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    Córrere v. intr. [lat. cŭrrĕre] - Avanzare rapidamente in modo che in nessun momento i piedi tocchino terra contemporaneamente. Zeppelin Tremblay corre come uno stronzo da quando ha cinque anni. Non ha mai smesso di farlo, perché l'universo gli ha sempre dato addosso, convinto che fosse il bersaglio sul quale addossare tutte le sue frustrazioni. Zip è da quando ha cinque anni che corre. Ha cominciato a farlo il giorno in cui con Led si è ritrovato a rubare dei dolciumi - di cui loro non conoscevano nemmeno l'esatto sapore, non avendoli mai assaggiati, a differenza del resto dei bambini della loro scuola - in un piccolo market nella periferia di Vancouver. Dai dolci, è passato a correre per dei piccoli furti nei grandi supermercati, cibo e acqua, perlopiù. Dal cibo allo scappare dalle ragazze incazzate con lui per i più svariati motivi. Dalle belve fameliche alla droga. Dalla droga alle effrazioni in casa d'altri. Dai piccoli lavoretti da delinquente ad un vero e proprio omicidio. Non ha smesso di correre in riformatorio, quando anche lì doveva farlo per non essere stuprato in bagno o per non essere preso da parte da coloro che lo riconoscevano come membro delle Vipere. E' una vita che corre, come quel pezzo di merda di suo padre. Carl Trambley è sempre stato bravo a correre via, specialmente dai propri doveri, dalle proprie responsabilità. Un uomo geniale, è così che è sempre stato per Zip, da piccolo. Un uomo dalla mente acuta, talmente intelligente da poter guidare una spedizione della Nasa sulla Luna se solo quel gruppo di rincoglioniti avesse visto in lui le sue vere potenzialità di ingegnere aerospaziale. Ma no, loro vedevano solo i capelli lunghi, la non esperienza, un po' il tanfo di periferia addosso, il sorriso ingenuo di un uomo che non aveva altro da offrire se non una laurea e la sua finezza di intelletto. E quello che avevano visto loro, alla fine aveva preso a vederlo anche Carl. Aveva solo tre anni Zip, quando Carl ha preso a fare il rocker fallito in giro per i locali, a farsi scivolare la vita addosso, dimenticandosi persino dei propri figli, in giro qua e là, su un marciapiede e l'altro, in attesa di un padre perennemente in fuga. Dai problemi, dagli obblighi, e infine, persino da se stesso. Forse è sempre stato lui il vero motivo: non riuscendo più a vivere con se stesso, alla fine Carl ha deciso di allontanarsi da tutto. Ed è questo che ha insegnato a Zip, l'unico vero utile insegnamento che può dire di aver ricavato da quell'ammasso di cellule utile solo ad occupare spazio: a correre. Zip sa che se vuole vivere, se vuole continuare ad aggrapparsi a quella vita con le unghie e con i denti, deve continuare a correre. A muoversi in avanti, a non sentire più la terra sotto i piedi, quasi come se stesse volendo, a sentire il respiro farsi sempre più irregolare, fino a fargli male, fino a creare una palla di fuoco sotto lo sterno, tanto da fargli venir voglia di vomitare. Ma lui continua, continua a buttarsi in avanti, perché lui vivo ci vuole rimanere, perché ha bisogno di altri giorni, di altri mesi, di altri anni. Perché dentro quella scuola di perbenisti inglesini di sto cazzo lui non può morirci. Non può vedere il castello di Hogwarts come ultima cosa, prima di tirare le cuoia per mano di una creatura infernale, di cui non riconosce né le fattezze, né la forma. E' tutto sbagliato in quell'Inghilterra in cui non voleva nemmeno andare. E' tutto fottutamente inesatto, così vicino alla sua normalità, ma anche così mostruosamente lontana da essa. Vi sono trappole mortali, esseri di cui non sapeva nemmeno l'esistenza, pronti a mangiarti vivo ogni due per tre. Ed è uno di quei cosi ad inseguirlo per la distesa di Hogwarts, mentre si tiene stretto contro le spalle lo zainetto per il quale sta rischiando la vita da circa quindici minuto. Il simpatico amico ha preso a rincorrerlo quando ha fiutato il suo odore, dentro la Serra numero 3, lì doveva Zip aveva deciso di allestire il deposito del suo investimento personale. E' da quando ha fatto irruzione nella serra, spaccandone la vetrina principale, con i suoi tentacoli lunghi e viscidi, che Zip corre a perdifiato per non