we were born to die

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    Si dice che la reazione più naturale di fronte alla prospettiva della morte sia il terrore più puro. Non si teme tanto l'attimo in sé - in fondo, la morte altro non è che appena un attimo - quanto quello che viene dopo. Ma cosa succede quando la morte non la si teme più, quando si accoglie la prospettiva di tirare le cuoia, se non con sollievo e trepidazione, almeno con una certa rassegnazione? Ci si può considerare esseri umani disfunzionali, a quel punto? Oppure è il caso di affermare che, forse, morti lo si era già e ci si limitava semplicemente a formalizzare un qualcosa che era e basta? Dopotutto, come già detto, la morte del corpo non si consuma che in un istante, e spesso e volentieri si è anche abbastanza fortunati da non rendersi neppure conto di star effettivamente oltrepassando quel labile confine. Si smette di essere, punto. Forse si passa ad esistere in una dimensione diversa, una che l'essere umano ha cercato di spiegare alla bene e meglio infinite volte con l'ausilio della mitologia e della religione, ma non è una forma conosciuta e non si trova su di un piano fisico o tangibile, e spaventa forse pù della morte stessa. Fawn Byrne aveva ormai perso il conto delle volte in cui si era ritrovata, suo malgrado, a fronteggiare il grande mostro rappresentato dalla fine di ogni cosa. In fin dei conti, quando la tua scuola si trasforma in una trappola mortale, non c'è tanto altro che tu possa fare. Aveva visto spegnersi una serie infinita di conoscenti, aveva guardato dissolversi un numero troppo grande di volti noti, aveva lei stessa aiutato a dare una degna sepoltura a troppi cadaveri per la sua giovane età, ed aveva pure rischiato l'osso del collo una quantità sufficiente di volte da conoscerlo benissimo, il panico di unirsi alla schiera di corpi mutilati. Mai prima di quel giorno, però, aveva avuto la netta sensazione di non essere nella posizione di contrattaccare. Mai aveva pensato che la sua sorte fosse davvero segnata, nemmeno quando si era ritrovata a soggiornare in quel luogo - era davvero un luogo? - che aveva poi inglobato Hogwarts nella sua interezza... ma in quel momento, piegata in due, la schiena poggiata contro una delle enormi librerie della biblioteca scolastica, sapeva che non c'era molto che potesse fare. Era successo tutto troppo in fretta perché potesse davvero rendersi conto di come fosse accaduto di preciso, quel che sapeva era che il suo compagno di ronda - tale Oscar Dallas - aveva approfittato della sua prossimità alla porta per darsela a gambe nel momento stesso in cui la Grifondoro era stata sbalzata contro la parete da un colpo di coda della creatura gigantesca che ora le stava dando la caccia. Non poteva biasimarlo - si sa: l'essere umano è, per natura, infido e notoriamente egoista - ma sentiva che al suo posto, potendo scegliere, non avrebbe fatto la stessa cosa. Comunque, la situazione era precipitata nel momento stesso in cui il Corvonero aveva lasciato la biblioteca. Le creature affamate all'interno dell'ambiente si erano rivelate essere due, e la colluttazione che Fawn aveva subito molto più invalidante del previsto. Aveva preso la parete di pietra di petto e, oltre ad un sospetto e piuttosto indicativo crack e la netta sensazione di essersi spaccata un labbro, adesso faticava anche a stare in piedi. E, cosa forse più preoccupante di tutte: le faceva male respirare. Il dolore era tanto da farle girare la testa e contemporaneamente darle la nausea, le venne persino da pensare che si stesse tenendo in piedi solo perché crepare in ginocchio sarebbe stato poco dignitoso. Per dispetto, se vogliamo. Stringeva convulsamente la bacchetta tra le dita, cercando di fare meno rumore possibile. Però lo sapeva bene che quei mostri stessero solo giocando al gatto col topo. Come sapeva di essere lei il roditore, in quella situazione specifica. Ne era consapevole perché ci si era già trovata, nella merda più totale, e l'unica ragione per cui fosse riuscita a cavarsela, era stata la presenza di un altro essere umano nelle sue immediate vicinanze. Adesso però non aveva nessuno. Non aveva nessuno ed il dolore stava diventando troppo da sopportare. Le tremavano le gambe, non avrebbe saputo dire se dalla paura o dallo shock portato dal dolore. E poi c'era quella consapevolezza: questa volta avrebbe davvero potuto smettere di esistere. Certo, aveva castato un incantesimo di protezione quasi di riflesso, ma quanto avrebbe retto? Del resto la stanza stava cominciando a girare - o era la terra sotto i suoi piedi, forse? - ed i suoi contorni diventavano man mano più sfocati. Poi c'era quell'inconveniente del respiro. Non inspirava più in maniera normale, il tutto somigliava molto più ad un rantolo. Senza contare i due esseri con la palese intenzione di trasformarla nella loro cena. Uno di questi l'aveva soltanto intravisto, ma aveva decisamente troppe zampe e somigliava ad un enorme ragno gigante. L'altro, quello che l'aveva sbalzata contro il muro poco prima, era corazzato e dotato di coda, nero pece. Nessuno dei due appariva particolarmente amichevole. C'era l'opzione di provare ad arrivare all'uscita, ma c'era anche la consapevolezza che no, in quelle condizioni non ce l'avrebbe fatta. Era troppo lenta. Diamine, le gambe le cedevano anche a star ferma, figurarsi se avesse provato a correre! Stava vagliando le sue possibilità - quella di uscire allo scoperto e farla finita una volta per tutte come quella di tentare la corsa suicida - quando al suo orecchio giunsero dei passi. Dei passi troppo vicini all'ingresso e troppo umani perché Fawn Byrne potesse permettere a chiunque ne fosse il proprietario di entrare in quella biblioteca per fare la sua stessa fine. Per questo il suo sguardo saettò istintivamente verso la porta e, ancor prima di riuscire a mettere a fuoco di chi si trattasse, si trovò a fare la cosa contemporaneamente più suicida e Grifondoro di tutte: « Non ti conviene, ce ne sono ben due.» Rantolò, ad un volume che avrebbe permesso di udirla alla persona - si sperava - ancora abbastanza lontana da salvarsi la pelle, sia da quelle creature. « Davvero, non farlo. Non entrare. »
    Se l'idea di morire le facesse gola? Ovviamente no. Ma ancor meno le piaceva quella di farlo con un'altra vita sulla coscienza.

