I'm rough around the edges

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    Salvare sé stessa, era l'unica cosa che le passava per la mente, l'unica cosa che poteva fare in un momento come quello. Non si era lasciata andare allo sconforto la tassorosso, aveva scavato a fondo dentro di sé per trovare la forza che l'avrebbe spinta ad andare avanti; a non mollare. Una forza che nemmeno lei pensava di avere. Una forza che la stava indurendo, spingendola a forza in un mondo fatto di ombre pronte a contaminare la sua anima pura. Camminava sull’orlo del precipizio, un precipizio talmente profondo che avrebbe potuto perdere sé stessa. Il suo aspetto esteriore rispecchiava la sua battaglia interiore, i suoi abiti color pastello avevano lasciato il posto a colori tetri, le sue mani erano sporche e le unghie sempre curate erano ridotte in uno stato pietoso. Se solo mia madre potesse vedermi, le verrebbe un infarto. Si recò al bagno dei prefetti, alla ricerca di una fonte d’acqua che le desse un po’ di sollievo, che la facesse sentire di nuovo umana e l'aiutasse a detergere piccoli graffi e sbucciature varie che si era procurata nei momenti di fuga. Il bagno non era più il luogo ospitale e rilassante che era un tempo, gli specchi erano quasi tutti infranti e molti erano ricoperti da una strana muffa nera che pulsava lievemente. La vasca era quasi vuota, fatta a eccezione per un dito di acqua melmosa, dimora di germi e batteri. L'unica fonte d'acqua utilizzabile era un piccolo lavandino, l'acqua scorreva in continuazione rimanendo limpida e cristallina. Betty immerse le mani in quella piccola fontana, traendo sollievo dalla freschezza, accogliendo con un sorriso quei piccoli brividi di freddo. Si tamponò leggermente il viso, cancellando i segni della stanchezza. Prese un piccolo fazzoletto e lo inumidì, tamponando poi i piccoli graffi che aveva sul braccio. Sollevò leggermente il maglione nero e poggiò il fazzoletto sulla fastidiosa escoriazione che si era procurata in una scivolata mentre scappava dalle mostruose creature che avevano popolato Hogwarts. Quando si guardò allo specchio stentò a riconoscersi, la sua vita era talmente cambiata che le sembrava di avere di fronte a sé una persona completamente diversa. «Una scena davvero patetica...» Betty sussultò per lo spavento e si guardò alle spalle, alla ricerca della proprietaria di quella voce, ma non c'era nessuno. Scosse la testa, convinta che fosse stato solo un brutto scherzo della sua mente. Si appoggiò con entrambe le mani al lavello, cercando di riprendere il controllo di sé. «Povera piccola Betty, nessuno ti vuole vero?» Era una voce saccente, sprezzante, ma che nonostante ciò aveva un qualcosa di famigliare. Quando volse lo sguardo verso lo specchio rimase ammutolita, spaventata dall'idea che tutto ciò fosse solo uno scherzo beffardo della sua mente. Proprio alle sue spalle c'era una sua copia speculare, gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi azzurri, ma una durezza nello sguardo che non le apparteneva. «Sto diventando pazza...» Lo ammise a sé stessa quasi divertita, nella sua testa non pensava ad altro che ad un brutto scherzo, probabilmente era tutto frutto di un'allucinazione. «Non sforzarti troppo, sono vera tanto quanto te...» Si volse verso quella voce e quasi rimase impietrita di fronte a quella immagine di sé. A colpirla maggiormente fu lo sguardo freddo, distante e beffardo, uno sguardo che lei non aveva mai assunto e che non le apparteneva minimamente. Si studiarono per diversi minuti in silenzio, Betty stava ancora cercando di capire come tutto ciò fosse possibile, eppure non riusciva a trovare una risposta plausibile a tutto ciò che stava succedendo. «Cosa si prova ad essere abbandonati? Tu
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    pensi sempre agli altri eppure non sei mai il loro primo pensiero...»