farsi prendere. Ha anche invocato il Wampus, per far sì che gli faccia parzialmente da scudo, per permettergli di correre via, mentre il suo Nahual si frappone tra lui e il pericolo. Li sente combattere, li vede combattere mentre lancia un'ultima occhiata oltre le sue spalle, prima di entrare nel castello, con la speranza che la creatura sia troppo stanca per inseguirlo anche lì dentro. Non si ferma, nemmeno quando è oltre la porta, nemmeno quando incontra gli sguardi spaventati di coloro che si trovano nell'atrio ingrigito. Va oltre, sale, va verso i Bagni dei Prefetti e non si blocca fin quando non si chiude il pesante portone dietro le spalle. Non sono al sicuro, nemmeno qua, ma per qualche secondo sono solo pensa, mentre perlustra la sala da bagno con un'intensa occhiata. Solo allora si ferma. Si accorge di non sapere più respirare, mentre il petto si alza e si abbassa procurandogli del dolore fisico. E mentre il respiro va, via via, regolarizzandosi, l'adrenalina sembra scemare, poco alla volta, all'interno delle sue vene, cominciando a fargli sentire il dolore. Un'intensa fitta all'altezza delle costole, che si propaga verso l'esterno. Corre davanti allo specchio più vicino e alza il maglione in fretta, costatando che sì, è stato ferito dall'amichetto socievolissimo. Una lunga sferzata gli taglia per obliquo dalle costole al basso ventre. Deve essere stato uno di quei tentacoli di merda. Vi mette una mano sopra e la ferita sembra pulsare sotto le sue dita congelate. Brucia ed è viscida al tatto, tanto da fargli ipotizzare che le lunghe braccia fossero ricoperte di una patina appiccicosa. «Merda e se fosse velenosa?» Pensa ad alta voce, mentre il cuore salta qualche battito di fronte a quella constatazione dei fatti. «Ma anche io, no, che domande mi faccio? Certo che è velenosa, sfigato di merda come sono.» Lascia cadere a terra lo zaino, mentre dei brividi di freddo prendono a percorrergli la schiena e il ragazzo si domanda se sia tutta una sua impressione o se gli stia capitando davvero qualcosa. Prova a flettersi sulle ginocchia, per cercare, in mezzo al marasma di cibo e beni di prima necessità che ha lì dentro,
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    qualcosa che possa dargli una mano. Ma appena i muscoli tentano di piegarsi, gli gira la testa ed è costretto ad aggrapparsi al lavabo con entrambe le mani per non cadere a terra. Oh bene, davvero benissimo! Non si lascia prendere dal panico, nemmeno quando comincia a sentire il formicolio prendergli le gambe. E' piuttosto lucido, mentre capisce che potrebbe svenire, da un momento all'altro. Se non schiattare, nelle più rosee delle possibilità. Si punta contro la bacchetta e prova un paio di incantesimi, che non sembrano sortire veramente alcun effetto, forse perché evocare il proprio Nahual richiede un dispendioso cumulo di energie, energie che è evidente lui non ha più. Torna allora a guardarsi allo specchio, gli occhi azzurri ancora accesi di una luce derisoria. «Bene, direi che è stato un gran piacere, esimia testa di cazzo» comincia, salutando te stesso. E non c'è alcuna punta di melodramma o drammaticità nelle sue parole. E' semplicemente cosciente di ciò che potrebbe capitargli, da lì a poco e allora tanto vale salutare la persona migliore che ha avuto il piacere di incontrare nella sua vita. Fa una smorfia di dolore, provando ad insinuare le dita nella ferita, come a cercare di togliere tutto quel velo di bava schifosa che vi è all'interno. Non si accorge nemmeno che la porta si è appena aperta e richiusa, oltre le sue spalle. Continua a pulire la ferita, stringendo i denti, con il desiderio vero di mettersi a piangere come un bambino in fasce. Se solo ne avesse mai avuta veramente una, invocherebbe il nome di sua madre. La testa si appesantisce, poco a poco, ma i pensieri rimangono stranamente lucidi, tanto da riuscire a voltarsi per constatare infine di che morte deve morire, se dalla porta è entrato l'ennesimo mostro. In fondo, di scappare in quelle condizioni non se ne parla proprio. Eppure non è ciò che si aspettava ciò che effettivamente i suoi occhi incontrano. Le sorride, affabile, provando a non avere alcun cenno di cedimento in volto, seppur il suo