    Edited by hanaemi} - 27/1/2018, 02:50
     
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    Come si può aggirare una demone nel suo habitat naturale? Semplicemente saltellando a destra e sinistra, credendosi la padrona di tutto ciò che la circonda. E' a casa, quella casa che ha abbandonato da mesi, ma che sembra avere avuto talmente tanta nostalgia di lei da inseguirla, fino sulla Terra - è questo che le piace raccontarsi. E lei vi si aggira sentendosi la regina di tutto ciò che la circonda. Si sente potente, mentre la morte la circonda e lei non ne viene assolutamente toccata. Il brutto fattaccio successo con il piccolo demogorgone indisciplinato, appena qualche mese prima, all'interno della Foresta Proibita, sembra essere un lontano ricordo nella testa della piccola Maze, che con un sorriso stampato sul volto cammina per i corridoi, ruotando la sua mazza da baseball nella mano, ormai sua compagna fedele in quella che sta diventando per lei sempre più un'avventura dai risvolti inaspettati. Prima gli intrighi e i tradimenti che si sono andati consumando nella Sala Grande, durante il ballo di Halloween. Poi le trappole mortali, in cui pure lei poteva letteralmente morire e tornare all'altro mondo. E ora casa, il mondo sotterraneo che sembra essere sgusciato via dai cancelli dell'Inferno per portare morte e distruzione sulla terra. L'Apocalisse, è ciò che si sta consumando intorno a loro. Hogwarts è presa dai quattro cavalieri e Maze, in cuor suo, ha sempre immaginato di essere il secondo cavaliere, colui che porta guerra e distruzione, che porta il caos, che insidia il seme dell'invidia tra i fratelli, costringendoli ad essere l'uno contro l'altro. «Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.» «Che dici, Trixie? Mi ci vedi a cavalcare un drago? In fondo il fuoco è pur sempre la nostra specialità, no?» La ragazza, da un angolo della mente, ridacchia sommessamente, proiettando per entrambe quell'immagine particolare di fronte agli occhi. «Guardati, la regina delle ceneri che distrugge il mondo.» Si morde il labbro inferiore, Maze, mentre non può trattenersi dal non reprimere un brivido di pura eccitazione, nel vedersi così potente, come era un tempo, così distruttiva, così divina e letale. «E invece sono qui, con te, in questo tuo corpo mortale. Fortuna che ora qui mi conoscono tutti e perlomeno non ci rimetteremo le penne, come facevamo prima.» Sorridono entrambe, nell'esatto momento nel quale svolta l'angolo un ragazzo terrorizzato che corre a perdifiato. Maze entra subito in modalità "Ommioddio, stiamo per morire tutti, devo essere spaventata a morte", mettendo sul proprio viso un'espressione mista tra la confusione e il terrore. «Oh misericordia, Oscar, cos'è successo? Da cosa scappi?» Il ragazzo si ferma di scatto e Maze si ritrova a battere le ciglia, facendolesi più vicina, come a volersi immedesimare ancora di più nella parte di colei che ha bisogno di aiuto, la donzella che va aiutata valorosamente. «I-io ero in biblioteca, ero di turno con la Byrne...» Prende a dire, passandosi la mano sul viso, mano che trema da morire. «Poi sono sbucati dal nulla dei cosi, enormi, dei mostri orribili e io sono riuscito a scappa- ehi, ferma, tu sai come mi chiamo Maze lo guarda, non capendo per qualche secondo quel cambio improvviso di discorso. L'ha chiamato per nome, per lui deve essere un avvenimento speciale essere ricordato, soprattutto da una come la Greengrass. Sempre poco modesta. Maze stringe le labbra in un sorriso tirato mentre il suo unico pensiero è rivolto solo ad una parte di quel suo discorso. «No, fammi capire bene, hai lasciato la Byrne da sola, a vedersela con due mostri infernali?» Il ragazzo non sembra capire all'inizio. «Che cavaliere valoroso che sei, di certo tutte le donne aspireranno a volerti al loro fianco se, nel momento del pericolo, le abbandoni come hai fatto con lei.» Prova a giustificarsi, blaterando parole a caso, ma Maze lo ferma, portandogli un dito davanti alle labbra. «Oh no, tesoro, ti prego, non darmi altri motivi validi per spaccarti questa mazza in testa, perché credimi, è quello che vorrei tanto fare. Davvero Riprende a dire lentamente, con un tono di voce soave e carico di pace, così in contrapposizione con le parole che stanno uscendo dalle sue labbra. «Ma sono magnanima e ti lascio andare a piangere da qualche parte. Mi sento in dovere, però, di ricordarti che la tua mammina non è presente nei confini del castello.» Gli sorride, melliflua, scivolando di lato, per cominciare a camminare velocemente verso la biblioteca. «E ti ricordo anche che farsi crescere le palle è gratis, di questi tempi soprattutto, se non vuoi morire di una morte talmente dolorosa da farti sperare di essere già morto da tempo.» E' così che lo saluta, prima di cominciare a correre, fin quando non si ritrova di fronte alla porta della stanza. Perché la vuole andare ad aiutare, fregandosene invece come farebbe di solito con il resto del mondo? Chiamiamola solidarietà femminile. O anche sorellanza nella condivisione di certe gioie che è venuta a sapere direttamente da Albus - come se lei non l'avesse già saputo, ovviamente. Riconosce i versi infernali dei suoi amorini al suo interno e si domanda per un attimo se la Byrne non sia schiattata già da tempo. Se non l'ha ancora fatto, di certo, ha degli attributi notevolmente più grandi di quelli di Dallas. Così apre la porta, che quel deficiente deve aver chiuso dietro di lui, ostacolando ancora di più qualsiasi possibilità di darsela a gambe da parte della ragazza. Fa qualche passo dentro, cercando di richiamare l'attenzione di quei due soldatini fedeli. Uno di loro esce fuori da una scaffale della libreria e lei allunga una mano, guardandosi intorno per vedere se effettivamente ci sia qualcuno per poterla vedere carezzare la testa di quel tesoro bellissimo.
