This is a wild game of survival

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    the devil inside;

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    Ricordati che nulla è come appare. Voci che riecheggiano nella sua testa. Sta scappando da giorni. Ogni qual volta si fermi la caccia ricomincia, ha sempre lo stesso volto, un volto che un tempo conosceva solo di vista e di cui non sapeva quasi nulla e che oggi è diventato il suo peggior aguzzino. Due personalità come quella della Watson e il suo personale diavolo, non erano compatibili nella realtà da cui proveniva la ragazza, ma lì, sembravano essere tutto e niente. Non gli aveva mai dato importanza, tanto quanto lui non ne aveva dato a lei. A malapena si conoscevano; non ricordava di averci mai scambiato una parola. Lui era il coglione di primo ordine che si pavoneggia di fronte a mezza scuola, il magnetico popolare capitano della squadra di Quidditch avversaria, l'uomo che non deve chiedere mai, con al seguito una schiera di ragazzine ingriffate pronte a fare di tutto pur di strappargli un sorriso. La Watson dal canto suo, era la leggiadra quanto instabile sorellina del Caposcuola, quella problematica, la sognatrice per eccellenza che si butta tra le braccia del primo che capita nella speranza di poter scagionare il fratello dal fardello di starle sempre appresso e trovare finalmente il principe azzurro. Ophelia Watson è sempre stata una ragazza fragile, a modo suo insignificante. L'anello debole della famiglia, la pecora nera. E non ha mai fatto niente per combattere quella condizione, forse perché in cuor suo ha sempre saputo di non poterlo fare. Poi di punto in bianco si era trovata a errare per giorni, forse mesi, nella stessa selva oscura, circondata da personalità che apparentemente conosceva, e che pure avevano la parvenza di essere completamente diverse da quelle che un tempo ricordava. La maggior parte la trattavano bene, con i guanti, quasi come se cercassero di trattenerla in quel posto buio. C'erano poi quei pochi capeggiati dal diavolo, a darle inesorabilmente la caccia, instillandole paura e perenne sconforto. E' a questo che sta pensando, mentre adagiata sul divano della Sala Comune Serpeverde, si abbandona alle carezze del fratello.
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    « Non sei costretta a subire. » Tra tutti, lui era il più gentile. Sempre pronto a offrirle conforto. Non l'aveva mai abbandonata, nemmeno per un istante. Compariva dal nulla quando meno se lo aspettava, e lei, stanca della solitudine, di quella perenne sensazione di angoscia lo accoglieva sempre calorosamente, rendendosi consapevolmente preda a quella sensazione di melanconia. Percy, il suo Percy, le mancava terribilmente. Le mancava semplicemente starsene in silenzio in sua compagnia, a osservarlo, con la consapevolezza che lui non l'avrebbe mai abbandonata nonostante tutto, nonostante fosse così dannatamente sbagliata. « Non ho davvero una scelta.. » Sussurra in un soffio mentre si inumidisce le labbra. E' esausta, sfinita. Non ce la fa più. Negli ultimi mesi non ha fatto altro che correre, scappare, lasciandosi avvelenare la mente e le vene da quelle infinite voci e personalità distorte, che tutto le sussurravano tranne che il vero. « E invece ce l'hai. Abbiamo sempre una scelta. Devi solo smettere di aver paura. » C'erano così tante cose che Ophelia temeva quasi spasmodicamente. Non era solo il diavolo a farle paura. C'era quella sensazione di abbandono, poi c'era la solitudine, il silenzio. E infine, c'era la sua più grande paura: se stessa. Durante il primo attacco del diavolo con al seguito decine e decine di mostri orribili, aveva completamente perso il controllo e la belva dal manto rossiccio che conviveva dentro di lei si era per la prima volta manifestata. Mai aveva provato un tale terrore, un dolore così grande. Ogni osso, cartilagine e lembo di pelle di sé si era semplicemente spezzato, migliaia e migliaia di volte, finché del suo involucro umano altro non era rimasto che una massa informe di pelle, secrezioni e sangue. « Smettere di aver paura.. sul serio. Questo è il grande consiglio di Percival Watson. Smettere di aver paura. » Si alza di scatto dal divano posizionandosi di fronte a lui per squadrarlo dalla testa ai piedi con una punta di delusione. « Si presuppone che dovresti darmi una mano. Tu ti sei sempre preso cura di me. » Ma l'essere che ha di fronte sembra del tutto indifferente alla sua sorte. Indifferente come non lo è mai stato. Qualcosa è cambiato. « Non essere ridicola, Ophelia. Sai benissimo che io non sono lui. » Lo ha sempre saputo. Certo che lo sapeva; Ophelia non è certo la persona più stabile al mondo, ma non è stupida e la sua ingenuità è dettata soltanto dal suo intrinseco desiderio consapevole di abbandonarsi a convenzioni distorte a discapito del raziocinio. « Nulla di personale bimba. Qui siamo tutti uguali, noi altri. Non posso influire su qualcuno dei nostri simili. E se lui vuole farti del male, lo farà. Continuerà a provarci. E poi non puoi nemmeno lamentarti. Hai scelto di restare. » Quell'ultima affermazione la sconvolge, obbligandola a indietreggiare finché le sue spalle non si scontrano contro il caminetto spento della Sala Comune. « Io.. ho scelto? » Una domanda chiaramente retorica, dettata dall'incredulità di quelle parole che improvvisamente le appaiono fredde e distanti. Quell'immagine speculare di suo fratello non era mai stata così dura e fredda con lei; lo aveva sempre visto come un punto di riferimento, un essere di cui fidarsi in mezzo a tutto quel grigiume. E si è fidata Ophelia, nonostante spesso e volentieri le sue parole fossero scoraggianti. Quel Percy le ha raccontato di tutto; una serie infinita di menzogne ben infiocchettate che l'avevano portata ad abbandonare il desiderio di lasciare quel posto lugubre, per paura che qualunque cosa ci fosse là fuori l'avrebbe spaventata ulteriormente. L'aveva fatta sentire protetta, e paradossalmente, indesiderata da chiunque altri. L'aveva fatta ritorcere contro tutti. La sua famiglia, il suo destino, quel Credo di cui ancora non sapeva nulla e che pure aveva ormai imparato a vedere come un organismo estraneo al suo essere. L'aveva portata a serbare rancore nei confronti dei suoi amici, di Pervinca e Greg, di diffidare di loro. Ti hanno abbandonato tutti. Nessuno ti sta cercando. Nessuno ti vuole. E qualunque cosa ci sarà là fuori, non ne farai mai parte. Loro non ti vedranno mai come una di loro. Tu sei diversa, Ophelia. Un mostro. Quelle frasi erano ormai un mantra nella sua mente frastornata. E ora questo: questo gelo. Non ricorda l'ultima volta in cui si è sentita così smarrita e confusa. Forse non si sentiva così dal momento in cui quella belva mostruosa non aveva preso possesso del suo corpo. Prima che possa dire qualunque altra cosa, le porte della Sala Comune Serpeverde si spalancano, per lasciar penetrare nella stanza un unico oggetto che si poggia automaticamente tra le sue mani. Una calza. Di un profondo blu, soffice al tatto, di un materiale simile al velluto. Velluto blu. « Giusto in tempo. » Sulla calza osserva elegantemente ricamate le lettere che compongono il suo nome. Ophelia Watson. Nemmeno questo posto ammette che io sia una Lancaster. Forse semplicemente non lo sono. Forse è tutto vero. Quelli i suoi pensieri mentre osserva lo sguardo del fratello rivolgersi verso le vetrate che danno sul lago nero. In lontananza, oltre le acque scure, è possibile osservare migliaia di vividi colori nel cielo, seguiti da tanti scoppi spettacolari. Fuochi d'artificio. Si avvicina istintivamente verso una delle finestre, togliendone la pattina impolverata, per vedere meglio. « Buon anno, Ophelia! » E' l'ultima cosa che sente prima che la figura scompaia in un fumo nero, facendola trasalire. E poi per un po' c'è solo silenzio, scandito solo dal rumore del suo cuore, e quegli incessanti fuochi d'artifici in lontananza. Si abbandona su una delle poltrone fissando la calza che ha tra le mani, tastandone la consistenza con uno sguardo interrogativo, prima di abbandonare la testa all'indietro senza sapere cosa fare precisamente a quel punto. Tutto sembra uguale a prima, piatto, vuoto, desolato, triste, eppure, dopo quella breve conversazione, tutto è cambiato. E' cambiata la sua percezione di quel posto.

    C'è una teoria secondo cui nel nostro DNA coesistono gli istinti e le abilità acquisite dai nostri antenati prima di noi. Lo chiamano istinto, sesto senso, qualcosa che persiste ed esiste dentro ciascuno di noi indipendentemente dalle nostre esperienze. E' così che si sviluppa la coscienza comune, la memoria dei popoli. E' qualcosa che seppur si tramandi a parole, ha insito in sé uno strato che prescinde dalle proprie volontà. Se è vero per ciascuno di noi, è a maggior ragione vero per il Credo. E che le piaccia o meno, che voglia ammetterlo o meno, nelle vene di Ophelia scorre il sangue degli antichi quanto valorosi Lancaster. Ed è quel fuoco ad animarla in quel momento, mentre supera le sue paure, varcando finalmente da sola le porte della Sala Comune Serpeverde. Per lo più, negli ultimi mesi è sempre rimasta lì. E' stata depistata e portata altrove da qualcuno di quei maligni spiriti solo quando e se qualcuno degli erranti arrivasse a vagare da quelle parti all'interno della Loggia. Sempre tenuta lontana da qualunque via d'uscita e da qualunque presenza umana. In definitiva, dopo mesi, quella era la prima vera iniziativa di Ophelia Watson, presa e portata avanti di spontanea volontà in piena autonomia. Un passo dopo l'altro cammina in quelle vesti ormai sporche. Le ultime che le siano state recapitate risalgono a parecchio tempo fa; la ragazza ha tentato di tenerli puliti con l'ausilio della magia, ma alla fine risultavano in ogni caso ormai consumati e strappati in vari punti, per via delle tante, troppe volte in cui era stata costretta a scappare via da quegli ambienti, braccata come un animale da creature immonde, seguite a breve distanza dal diavolo. Un paio di jeans strappati, un maglione grigio di almeno due taglie più grandi della sua e un paio di stivaletti in cuoio, che sono riusciti a resistere in tutto quel tempo a qualunque intemperia. I capelli sporchi raccolti alla bell'e meglio. Sangue incrostato sulle braccia, sul collo e qua e là sui vestiti una pattina nera; quel liquido simile al petrolio che sembrava sgorgare da alcune creature non appena ferite. Stringe la bacchetta tra le mani, mentre passo dopo passo si allontana dai sotterranei. Se da prima i suoi passi sono lenti e cauti, ben presto si fanno più tempestivi, cosciente che quel silenzio e la nebbia che sembra alzarsi, non sono un buon segno. Quando la nebbia si alza, tanto negli ambienti esterni quanto negli interni, qualcosa di terribile è sul punto di comparire. E infatti non ci vuole molto prima di sentire alcuni ringhi spaventosi nell'ombra. Cani infernali dagli occhi rossi e le zanne appuntite a dovere brillano pronti ad accerchiarla. « Merda! » Il cuore prende a batterle vertiginosamente nel petto mentre gli occhi rossi delle bestie si avvicinano. E' già stata inseguita da quelle creature; ogni volta è un'impresa riuscire a scappare. E sa che dove ci sono loro, il loro padrone non è poi tanto lontano. Prende quindi a correre e correre e correre ancora mentre lacrime le scendono giù circondandole il volto. Dovrebbe essersi abituata, ma alla sensazione di morire, Ophelia non si abituerà mai, e quella paura, la uccide ogni volta un po' di più. Risale le scale verso il salone di ingresso e poi ancora su per le scale verso i piani superiori, mentre tenta in tutti i modi di seminarli, gettandosi alle spalle una scia di schiantesimi che li rallenta ma non riesce certo a fermarli. Il fiato le si fa corto, man mano che continua a salire, e il suo passo inizia a rallentare. Nonostante abbia imparato che la sua nuova natura abbia una resistenza non indifferente, il fatto che non sia entrata in sintonia con la lupa, non l'aiuta certo a concentrarsi su quel suo lato decisamente meno umano. E sale e piange ancora, e getta incantesimi a non finire, finché ad un certo punto, non ce la fa più. Messa ormai con le spalle al muro, in uno dei vicoli ciechi delle scale ormai immobili in quella dimensione, è costretta ad arrendersi. E allora lo vede, a un piano superiore; gli occhi del diavolo la stanno seguendo. La sua chioma color del tramonto svolazza via, non prima di averle mostrato uno dei suoi soliti sorrisi soddisfatti e famelici. Le ha sempre dato la caccia, con quello sguardo colmo di odio, e le parola colme di veleno. Io ti detesto. Ma alla fine, come presa da un istinto del tutto nuovo, consapevole che è sul punto di morire, si guarda attorno, e decide di arrampicarsi sul corrimano delle scale alla sua destra. Non c'è nulla di più forte dell'istinto di sopravvivenza. Guarda in giù e deglutisce. C'è solo una via d'uscita da qui. Ophelia non è mai stata una tipa atletica; anzi, se possibile è sempre stata l'esatto contrario. Il prototipo della stangona tutta pelle e ossa, estremamente gracile. A dirla tutta, né troppo alta, né troppo bassa, nella crescita si è fermata molto prima del fratello, nonostante ci sia stato un tempo in cui, da piccoli, lei era addirittura più alta di lui. Poi Percy aveva preso a raggiungerla e superarla spropositatamente, risvegliando in quegli anni di infanzia persino la sua ira, durante le tipiche liti tra fratelli. C'è solo una via d'uscita, si ripete mentalmente, mentre osserva la distanza che la separa dal punto dal quale ha cominciato a salire le scale. Saranno almeno tre piani. Ma a quel punto, non appena una delle belve le afferra il braccio, pronta ad attirarla nella mischia, urla per l'impressionante dolore che le provoca quel morso, si strappa il braccio con forza dalla bocca della bestia, e si lascia cadere. Come presa da un istinto innato, chiude gli occhi e assume una posizione perfettamente atta all'atterraggio. E con un tonfo preciso, le sue caviglie riescono miracolosamente a sostenere la caduta, prima che, come un gatto con più vite, atterra su un ginocchio, rotolando per un paio di metri. Oltre alla brutta ferita al braccio, ha ora una serie di graffi dovuti alla caduta, ma è ancora viva. Guarda istintivamente verso l'alto, e corre via, prima che le belve possano raggiungerla.