aspetto e la sua ferita scoperta possa effettivamente dire tutto per lui. «Monroe, una volta che capiti quando servi.» Stronzo anche quando gli sta per prendere una crisi di epilessia. Tira su con il naso, immaginando di dover essere più gentile se vuole sperare di avere il suo aiuto. «Okay, no, ricominciamo. E' un piacere vedere che ogni tanto ti fai viva anche tu.» Questo è il meglio che riesce a fare, prima che una fitta lo costringa a stringere ancora di più la presa sul lavandino, accartocciandosi su se stesso. «Ora, credo sia piuttosto evidente che io non sia nella mia solita forma smagliante.» Un mezzo sorriso sarcastico si profila sulle sue labbra. «E sono quasi certo, ad un 90% circa, di avere in circolo il veleno di uno di quei cosi infernali che girano ovunque, ultimamente.» Insomma, tutto regolare. «C'è una buona probabilità che io possa tirare le cuoia nel giro di una ventina di minuti, trenta al massimo. E no, non credo sia un attacco di panico questo, sono piuttosto lucido e vigile. Ma sono anche un po' agitato, il cuore mi batte troppo forte e così facendo il veleno si espande più velocemente.» Solo Zeppelin Tremblay può diagnosticare la propria morte con questa assoluta freddezza metodica. «A conti fatti, lo dirò ad alta voce una ed una sola volta, ma sei una benedizione divina, in questo momento.» Ha pure il coraggio di sghignazzare, il cretino. «Quindi, dato che non mi sento più le gambe e potrei, condizionale, essere paralizzato dalla vita in giù, potresti essere così gentile da cercare nel mio zaino un bezoar? Sono sicuro che ce ne siano almeno tre.» Le chiede, con una punta di implorazione nella voce. «Lo sai com'è fatto, sì?»
     
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    « ..in uno sgabuzzino. Hai dormito in uno sgabuzzino. » Così si conclude una storia di tutto rispetto che Jamie ha raccontato al suo compagno con tanto di gesti plateali degni di nota, giustapposti nei momenti di maggiore suspense o per evidenziare un passaggio particolarmente ostico. In pratica la sera prima si era allontana dalla sala comune corvonero per passare un po' di tempo di qualità con se stessa; questo un dettaglio che ovviamente ha evitato di raccontare nel minimi dettagli, catalogandolo sotto il comune buon senso di farsi una canna sulla torre di astronomia. Ed era lì che quel coso l'aveva beccata, obbligandola a sgattaiolare via. Unico motivo per cui era riuscita a scamparla con solo una costola rotta, che tra parentesi continuava a darle non pochi fastidi, era l'essersi trasformata nella magnifica colomba che ormai era diventato il suo spirito guida, prima che il mostro se la mangiasse in un solo boccone. « Che altro dovevo fare scusa? » Si stringe nelle spalle, frizionandosi gli occhi insistentemente con la manica della felpa, prima di scompigliarsi i capelli con la solita nonchalance che la contraddistingue. « E per dovere di cronaca non ho chiuso occhio, a dirla tutta, per paura che quel coso mi trovasse e sfondasse la porta dello sgabuzzino. Cazzo se era brutto! » Per dovere di cronaca poi, bisogna anche ricordare, che Jamie tutto sommato se la sta cavando bene. Mangia abbastanza, riesce a dormire il giusto, e il più delle volte si fa i cazzi suoi. Non dà fastidio a nessuno e nessuno dà fastidio a lei. A parte i mostri e le trappole, la sua situazione non sembra essere cambiata minimamente. Paradossalmente dal punto di vista prettamente gestionale, il suo vissuto è migliorato. Non deve più lavorare, per mettere su quei pochi spicci da mandare a Laura, e non deve più spaccarsi la schiena per cercare di restare a galla e affrontare le spese scolastiche, che a dirla tutta non sono nemmeno poche. Emotivamente certo, è tutto un altro paio di maniche. Non sa che fine possano aver fatto Laura e Jay e a quel punto, non sa chi si occupa di loro - e qualcuno deve pur sempre occuparsene, conoscendo la sorella. Non ha la più pallida idea di cosa ne è stato di suo padre, e si chiede se quando e semmai tornerà a casa, ci sarà appunto ancora una casa in piedi, perché le probabilità che Laura le abbia dato fuoco sono piuttosto grandi. Si sente inutile, lì dentro Jamie, e a parte il fratello a cui rompe le palle ogni due per tre, e