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    «Cosa state combinando qui, voi due? Vi sembra il caso di fare tutto questo macello? Tutto davanti ad una signorina poi? Ma sono cose che si fanno?» Gli sussurra, cercando di sembrare dura, ma la sua voce assume una tonalità talmente calda da non farci credere nemmeno lei. « Non ti conviene, ce ne sono ben due. Davvero, non farlo. Non entrare. » Una voce arriva dalla sua destra, costringendola ad indietreggiare immediatamente, ritraendo la mano libera. Oh okay, è viva. Chi l'avrebbe mai immaginato, sono ammirata! Fa un occhiolino alla creatura, prima di avviarsi verso il punto dove le sembra sia arrivata la voce. La ricerca tra i vari scaffali che sono caduti a terra, cercando di evitare i fogli di carta che sembrano essere sbalzati via da libri vari. Ahh, questi mostriciattoli che non sanno fare un lavoro pulito nemmeno a pagarli. Infine la ritrova, appiccicata ad uno scaffale, che tenta di rimanere in piedi. Il sangue che le cola dalla bocca e quel colorito verdastro tipico di chi sta per vomitare.«Sai? C'è un girone apposito all'Inferno per le donne che non aiutano le donne!» E fidati, esiste sul serio, è anche assai piacevole torturarle, quelle donne. Le dice, avvicinandosi, per valutare le sue condizioni un po' meglio. Respira piano e fin troppo velocemente, tanto da rantolare, invece che respirare a pieni polmoni. Una mano che corre alla tasca della giacca per prendere e sistemarle sul labbro un fazzoletto pulito - di quelli di seta ricamata, sì, uno dei suoi preferiti. - «Tienilo tamponato qui, con tutta la forza che riesci ad esercitarvi.» Tenta di sorriderle, prima di guardarla per qualche altro secondo, certa che non ce la faccia a camminare da sola. «Okay, è evidente che tu non riesca a camminare con le tue gambe e questo potrebbe essere un piccolo piccolissimo problema.» Si porta una mano sul fianco, storcendo le labbra, prima di individuare qualche tomo a terra. Lascia andare la mazza a terra, cominciando a raccoglierne alcuni per formare una pila ordinata, che arrivi all'incirca a qualche buon centimetro in altezza. La posiziona vicino ai suoi piedi, per poi recuperare la mazza e consegnargliela tra le mani. «Sali sopra quelli e poi ti aggrappi a me, cercando di stare più ferma possibile. Non vedo altro modo per uscire vive da qui dentro.» O perlomeno altro modo per te. «E ti prego, se riesci a non far cadere la mazza sarebbe davvero carinissimo da parte tua. Ci tengo parecchio e non vorrei finisse in pasto a quei mostri.» Le sorride da sopra la spalla, prima di flettersi sulle gambe, come ad invogliarla a salire sulle spalle. «Forza, sei la prima persona che potrà dire di essermi stata alle spalle senza doppi fini. Vinci anche la medaglia, se usciamo vive da qui.» «Devi sempre farti riconoscere, vero?» Sempre.

     
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    Perché l'aveva fatto? Qual era stato il motore effettivo dietro il suo preservare chiunque si trovasse appena oltre quella porta? Vero che Fawn Byrne non volesse morire con la vita di un altro essere umano sulla coscienza, ma come sempre c'era del non detto. Era davvero assurdo: pur apparendo come la persona più semplice da decifrare del mondo, c'era sempre un lato di lei che veniva prontamente celato ad occhi indiscreti. Delle verità che esponeva, riusciva sempre a tenere un pezzetto solo per sé. Un frammento piccolo, spesso scomodo, che veniva chiuso in un cassetto ed ignorato fino a tempo debito. In quella situazione, per esempio, aveva sicuramente voluto preservare l'altro, ma aveva allo stesso tempo evitato di ammettere di essersi sentita davvero spacciata, perfino pronta a morire. Con addosso un dolore tanto martellante da annebbiarle la vista, una stanchezza psicologica accumulata nei mesi di permanenza in quell'inferno che Hogwarts era diventata e lo strazio più puro come unica costante, c'era una piccola parte di lei che voleva tutto finisse e basta. Una vocina che l'aveva tenuta sveglia spesso durante la notte, che le diceva che quel suo dibattersi fosse vano, che le ripeteva che non fosse altro che una lucciola nel suo barattolo e che quello spreco di forze l'avrebbe portata soltanto a spegnersi. Quella stessa, infida vocina che continuava a sbatterle in faccia la realtà: quanto tempo vuoi che passi prima che ti unisca a loro? E per loro intendeva tutte le vittime che quella catastrofe aveva già mietuto, morti o dispersi che fossero. Lei, dal canto suo, si era sempre, ostinatamente avvalsa del diritto di ignorarla. Questo finché Oscar Dallas non se l'era data a gambe, facendo crollare quella barriera che la Grifondoro aveva con tanta fatica innalzato. Per un attimo, un solo attimo che avrebbe anche potuto costarle la vita, aveva deciso che imboccare la strada più facile non fosse poi una così brutta idea. In fondo avrebbe preso due piccioni con una fava: salvaguardato un altro essere umano e, al contempo, messo fine a tutte le sue sofferenze. E nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa perché, come già detto, a morire erano in troppi perché una in più facesse la differenza. Eppure, anche nel mezzo di quel pensiero - per quanto deviato, contorto e sbagliato - c'era stata l'esplicita richiesta di lasciarglielo fare in solitudine. Per quanto si ostinasse a voler curare le ferite altrui, non lasciava che altri le riservassero lo stesso trattamento. Quasi ammettere di aver bisogno di aiuto, di non potercela fare da sola e di essere, in fondo, una persona come tutte le altre fosse una debolezza troppo grande. Quasi volesse ignorare deliberatamente di essere soltanto un'adolescente, in una situazione ben più grande di lei e con nessun mezzo a disposizione per venirne fuori sulle proprie gambe. Tuttavia non doveva essere ancora giunta la sua ora. Stava ancora ragionando sul da farsi quando udì una voce femminile nelle sue immediate vicinanze. Alzò nuovamente lo sguardo - che aveva abbassato nel tentativo di individuare la ragione per la quale respirare le risultasse tanto doloroso, senza tuttavia localizzare alcuna ferita aperta sul torace - solo per incontrare quello della Greengrass. Dire che non si aspettasse quell'apparizione sarebbe stato riduttivo, e non solo perché ormai si era preparata ad affrontare la morte nel - secondo lei - più dignitoso dei modi. A stupirla era il fatto che quell'aiuto fosse disinteressato. Nel senso: non c'era alcuna ragione per cui la Serpeverde avrebbe dovuto rischiare la pelle per lei, e Fawn ne era ben consapevole. Sarebbe tuttavia stato sciocco rifiutarsi di afferrare una mano tesa per lasciarsi affogare, specialmente considerato il fatto che non sapeva quanto a lungo le sue gambe l'avrebbero retta. Accettò quindi il fazzoletto e se lo premette sulla bocca. Appena in tempo: le servì anche per mascherare un colpo di tosse. Un'occhiata veloce al pezzo di stoffa - tracce di sangue. La situazione era ancora meno rosea del previsto. La rosso-oro, però, decise di non farci caso e alzò nuovamente lo sguardo sulla compagna che aveva di fronte, scollandosi a fatica dalla parete: « Dallas è salvo, quindi. » Era più senza fiato del solito, la sua voce era sicuramente più roca e faticava a respirare, ma probabilmente sarebbe stata capace di ridere in faccia alla morte stessa. Quel suo senso dell'umorismo doveva essere la sua ultima arma. « Grazie. » E non solo per il fazzoletto. Come già detto, la verde-argento non avrebbe avuto alcuna ragione per venire a raccattarla - se non la solidarietà femminile che aveva appena citato -, ma lo stava facendo ugualmente. Nella piena consapevolezza, a quanto sembrava, che l'altra non fosse che un peso morto. D'altro canto, però, per quanto la sua vista fosse annebbiata e faticasse a stare in piedi, non le sfuggì il modo particolare in cui la giovane Serpeverde sembrava affrontare quella situazione. Nei suoi occhi non c'era la più piccola traccia del panico che avrebbe invaso lo sguardo di chiunque altro nella medesima situazione. Sembrava... a suo agio, quasi? Era un pensiero assurdo, se ne rendeva conto, ma non poté fare a meno di formularlo.
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    «Okay, è evidente che tu non riesca a camminare con le tue gambe e questo potrebbe essere un piccolo piccolissimo problema.» A questa costatazione, non poté che sbuffare una risata. Dolorante, vagamente sarcastica, ma non cattiva. Era della propria condizione che stava ridendo, tanto perché non si smentiva mai. « Niente maratona di New York anche oggi. Che schifo di vita. » Salì sulla pila di libri non senza fatica, ma senza emettere un suono e soprattutto facendo bene attenzione a non respirare. Ogni boccata d'aria era quanto di più simile ad una coltellata potesse immaginare e, considerato che di ferite sanguinolente non era riuscita a vederne nemmeno l'ombra, la cosa si faceva meno rassicurante ad ogni secondo che passava. Si impose però di non pensarci: c'era prima la grande questione del riuscire a valicare i confini di quella stanza vive. Nel suo caso senza svenire e... «E ti prego, se riesci a non far cadere la mazza sarebbe davvero carinissimo da parte tua. Ci tengo parecchio e non vorrei finisse in pasto a quei mostri.» Senza far cadere qualcosa di vitale importanza, apparentemente. Si sarebbe trattenuta? « Tranquilla: massimo rispetto per le mazze altrui. Sempre. » No, ovviamente no. Non sarebbe stata Fawn Byrne, se non avesse colto un'occasione che, a ben vedere, le era stata servita su di un piatto d'argento. Prese quindi l'oggetto che le era stato offerto per poi eseguire. Le salì in spalla, avvolgendo le gambe attorno ai suoi fianchi in maniera meno invadente possibile. Quella posizione, se doveva dirla tutta, aveva tutte le probabilità di ucciderla a giudicare da come il dolore nel respirare era aumentato, ma la mora si diceva stoica per un motivo. Sarebbe stato stupido ed infantile cominciare a lamentarsi del dolore proprio ora. Aveva una mano poggiata sulla spalla della Greengrass - cercava ancora di tenersi in equilibrio in maniera stabile, per quanto le fosse possibile.