    Who's in the shadows? Who's ready to play?
    Are we the hunters? Or are we the prey?

    Non sa quanto tempo sia passato, ma è terribilmente arrabbiata, frustrata e ormai esausta. E così, giunta nei pressi di quel lago nero, ancora più scuro dell'originale, si siede a terra, si toglie il maglione, noncurante del freddo che sentirà con addosso solo la canottiera nera che porta sotto, e lo inumidisce appena nelle acque scure iniziando a ripulirsi le ferite. Non si chiede più niente Ophelia. E' perfettamente entrata in quella logica abitudinaria della sopravvivenza. Scappa, si cura, cerca di trovare qualcosa da mettere sotto i denti e ricomincia a vagare; tutto ciò ripetuto ancora e ancora, sempre nello stesso buio al quale ormai si è abituata, privata da qualunque scansione del tempo. L'unica ragione per cui continua a esistere è perché in seguito al primo tentativo di togliersi la vita, ha promesso a Percy di restare viva. Fosse stata una promessa a qualcun altro non se ne sarebbe curata, e si sarebbe tagliata la gola col primo frammento appuntito che avesse trovato in giro. Ma una promessa al fratello? Era tutta un'altra cosa. Di scatto sente avanzare una serie di passi. Passi lenti e cauti. La prima regola delle ombre e le voci con cui ha convissuto, è che non fanno rumore: affatto. La seconda regola è che non hanno una bacchetta. La terza regola è che non ti colgono mai alle spalle.
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    Afferra di scatto la bacchetta, girandosi verso l'improvvisa fonte di rumore, e non appena il Lumos illumina il volto del malcapitato, lo sguardo della ragazza si gela, colta dal terrore e dalla frustrazione. Si dimentica quanto ha appreso sulle ombre in quei mesi e si lascia cogliere dalla rabbia e dalla stanchezza. Il primo istinto è guardarsi attorno con fare cauto. Dove c'è il rosso, ci sono anche le sue bestiole. C'è sempre una trappola. C'è sempre la morte lì ad attenderla. In quale forma me la paleserai questa volta? « Tu. » Già lui. Si sente ribollire il sangue nelle vene. Il sangue della lupa; della stessa bestia che per mesi è stata tenuta a bada dalle troppe pillole che la costringevano ad assumere. Le stesse pillole che ora sembra non aver bisogno di assumere più. Ne ha mai avuto davvero bisogno? Oppure il suo squilibrio proveniva proprio dal malessere della lupa in catene? Non lo sa Ophelia, e non se lo sta nemmeno chiedendo a dirla tutta. « Cosa altro vuoi? Ti presenti solo.. poco saggio da parte tua. » C'è veleno puro in quelle parole; un animale spaventato che sbraita per paura. « Questa volta che intenzioni hai eh? Non ti è bastato il prima? » Di scatto scoppia a ridere, una risata colma di ironia e amarezza. E' arrivata al limite. Non riesce più a vivere in quella maniera. Non si può vivere in quel mondo per così tanto tempo sotto quella pressione. « A te non basta mai. Si può sapere cosa vuoi precisamente da me? Cosa ti ho fatto? » Perché mi odi così tanto? Perché non sei come tutti gli altri? Non ricorda una sola volta in cui possa aver sbagliato in alcun modo persino nei confronti della sua controparte umana. « Finiamola subito. Ma non pensare nemmeno per un istante che te lo lascerò fare senza provare a portarti con me, bastardo. » La sente la lupa sbattersi al suo interno, cercare in tutti i modi di emergere, mentre lascia cadere a terra il maglione, si dimentica delle ferite e si precipita verso di lui, spingendolo contro un albero vicino, mentre le dita fredde come il marmo si stringono attorno al suo collo. Non si cura della statura di lui decisamente più imponente, non si cura di quanto il suo controllo la stia abbandonando. Anzi, è meglio così. « Ho smesso di avere paura di te, diavolo. » E dicendo ciò, le dita si stringono ulteriormente contro il suo collo, mentre sente appena emergere gli artigli scarnificandole i polpastrelli. Il predatore che diventa per la prima volta preda. Le tue ultime parole?

    There's no surrender and there's no escape
    Are we the hunters? Or are we the prey?