    Scosse la testa con forza, infastidita da quelle false parole. «N-non è vero...sonno tutte bugie.» Una risata di scherno proruppe dalle labbra di quella specie di alter ego. «Sbaglio o sono giorni che vaghi per il castello da sola? Ti fai in quattro per gli altri eppure non si fanno alcun problema ad abbandonarti sempre.» Si tappò le orecchie, cercando di allontanarsi da quella voce che cercava di insinuarsi nella sua mente, avvelenandola; intossicandola. Ha torto. Si continuava a ripetere. Mi vogliono bene, però le circostanze sono queste e non possiamo farci niente. Una giustificazione che Betty non si stancava mai di ripetersi, restia a guardare in faccia la realtà. «La verità è che sei sola, lo sei sempre stata.» Sola. Odiava quella parola, le ricordava la sua infanzia e il senso di abbandono che l'aveva sempre accompagnata. «Smettila!» Avrebbe voluto urlare ma la sua era semplicemente una supplica, la stanchezza fisica e mentale l'avevano del tutto piegata e quelle parole si stavano facendo strada dentro di lei; senza che lei potesse fare alcunché per fermarle. Strinse i pungi fino conficcarsi le unghie nei palmi della mano, cercando di non mollare, ma tutto ciò che sentiva intorno a sé era il ripetersi continuo di quelle parole. Prese un calcinaccio e lo scagliò con violenza contro l'unico specchio integro, frantumandolo in centinaia di piccoli pezzi. Rivide la sua immagine in quello specchio, una ragazza spezzata, sull'orlo di un baratro che non faceva altro che chiamarla a gran voce. Quando si voltò il suo alter ego era sparito, lasciandola in balia della più totale frustrazione. Betty realizzò che era veramente sola, costretta a badare a sé stessa, senza che nessuno si preoccupasse di cosa le sarebbe potuto accadere. Si accasciò sconfitta, troppo debole persino per piangere, consapevole di aver sprecato tutte le lacrime che aveva a disposizione. Fu proprio quel silenzio tombale a rivelarla la presenza di una figura nell'oscurità; uno studente dei serpeverde era lì fermo, lo sguardo fisso su di lei. Il buon senso le suggeriva di agguantare la bacchetta per difendersi, ma lei era stanca di lottare, voleva solo lasciarsi scivolare in quel baratro e non risalirne mai più. «Spettacolo esilarante vero?» Una risata amara proruppe dal fondo della sua gola, una risata che aveva perso il suo sono cristallino; quella nota acuta che l'aveva in qualche modo sempre caratterizzata. Sostituita da una nuova consapevolezza più cruda, in linea con la realtà che tutti loro si dovevano rassegnare a vivere.
     
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    - Ho un nuovo amico
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    Edric non era mai stato così felice come quando il più terribile dei mali aveva iniziato a divorare lentamente la realtà di ognuno di loro. Mai si era sentito così vivo e allo stesso tempo così in pace. Era come se per tutta la vita avesse vissuto in una caverna in cui rimbombavano violentemente le mille voci che avevano albergato la sua mente, come pure quella del suo oscuro Passeggero che ad ultimo si era aggiunta e le aveva sovrastate tutte. Non lo aveva mai sentito così forte, così vicino come da quando aveva varcato le soglie della Loggia Nera. Non si era mai sentito tanto a casa. L'opprimente cappa di oscurità e silenzio di quel luogo, che a così tanti stava lentamente facendo perdere il senno, al contrario a Edric pareva averglielo donato: lucida follia incoronava la sua testa da sempre malata, rendendolo se possibile più pericoloso di quanto non fosse mai stato. Perché adesso lo sentiva più chiaro che mai, il sussurro del suo Passeggero, e con così tanta benevolenza lo accettava nella parte più intima della propria coscienza. Gli sembrava perfino di vederlo, ogni volta che si guardava allo specchio, nascosto nel buio della pupilla.
    (voglio anime)
    Il bisogno costante di nutrimento forse l'unico punto a non essere cambiato nel corso della transizione. Incessantemente l'arcano gli sussurrava i propri appetiti e diligentemente Edric provvedeva a saziarlo, senza alcuna remora, perché da quegli stessi appetiti era attanagliato il Serpeverde. L'istinto sessuale, quello che gli intimava di avventarsi su una preda e succhiarle l'energia attraverso il più antico e intimo dei gesti, ruggiva prepotentemente ma tra i pochi superstiti sopravvissuti a quello che sarebbe passato alla storia come un massacro ben pochi ormai si sarebbero lasciati avvicinare con la lusinga di un rapporto sessuale. Quanto a vergini, dopo la deflorazione violenta di Léo Weasley non ne aveva più incontrato e ancora oggi poteva sentirsi scorrere nelle vene la sensazione più bella, pura e potente che avesse mai provato. L'energia di un vergine, ora so perché la brami. Per questo motivo, se non avrebbe potuto attingere al nutrimento derivante dal sesso, la risposta che rimaneva era una e una sola.
    (voglio caos)
    Caos.