    Non appena lasciarono quel nascondiglio improvvisato, qualcosa si mosse nell'ombra. E la mano di Fawn, quella con la quale stringeva fazzoletto e bacchetta, strinse il bastoncino di legno come se ne dipendesse della sua vita. Cosa non troppo distante dalla verità, a giudicare dai due esseri che sbarravano loro la strada. Quello che somigliava ad un ragno troppo cresciuto se ne stava sulla porta in attesa; l'altro, colui che le aveva probabilmente rotto una costola, non aveva perso tempo nell'attaccarle. Prese velocità, con la ferma intenzione di disarcionare Fawn di dosso alla Serpeverde. Ci sarebbe anche riuscito, se solo gli sforzi combinati delle due ragazze non gliel'avessero fatta mancare per un pelo. « E levati dal cazzo, dannazione. » Sibilò la Byrne tra i denti, prima di mollargli istintivamente un colpo con quella stessa mazza che la compagna le aveva dato in custodia. Rincarando poi la dose con un Deprimo, che se non altro l'avrebbe infastidito abbastanza da garantire loro un certo margine di tempo. « Forse aiutarmi non è stata l'idea del secolo, eh? » Disse a fatica mentre lo sguardo si fissava sull'essere a otto zampe. Come avrebbero fatto a toglierlo di lì?
     
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    « Dallas è salvo, quindi. » Per un attimo né lei né Trixie sembrano capire quell'affermazione. «Deve aver sbattuto anche la testa, tra le altre cose. Più forte del previsto, sicuro.» Ma poi Maze capisce e scoppia a ridere, di gusto, portandosi una mano a coprirsi la bocca, come l'etichetta imporrebbe ad una brava ragazza di buona famiglia come lei. «Buona questa, davvero! E sì, purtroppo è ancora vivo e vegeto, non potevo non aiutare una dolce donzella in pericolo. E' più forte di me, a quanto sembra.» La risata prosegue per qualche altro secondo, prima di notare la stoffa del suo fazzoletto, dove si è andata formando una chiazza di sangue lì dove la Byrne vi ha appena tossito sopra. « Grazie. » Incrocia per un attimo i suoi occhi chiari, piegando la testa di lato, quasi a volersi far scivolare addosso quel complimento per il suo buon cuore. Un buon cuore che, Maze deve ammettere, non si fa vedere troppo spesso, specie in quell'ultimo periodo. Forse perché la diverte di più vedere la gente correre di qua e di là, in preda al panico, quando di fronte a loro compare uno dei suoi preziosi gioiellini. Forse perché è divertente osservare il caos generale dall'altezza del suo essere totalmente immune. Già, forse. Però ci sono delle rare e sostanziali eccezioni, e Fawn è una di loro. Non sa cosa ci sia nella ragazza ad aver attirato la sua attenzione. Forse è proprio la sua appartenenza al genere femminile il suo punto di forza agli occhi di Maze, vista la sua propensione al salvaguardare le donne, da quando è arrivata sulla Terra. Di certo la incuriosisce quel suo spirito di ribellione. Anche mezza morta e indebolita, lasciata da sola a vedersela con due mostri infernali, lei trova la voglia di fare una battuta e riderci anche sopra. Il sarcasmo prima di tutto è una qualità che ha sempre apprezzato, dopotutto. Così si ritrova a sorriderle, mentre cerca di trovare le parole giuste per non essere troppo brusca a riguardo. Ma Maze non è un dottore, Trixie di medicina non c'ha mai capito nulla e quindi cercare di essere diplomatiche in quella situazione non è facile. «Okay, tesoro, non c'è un modo carino per dirlo, ma credo sia il caso di sbrigarci perché quello..- accenna al fazzoletto con il mento - non sono un'esperta un materia, ma non è un buon segno.» Così le si avvicina, cercando di farle quale possa essere l'unica opzione con la quale potrebbe uscire viva da quel posto, cioè starle talmente appiccicata da farla scambiare per lei stessa. Ma questo a lei non lo dice, a lei basta sapere che salendole sulle spalle, sarà al sicuro, perché lei la porterà fuori, a qualsiasi costo. « Niente maratona di New York anche oggi. Che schifo di vita. » Ridacchia, ancora una volta. Sì, le piace proprio questa Fawn Byrne. sprezzante anche di fronte alla possibilità di rimanerci secca lì. «Vedila il lato positivo della cosa, potresti aver trovato la tua principessa azzurra. Quando ti rimetti, ti ci porto io a New York.» «Con il jet privato della mia famiglia.» Proprio con quello, brava tesoro, sei proprio intelligente. « Tranquilla: massimo rispetto per le mazze altrui. Sempre. » Annuisce, ridendo sotto i baffi di fronte all'ironia dell'avere condiviso una certa mazza, a quanto è venuta a sapere. «Questo e altro per le sorelle di pene, eh?» Butta là quella che è una battuta che sostava sulla punta della sua lingua da quando si sono ritrovate faccia a faccia. Attende poi che lei salga in sella , per sistemare la bacchetta sulla tasca posteriore dei pantaloni e portare entrambe le mani ad incastrarsi sotto le ginocchia di lei. «Okay, Fawn, reggiti forte e goditi questo viaggio sensazionale!» Ridacchia, mentre esce da fuori lo scaffale e prende ad attraversare la biblioteca che sembra essere diventata un campo di battaglia. Si avvia verso la porta ed è in quel momento che capta un movimento con la coda dell'occhio. Mentre una di quelle creaturine fa la guardia, da brava sentinella, alla porta, l'altra prende la rincorsa e si avventa su di loro. Maze fa in tempo a lanciargli un'occhiata offesissima, prima di tentare di balzare in avanti, reggendo ancora più forte la presa intorno alle gambe della Grifondoro. « E levati dal cazzo, dannazione. » Fawn dà una bastonata alla creatura e Maze rimane di stucco. Ha fegato, cazzo! «Beh, sono ammirata. Bel colpo!» Si complimenta con lei. « Forse aiutarmi non è stata l'idea del secolo, eh? » Si stringe nelle spalle, mentre si guarda intorno, per tentare di capire se vi siano altre vie di uscita, pur sapendo benissimo che non ve ne sono.