     
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    Non ne può più del buio. Prima d'allora, non gli aveva mai fatto granchè effetto. La notte, la maggior parte delle volte, rappresentava divertimento. Era di notte che era solito intrufolarsi in chissà quale sala comune che di certo non gli apparteneva, nella camera di chissà quale prescelta. Era di notte, che rimaneva per ore seduto sul proprio letto con le gambe incrociate ed una bustina di cioccorane tra le mani assieme ai suoi amici, a progettare Dio solo sa quale guaio. Era la notte che era composta da sogni, speranze e buoni propositi. Raggomitolato in quel letto caldo ed ormai tanto familiare, la testolina rossa affondata attraverso il cuscino, Fred Weasley si lasciava andare a tutto ciò che il suo cervello aveva voglia di proiettare. Sognava la sua famiglia, i suoi amici. Sognava il quidditch, il suo futuro, le risate. Sognava tante di quelle cose, e lo faceva così spesso, che ormai era diventata un'abitudine. Non c'era oscurità per lui, non c'erano incubi. Almeno fino ad ora. Eccolo quì, Weasley, ad oggi. La schiena poggiata contro la spalliera di un letto che non gli appartiene, il mento sulle ginocchia. Lo sguardo è vacuo e di quella scintilla arancione che vi è sempre scoppiettata attraverso sembra non esservi nemmeno l'ombra. Fissa un punto indefinito di fronte a sè, quasi fosse cieco. Guarda, ma non vede. Non vuole vedere. Non gli piace ciò che vede e allora ha deciso di non farlo più. Fred Weasley ha sempre avuto l'abitudine di vivere ciò che la sua ancora giovane esistenza gli ha donato appieno. Con la mente e col cuore. Calarsi nelle situazioni con tutto sè stesso, per insinuarsi e sviscerarle fino all'ultimo. Per arrivare chissà forse un giorno al cospetto della signora Morte e dire ho vissuto, tutto, fino in fondo. Cosa ne sia rimasto di quel ragazzo che un tempo era stato non ne ha idea, e sinceramente, non vuole neanche pensarci. Gliene frega poco, dopotutto. Ormai gliene fotte poco di un gran bel paio di cose. L'empatia, che gran troia. L'ha sempre avuta, Weasley, in parte. Sempre pronto ad esercitarla su chiunque, talvolta persino sui nemici. Sempre lì a partecipare alle difficoltà degli altri, perennemente in piedi, perennemente ben saldo su quelle fondamenta a prima vista indistruttibili. Si è sempre interessato ad ogni cosa, anche quando le cose non gli riguardavano. Non lo faceva nemmeno apposta, semplicemente era fatto così. Un problema altrui, diventava automaticamente un suo problema. Lo abbracciava, lo faceva proprio e lo digeriva, fino a risolverlo. Che gran fregatura del cazzo. Ci ha pensato, in questi giorni. Quando sei chiuso in gabbia, o vuoi o non vuoi, una delle cose che ti vien più naturale di fare è pensare. E Weasley l'ha fatto, ha pensato. Ha rimuginato sulla sua vita sino ad ora, cosa che, qualche tempo fa, non avrebbe mai fatto. Non è mai stato un tipo riflessivo, diciamocelo. Impulsivo come pochi, solitamente incapace di ritornare sui suoi passi. Agiva, agiva e basta. La reincarnazione umana del concetto di Panta rei, tutto scorre. Ma adesso, questo fiume infinito di vita, sembra essersi fermato. Si è bloccato in quel ragazzino poggiato a quel dannato letto con le ginocchia strette al petto e lo sguardo vuoto. Si è fermato nel modo in cui ormai non vede più. Non vede più il mondo per come lo vedeva prima. Non vede più le stesse cose di prima. Quel male che per tanto tempo è stato ben capace di ignorare, è entrato a far pare della sua utopistica vita. L'ha visto, l'ha toccato con mano e provato sulla sua stessa pelle, e ora niente è più come prima. Non lo sono le persone che lo circondano. Non lo sono i luoghi. Non lo è quel buio e, cosa più importante di tutte, non è più nemmeno lui. Tutto è cambiato. Era forse questo l'intento di Kingsley?, si domanda talvolta. Prendere le vite di innocenti ragazzini, stritolarle tra le proprie dita e succhiarne via tutto ciò che vi è di bene, lasciando solo il brutto. Il peggio di ognuno di loro. Ridurli a bestie, sopravvissuti senza arte nè parte. Obbedienti alla sola legge della giungla: se tu muori, tanto meglio per me. Fa schifo, è deplorevole, ma è così che funziona. Ha smesso di credere che ci sia dell'altro, Fred. Ha smesso di sperare in un bene nascosto dietro tutto quel male. La verità è che quando ti accorgi dell'oscurità che ti circonda, è ormai troppo tardi. Non sai più di chi fidarti. Non sai più a chi affidarti. E allora ti chiudi in te stesso, per una questione di banale quanto naturale istinto. Ma te stesso, è probabilmente il nemico più grande che tu possa avere. Si è visto in quei giorni, Fred. Ha visto quel sè stesso col quale mai prima d'allora si era sentito particolarmente legato. Il lato oscuro, il rovescio della medaglia. Non sa bene come sia possibile, ma c'è e sa che c'è. Forse è semplicemente frutto della sua immaginazione. Forse è reale tanto quanto lo è lui. Ma allora la domanda sorge spontanea: chi è lui e chi sono io? Non lo sa. Un tempo l'avrebbe saputo, ma adesso è tutto troppo confuso. Ci sono volte in cui si sente più lui che sè stesso. Ci sono volte in cui non riesce più a definire un confine tra bene e male, tra luce ed oscurità. Tutte quelle volte, un dolore all'altezza dell'addome lo paralizza. E' un qualcosa di nuovo, mai provato prima. Non sa come, ma gli capita ormai sempre più spesso. Quando si identifica a lui più di quanto non sia sè stesso, quel dolore aumenta. E allora l'unica soluzione è anestetizzare. Non ricorda dove l'abbia trovata, ma ha fatto a pugni per averla. Ha pestato quel ragazzetto che portava con sè una delle rarissime scorte di anestetici lì al castello, e non riesce a ricordare in che condizioni l'abbia lasciato. Forse l'ha ucciso, forse no, ma a chi importa più ormai? L'unica cosa di cui gli importa, al momento, è accendere quello dannato spinello. Il fumo gli penetra nei polmoni, e per qualche istante, la testa reclinata sul materasso, Fred si perde per un po'. Zero voci, zero dolore, zero delusioni. Ritorna quello stesso ragazzo di un tempo, tutte le volte che la droga entra in circolo. E questo è fottutamente ridicolo. Perchè nonostante tutto, nonostante di calci in faccia per quel passato ne abbia presi fin troppi, vi è ancora attaccato. Quel piccolo scorcio da sognatore nel suo animo non è ancor svanito. Sospira, e allora stringe la sigaretta tra le mani fino a disintegrarla. Non fa poi tanto caso alla fitta lancinante dovuta al contatto del fuoco con la sua carne viva, e si alza da quella postazione di stasi. Lascia precipitare ciò che ne resta di quel prezioso spinello e lo calpesta con la suola della scarpa, prima di uscire dalla stanza. E' buio, ancora più buio di prima, e fa freddo. I suoi abiti non sono per niente adatti a quel clima sempre peggiore, ma poco gli importa. Probabilmente si è beccato pure la febbre, ma in quel malessere generale, neanche riuscirebbe a riconoscerla. Quindi sguscia via dalla Sala Comune, in quel mondo che sembra ormai appartenergli. Non sa scandire il tempo, ma sembrano esser stati liberati da uno o due giorni. Gran bella fregatura del cazzo. Si mormora che non vi siano più trappole, in giro, perchè tutto è diventato un'enorme trappola. La peggiore: l'inferno. Persino le sale comuni, non sono più un posto sicuro. Sono attanagliati da voci su voci, e quando le voci cessano, arrivano i demoni. Dormire è impossibile, respirare è difficile, vivere è una merda. Si domanda perchè stia camminando e dove stia andando, ma non si dà una risposta. Le gambe lo guidano in quell'oscurità, che più lo ingloba, più lo fa star male. Ma continua a camminare nonostante tutto, forse in cerca di qualcosa, forse no. Un urlo squarcia l'atmosfera. Attira la sua attenzione per qualche istante, fin quando non svanisce. Si guarda attorno, Fred, ma non fa niente per raggiungerne la provenienza. Non sei un eroe. Respira profondamente, e continua per la sua strada. Ma è a quel punto, che qualcosa arresta i suoi passi. Una sagoma, a qualche metro di distanza da lui. Su quattro zampe, ringhia, gli occhi due fari iniettati di sangue. Li ha già visti. Indietreggia appena, guardandosi attorno. Non ha nessun'arma a portata di mano, se non la bacchetta. Ma non la estrae, continua ad indietreggiare fino a quando non si trova con le spalle al muro. Chissà, magari è così che deve finire. Divorato da uno di quei segugi infernali. E' allora, che avviene tutto troppo in fretta. La creatura gli balza contro, ma Fred si abbassa per evitarla, scivolando di lato. Estrae la bacchetta e lancia un bombarda contro la parete più vicina, e senza curarsi dei danni apportati al demone, comincia a correre. Non sa perchè, ma è l'istinto a guidarlo. Percorre i corridoi a velocità, non curandosi di tutto ciò che gli sfreccia accanto. Giunge fino alla porta d'ingresso del castello, ma procede ancora. Lo fa fino a quando il fiato non lo abbandona, lasciando che i suoi polmoni implodano. A quel punto si piega su sè stesso per respirare, le mani poggiate sulle gambe. E' impossibile, si dice, ma qualcosa sembra averlo guidato proprio lì dove si trova al momento. Non le solite voci alle quali ormai sembra essersi abituato. Non quei bisbigli raccapriccianti e malsani. Qualcosa di ben più profondo. Un istinto, un legame, un presentimento. Alza il capo e la vede. E' girata di spalle, e non la riconosce, ma ciò nonostante le si avvicina comunque, lentamente. Il lumos della sua bacchetta lo illumina in volto, costringendolo a battere numerose volte le palpebre per abituarsi a quell'improvvisa fonte di luce. Non appena il suo sguardo d'ambra si adagia sul volto di lei, la riconosce. Ophelia Watson, sorella di Percival Watson, una sua ex compagna di scuola e, ai tempi, una delle vittime preferite dei suoi scherzi da quattro soldi. Non sa perchè si trovi lì, ma è spaventata e ricoperta di sangue. Le è successo qualcosa. Ed ecco che quella scintilla si riaccende. Ecco che quel fuoco sovrasta il ghiaccio che, dopo quella notte sulle torri con Amunet, l'ha compromesso interamente. L'indifferenza lascia spazio all'interesse. Fa per schiudere le labbra, che ti è successo? Stai bene? Ma lei lo interrompe subito.



    I'm paralyzed
    Where are my feelings?
    I no longer feel things
    I know I should
    I'm paralyzed
    Where is the real me?
    I’m lost and it kills me inside
    I'm paralyzed

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    « Tu. » La sua voce è simile ad un ringhio sommesso. « Cosa altro vuoi? Ti presenti solo.. poco saggio da parte tua. Questa volta che intenzioni hai eh? Non ti è bastato il prima? » Inarca un sopracciglio, l'espressione confusa. Gli sbraita contro, Ophelia. Ride nervosamente, urla, è tremendamente spaventata. E lui non ha la più pallida idea di cosa stia parlando. « Ma che... » Mormora, osservandola. E' sporca di terriccio e sangue. Ha una brutta ferita al braccio ed una serie di graffi lungo il corpo. Brutta giornata Watson, eh? Ma io che c'entro? « A te non basta mai. Si può sapere cosa vuoi precisamente da me? Cosa ti ho fatto? » Scuote la testa, boccheggiando. E' preso alla sprovvista. Weasley senza parole, un evento più unico che raro! « Finiamola subito. Ma non pensare nemmeno per un istante che te lo lascerò fare senza provare a portarti con me, bastardo. » E' a quel punto che si sente spingere verso dietro. Le dita fredde di lei si stringono contro il suo collo, e l'impatto violento della propria schiena contro il tronco dell'albero lo costringe a gemere per il dolore. Fantastico, domani si torna in carrozzina. Alza le mani d'istinto, arpionando le dita contro quelle di lei, per tentare di liberarsi della sua morsa. « Che problemi hai? Non ti ho fatto... » -Niente. La presa di lei, decisamente fin troppo forte per una ragazza di quella taglia, si fa più opprimente. Sente mancare il respiro, il rosso, e allora annaspa. « Ho smesso di avere paura di te, diavolo. » E' a quel punto che lo vede. Non esattamente, ma sa che è lì, nascosto nel buio probabilmente. Quel diavolo di cui Ophelia parla sta ridendo di loro. Forse è tutto nella sua testa, forse no, ma lo sa. E' questo ciò che vuoi? Per qualche tragico istante, sotto la morsa della ragazza che si fa sempre più forte e gli ruba sempre più ossigeno, è tentato di darglielo sul serio, ciò che desidera. Sostituiscimi una volta e per tutte, diavolo. Socchiude gli occhi, allentando la presa sulle sue mani. Fallo Ophelia, uccidimi. Ma poi l'istinto ha la meglio, ed in un riflesso incondizionato Fred pressa le mani contro il petto di lei, spingendola via con tutta la forza che ha in corpo. « Lasciami! » Ruggisce con quel filo di fiato rimasto in corpo. Si accascia a terra, una mano sul collo, mentre riprende tutto l'ossigeno necessario. Il mondo riacquista i suoi contorni, i polmoni si riempiono nuovamente, il cervello torna a reagire. « Che cazzo di problemi hai? » Mugugna, il respiro affannato. Lo sguardo d'ambra si posa su di lei, ed è allora che sbuffa. « Scusa, ti ho fatto male? Buffo..Tu mi strangoli ed io ti chiedo se ti ho fatto male! » Una risata nervosa gli scuote il petto, mentre scuote la testa. Si passa una mano fra i capelli, scostando alcuni ciuffi rossi ricaduti sul viso. A quel punto alza le mani, in segno di resa. « Vengo in pace. Non voglio farti nulla, okay? Calmati. » La osserva, l'attenzione che viene attirata dalle sue dita. Artigli. « Sei una di loro? » I lupi. Non sa bene come funzioni, tra loro. Non l'ha mai vista in giro, assieme al branco. « Stai bene? Se me lo permetti, posso provare a guarirti. » Accenna col capo alla bacchetta poco distante da lui, sul prato, ma non fa nessuna mossa azzardata per prenderla. « Chi ti ha ridotta così? E' stato..lui? » Un brivido gli percorre la schiena non appena lo nomina. Li sta ascoltando, ne è sicuro. « Ascoltami, io non sono lui. Non sono il diavolo. » La sua voce trema appena: esitazione. Ne sei sicuro? Un bisbiglio tra i suoi pensieri. E se lo fosse sul serio? Se fosse cambiato tutto, quei giorni passati nella foresta? Se avesse preso davvero il suo posto ed è già troppo tardi? Si sente impazzire, e allora respira profondamente. Ophelia è spaventata, non c'è tempo per i suoi dubbi esistenziali, al momento. « Fidati di me, Ophelia. » Tu Fred, tu ti fidi di te? « E' tutto okay..Fidati di me e dimmi che è successo. Lascia che ti aiuti. »
     
