridotto? Le ha dato potere. Le ha dato tutto il potere su di sè che avrebbe potuto mai offrirle. Le ha consegnato il suo cuore tra le mani, ed è vero, l'ha fatto in ritardo, ma l'ha fatto. Le ha permesso di far breccia in quella muraglia di orgoglio, forza e coraggio. Le ha reso possibile entrare nell'impenetrabile tana del leone, e diventarne regina. Sì, le ha dato tutto questo negli ultimi tempi. Le ha dato tutto questo, e tutto questo si è basato su verità nascoste. Su fondamenta instabili. Sulla menzogna. E allora, la domanda sorge spontanea, cos'è vero e cosa invece non lo è? Mi ami sul serio, Mun? Sei reale? Noi siamo reali? Lo siamo mai stati? « Mi fai incazzare! Mi fai incazzare da morire, perché dopo tutto questo tempo, ancora non hai capito che non ho bisogno di un eroe. Non voglio che tu sia un eroe. NON PUO' RICADERE TUTTO SULLE TUE SPALLE! » Quelle urla lo fanno sobbalzare. Il cuore gli balza in gola, e lui spalanca gli occhi, guardandola. Non l'ha mai vista così arrabbiata. Non l'ha mai vista così in preda alla disperazione da perdere completamente ogni tipo di controllo. Ma forse, Fred non l'ha mai vista sul serio. L'ha solo guardata, da un punto di vista personale. Vi ha modellato sopra una propria proiezione di Amunet Carrow, e su quella ha basato tutto il resto. Quindi torna la domanda, cos'è reale? Si porta le mani sul viso, asciugandosi le lacrime che gli bagnano le guance. Cerca di calmare i singhiozzi, di darsi un contegno, di riacquistare un minimo di quella dignità decisamente perduta al momento. E pian piano che la riacquista, la consapevolezza sale. Man mano che la ragione torna ad impossessarsi di lui, Fred capisce. Non sa esattamente cosa, ma capisce. Capisce di essere ferito, letalmente ferito. Capisce ciò che Amunet ha fatto è sbagliato. Capisce che non può perdonarla, non anche questa volta, non adesso, non subito. Abigail è morta, Amunet l'ha uccisa. Prende un lungo respiro. « Io posso vivere da sola, contrariamente a quanto mi sia stato detto ripetutamente negli ultimi tempi. Non mi piace, ma so farlo. Sai con cosa non posso vivere invece? Con l'instabilità! Questo posto instabile mi ha letteralmente fatto uscire di testa più e più volte, perché io ho bisogno di ordine. E invece tu non hai fatto altro che farmi uscire di testa, Fred. Hai fatto sempre tutto il contrario di tutto. » Ha ragione, ma non adesso. Avrebbe avuto ragione qualche tempo fa, probabilmente. Avrebbe avuto ragione se le cose non si fossero sviluppate come ora. Se lui non le avesse donato tutto ciò che gli rimaneva, e lei non avesse accettato di accoglierlo. Quindi si alza, lentamente. Lei non può vederlo, ma lui la sovrasta di gran lunga in altezza. Potrebbe farle ciò che vuole quando vuole. Eppure le ha sempre permesso il contrario. Si è mostrato vulnerabile, e ne è uscito ferito. « E adesso continui a destabilizzarmi, continui a essere tutto il contrario di tutto. Continui a voler essere per me ciò che a te farebbe stare meglio. Lo so che essere l'eroe è più facile che esserci, ma io avevo bisogno di quello.. avevo bisogno che tu ci fossi, non che tu mi salvassi. Perché paradossalmente essendoci mi avresti salvata. » Lo sa. Ha sbagliato, e lo sa eccome. L'ha abbandonata quando aveva più bisogno di lui, e la cosa peggiore, è che l'ha fatto pensando fosse giusto farlo. Quelle parole fanno male. Hanno i loro demoni entrambi, dopotutto. Demoni insiti nelle loro menti ed assai difficili da scacciare. Demoni che non hanno niente a che vedere con quell'inferno al quale Weasley ha assistito negli ultimi tempi. Sono diavoli personali, sono peccati intimi. E forse, non potranno mai essere espiati. « Non è l'essere cieca o dannata il problema.. è solo che.. noi due non ci siamo mai capiti. » La lama affonda dritta al cuore. « ..e ci siamo distrutti a vicenda. »