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    «Mai stata un tipo convenzionale. Carpe diem per me vale anche per le situazioni scomode!» Specialmente per queste! «E poi non ti potevo lasciare qui da sola, sarebbe stato un terribile spreco.» «Ma seriamente ci stai provando mentre sta mezza moribonda?» In quale situazione peggiore potrei mai beccarla? Eppure è un amazzone, combatte per rimanere in vita, combatter per se stessa, è una cosa che adoro, lo sai. La sua completa attenzione torna alla creatura di fronte a sé. La mano scivola a riprendere la bacchetta dalla tasca, mentre tutto il peso della Grifondoro passa sull'altro braccio e comincia a farsi sentire, decisamente. Okay, bisogna uscire alla svelta o io non riuscirò più a tenerla e il ragnetto se la sbranerà viva, appena l'appoggerò a terra. Si dà la conferma, mentalmente. Ed è allora che punta la bacchetta contro l'esserino che ai suoi occhi appare come piccolo e indifeso, quasi al pari del suo Cerby. Perdonami, tesoro, ci vediamo dall'altra parte, lo prometto. «Stupeficium!» Un raggio di luce invadente fuoriesce dalla punta della sua bacchetta e si infrange contro l'animale, che, dopo qualche istante di stordimento, cade a terra, senza sensi. Ingombrante com'è, ha chiuso loro la via di fuga e allora è costretta a castare un ulteriore incantesimo levitante, per spostarlo di qualche centimetro a destra, quel tanto che le consente di aprire la porta ed essere fuori. Corre per qualche minuto per i corridoi, guardandosi intorno, cercando di capire se vi siano altri pericoli in vista. No, sembrerebbe di no. «Okay, dovremmo cercare sicuramente qualche professore, ma ti sento troppo debole per aspettare di incappare in uno di loro, per caso.» Si avvicina alla statua di Sir Ulrich che ha tre scalini alti ai suoi piedi. «Prima tappa raggiunta, signorina» e dicendo ciò, ve la deposita sopra, per poi piegarsi sulle ginocchia, di fronte a lei. «Non respiri bene e io sono una schiappa in Incantesimi, ma due formule me le ricordo, credo..» Questo è ciò a cui porta il preferire il gingillarsi con i piaceri altrui piuttosto che studiare, lo sai Trixie? «Il bue che dice cornuto all'asino, eh?» Scrolla il capo, tornando a Fawn. «Boh, io ci provo, che dici?» E senza aspettare oltre, punta la bacchetta contro il suo torace. Casta un apneo che dovrebbe aiutarla a liberare le vie respiratorie, per poi passare ad un epismendo. «Cavolo, non sono certa nemmeno che la pronuncia sia giusta!» Si ritrova a commentare, sovrappensiero, prima di guardarla. «Cioè, sì, insomma, come ti senti? Ti ho rotto qualche osso? Ti senti diversa? Meglio?» Le domanda, prima di percepire un rumore provenire dal corridoio di destra. Scatta in piedi, appena in tempo per veder sbucare dall'angolo Dallas. Inclina la testa di lato, con un sorriso angelico a dipingerle le labbra, mentre negli occhi di lui vede farsi avanti il terrore. «Oh, ma guarda che deliziosa sorpresa. Oscar, tesoro, ti unisci a noi.» La sua voce si alza appena di qualche tono, tanto sembra essere felice di quell'improvvisa rimpatriata, pregustando già il sapore di un impareggiabile scontro sulla propria lingua. «No, io scappavo dall'ennesimo mostro. Ehi, Byrne, felice tu sia viva.» Maze lancia un'occhiata a Fawn, prima di tornare a lui. «Ma sì, insomma, io andrei. Fate attenzione ragazze, mi raccomando! Ci becchiamo in giro, si spera.» Schifoso smidollato che non sei altro! La mora scocca la lingua contro il palato, ripetutamente, in un suono di disapprovazione. «Incarceramus!» Lunghe funi vanno a stringersi contro le mani e i piedi di lui, costringendolo ad inginocchiarsi, per non cadere con la faccia a terra. «Non era una domanda, Oscar caro. Ti unisci a noi. Nessun punto interrogativo, punto e basta.» Sbatte le ciglia, come una bambina, prima di voltarsi nuovamente verso Fawn. Inarca le sopracciglia, accennandole il loro bottino di guerra. «Allora?» Le domanda, con sguardo interrogativo. «Abbiamo qualcosa da dire al cavaliere dell'anno, che ti ha lasciata a morire da sola con quei mostri infernali?» Divertiamoci un pochino, dai, Fawn.