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    L'odore di quella perenne notte è qualcosa che Ophelia Watson conosce sin troppo bene. Quel luogo di perdizione e morte, tinto di un perpetuo grigio, è l'unica cosa che le risulti paradossalmente naturale ormai. Quasi non si ricorda cosa ci sia oltre quel velo di Maya in cui è costretta a vivere. La cognizione del tempo l'ha persa è la sua unica fortuna è che, cresciuta in Finlandia, è abituata a una scansione del tempo sbilenca. Sei mesi di sole, sei mesi di notte, all'incirca, notti lunghe e giornate interminabili. E' facile impazzire così. Lo sa cosa significa, quante male faccia all'umore, quante persone muoio suicide dalle sue parti perché non riescono a reggere il peso della depressione. Lo sa perché lei per prima è certa di averne subito l'influenza in minima parte. I solchi che corrono lungo i suoi avambracci ne sono la prova. Ci ho già provato a morire, nemmeno a quello sono brava. Se la sua mente non fosse già frastornata, quegli effetti li sentirebbe ora per la prima volta, e probabilmente morire sarebbe davvero facile. Ma non è così, e quindi pare non cambi nulla. Nella vita di Ophelia non cambia mai nulla. Tu è statico. E' sempre allo stesso punto; sempre tutto uguale, sempre tutto una perenne delusione, una fregatura dopo l'altra, una sfiga dietro a un'altra, una bugia dietro all'altra. Pare che il destino abbia deciso di martoriarla di proposito. Si diverte quel maledetto a mandarle segnali contraddittori solo per indurla in errore. Ormai ha abbandonato l'idea di capirci qualcosa. Reagisce solo, quando può, quando non ce la fa più, quando non può fare altro se non divincolarsi; perché a volte persino per il masochismo intrinseco della Watson certe situazioni sono semplicemente troppo. Ora è troppo. Quella caccia perenne, quel perenne restare in tensione, sbattuta di qua e di là come una foglia al vento; ne ha abbastanza, non riesce a sopportare oltre. Voglio solo andare a casa. Rivoglio mio fratello. Le mancano persino i suoi genitori; la loro famiglia adottiva, che pur avendoli trattati come principini, non hanno mai dato loro il vero affetto che due bambini come Ophelia e Percy si sarebbero meritati in seguito a quanto hanno dovuto subire da piccoli. Eppure, nonostante ciò, le mancano persino loro. Le manca addirittura sentirsi mettere sotto interrogatorio dal padre, per verificare le sue capacità mentali nell'ottica di decretare che ancora qualche rotella al proprio posto ce l'ha. Le manca il sole, il gelato, il fumo, quello buono che ti spara una botta di allegria o di depressione - a seconda dell'occasione - nel corpo. Che vita di merda. Destino infame. E quindi ecco che ne ha abbastanza, e sente il bisogno di divincolarsi. E lo fa nel modo peggiore, attaccando, lasciando che l'istinto della belva dal pelo rossiccio prenda il sopravvento. Stringe la morsa contro il collo del ragazzo e lo guarda con quel dissidio tra il terrore di uccidere un essere umano e la necessità di difendersi. « Che problemi hai? Non ti ho fatto... » E' piacevole quella sensazione. L'impressione di avere il controllo, di essere lei a decidere quando e come smettere. Le sembra di essere paradossalmente per la prima volta sotto controllo, nonostante il controllo lo abbia perso. La paura fluisce via dal suo corpo di fronte alla consapevolezza che l'essere la cui vita sta appassendo sotto il suo tocco, non si sta difendendo. Perché non lo sta facendo? Perché non ha ancora chiamato alla raccolta tutti i suoi spaventosi giocatoli che l'hanno per mesi tormentata? Il lume della ragione, in quegli occhi chiari c'è, ma è labile e ben poco calibrata; lotta con l'istinto di una belva selvatica che vuole conquistarsi la propria supremazia. I lupi sono animali fieri, geneticamente progettati per non essere domati a meno che non vogliano esserlo. La loro fiducia è fondamentale, tanto quanto la loro lealtà. Stringe i denti Ophelia e corruga la fronte mentre aumenta la forza in quella presa, convinta di essere quello l'unico modo in cui potrebbe salvarsi dalla furia del suo aguzzino. Eppure, dentro di sé, da qualche parte, c'è una fitta che sembra pulsarle dentro tutto il corpo. Come una specie di campanello d'allarme. E' sbagliato. Ancora una volta quell'istinto è inutile, perché le manda messaggi contrari. Tutto il contrario di tutto. Un contrasto all'interno del quale non sa distinguere cosa sia effettivamente giusto e cosa è sbagliato. « Lasciami! » Un'improvvisa fitta al cuore la obbliga ad allentare la presa sul collo del ragazzo, perdendo l'equilibrio dopo pochi passi a forza di indietreggiare, cadendo a terra. Bum, un tonfo secco. Seppur sia decisamente più forte della sua stazza, Ophelia resta pur sempre mingherlina, pesante quanto una piuma, e così, la botta del ragazzo in pieno petto sortisce l'effetto sperato, portandola a scrollare appena la testa. « Che cazzo di problemi hai? » Perché non stai attaccando. Perché non stai facendo niente? Non capisce Ophelia, e quindi resta immobile lì per terra, all'erta e con gli occhi iniettati di odio, cercando di togliersi di dosso il terriccio dai jeans, sospirando profondamente. E solo allora la vede, nel buio. La bacchetta la cui luce azzurrognola brilla appena, per la sua gioia. Ha una bacchetta, i suoi movimenti sono scanditi da rumori ben precisi. I rumori che qualunque persona farebbe. « Scusa, ti ho fatto male? Buffo..Tu mi strangoli ed io ti chiedo se ti ho fatto male! » Resta a bocca aperta mentre cerca di calcolare mentalmente quella situazione. Ha sentito grazie alle voci che altri si sono persi nella foresta in questi tempi; molti non sono ritornati, altri fortunatamente hanno trovato la via di casa, risvegliando in lei non poca invidia. Perché tutti riescono a tornare a casa tranne me? Perché non mi lasciate cercare una via a mia volta? Domande che ha posto alle voci più di una volta e alle quali non aveva ottenuto mai una risposta. Non ricorda nemmeno l'ultima volta che ha parlato con un effettiva persona. Non ricorda quando è stata l'ultima volta che ha sentito una voce umana. Anche quelle di tutti i loro doppi sembravano umane, ma nelle sue orecchie sembravano graffiare, avere un'aura negativa, qualcosa che incomprensibilmente trovata odioso e disturbante. « Non volevo.. » Asserisce di scatto sgranando appena gli occhi, osservandone i movimenti nel buio. « Vengo in pace. Non voglio farti nulla, okay? Calmati. » Scuote la testa tentando di convincersi di quelle parole, e stranamente ci crede. La fiducia l'ha esaurita tutta a forza di restare in quel luogo abominevole, ma le sonorità tipicamente calde di quella voce terrena la obbliga a deglutire. « Sei una di loro? Stai bene? Se me lo permetti, posso provare a guarirti. » Ha persino dimenticato come sia rapportarsi con qualcuno. Ha dimenticato come si intrattiene una tipica conversazione. Se ne sta lì seduta, mentre il ragazzo le indica la bacchetta cautamente, prima di osservare il proprio braccio sanguinante. I graffi dei cani. E alla fine a sguardo basso, quasi in pena per quello che ha fatto, annuisce, facendogli cenno di fare come vuole.
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    « Ehm.. una di loro chi? » Chiede di scatto mentre gli artigli si ritirano man mano che si calma e il battito cardiaco torna al suo ritmo naturale. Resta per un po' in silenzio, in ascolto, cercando di individuare eventuali strani movimenti tra gli alberi che li circondano. Paranoica come sempre, intenta sempre a restare all'erta. Un istinto involontario che ha imparato a fare proprio sin da quando si trova in quella selva oscura. Lo squadra dalla testa ai piedi; qualcosa le dice di non protestare, e quindi, pur non invitandolo a fare alcunché si stringe nelle spalle di fronte alla sua proposta, guardando tuttavia con un moto di leggera preoccupazione i graffi sul braccio. « Mi sfotterai anche questa volta con i tuoi amici? Magari quando lo fai aggiungici nel racconto quella marcia in più su quanto sia diventata una dura.. » C'è una punta di astio nel suo tono, che tuttavia si scioglie subito di fronte alla palese stanchezza che si sente nelle ossa. « Chi ti ha ridotta così? E' stato..lui? Ascoltami, io non sono lui. Non sono il diavolo. » Un lungo sospiro interrompe il flusso dei suoi pensieri, prima che un brivido scorra lungo la sua schiena. « Fidati di me, Ophelia. E' tutto okay..Fidati di me e dimmi che è successo. Lascia che ti aiuti. » Corruga la fronte; una parte di sé sembra capire cosa lui stia cercando di dirle. L'altra tuttavia ricorda che quello è pur sempre lo stupido spaccone che l'ha presa in giro assieme a tanti altri durante la sua permanenza a Hogwarts. Davvero Ophelia? Sei in mezzo alla lunga notte da chissà quanto e hai intenzione di legartela al dito per esserti presta qualche insulto? Abbassa lo sguardo pensierosa, presa da un moto di melanconia. Preferisce di gran lunga quei tempi a questo. A questa paura che si sente nelle vene ogni qual volta la bestia che la domina tenta di venire fuori. La paura di morire. La paura delle voci. La paura di questa lucidità che sembr mandarla paradossalmente fuori di testa. « Conosco tanti lui e lei. Preferisco chiamarli altri. L'altro Fred, l'altro Percy, l'altra Pervinca, l'altro Greg.. Tutti ne abbiamo uno.. immagino. » Ma la sua altra lei non l'ha mai incontrata. Non sa come sia fatta. « E so che non sei uno di loro. Non usano le bacchette e non fanno rumore. Mai. Sono silenziosi come.. la morte. » Sospira lungamente, scossa ancora una vola da un irruente terrore che si mischia all'essere ormai esausta e completamente allo sbando. « In ogni caso.. si. E' stata la tua versione più simpatica.. » Il sarcasmo è intinto di apatia, di un moto atono privo di qualunque forma di sentimento o inflessione. Si smette presto a provare qualunque cosa, quando l'unica compagnia che si ha attorno sono esseri privi di vita, tatto e senso di umanità. « Sono qui dall'inizio. » Si interrompe appena, tirando su col naso. « A quanto pare gli sto simpatica. Mi dà la caccia. » E il fatto che lui abbia la tua faccia o tu la sua, non mi sta aiutando. Deglutisce di nuovo pesantemente mentre lo guarda con un'espressione di puro tormento, scossa da un profondo dissidio insopportabile che la sta dilaniando. « Ti sei perso anche tu? Come sei arrivato qui? » Gli chiede di scatto volendo spostare il discorso da se stessa. « Ti consiglio di cercare una via d'uscita il prima possibile. Questo non è un posto in cui.. restare. » E lei lo sa bene. Tuttavia, non sa perché dal canto suo una via d'uscita non l'ha mai cercata. Forse perché pensa sia troppo tardi. Forse perché è certa che lì fuori non c'è nulla che l'aspetti. E' paura di non essere abbastanza, di non essere accettata. E' paura di non capire cosa le sta succedendo. Cosa dirà suo fratello quando vedrà il mostro che è diventata? Cosa diranno i suoi genitori quando la vedranno nuovamente in quello stato di perenne apatia e assenza di voglia di vivere? « Questa non è.. casa. » Asserisce di scatto con fare pensieroso. Non è il posto da cui provengono loro. Non saprebbe dargli un nome, non saprebbe descriverlo, ma è chiaro che siano altrove. « Non volevo farti del male.. è solo che.. » S'interrompe, chiudendo gli occhi mentre quel tormento e gli incubi che quel mostro le hanno provocato tornano tutti insieme alla mente. « ..siete identici. »