i pochi amici con cui si trascina in giro, se ne fotte altamente di tutto. Lei vuole uscire, deve uscire, e non è certo grazie alla solidarietà che sembra aver afflitto alcuni dei loschi figurini che si aggirano per il castello, che tornerà alla sua vita di prima. Sempre se di vita si può parlare. C'è qualcosa di estremamente orribile nel realizzare dei non avere assolutamente nulla sotto controllo, di non essere in grado di controllare nemmeno la minima parte della propria esistenza. Qualcosa che la manda in bestia e la rende nervosa in modo perpetuo. Jamie è sempre stata abituata ad aver cura di qualcuno, a darsi da fare; essere l'angelo custode di questa e quell'altra persona fa parte del suo DNA; in particolare ha infranto questa sua necessità sulla famiglia che era la cosa più importante della sua vita e le riusciva anche molto bene farlo. Senza quella missione si sentiva come dispersa in uno spazio vuoto, in cui tutto sembrava perdere di significato. Anche i migliori vengono alla fine vinti dalle avversità, e Jamie non era un'eccezione. A volte le sembrava che la sua vita fosse fatta per passare da una sofferenza all'altra. Da un dolore nettamente meno rilevante a uno decisamente più preponderante. Sempre intrisa di quell'aria di disagio esistenziale che poco spazio le lasciava per vivere una vita prettamente tranquilla. Alla fine saluta il compagno con un gesto lascivo, accedendosi una sigaretta e dirigendosi a passo felpato verso il bagno dei prefetti. Quel posto, quel grigiume generale le mette ancora più nervosismo addosso, come se appartenesse a quel mondo ancora meno di altri. Divincolarsi da quei luoghi e da quelle voci, da quei mostri, era un qualcosa che sembrava ossessionarla. Almeno in questa tortura, posso concedermi un bagno come Cristo comanda, è l'unico pensiero consolatorio che le frulla per la testa. E infatti, da quando tutta quella pagliacciata era iniziata, Jamie si era approfittata della situazione quanto meno per darsi la parvenza di vivere una vita più privilegiata. Concedersi il lusso del bagno dei prefetti - seppur in quel grigiume avesse a sua volta assunto un aspetto lurido - era uno di quei piaceri proibiti a cui non avrebbe rinunciato quanto meno finché ne avrebbe avuto l'occasione. « Monroe, una volta che capiti quando servi. » Trasalisce di scatto la rossa, restando per un istante paralizzata di fronte all'immagine che si ritrova di fronte. Trambley, una faccia che non promette nulla di buono, una grossa ferita dalla quale sgorga l'ira di dio - letteralmente - e lui.. no niente, ha il solito muso da stronzo patentato. « Okay, no, ricominciamo. E' un piacere vedere che ogni tanto ti fai viva anche tu. Ora, credo sia piuttosto evidente che io non sia nella mia solita forma smagliante. » Si appresta ad affiancarlo, prima che possa avere il tempo anche solo di fare una delle sue battute e tenta di sorreggergli il busto con le proprie braccia, mentre uno sguardo apertamente in pena si distende su quel suo muso solitamente intriso di un'espressione furba e tutto fuorché raccomandabile. « E sono quasi certo, ad un 90% circa, di avere in circolo il veleno di uno di quei cosi infernali che girano ovunque, ultimamente. C'è una buona probabilità che io possa tirare le cuoia nel giro di una ventina di minuti, trenta al massimo. E no, non credo sia un attacco di panico questo, sono piuttosto lucido e vigile. Ma sono anche un po' agitato, il cuore mi batte troppo forte e così facendo il veleno si espande più velocemente. » Scuote la testa cercando di restare lucida. La morte non è una cosa che la mette propriamente a proprio agio. Quindi col cazzo che morirai qui di fronte a me, Trambley. Se dovessi traumatizzarmi per il resto della mia vita, giuro che ti vengo a cercare affanculo solo per mollarti uno schiaffo. « Fermo! Smettila di fare movimenti bruschi. » Dice di scatto, rompendo finalmente quel silenzio tombale in cui è sprofondata non appena la paura di vederlo in quelle condizioni si è insinuata dentro di lei. Non è facile vedersi uno degli esseri più duri a morire della storia degli esseri duri a morire, finire in queste condizioni. Che Trambley non si sarebbe fatto nemmeno un graffio era una di quelle