    Edited by wanheda‚ - 13/2/2018, 23:08
     
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    « Occhio che ti prendo in parola, sia sulla storia di New York che sulla principessa azzurra. Io starei molto attenta... » Le prime parole della Byrne in risposta a quanto Maze aveva detto, accompagnate da un sorriso stanco. Lasciò che la compagna la depositasse sulle scale ai piedi della statua, ignorando bellamente il commento sul proprio stato di salute. No, in effetti non era messa per niente bene. Respirare le risultava sempre più faticoso e le immagini attorno a lei sempre più sfocate, il che poteva significare una cosa soltanto: era sul punto di svenire. Era assurdo ed assieme irritante quanto il corpo umano sapesse essere ridicolo, a volte: aveva resistito fino a quel punto... e ora, appena fuori pericolo, si lasciava andare così? Sbatté lentamente le palpebre un paio di volte con lo stato di coscienza che le scivolava praticamente via tra le dita. E avrebbe sicuramente perso conoscenza, se soltanto la Greengrass non avesse avuto la prontezza di riflessi di curarla. E, ad essere sincera, era così stordita, dolorante e a quanto pare grave, che non riuscì a distinguerne le parole fino al primo incantesimo, quello atto a liberarle i polmoni. Spalancò gli occhi. Nonostante il fastidiosissimo e martellante dolore, quello era un enorme passo avanti. «Cioè, sì, insomma, come ti senti? Ti ho rotto qualche osso? Ti senti diversa? Meglio?» Si ritrovò a tossire - più per essere stata sistemata tanto velocemente che per una mancanza della Serpeverde -, ma alzò una mano, come a rassicurarla. Uno, due, tre colpi di tosse. Si prese qualche istante per riprendere aria, prima di pronunciare un gracchiante ma comunque sollevato: « Sto molto, molto meglio. Sei un tesoro, grazie! » E si sciolse in uno dei suoi enormi, sinceri e luminosi sorrisi. Quasi non avesse rischiato di lasciarci le penne appena qualche secondo prima. Alla fine, però, non era proprio quel quasi il punto di ogni cosa? Considerato l'ambiente in cui erano stati costretti, non era forse quel quasi il filo sul quale erano costretti a tenersi in equilibrio? E in quel sorriso rivolto alla verde-argento c'era tutta la gratitudine del mondo. Senza di te, il mio quasi sarebbe stato diverso. Sarebbe diventato un ce l'ha quasi fatta. Avrebbe probabilmente esternato quel concetto, se soltanto le cose non avessero preso una certa piega. E la piega era composta da un'inattesa apparizione del lupus in fabula: Oscar Dallas in persona. Vivo, vegeto e vigliacco come sempre, a quanto pareva.
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    «Oh, ma guarda che deliziosa sorpresa. Oscar, tesoro, ti unisci a noi.» Non si mosse ancora da dov'era seduta. Non si mosse non perché non volesse prendere parte alla conversazione o non avesse qualcosa da dire, no. Non fece niente, per il momento, perché osservare quello strambo scambio di opinioni - se così si poteva definire - tra Maze e Oscar, aveva un qualcosa di divertente. In più prima di alzarsi dalla sua postazione voleva assicurarsi di essere tutta intera per davvero e non solo per modo di dire... dato che sapeva benissimo cosa stava per succedere. Lo sapeva e, per la prima volta dopo molto tempo, non aveva alcuna intenzione di provare a cambiare il corso delle cose. «Allora?» Si stava giusto stiracchiando, alla stregua di un gatto - lentamente e senza nessuna fretta - quando la compagna le parlò nuovamente. Fawn, dal canto suo, si limitò ad un mezzo sorriso enigmatico nell'incrociare gli occhi di lei. «Abbiamo qualcosa da dire al cavaliere dell'anno, che ti ha lasciata a morire da sola con quei mostri infernali?» Il sorriso si allargò. Non aveva niente a che vedere con quello luminoso di prima, tutt'altro - sembrava non promettere niente di buono. Ed era effettivamente così, dal punto di vista della giovane Grifondoro. « Un sacco di cose, in effetti. » Si alzò in piedi solo a quel punto, dirigendosi verso il muro contro il quale Dallas si era adagiato - legato come un salame - a passi lenti e cadenzati. Una lentezza che andava a contraddire la rabbia cieca che le scorreva nelle vene come lava. Una rabbia che non avrebbe neanche provato a ricacciare indietro. Lanciò un'occhiata a Maze, come ad avvertirla. Se devi fermarmi,
    fallo adesso
    o forse era più un se mi spingo troppo in là - fermami , perché sapeva benissimo di non poterlo fare da sola. Sapeva che la condanna, Dallas, se la fosse firmata da solo nel momento stesso in cui era rientrato nel suo raggio visivo. « Sei un essere disgustoso. » Gli disse, nella voce una dose di velenoso distacco che nemmeno credeva di poter produrre. Un primo calcio. Il rumore della suola degli anfibi che andava a infrangersi contro il fianco di lui, costringendolo in una posizione innaturale e scomoda, che sarebbe stata riconducibile a quella fetale se soltanto... beh, non fosse stato legato. E la Byrne sapeva bene che la violenza non fosse la soluzione, ma proprio non riusciva a scrollarsi tutta quella furia di dosso. E i lamenti soffocati del Corvonero, che in quel suo stato alterato le giungevano alle orecchie ovattati e che normalmente forse le avrebbero fatto da monito o segnale per fermarsi, non servivano niente. « Ti rendi conto che » un secondo calcio, ancora meglio assestato del primo e più rabbioso, allo stomaco « al mio posto ci poteva essere chiunque? Anche un ragazzino? » Un terzo, un quarto calcio, mentre si spostava verso l'alto. Sapeva che avrebbe potuto usare la magia e che forse un Crucio avrebbe potuto fargli altrettanto male. E sapeva pure che le avrebbe permesso di non sporcarsi le mani e di uscirne pulita. Ma non le importava. Non le importava perché aveva avuto una paura matta di morirci per davvero in quella biblioteca, e senza Maze probabilmente sarebbe successo; non le importava perché non riusciva a scacciare l'immagine di chiunque altro al proprio posto; non le importava perché magari Dallas era già responsabile della morte di qualcuno, ed aveva tenuto chiusa quella boccaccia solo per pararsi il culo. Se lo meritava. Si meritava di portare i segni, le cicatrici. Per quanto malato potesse suonare - voleva se lo ricordasse perché non osasse farlo di nuovo. Con qualcun altro, magari.
    « Sei una merda, Dallas. »
    Una pioggia di calci, precisi e pesanti, atti a far male - un paio in bocca. Fece un passo indietro, il corpo teso come una corda di violino. A quel punto si voltò verso Maze senza degnare Oscar di uno sguardo. Senza nemmeno accertarsi se stesse sanguinando. « Vuoi aggiungere qualcosa, sorella? »

    Edited by hanaemi} - 21/2/2018, 18:03
     
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    « Sto molto, molto meglio. Sei un tesoro, grazie! » Inclina la testa di lato, a quella parola che riesce a scaldarle il cuore. Hai capito, Trixie? Sono un tesoro. Proprio io. Ci avresti mai creduto? Beatrix sbuffa, palesemente divertita da quel cambio di tono e di situazione. Si fa tutto più leggero quando le loro orecchie riescono a percepire il respiro più regolare di Fawn. Il petto le si alza e si abbassa ad un ritmo normale e il rantolio di pochi minuti sembra averla abbandonata del tutto. E' tutto più tranquillo e luminoso, come lo è il sorriso che Fawn le rivolge e che lei contraccambia con tanta allegria.