     
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    « Ehm.. una di loro chi? » Assottiglia appena lo sguardo, il rosso, scrutandola attentamente. Nota confusione negli occhi di lei, e si domanda come sia possibile. Non ha mai capito esattamente come funzioni tra loro, i lupi. In quei giorni passati al castello ha potuto imparare forse qualcosa, ma non poi così tanto. Sa principalmente che si comportano come un branco e che, generalmente, dove si trova uno, prima o poi appariranno tutti gli altri. Ma Ophelia sembra non essere del suo stesso avviso e, a quanto pare, con la restante combriccola della Morgenstern, deve aver avuto ben pochi contatti, se non forse nulli. Si domanda allora perchè sia l'unica ad esser sola, tra tutti. « Loro, i lupi. Non ne sai niente? » Domanda allora, confuso, mentre aspetta il suo permesso per potersi avvicinare. Una volta giunto si allunga per afferrare la bacchetta, ed accostarsi a lei. Si concede qualche minuto per osservarla, mentre riprende fiato. Non ha una gran bella cera, Ophelia. Sembra esser uscita da un film d'azione, quelli dove passi il tempo a rotolarti in mezzo alla terra ed al fango di chissà quale foresta. La foresta proibita, probabilmente. E' lì, più vicina di quanto non sembri. Vi lancia quel suo sguardo d'ambra per qualche istante, ed un brivido gli percorre la schiena, al ricordo di tutto ciò che vi ha passato, lì dentro, assieme a Maze. Sospira allora, mentre le dita si poggiano delicatamente sul braccio di lei. « Dovresti avere tipo i super poteri e rimarginarti in fretta, ma nel dubbio medichiamoti ugualmente che dici? » Un sorriso accompagna quel suo tono scherzoso, mentre le casta alcuni incantesimi di magia bianca sul braccio. E' sempre stato una schiappa, al riguardo, ma negli ultimi tempi è riuscito ad imparare qualcosa. Si accerta che le bende non siano troppo strette, alla fine, passandovi due dita sotto, poi la lascia andare, asciugandosi le mani sporche di sangue sui jeans, come fosse la cosa più naturale al mondo. Non l'ha mai impressionato più di tanto, il sangue, ma in tempi come quelli, vi si è pure abituato. « Mi sfotterai anche questa volta con i tuoi amici? Magari quando lo fai aggiungici nel racconto quella marcia in più su quanto sia diventata una dura.. » Piega appena la testa di lato, assottigliando di poco lo sguardo. Severo ma giusto. Per anni, Ophelia Watson si è rivelata una delle sue vittime preferite. Niente di troppo invasivo.. o quasi, per quanto possa non esser invasivo uno come Freddie Weasley, insomma. Ma quegli anni sembrano così remoti che quasi non vi si riconosce più. Non sa nemmeno perchè, forse è passato troppo tempo, forse la prigionia l'ha mutato sin dal profondo, ma di quel bulletto di quartiere, talvolta tanto superficiale dal non accorgersi degli effetti dei suoi dannatissimi scherzi sulla gente, ne è rimasto ben poco in lui. Certo, c'è ancora, da qualche parte, perchè certe cose son dure a morire. Solo..E' cresciuto. Forse è addirittura maturato. Chi l'avrebbe mai detto? Quindi scuote la testa, mentre una risata debole trapela dalle sue labbra sottili. « No, non ti sfotterò... » Mormora, il tono di voce quasi addirittura rassicurante « ...Ma solo perchè la maggior parte dei miei amici sono morti. Non per altro, Watson! » Maturato chi? Humor nero, caro vecchio amico. Si stringe nelle spalle con quella sua solita faccia da schiaffi, omettendo il fatto che no, non la sfotterà perchè non ha più motivo per farlo. Perchè è cambiata, Ophelia. Forse è un'impressione la sua, forse è un presentimento, ma è cambiata sul serio. Forza sovrumana e artigli a parte, c'è qualcosa in lei che...Non lo sa. Ma sa che c'è. O forse ha battuto la testa contro quell'albero, quando l'ha spinto. Cosa assai più probabile, sì. « Conosco tanti lui e lei. Preferisco chiamarli altri. L'altro Fred, l'altro Percy, l'altra Pervinca, l'altro Greg.. Tutti ne abbiamo uno.. immagino. » La ascolta in silenzio a quel punto, lo sguardo che automaticamente vaga verso la foresta. E' automatico, lì è dove tutto è iniziato. Un tutto che ormai sembra essersi esteso un po' ovunque, ma che lì ha trovato il proprio punto d'origine. La breccia in quel mondo fatto di estrema normalità nel quale Weasley ha sempre vissuto sino ad ora. Un mondo privo di mostri, demoni o voci. Fino ad allora non ci aveva mai creduto più di tanto. Roba da horror, roba da fantasy, roba da trono di spade..Eppure alla fine, quella roba, l'aveva assalito. L'aveva assalito da tempo, a dire la verità, solo che non se n'era mai accorto. E allora, tutto ciò che era stato costretto dalle circostanze a fare, era stato abituarsi. Certo lo trovava assurdo, tutto quanto. Trovava assurde le voci, trovava assurdi i doppi, trovava assurdi i demoni, ma ciò non toglieva loro il diritto di esistere. Quindi sospira alle parole di lei, annuendo. Non li ha mai visti, gli altri doppi. Ha visto il suo, in quel tempo passato con Maze nella foresta, ed anche ultimamente. Ha visto il suo, ed è bastato da solo a confonderlo. « E so che non sei uno di loro. Non usano le bacchette e non fanno rumore. Mai. Sono silenziosi come.. la morte. » « Wow, sei informata sull'argomento. Per quanto ci hai avuto a che fare? » Le domanda, spontaneamente. Forse si è persa, si dice. Forse è rimasta intrappolata nella foresta per diverso tempo, fino ad ora. Non sa come sia possibile, in effetti, ma è una delle spiegazioni più logiche a tutto quello. « In ogni caso.. si. E' stata la tua versione più simpatica..Sono qui dall'inizio. A quanto pare gli sto simpatica. Mi dà la caccia. » Qualcosa illumina il suo sguardo a quel punto: confusione. Dall'inizio. Si domanda se sia possibile esser rimasta lì sin dal principio. Sin dalla notte di Halloween. Spiegherebbe forse una marea di cose, in effetti. Spiegherebbe quell'agitazione di fondo che continua a leggere negli occhi cristallini di lei. Spiegherebbe il suo non saper nulla sul branco, e le condizioni in cui si trova adesso. E allora la confusione si trasforma in preoccupazione. La sua solita, quella che lo assale ogni volta che qualcuno nei paraggi è in difficoltà. Ah Weasley, tu non impari proprio mai. Ed ecco che i problemi della Watson, diventano automaticamente i suoi problemi. « Dall'inizio? Da Halloween, intendi? E'..è impossibile. » Mormora « Ti avrebbero trovata, se ne sarebbero accorti... » Il branco. I tuoi fratelli. Beatrice, Rudy, Pervinca, Percy...Perchè non se ne sono accorti? « Come hai fatto a..perderti? » Non capisce, Fred. Quello è un argomento che non gli compete e più tempo passa, più sembra non competergli. « Ti sei perso anche tu? Come sei arrivato qui? Ti consiglio di cercare una via d'uscita il prima possibile. Questo non è un posto in cui.. restare. » Ed è allora che capisce. E' allora che comprende che se c'è qualcuno lì che ne sa meno di lui, quella è proprio Ophelia. Gli ci vuole qualche istante per collegare tutto, ma alla fine ci riesce. Forse tutto ciò che dice è vero. Forse lì dentro c'è rimasta sin dall'inizio. Forse, dopo l'estensione di quell'inferno ben oltre i confini della foresta, lui è davvero la prima persona reale che ha incontrato. Cazzo, Watson, sei messa peggio di me. « Questa non è.. casa. »
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    E ha ragione. Quel posto, Hogwarts, non è più casa. Lo è stato per tanto tempo. Per anni li ha accolti tutti tra le proprie mura. Li ha fatti sentire protetti, li ha preservati dal mondo esterno. Ma ora? Ora è marcio. E loro stanno marcendo assieme a tutto il resto. « Ahm..Sono successe un po' di cose. Il posto in cui sei rimasta intrappolata per mesi, si è...esteso. A quanto pare ha inghiottito ogni cosa, persino il castello. E', beh...Ovunque. E sembra non esserci una via d'uscita. » La guarda, una leggera nota di rammarico nel suo sguardo d'ambra. « E' tutto uguale, solo che adesso ci siamo tutti assieme, quì dentro. » Si stringe nelle spalle, facendo per rialzarsi. « Non volevo farti del male.. è solo che..siete identici. » Annuisce, sospirando. Lo sa, sa quanto quel mostro gli somigli. L'ha visto, l'ha visto fin troppe volte. Ha giurato persino di sentirlo, a volte. Una voce metallica, graffiante, inumana dentro la sua testa. A sussurrargli cose terribili, prospettive impensabili. Ogni volta che lo vede, è sempre la stessa storia. Si paralizza, Weasley, incapace di muovere un muscolo. Quegli occhi di fuoco, tanto simili ai suoi eppure così diversi, gli scavano dentro. Lo lasciano a nudo di fronte a tutta la malvagità che un essere come quello possa contenere, e lo annientano. Inizia a dubitare, di qualsiasi cosa. Inizia a domandarsi chi sia il mostro e chi l'umano. Inizia a tremare, con il desiderio di urlare, ma l'incapacità di farlo. « Cosa ti ha fatto in tutto questo tempo? » Domanda allora, seppur sappia quanto la risposta potrebbe far male. Si sente in un qualche modo..responsabile. Sa di non c'entrare nulla con quella creatura, eppure..E' strano. In una qualche maniera, vi si sente comunque collegato. Le porge una mano, per aiutarla a rialzarsi. « Ce la fai a camminare? Appoggiati a me. » Si sforza per mantenere un tono di voce rassicurante, mentre sorride, seppur debolmente. « Dobbiamo rientrare al castello. I demoni sono ovunque, ma lì ci sono tutti gli altri. Beatrice, tuo fratello...Devi vederli. Hanno tante cose da spiegarti.. credo. » Si guarda attorno « Io..Non lo so perchè ti dà la caccia. Ma dobbiamo entrare il prima possibile. Perchè sono ovunque, gli altri. » Li sento. « E noi siamo soli. » Ed io ho un gran brutto presentimento. Continua a guardarsi attorno, e per qualche istante gli sembra di vedere qualcosa, tra le fronde. Una sagoma, un'ombra silenziosa. Qualcuno li osserva. Un brivido gli percorre la schiena, mentre prende un lungo respiro, tentando di non entrare nel panico. Si volta verso di lei « Ma siamo soli assieme. Direi che fa meno schifo, mh? » Cerca di tradire quell'insicurezza nel suo tono di voce con una risata ironica. « Ora rientriamo. E qualsiasi cosa succeda, tu non guardarti alle spalle, okay? » Se non li guardi, puoi far finta che non esistano. Io l'ho fatto fino ad ora. « E' quì, da qualche parte. L'altro. »
     