    Il turbinare esplosivo delle emozioni umane che non vengono indirizzate al bene, la ricerca spasmodica del disordine che infine porta alla distruzione. Anche questo, avevano scoperto Edric e il suo passeggero, poteva avere un gusto tra i più raffinati. Se la morte riusciva a saziare gli appetiti dell'arconte a cui Edric era collegato, qualcosa di molto più fine ed elegante come il caos fungeva da balsamo ai suoi malumori, rendendolo potente. Affamato, certo, ma potente. Da quando le porte della sala comune di Corvonero si erano aperte che Sanders non aveva fatto altro che ricercarlo, il caos, spargendone diligentemente i semi in attesa che dessero frutti. La settimana di clausura forzata dentro la torre ovest, a stretto contatto con soggetti che sentiva essere pericolosi - Beatrice Morgenstern e la sua allegra comitiva - gli avevano dato modo di pensare che la violenza plateale non poteva più essere la soluzione ai propri bisogni, non quando oramai il numero dei sopravvissuti era calato così vertiginosamente. Era giunto alla conclusione che i pochi rimasti li avrebbe dovuti sfruttare con la diligenza di un fine stratega. Lui, il povero malato di mente, quello con le voci nella testa e le allucinazioni negli occhi, un fine stratega? Sì, se le voci avessero sussurrato le parole giuste. Così avevano fatto. Era stato Lui a condurre Edric nel bagno dei prefetti, in un giorno qualunque della loro ormai infinita prigionia, concedendogli il lusso di assistere al crollo emotivo di una delle persone che meno tollerava. Betty Branwell poteva essere considerata l'antitesi di tutto ciò che sarebbe potuto piacere ad un ragazzo come Edric Sanders: un arcobaleno in movimento, troppo viva e troppo colorata perché potesse andargli a genio. Ricordava di essersi collegato a lei, un giorno di tanti mesi prima durante una lezione di Cura delle Creature Magiche, e aveva sentito sbocciare dentro di sé sentimenti talmente caldi da rimanerne quasi scottato. Odiava Betty Branwell e la sua perenne voglia di vivere, il suo entusiasmo nel vivere ogni situazione e, ancor più, nel vivere ogni relazione. Ma la ragazza a cui Edric era stato condotto era il fantasma della caposcuola che aveva imparato a conoscere nel corso degli anni. Era come se la ragazza che intonava canti alla vigilia di Natale avesse ricevuto l'ultima violenta sferzata e finalmente la vita l'avesse piegata. Non ancora spezzata, si accorse nel vederla reagire violentemente a qualcosa che solo lei avrebbe potuto vedere, ma piegata abbastanza da renderle più vulnerabile che mai.
    (lei)
    Elizabeth Branwell.
    (usa lei)
    Usare
    Betty? Rimase ritto nella penombra, il proprio respiro coperto dal rumore di uno specchio infranto con la furia di un animale in gabbia, fissando la Tassorosso. Usare Betty per il proprio fine perverso. Avvicinarsi di soppiatto, prenderla alla sprovvista e semplicemente abusare di lei sarebbe stato facile: Edric la sovrastava in altezza e forza, nonché in volontà. Avrebbe potuto violentarla a appagare così la propria fame, prosciugandola delle ultime energie rimastele. Spezzare qualcosa che è stato piegato. Ma proprio lei, di cui aveva già potuto sperimentare sulla propria pelle la profondità dei sentimenti, sarebbe potuta essere più utile intera. Se il tuo amore è sconfinato, piccola Betty, quanto profondo può essere il tuo dolore? Quanto violento il tuo odio?
    (voglio caos)
    E caos avremo.
    Fece un passo in avanti, uscendo dal cono d'ombra nel quale era rimasto a fissarla e calpestando un calcinaccio fece abbastanza rumore da far avvertire alla caposcuola la propria presenza. Anche ad un primo sguardo, Betty non era più la ragazza confetto che ricordava. Era scura, nei vestiti e nel viso, e i grandi occhi color del cielo si erano appena tinti di rosso: che fossero lacrime o solo stanchezza, Edric non poté dirlo. L'unica cosa certa era che Betty era stata designata come nuova vittima della Loggia Nera da uno dei suoi campioni. Il male sa essere appiccicoso, quando sceglie chi toccare.
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    « Spettacolo esilarante vero? » La risata che rimbombò nel buio del bagno avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque conoscesse il calore del cuore di Betty; per Edric, fu solo l'ultima conferma. Sei pronta. Puoi diventare Madre del Caos. « Solo se pensi che lo sia. » mormorò atono il serpeverde, alzando appena le spalle. Non aveva trovato esilarante lo spettacolo, anzi: ispiratore. Avanzò ancora verso di lei, fino a calpestare un frammento dello specchio che la bionda aveva rotto. Ne raccolse un altro, stringendolo tra le dita affusolate. Specchio. Maze gliene aveva regalato un frammento simile, la notte di natale, e sebbene non ne avesse capito il significato era certo che avesse qualcosa a che fare col proprio Passeggero. Lo poteva percepire dalla sua reazione, ogni volta che si trovava di fronte ad una superficie riflettente. Osservò i propri occhi vitrei, prima di alzare il pezzo di vetro e indirizzarlo a Betty. « Vedi uno spettacolo esilarante? » Un passo ancora, facendosi più vicino a lei, affinché potesse vedersi meglio nello specchio che l'alto e pallido Edric le stava porgendo. « Dimmi cosa vedi e perché dovrebbe farmi ridere. »


     
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