convinzioni portate più di tutte ad astri perpetui nel cielo. Il ragazzo sembrava potersela cavare di fronte a qualunque difficoltà. Eppure eccolo, debole e sul punto di crepare non tanto per il veleno quanto di crepacuore. Non c'è speranza per nessuno. Moriremo tutti. « A conti fatti, lo dirò ad alta voce una ed una sola volta, ma sei una benedizione divina, in questo momento. Quindi, dato che non mi sento più le gambe e potrei, condizionale, essere paralizzato dalla vita in giù, potresti essere così gentile da cercare nel mio zaino un bezoar? Sono sicuro che ce ne siano almeno tre. Lo sai com'è fatto, sì? » Dovrei offendermi. Alla fine decide di smettere persino di ascoltarlo, intenta com'è a mettere ordine nella propria mente. Alza gli occhi al cielo e sbuffa, mentre lentamente lo aiuta a scendere e mettersi seduto, accompagnandolo ad appoggiare la schiena contro una delle colonne prossime al posto in cui si trovano, sospirando profondamente. « E poi sarei io quella che parla troppo. » Resta per un attimo a fissarlo, mentre tenta di accertarsi delle sue condizioni. Una mano gli sfiora la fronte. Brucia. Le dita corrono fino alle arterie vitali per controllare quanto all'impazzata rimbomba il suo cuore nel petto, ed effettivamente non sta aiutando per niente l'entrata in circolo del veleno. A quel punto gli prende la mano, e gli occhini blu si fissano dritti dritti in quelli di lui. « Ok Zip. Guardami. Ho detto guardami! » Jamie e l'autorità sono difficilmente due concetti conciliabili, ma in quel momento in un certo qual modo riesce a trovare la forza per ergersi a figura rassicurante. « Calmati ok? » E nel dire ciò le dita si stringono con sicurezza attorno alla sua mano come a volergli assicurare che è là. « Inspira. Espira. » Gli mostra il movimento, con lentezza, cercando di portarlo a mantenere il suo stesso ritmo. « Sono qui ok? Adesso la risolviamo. Non vado da nessuna parte. Ci penso io a te. » Uno sguardo rassicurante, sicuro di se stesso, mentre la mano rimasta libera fruga nella propria borsa, ignorando i consigli del ragazzo sul conto del bezoar.
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    Non è certa quale tipo di veleno lo abbia toccato, ma non è certa che si tratti di un veleno comune. Jamie ha capito sin da subito che ovunque si trovassero non erano più nel Kansas, motivo per cui, molti avevano azzardato addirittura che persino le leggi fisiche che funzionavano a casa loro, lì potevano non funzionare. Se il veleno proveniva da lì, non era detto si trattasse di qualcosa di prettamente comune. Dicendo ciò riesce alla fine a individuare nella propria tracolla, una delle boccette più preziose che abbia, e la estrae. Antidoto per i Veleni Rari. Il contenuto dal colore azzurro viene mostrato al ragazzo per qualche istante, prima di stapparla e avvicinarla al suo volto. « Antidoto per i Veleni Rari. Questa roba fa schifo, davvero tanto, ma è la cosa più efficace e sicura, quindi butta giù. Per la cronaca non l'ho preparato io. L'ho rubato dritto dall'aula di pozioni, quindi puoi fidarti. » Oh l'armadietto di scorte l'aveva saccheggiato per bene e seppur alla fine gran parte delle cose le avesse messe in comune, alcune cosucce le aveva tenute prettamente per sé, perché non si sa mai. Dicendo ciò, lo porta a buttare tutto giù prima di cadere a sua volta a terra con l'eleganza tipica di chi l'eleganza non sa nemmeno dove stia di casa. Si porta le ginocchia al petto e attende, perché a quel punto sa che il peggio deve ancora venire. Per l'occasione afferra un piccolo contenitore sudicio rimasto lì per chissà quale grazia divina, lo pulisce con l'ausilio della bacchetta e lo ingrandisce abbastanza da rendergli la capienza funzionale al suo uso. E a quel punto glielo porge con uno sguardo eloquente. « Tra un po' ti servirà. » Quasi sicuramente. Infine resta in silenzio, ben consapevole che a quel punto può solo attendere, sopportare quei ripetuti cicli di lavaggio intestinale forzato, e convincersi che dopo lo guarderò con gli stessi occhi. « Nell'attesa di perdere tutta la tua dignità - e la perderai, ma non puoi farci niente - che cos'è successo di preciso? »


     
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