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    « Loro, i lupi. Non ne sai niente? » E' confusa e nei suoi occhi caleidoscopici si annida il dubbio che le stia raccontando una favoletta della buonanotte. Non mi stupirei se anche tu fossi un'altra allucinazione, si ritrova a pensare mentre gli concede di avvicinarsi, pur guardandolo con estrema diffidenza. Scuote la testa, non sapendo precisamente cosa dire. Avrebbe tante domande, ma a dirla tutta, nella sua testa si annidano come un flusso di coscienza perpetuo e senza senso, che tende consapevolmente a rifiutare. Non c'è una domanda che prevalga sull'altra, non una che trovi realmente senso. E così lo lascia fare, osservandone l'espressione corrugata con una certa curiosità intrinseca. « Dovresti avere tipo i super poteri e rimarginarti in fretta, ma nel dubbio medichiamoti ugualmente che dici? » Si certo.. i super poteri. « Ci manca solo che mi rifili quelle cose alla da grandi poteri derivano grandi responsabilità. » Commenta in tono sarcastico, mentre una smorfia infastidita attraversa il suo volto. E' semplicemente troppo per lei. Tutta quella situazione, l'idea che possa trasformarsi in quella.. cosa. Ha tentato per tanto tempo di rinnegarne l'esistenza, di dare la colpa alla mancanza di psicofarmaci. Ma la verità è che la presenza della bestia la sente. E' lì con lei in ogni istante della propria esistenza, attende nell'ombra il momento esatto in cui perderà il controllo per prenderne il sopravvento. « Grazie tante, zio Ben. » Commenta mentre osserva le fasciature fresche, così come il naturale rimarginarsi delle ferite sotto gli incantesimi da lui castati. Nonostante la voce sia ancora una volta colma di sarcasmo, gli occhi sono colmi di un sincero ringraziamento. « No, non ti sfotterò.. Ma solo perchè la maggior parte dei miei amici sono morti. Non per altro, Watson! » Humor noir, qualcosa che a dirla tutta le mette ancora più tristezza e la obbliga a sgranare gli occhi nel tentativo di guardarlo. Deglutisce appena, e in quelle sfumature accese dei suoi occhi, vi è tutto il dispiacere di vederlo in quel modo. Molto nel profondo, si sente come in dovere di non dover assistere a quella specie di tristezza, al vederlo ammaccato. E non sa nemmeno perché, ma quelle affermazioni la infastidiscono, sembrano entrarle sotto la pelle e obbligarla a sospirare pesantemente quasi come se fosse rimasta in apnea per un tempo infinitamente lungo. « Mi dispiace.. » Sussurra appena, anche se a dirla tutta, lo sa che quello non basterà mai per raddrizzare i torti a cui tutti sono assistiti. Sa che dispiacersi non aiuterà nessuno e di certo non riporterà in vita chiunque sia finito in un fosso negli ultimi tempi. Trova tutta quella situazione così malata, così fuori controllo. Solo un paio di mesi fa, Ophelia Watson era una tipa tutto sommato sopra le righe, a tratti allegra, a tratti colta da quei suoi momenti di depressione cronica, con sprazzi di normalità nel mezzo. E ora invece era fiacca, debole, stanca e stava portando avanti una conversazione con Fred Weasley, una delle ultime persone con cui avrebbe pensato di poter mai riuscire a scambiarsi anche mezza parole. Solo un paio di mesi fa, Ophelia non era un mostro, non aveva pausa che a ogni sbalzo d'umore poteva trasformarsi in una bestia assetata di sangue. « Wow, sei informata sull'argomento. Per quanto ci hai avuto a che fare? Dall'inizio? Da Halloween, intendi? E'..è impossibile. Ti avrebbero trovata, se ne sarebbero accorti.. Come hai fatto a..perderti? » Scuote la testa, ben consapevole del fatto che nulla di ciò che ha fatto era andato a suo favore.
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    « E invece no. Come fai a cercare una persona, se non sai nemmeno che sia lì? » Per questo motivo, Ophelia non biasima nessuno. Non li incolpa per non averla cercata, semplicemente perché lei lì dentro non ci doveva stare. « Io stavo uscendo.. poi ho incontrato un vecchio compagno. Ci siamo appartati nella foresta.. » A quel punto si stringe nelle spalle. Il proseguimento è irrilevante, oltre che altamente compromettente. Aveva una gran voglia di divertirsi, soprattutto dopo gli esordi di quella serata che era andata male. A Hogwarts non aveva ritrovato ciò che si aspettava. Non aveva fatto il suo grande rientro, nessuno si era curato di lei se non i soliti conoscenti e suo fratello. Al massimo si era sentita fare qualche battuta alle spalle e niente di più. « ..lui è morto pochi giorni dopo. Sono stati i cani del nostro comune amico.. » Abbassa lo sguardo. Tommy è morto in maniera davvero disdicevole. Divorato sotto i suoi occhi, dopo aver tentato di spingere lei tra le fauci delle bestie. Una psicopatica in meno al mondo non farà differenza, le aveva detto, poco prima che le belve lo afferrassero e ne lasciassero di lui solo brandelli. In un certo qual modo, paradossalmente, quel posto l'ha protetta, l'ha migliorata, l'ha resa una persona meno dipendente, meno bisognosa di questa e quell'altra cosa. L'ha obbligata a rinunciare agli psicofarmaci e a imparare a prendersi cura di lei. Quel posto l'aveva obbligata a risvegliare il suo spirito di sopravvivenza da tempo ormai assopito. Le ha insegnato che no, lei non vuole davvero morire, perché non ha ancora iniziato a vivere. « E da lì è stato un continuo vagare. Ogni qual volta trovassi un'uscita, questa sembrava chiudersi poco prima che io potessi raggiungerla. » Ed è la cosa peggiore. Pensare di vedere la luce alla fine del tunnel e poi accorgersene che quest'ultima non era mai stata lì. Gli altri hanno giocato con la sua testa, le hanno raccontato cose orribili, l'hanno convinta che tutto sia il contrario di tutto, tant'è che ora, non solo non si fidava di nessuno, ma non sapeva più cosa fosse reale e cosa non lo fosse. « Ahm..Sono successe un po' di cose. Il posto in cui sei rimasta intrappolata per mesi, si è...esteso. A quanto pare ha inghiottito ogni cosa, persino il castello. E', beh...Ovunque. E sembra non esserci una via d'uscita. E' tutto uguale, solo che adesso ci siamo tutti assieme, quì dentro. » Istintivamente ripensa al momento in cui ha visto sfrecciare nel cupo cielo grigiastro centinaia di fuochi d'artificio, con il conseguente svolazzare tra le sue mani di quella strana calza. Non vedeva colori così sfavillanti da mesi; uno scherzo più che cruente di fronte a ciò che sarebbe seguito. Di scatto sgrana gli occhi e la mano di lei si arpiona attorno al braccio del ragazzo con una certa emergenza. Mi stai dicendo che.. « Percy è qui? » Chiede di scatto come colta dalla consapevolezza di avere la possibilità di rivederlo dopo mesi e mesi di assenza. Suo fratello le mancava. Le mancava la sua roccia. Le mancava quella che nella sua testa era l'altra metà della mela. L'unica persona di cui si è mai fidata ciecamente. « .. Pervinca? E anche Greg? » C'è una fiocca luce di speranza in quegli occhi azzurri, ma al contempo vi è il terrore del fatto che loro potrebbero essere sottoposti alle stesse torture a cui è stata sottoposta lei. Rabbrividisce di scatto, mentre abbassa lo sguardo, mollando la ferrea stretta sul suo braccio, incrociando le braccia al petto. « Cosa ti ha fatto in tutto questo tempo? » Deglutisce fortemente prima di corrugare la fronte come in uno sforzo estremo della memoria. « Mi ha cancellato.. » E' la prima cosa che le viene in mente, mentre la vocina le si spezza in gola, nel tentativo di continuare. Non riesce a trovare una definizione migliore a ciò che le è successo se non la cancellazione, l'annichilimento totale della persona. « Mi ha fatto realizzare che sono sola. E che nessuno potrà mai fare nulla per me.. a meno che non ci penserò io.. » E in fin dei conti, non era nemmeno una consapevolezza poi tanto sbagliata. Contare sempre e comunque sugli altri è un cattivo vizio, che ci fa vivere in un universo parallelo, in cui le nostre paure e difficoltà non le affrontiamo mai. Ophelia aveva iniziato a farlo, e nel tentativo di sopravvivere, aveva riscoperto se stessa, seppur non è certa le piaccia ciò che ha scoperto sul proprio conto. « Lui e gli altri.. mi hanno raccontato cose.. cose brutte.. e ora non so precisamente a cosa credere, non sono certa di cosa sia reale. » Eppure non so perché, ma di te mi fido. Non so perché te lo sto dicendo, ma lo sto facendo comunque, e ti giuro è talmente liberatorio che continuerei a parlare per ore ed ore. Si è scordata, Ophelia, quanto sia bello intrattenere una conversazione con qualcuno di vivo. Quanto sia, umano e naturale. Di scatto le allunga una mano, e quel gesto simbolico, la porta ad alzare lo sguardo verso il rosso, ancora in aperta lotta contro il generale dubbio. « Ce la fai a camminare? Appoggiati a me. Dobbiamo rientrare al castello. I demoni sono ovunque, ma lì ci sono tutti gli altri. Beatrice, tuo fratello.. Devi vederli. Hanno tante cose da spiegarti.. credo. Io.. Non lo so perchè ti dà la caccia. Ma dobbiamo entrare il prima possibile. Perchè sono ovunque, gli altri. E noi siamo soli. » Deglutisce pesantemente mentre si alza lentamente. Si sente indolenzita, ma concorda pienamente, mentre si guarda intorno con una certa paranoia intrinseca. Ora che sa, l'impazienza di rientrare diventa una presenza costante. « Ma siamo soli assieme. Direi che fa meno schifo, mh? » Quelle parole risvegliano quasi istintivamente un sorriso speranzoso sul volto di lei, mentre annuisce ancora, cercando di lasciarsi scivolare addosso quelle parole. « Soli assieme.. » Ripete mentre inizia a seguire il tragitto di rientro nel castello, tentando di rendere quelle parole sue. Se le lascia scivolare nel circolo, tentando di mantenerne inalterato il significato. « Ora rientriamo. E qualsiasi cosa succeda, tu non guardarti alle spalle, okay? E' quì, da qualche parte. L'altro. »

    Riabbracciare il fratello era stato uno dei momenti più emozionanti a cui era stata chiamata ad assistere negli ultimi mesi. Se da una parte si sentiva fuori di sé letteralmente, quasi come se lo stesso Percy le era estraneo, alla fine le ci era voluto poco per iniziare a ritrovarsi nuovamente nel suo elemento. La prima settimana era stata difficile. Era rimasta per lo più chiusa nella stessa stanza al buio, rannicchiata sullo stesso letto, a dormire. Sì, per lo più, Ophelia aveva dormito, poi erano iniziati quei lunghi giorni di spiegazioni in cui per lo più Percy a volte accompagnato dalla sua ragazza, tentavano di spiegarle un po' tutto. Tante novità, tutte insieme, abbastanza da sconvolgerle interamente la vita. E la cosa peggiore è che, in quel luogo in cui si trovavano, la maggior parte delle cose di cui le parlavano, non poteva nemmeno verificarle in maniera empirica. Lì dentro non potevano sentirsi e lei non poteva capire fino in fondo che cosa intendessero con quel legame. Fino a poco prima, la più piccola dei gemelli era certa che tutte quelle personalità che le si erano susseguite in testa, altro non erano che voci nella sua testa. Una cosa prettamente immaginaria. Ora sembrava venir fuori che in realtà, lei poi tanto pazza non lo è mai stata.
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    « Ti do il cambio. » Dice ad un certo punto a Rudy Weasley salita nella Sala Comune Grifondoro. « La tua ragazza ti stava cercando. » E dicendo ciò si stringe nelle spalle. « Sei sicura di.. » « Si. » Taglia corto con una certa sicurezza non prettamente nelle corde di Ophelia. Posso farcela. Sembra dirgli con lo sguardo mentre gli rivolge un cenno del capo. Che sia ancora terrorizzata a trasformarsi, lo sanno tutti; che non sia prettamente in sé non è certo un mistero, ma a ben guardare Ophelia è il soggetto più in gamba presente lì dentro ora come ora. Lei lì ci è vissuta per mesi interi. Si porta appresso un borsone, bussa alla porta e lo lascia cadere ai piedi del letto una volta entrata. Sa che sta lì dentro già da una decina di giorni. Più di una volta si è data il cambio con altri per tenere d'occhio la porta di quella stanza, ma di entrare non ci aveva mai provato. Ecco, il punto è che quel genere di situazioni Ophelia non le ha mai gestite bene su se stessa. E' certa che sarebbe ancora meno brava a gestirli su qualcun altro. Ma in una cosa è sì brava: fare finta di niente. E questo farà, finché non sarai pronto. Non sa esattamente cosa è successo; sa solo che un inesplicabile moto di preoccupazione si era mosso dentro di lei non appena aveva sentito che stesse male. Problemi di cuore aveva commentato in modo sarcastico Beatrice e lei qualcosa sui cuori spezzati ne sapeva. « Beh ecco, tutto credevo tranne che Fred Weasley fosse un egoista. » Dice mentre inizia a girare la stanza con fare assente, indicandogli il borsone. Gli ha trovato dei cambi puliti, nella speranza possano stargli. « Cioè va bene tutto.. ma addirittura la damigella in difficoltà che ha bisogno di assistenza disabili giorno e notte. Testuali parole di mio fratello: stai sottraendo risorse utili, facendo la verginella. » Gliel'hanno descritto come pallido in viso e debole. Sembra aver ripreso un po' di colorito, e quanto meno, quella puzza e decisamente più persistente. Una trotterellante bestiolina allegra le viene incontro e lei sorride appena, accarezzandogli leggermente la testa. « Tu devi essere una delle guardie del corpo di Merida, vero? » Si stringe nelle spalle, mentre scorre assente i titoli dei libri presenti nella libreria. Per lo più manuali di scuola. « Lì fuori le cose sono iniziate a smuoversi a quanto pare. Non che io ci abbia capito molto.. mi hanno imbottito di informazioni di cui ci ho capito la metà. » La voce apatica, mentre gli confessa tutte quelle cose. Non sa nemmeno perché glielo sta dicendo. Ma lo sta facendo comunque, quasi automaticamente. Quasi come se fosse naturale. Di scatto si volta verso di lui; l'espressione frustrata e lo sguardo stranamente contrariato. « Esci di qua, per favore. Se posso fare qualcosa io.. » Si ecco.. io la farei. « ..il minimo che possa fare, per avermi riportato a casa. » Asserisce di scatto, cercando di correggere il tiro.