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    « Per quanto ancora dovrai farmela pagare, Amunet? » La sua voce irrompe nel silenzio. Non sa esattamente quanto sia passato, ma la sente. E' atona, vuota, priva di qualsiasi emozione. Non v'è disperazione, non v'è rabbia, non c'è nulla. « Per quanto ancora dovrò espiare questa mia colpa? Dimmelo, Amunet, dimmelo. Ci sarà mai il perdono divino per me e questo terribile peccato che ho compiuto? Com'è che funziona?, magari visti i tuoi ultimi interessi col sovrannaturale, lo sai. Una persona compie un peccato e non potrà MAI esser perdonata? » La osserva, mentre quelle parole fluiscono dalle sue labbra sottili come un fiume in piena. « Una persona compie un peccato e allora si merita tutto il male di questo mondo. Si merita che la sua ragazza venga uccisa. Si merita di ritrovare il suo cadavere, da solo. Si merita di rincontrare la sua ex, che per la cronaca è anche l'assassina, di tornare ad averci un rapporto. Instabile, è vero, ma pur sempre qualcosa. Un rapporto in cui crede, in cui ha creduto fino a poco tempo fa. Si merita di offrirle tutto di sè, perchè si è pentito, ma di essere infine tradito. Di guardarla negli occhi, di scambiarsi promesse a vicenda, di toccare la felicità con la punta delle dita ed infine scoprire che.. E' tutto basato sulla menzogna. E sull'odio. » Perchè mi odi, Amunet. Forse non hai mai smesso di farlo. Tu mi odi ed io mi odio per averti permesso di farlo. Si passa le mani fra i capelli, scostandosi alcuni ciuffi dalla fronte. Tira su col naso, si guarda attorno, e respira profondamente. « Sei piena d'odio. Ed è normale, hai passato una vita di merda. Ti direi che lo capisco, ma non posso, perchè non ho mai vissuto in prima persona tutti i tuoi orrori. Ma questo non ti giustifica. » Scuote la testa. Gli fa male parlarle così. L'ultima cosa che avrebbe voluto, era litigare. Sono tempi di guerra, quelli. Oggi ci sono, domani potrebbero non esserci più. Il tempo è prezioso, e passarlo a litigare non è certo la cosa che avrebbe mai desiderato. « Non giustifica quello che hai fatto e non giustifica ciò che dici. Io ti ho lasciata, ma sei stata TU a condannarti. Sei stata TU a credere nei mostri tanto da gettarti tra le loro braccia. TU ad uccidere Abigail, TU a far fuori quell'inquisitore e tutta quella gente. Facciamo così. Non vuoi che io mi addosso le tue colpe, vero? Sai, fa ridere. » Una risata nervosa gli scuote il petto, mentre si poggia le mani sulla testa, e prende a girare in tondo, senza un motivo ben preciso. Ha bisogno di muoversi per calmarsi. Ma più si muove, più tutto torna. Tutto ciò di cui si è svuotato riappare, ma riappare solo il peggio. La rabbia, il risentimento, la delusione. « Parli delle tue colpe che devono rimanere tue, quando sei la prima tu ad addossarmele. Dici che non sono un eroe, che non può ricadere tutto sulle mie spalle, quando ciò che hai appena finito di rigettarmi addosso E' TUTTO IL CONTRARIO! » Il tono di voce si alza di gran lunga. Non è abituato ad urlare, non è abituato a niente di tutto questo. Eppure la sente quella sensazione rimontargli dentro. Forse è adrenalina, forse è tutt'altro, ma lo assale completamente. Il cuore batte forte, i denti digrignati, i pugni serrati. « Se vivere da sola è ciò che vuoi allora fallo. Te la sei cavata bene fino ad ora dopotutto, no? Hai solo stretto un patto con un demone e sei diventata cieca. » Una punta di veleno accompagna quelle sue ultime parole. Non gli appartengono, lui non è questo. Probabilmente non le pensa neppure, ma se ferito, se minacciato, il leone attacca. La ragione l'abbandona e tutto ciò che rimane è l'istinto. « Ma magari è meglio. Almeno così, non riuscirai a vedere quanto tu mi abbia distrutto. Io l'ho visto su di te ai tempi, e ancora ci penso. Tu non dovrai patire questa pena per l'eternità, a quanto pare, sei fortunata! » Di nuovo ride, nervosamente, mentre indietreggia sempre di più. « Ti ho visto, Mun, ti ho vista davvero negli ultimi tempi. Ho creduto davvero in te, in noi, ma adesso... » Scuote la testa « Adesso non so più chi sei. E forse non l'ho mai saputo. » Respira profondamente, mentre con uno sforzo sovrumano ricaccia dentro quelle lacrime pronte ad esplodere nuovamente. Non può piangere, non di nuovo. Non ancora. E allora gira su sè stesso, le dita che si arpionano alla maniglia della porta che dà sul corridoio. « Forse un giorno, in chissà quale altro universo, riusciremo a capirci. Smetteremo di fare tutto il contrario di tutto e troveremo la nostra stabilità. E quello sarà un gran bell'Universo in cui vivere. » Prende un lungo respiro, aprendo la porta per sgusciarvi attraverso. « Fino ad allora, è meglio starci lontani. Prima di distruggerci in maniera irreparabile. » Processo che, a quanto pare, è già bello che iniziato.
     
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