     
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    Tutto avrebbe creduto, Fred Weasley, tranne che sarebbe diventato nulla. Si sentiva un nessuno, rinchiuso per com'era in quella dannata camera, che odiava sempre di più ogni giorno che passava. Era nulla, e la cosa peggiore, è che nulla faceva per smettere di esserlo. Calato in uno status di staticità e monotonia che mai gli erano appartenuti, il leone di Grifondoro trascorreva le sue giornate lì, in quella maledetta stanza. Ormai la conosceva a memoria, ancor meglio di quanto non l'avesse conosciuta in tutti quegli anni. Per tanto tempo, la sua camera, era stata il suo rifugio. Un posto sicuro, dopotutto, dove rifugiarsi dopo una giornata trascorsa tra i banchi di scuola. In punizione, ovviamente. Ci portava gli amici, ci portava il cibo rubato dalle cucine, ci portava le ragazze. Quei muri ne avevano viste tante, di malefatte, ed ogni giorno diverse. Perchè questo era Weasley, un continuo divenire. Non c'era un giorno per lui che fosse uguale a quello precedente. Non c'era una situazione che gli ricordasse qualche altra già passata. Un fiume in piena, un uragano, un oceano in continua tempesta. Iperattivo, esplosivo, sempre così pieno di sorprese. Sempre così pieno di vita. Ah, ne aveva di cose da raccontare, Freddie. Nonostante la sua giovane età ne aveva passate davvero tante! Come quella volta in cui aveva fatto esplodere il capannone del Guardiacaccia, assieme a Malia, ad esempio. O quell'altra dove si era fatto trovare imboscato, da un professore, nelle serre di Erbologia, assieme ad una ragazza della quale non ricordava neanche il nome. Eppure, nonostante tutto questo, eccolo quì Freddie Weasley. Eccolo in quella stessa camera, tra quelle stesse mura, che stentano oggi a riconoscerlo. E' diventata una vita monotona quella degli ultimi suoi giorni. Passa dal letto, al pavimento e poi al bagno, in un circolo senza fine, che continua a ripetersi in continuazione. A volte sbucano persone, lì dentro, con l'intento di spezzare la monotonia di quel suo nulla, con scarsi risultati tuttavia. Il rosso rimane lì, tutte quelle volte, intento ad ascoltare, ad osservare ogni cosa, in un silenzio che poco gli appartiene. Si è scoperto un ottimo osservatore, negli ultimi tempi. Fissare la gente in silenzio, in fin dei conti, gli sta tornado utile. Inizia a comprendere cose che, peccando spesso di superficialità, mai aveva anche solo percepito, un tempo. Sta mutando, Weasley, sta cambiando nel fisico tanto quanto -e specialmente- nella mente. Non lo sa, ma tutto questo, tutta questa dannata sofferenza, non è fine a sè stessa. Lo aiuta, lo aiuterà a diventare meno ragazzino e più uomo, quando servirà. Ma al momento, di tutto questo, Freddie non ne ha proprio idea. Quindi rimane lì, come sempre, con Ghost che gli trotterella attorno, mollandogli colpi di muso di tanto in tanto, come a volerlo convincere a rialzarsi. E' all'ennesimo colpo, che la porta scatta. Gira la testa, il rosso, lo sguardo aranciato che si posa istintivamente sulla sagoma ormai materializzatasi all'entrata. « Beh ecco, tutto credevo tranne che Fred Weasley fosse un egoista. » Assottiglia appena lo sguardo, e allora la riconosce. No, lei in quel via vai di gente che è diventata ormai quella sua stanza, non l'aveva ancora vista. A dirla tutta, dopo averla riportata al castello, non hanno avuto parecchi contatti. Un po' perchè gliene sono successe decisamente un bel po', nel frattempo, un po' perchè, in fin dei conti, sapeva di averla riportata al sicuro, in un certo senso. Assieme a suo fratello, i suoi amici, il suo branco. Vederla lì, viva e vegeta, senza più quello sguardo terrorizzato dovuto a mesi di prigionia all'inferno negli occhi, lo fa sorridere, giusto un po'. Almeno prima di cadere in quella umiliante depressione e quella più completa inutilità è riuscito a fare qualcosa di buono. « Cioè va bene tutto.. ma addirittura la damigella in difficoltà che ha bisogno di assistenza disabili giorno e notte. Testuali parole di mio fratello: stai sottraendo risorse utili, facendo la verginella. » Normalmente avrebbe riso a quelle parole, rispondendo a tono. Ma al momento rimane lì, lo sguardo impallato in un punto non ben definito di fronte a sè, mentre la vede sott'occhio mollare un qualcosa di piuttosto pesante per terra. Si gira allora, lentamente, osservando quello che sembra essere un borsone. Si sta prendendo cura di lui. « Darmi della damigella è il modo migliore che hai trovato per consolarmi? » Ormai parla così poco, in questi ultimi giorni, che quasi non riconosce più la sua voce. E' flebile, vuota, priva di qualsiasi nota squillante o strafottente, come suo solito. Ciò nonostante, tuttavia, c'è dell'ironia in quella sua domanda. Non è un rimprovero, solo un punzecchiarla, di rimando, per quanto gli è possibile. Sprazzi del solito Freddie riaffiorano per qualche momento. E' felice di vederla, dopotutto. Non sa nemmeno perchè. In fondo si conoscono ben poco, e negli ultimi giorni non si sono nemmeno visti, eppure è come se l'abbia sempre sentita lì, vicina, in un qualche modo, seppur senza efttivamente vederla. Non ha idea di come sia possibile, forse sta solo delirando, ma è così. Ed è così anche quella sensazione di conforto, in mezzo a tutta quella sofferenza, che ha provato nel percepirla nei paraggi in quegli ultimi giorni. Ghost trotterella via, balzando giù dal letto dove il suo padrone è seduto, e girandole attorno, scodinzolante ed in cerca di coccole. « Lì fuori le cose sono iniziate a smuoversi a quanto pare. Non che io ci abbia capito molto.. mi hanno imbottito di informazioni di cui ci ho capito la metà. » La osserva per qualche minuto, prima che il suo sguardo vaghi oltre, diretto verso la finestra. Non vede nulla, oltre la notte perenne, eppure sembra ricordarsi soltanto adesso di là fuori. E' segregato in quella sua stanza, quel suo rifugio che ormai ha tutta l'aria di esser diventata una prigione da troppo tempo ormai. Quasi non ricorda come sia la vita lì fuori. I demoni, le voci, gli altri, i morti. Forse è meglio non ricordare. Non risponde tuttavia, per l'ennesima volta, mentre si stringe le ginocchia al petto. A quel punto lei si gira di scatto verso di lui, nello sguardo una nota di disagio. Come se soffrisse davvero a vederlo così. Come se la sua sofferenza in un certo modo potesse appartenerle. « Esci di qua, per favore. Se posso fare qualcosa io..il minimo che possa fare, per avermi riportato a casa. » La guarda per qualche momento, poi distoglie lo sguardo, poggiando il mento sulle ginocchia. Non vuole uscire di lì. E' stato lì fuori che è caduto. E' stato lì fuori che l'hanno distrutto, riducendolo a questo. Fin quando rimarrà lì, tra quelle quattro mura, a farsi proteggere dagli altri invece che esser lui a proteggere gli altri, andrà tutto bene. E questo non è assolutamente un ragionamento da Fred. « Puoi.. » Mormora dopo minuti di interminabile silenzio « Puoi avvicinarti? Non ho la peste, giuro, anche se sembrerebbe. » Probabilmente quella farebbe meno schifo. Le fa cenno di sedersi lì sul materasso, accanto a lui. Non sa esattamente perchè, ma la vuole vicina. E' ciò che gli sembra più giusto in quel momento. « Io...Non voglio uscire. » Mormora dopo un po', senza guardarla. « Non mi va, non mi piace, ho paura. » Non si riconosce in quelle parole, nè tanto meno in quel tono di voce tremante, ma ciò nonostante le dice.
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    « Non servo a nulla in queste condizioni. Starò quì fin quando non troveranno una soluzione per andarcene via tutti. » Aspettare gli altri. C'è una parte di sè che urla, allibita da certe parole. Lui, il leone di grifondoro, che pur di non restarsene con le mani in mano in qualsiasi situazione ha sempre preferito gettarsi in prima linea con tutte le scarpe, vuole aspettare che siano gli altri a farlo. Combattere. Annuisce, per autoconvincersi, senza riuscirci. Perchè qualcosa gli trema dentro. Un orgoglio assopito, ma non del tutto morto. Quell'orgoglio che continua a ruggire. Di smetterla, di rialzarsi, di uscire da quella fottutissima camera. E allora si morde con forza il labbro inferiore, la vista che si appanna all'improvviso. Non vuole piangere, odia farlo, e allora si strofina le mani con un certo nervosismo contro gli occhi, così tanto da farsi arrossare ancora di più. Vi pressa le dita contro, tanto da farsi persino male, e quando finalmente smette di torturarsi la faccia, la guarda. E senza nemmeno accorgersene, si è già protratto in avanti. Le braccia le cingono il corpo esile, in un abbraccio improvvisato. Non sa perchè lo stia facendo. Probabilmente si beccherà una testata, ed Ophelia avrebbe pure tutti i buoni motivi per farlo. Ma al momento ha bisogno di quell'abbraccio. Ha bisogno di quel legame. Di lei. Quindi la stringe, mentre due o tre lacrime gli rigano le guance, e ne sente il gusto salato sulle labbra. E' allora che si scosta, all'improvviso, come scottato da quel contatto. « Scusa. Io...Ne avevo bisogno. » Non riesce nemmeno a trovare una scusa. La situazione è davvero grave. « Sono uno schizofrenico del cazzo ultimamente. » Una risatina nervosa gli scuote il petto, mentre si asciuga il viso con la manica del maglione. « Non lo so che mi succede, so solo che Godric Grifondoro si ribalterebbe nella tomba a vedermi così. » Sorride amaramente « E' che..Non ci riesco. Non ce la faccio più. Ed è ridicolo, ho passato di peggio. Tu hai passato di peggio, ed io mi lascio abbattere da un cuore spezzato e qualche conato di vomito. » La guarda, tirando su col naso. « Sono proprio una verginella eh? » Cita le sue stesse parole, ridacchiando debolmente, mentre distoglie lo sguardo, rivolgendolo in un punto non ben definito della stanza. « Grazie, Ophi. » Non Watson, non Ophelia, non sfigata, Ophi, Ophi e basta. « Non puoi fare niente, io..Credo dipenda solo e soltanto da me. » Ed è questo il problema. « Ma..Puoi restare un po', se ti va. Stare soli assieme fa meno schifo, no? » Sorride appena, tornando allora a guardarla. « Sono contento che tu sia tornata e abbia ritrovato tutti, comunque. Nessuno dovrebbe rimanere solo per così tanto tempo. » A me sono bastate poche settimane per diventare uno psicopatico del cazzo. « Di che informazioni ti hanno imbottita, là fuori? »
     
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    « Darmi della damigella è il modo migliore che hai trovato per consolarmi? » Non le piace quel tono di voce; è prettamente triste e melanconico, come privo di speranze. Le sembra di trovarsi di fronte a una persona che ha perso qualunque voglia di continuare. Riconosco uno suicidio morale quando ne vedo uno. E la giovane Watson in tutta risposta si stringe nelle spalle, appoggiando la schiena contro la parete di fronte al letto su cui si trova Fred. « Stai chiedendo a una maniaco-depressiva se ti sta consolando. Oh ma allora stai messo bene. » Asserisce in tono scettico prima di abbassare lo sguardo. Non si sente più così Ophelia; non si sente più quella persona. Ma non riesce a fare a meno di pensare che prima o poi le voci, quel suo pallino fisso della follia, tornerà. Molte cose gliele aveva spiegate Pervinca, ad altre ci aveva pensato Percy e qualche volta si era ritrovata persino a parlare con la Morgenstern, ma ogni qual volta un pezzo del puzzle venisse messo appunto, qualcos'altro saltava. Era confusa e terribilmente spaesata. Intrappolata in quella condizione di perenne disagio che sembrava ormai fungere da anestetizzante contro qualunque altra cosa. Fred è taciturno e lei, seppur il rosso non lo conosca, capisce in un certo qual modo che non è la sua naturale condizione. Vorrebbe dirgli che andrà tutto bene, che prima o poi tutto passerà, ma a dirla tutta sarebbe davvero ipocrita dirgli qualcosa in cui lei per prima non crede. E' pessimista Ophelia, e l'unica cosa che l'aiuta ad andare avanti è l'idea che quanto meno non è più sola, che attorno a lei ci sono persone, persone vere e non semplici riflessi e pallide ombre della gente che conosce. Viene distratta da quei pensieri dall'improvviso irrompere nel suo spazio personale del cane del ragazzo, che inizia a girarle intorno, strappandole un sorriso che si trasforma ben preso in una risata energica. Ehilà! Ciao bello.. Sussurra mentre si piega sulle ginocchia, iniziando ad accarezzarne la testa, prima di beccarsi una bella leccata in pieno viso, che la obbliga a scostarsi appena. Non ha mai avuto una grande empatia per gli animali; questo ciò che pensava. Questo prima che la sua prima trasformazione avvenisse. Da lì, in un certo qual modo si è sempre sentita più in sintonia con la natura e con tutte le sue creature. « Puoi.. Puoi avvicinarti? Non ho la peste, giuro, anche se sembrerebbe. » Trasalisce appena nel sentirsi quella richiesta. Si rialza, abbandonando le carezze nei confronti della creatura, sgranando appena gli occhi. E infine accenna un leggero sorriso prima di avvicinarsi a passi cauti, come se stesse trattando con un cucciolo ferito che aveva bisogno di pazienza e tempo per abituarsi a qualunque forma di spostamento. Provava empatia, Ophelia, nei confronti di quella condizione, perché lei sapeva cosa significasse sentirsi privato di qualunque forma di speranza. Non lo penso. Non penso che tu abbia la peste, sembrano dirgli i suoi grandi occhi caleidoscopici, prima di sedersi sul materasso accantto a lui. Abbassa istintivamente lo sguardo, portandosi i capelli dietro l'orecchio. « Io...Non voglio uscire. Non mi va, non mi piace, ho paura. Non servo a nulla in queste condizioni. Starò quì fin quando non troveranno una soluzione per andarcene via tutti. » E Ophelia, di fronte a quelle parole colme di dolore, sprofonda nel silenzio, attendendo che lui si sfoghi. Lo ascolta, perché non sa cos'altro fare. Si sente impotente di fronte a questo dolore, che non sa di preciso come alleviare. Non ne ha gli strumenti. Non ha nulla per le mani nemmeno per comprendere quanto a Fred stia accadendo, ma nonostante ciò resta comunque lì. E quando lui si avvicina per abbracciarla, prima ancora di darle modo di scostarsi o rispondere, Ophelia resta per un istante pietrificata. Non sa come comportarsi, non sa cosa fare. Lei quel tipo di emozioni non sa come gestirle.
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    Ma alla fine, dopo un tempo infinitamente lungo in cui resta lì a fare il pezzo di legno, alla fine gli cinge a sua volta le spalle e corrisponde il suo abbraccio, poggiando il mento contro la sua spalla, mentre le dita accarezzano la sua schiena in un gesto di pura premura. Andrà tutto bene, vedrai. Deve andare meglio. Lo culla così, senza pretese, finché non è lui a decidere di interrompere quel contatto, e allora lei torna a mantenere lo sguardo basso, mentre si rischiarisce la voce. Si posta istintivamente i capelli su una spalla, iniziando a giocherellare con una ciocca in particolare dei suoi capelli, sospirando affondo. « Scusa. Io...Ne avevo bisogno. Sono uno schizofrenico del cazzo ultimamente. » La Watson si stringe nelle spalle. Non c'è persona che capisca più di lei la forte instabilità emotiva, il ronzio di quel continuo non capire in che direzione andare e quindi paradossalmente andare in tutte le direzioni. « Quel ultimamente ti annovera nella categoria delle persone fortunate. » Asserisce infine tentando di sdrammatizzare, seppur la frase gli riesca più ironica di quanto vorrebbe. Ophelia non ha mai tentanto d mascherare se stessa, perché se anche l'avesse voluto, non sarebbe mai stata in grado di farlo. Era sincera e onesta, e di tentare di nascondersi dietro un dito non ne voleva sentir ragione. Era un po' come tentare di occultare un cadavere in una caserma della polizia. Lei era semplicemente stramba; non ammetterlo sarebbe stato un po' come negare un'evidenza fattuale. Eppure, paradossalmente, proprio per questo era forse più sana di molti altri. « Ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo.. più o meno. » Come me non ha funzionato poi tanto bene, ma forse tu sarai più fortunato. « Non lo so che mi succede, so solo che Godric Grifondoro si ribalterebbe nella tomba a vedermi così. E' che..Non ci riesco. Non ce la faccio più. Ed è ridicolo, ho passato di peggio. Tu hai passato di peggio, ed io mi lascio abbattere da un cuore spezzato e qualche conato di vomito. » Ma la giovane Watson non si sentiva di giudicarlo. Quel posto rendeva più difficile superare anche i piccoli problemi, figuriamoci cose così pesanti come le questioni di cuore. Quindi ecco, a dirla tutta era certa che lui la stesse prendendo sin troppo bene. Quando si è in un momento di difficoltà si cercano i parenti, gli amici, casa propria, un posto sicuro. Quella Hogwarts era tutto il contrario, e ogni giorno era sempre peggio. Ogni giorno qualcun altro moriva, qualcuno scompariva, qualcuno si sentiva male. Adesso anche Ophelia poteva vederlo, ed era orribile. Peggiore di qualunque forma di voce sia mai albergata nella sua testa. « Sono proprio una verginella eh? » Scuote la testa lei, sciogliendosi in un leggero sorriso. « Questo non l'ho detto io.. potrei concordare.. ma non l'ho detto io. E comunque, detto tra noi, Godric non si rivolterebbe nella tomba per un'unica ragione: è troppo pigro e cazzone persino per fare quello. » Sì, ci prova Ophelia. Il modo migliore per superare una cosa del genere è non farne una questione di vita e di morte. Un cuore spezzato non è la fine del mondo, e qualunque cosa stia succedendo a Fred, è ancora vivo. Le sue situazioni non sono peggiorate, quindi salvo complicazioni, evidentemente la sua è più una questione psicologica. E quindi, la cosa migliore è non farne un dramma, tentare di non trattarlo come un un invalido. Io so cosa si prova a essere trattati come dei vegetali. Ti senti una merda. Alla fine ti convinci che hai bisogno degli altri. Ti convinci che ti serve la loro commiserazione. « Grazie, Ophi. » E lì si sente di fare una cosa che ha sempre voluto fare. « Non c'è di che.. roscio. » Asserisce stringendosi nuovamente nelle spalle con una certa noncuranza. Ci prova a superare l'imbarazzo, quella leggera tensione che volente o nolente si sente gravarle sulle spalle. « Non puoi fare niente, io..Credo dipenda solo e soltanto da me. Ma..Puoi restare un po', se ti va. Stare soli assieme fa meno schifo, no? Sono contento che tu sia tornata e abbia ritrovato tutti, comunque. Nessuno dovrebbe rimanere solo per così tanto tempo. » Corruga la fronte prima di annuire, ascoltando silenziosa le sue ultime parole. Non sa esattamente cosa dirgli sul punto. Non sa cosa rispondere. « Non lo so.. » Inizia con una certa nota di melanconia nella voce. « A volte vorrei avere una scusa abbastanza valida per restare sotto le coperte per tutto il giorno, capisci? Stare così male da non dover uscire dalla stanza. » Scuote la testa. « Purtroppo non posso fare nemmeno quello. Se resto chiusa in stanza per troppe ore, mi sento bussare dietro qualcuno che si sta accertando che io non mi sia ancora trafitta un occhio con un coltello di plastica. » Discorsi molto incoraggianti insomma, Ophelia. « Voglio dire.. non è facile.. tornare. Più in fretta ti rimetti in piedi meglio è.. se questo diventa un'abitudine, alla fine inizierà a piacerti. » E sospetto che a te sguazzare in questo limbo sta iniziando paradossalmente a piacerti, seppur lo odi. E' facile; mollare la presa, lasciare tutto in mano agli altri, convincersi di essere inutili. Alla fine diventa la strada più facile verso l'autodistruzione. « Di che informazioni ti hanno imbottita, là fuori? » Ottima domanda. Qualcosa che possa tenere impiegati entrambi. Ma prima di mettersi al lavoro con il racconto, si guarda in giro, finché non individua l'ultimo pasto che Rudy ha lasciato in camera di Fred non più lontano di poche ore fa. Si tratta di una grande confezione di biscotti, accompagnata da un piatto che contiene quello che sembra dell'ottimo cibo in scatola. Si alza e afferra il vassoio, annusandone il contenuto. Ha un buon odore. Approvato. « Carne in scatola, fagiolini e carote. Mmmm.. buono. Oh guarda, queste hanno lo stesso colore dei tuoi capelli. » Si porta il piatto sulle braccia, iniziando ad assaggiarne il contenuto con un'apparente fame da lupi. Letteralmente. Prova un boccone di tutto e annuisce con una faccia decisamente soddisfatta. Dai andiamo, non puoi dire che non ti faccio venire almeno un po' di fame. E alla fine, prima di portarsi un nuovo boccone alle labbra, solleva un sopracciglio e allunga invece la forchetta verso le sue labbra, intimandolo ad aprire le labbra, mimando il gesto con le proprie. Avanti, Weasley! « Ecco a quanto pare, questo branco.. avrebbe questi superpoteri strani e siano in grado di viaggiare ovunque attraverso le menti degli altri. » Ok, troppo strano. « Boh.. non l'ho capito, ma si, pare molto una cosa tipo tutti per uno e uno per tutti. Solo che qui, questa cosa non funziona. Ecco perché io non ho sentito niente. » E a dirla tutta non so nemmeno se volevo sentirlo. Pare una cosa spaventosa.. tutta quella gente nella propria testa. « E niente, mi hanno parlato di cacciatori, tradizioni, armi.. e.. a quanto pare il mio cognome non sarebbe prettamente Watson. A quanto pare siamo Lancaster. » E non sa nemmeno di questo cosa pensare. E' tutto strano. Troppo strano. « Morale della favola, non ci ho capito davvero niente; dovrò prendere un sacco di appunti. Ma la cosa più sconvolgente di tutto questo è che Percy sta con Beatrice Morgenstern. » Eccola la faccia sorpresa, incastrata tra un perenne disagio e un palese essere allibita. « Che tra parentesi sarebbe tipo l'alfa. Quando ho azzardato dire che mio fratello fosse l'uomo del capo, sono stata guardata malissimo da tutti, perché a quanto pare non esistono veri capi. » Buuuuuh la senti quest'aria di misticismo? Scettica e ben poco incline a capirci qualcosa, continua a tentare di imboccarlo, facendo pressione affinché mangi. La verità è che non si impegna nemmeno più di tanto. Se ne sta lì ad aspettare che qualcosa le cada dal cielo probabilmente. Dopo un po', tempo in cui gli racconta ancora cose strampalate su tutta quella cosa, e dopo esporgli ancora cose strane su suo fratello, la sua ragazza, suo cugino e la sua migliore amica, posa il piatto vuoto sul comodino alla sua sinistra e torna a guardarlo. « Tornando al discorso di prima, resterò quanto vuoi. Posso dare libero alle altre guardie a tempo indeterminato se vuoi. A due condizioni. » E dicendo ciò inizia a contare sulle dita. « Uno: ti fai una doccia. » Perché insomma hai una faccia penosa, e scommetto che dopo una doccia già avrai la metà della voglia che hai ora di restare qui dentro. « Due: se ti dico che ho una cosa speciale per te, prometti di non metterti a piangere dopo che la fumiamo. » Scontato specificare di cosa si tratti. E dicendo ciò estrae dalla tasca la magica sigaretta, mostrandogli un sorriso di aperta sfida. « A te la scelta. »

     
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