    Le situazioni, però, cambiano, mutano velocemente. Un attimo primo stai per morire dentro una biblioteca fatta a pezzi, il secondo dopo stai meglio, sembra quasi che per te non sia ancora arrivato il giorno di tirare le cuoia e quello ancora dopo ti ritrovi davanti alla faccia da culo che ti ha lasciato a marcire da sola, non curandosi della tua più ovvia e palese fine. Se cercate feccia umana dentro il vocabolario, di certo vi uscirà fuori la faccia di quel coglione che ora è lì, legato come un salame, che spera ancora di poter scappare all'ira di due donne che decidono di collaborare per avere un po' di vendetta. Oscar Dallas, un ammasso di cellule inutili, probabilmente il peggior spreco di spazio vitale e di ossigeno che Maze abbia mai avuto il piacere di incontrare. Perché insomma, un conto è avere paura, la paura è un'emozione umana che ha imparato a capire, con il tempo, così come l'istinto alla sopravvivenza, un conto è fare il pezzo di merda perché fondamentalmente si è soltanto dei grandissimi cagasotto. E questo è il caso del ragazzino inconcludente che ha di fronte. Lancia un'occhiata a Fawn, perché insomma, a Maze certi comportamenti non sono mai piaciuti, quindi non vede l'ora di imporre un po' di sana tortura, che deve ammettere, le manca non poco. E poi ha anche un dannato bisogno di divertirsi, ha bisogno di svagarsi un po' e quale modo migliore che cercare di accendere la miccia per uno spettacolo pirotecnico? Per questo decide di servire a Fawn il piatto principale di quella che spero sarà una cena gradita alla ragazza. Oh, Fawn, non deludermi, non lo fare anche tu sembrano dirle i suoi occhi imploranti, mentre le passa la metaforica frusta dalla parte del manico. E no, signori e signore, dopo attimi di silenzio, riempiti dal nulla totale, il sorriso diabolico che si allarga sulle labbra della Grifondoro è, a dir poco, delizioso agli occhi di Maze. « Un sacco di cose, in effetti. » Lo sguardo di Maze si illumina di luce propria, mentre osserva i movimenti della mora. La guarda avvicinarsi alla loro preda, la sente insultarlo e il sorriso sulle sue labbra si allarga ancora un po' quando sferra il primo colpo: un calcio, dritto al fianco. Il Corvonero mugola di dolore e Maze batte le mani, l'attrito tra di loro è volutamente attutito, così che Fawn possa non sentirlo e non prenderla per la pazza sadica che, probabilmente, è davvero. « Ti rendi conto che al mio posto ci poteva essere chiunque? Anche un ragazzino?» Un secondo, un terzo calcio e dalla posizione in cui si trova Maze, tutto sembra acquisire un colore più piacevole, star a guardare mentre la giustizia si cala sul ragazzo che non ha avuto abbastanza le palle da salvare una sua compagna. Fawn comincia a colpirlo a raffica e agli occhi cangianti della Serpeverde lei non appare in altro modo che come Atena, la dea che con la sua bilancia decide chi è nel torto e chi nella ragione. E Oscar, tesoro, ti sei sbagliato così tanto tu. E ora paghi, oh sì, paghi per i tuoi errori. « Sei una merda, Dallas. » E' quasi eccitante per lei vedere quella scena. Il sangue le scorre nelle vene ribollendo di euforia per la scena a cui le è concesso di assistere. Oh, ti prego, ti prego, ti prego Fawn, finiscilo. Io lo maledico, tu lo mandi all'Inferno e tanti cari saluti, chi si è visto, si è visto. Ma ahimè, pretendere così tanto da un'anima pura com'è quella di Fawn è eccessivo, persino per lei, e lo capisce quando lei alla fine si blocca, ancora vibrante dell'adrenalina che ha mossi i suoi movimenti fino a quel momento e si gira a guardarla. Ha un principio di broncio, Maze, nel vedere che lo spettacolo sta scemando lentamente verso la sua conclusione. « Vuoi aggiungere qualcosa, sorella? » Eppure no, c'è ancora un barlume di lucentezza che si accende negli occhi di Fawn e che, di rimando, va ad abbellire anche gli occhi di Maze. Oh sì, tu mi piaci, davvero tanto, sorella, fattelo dire. Piega la testa di lato, in un cenno di assenso. Sta accettando la sua proposta a farsi avanti, per divertirsi anche lei, in prima persona e non di luce riflessa. Si passa la bacchetta tra le dita, con fare sadico, mentre un ghigno si palesa sulle sue labbra. «Vediamo, vediamo..» La tortura, la sua specialità nella Loggia Nera. Si bagna le labbra con la punta della lingua, mentre le si fa sempre più vicina.
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    «Guardati, piegato su te stesso, sanguinante, dolorante, picchiato da una donna, quella stessa donna che avresti lasciato marcire e crepare perché troppo codardo per salvare anche lei. Non ti fai un po' schifo? Perché in effetti, fai davvero ribrezzo.» Si abbassa al suo livello, piegandosi sulle ginocchia. Reclina il capo, per cercare di accalappiare il suo sguardo con il proprio. «Cosa pensavi, tesoro? Che la tua vita valesse più della sua? Che la tua pelle valesse più della sua, se salvata?» Gli domanda, con fare canzonatorio. «Eppure, da umile spettatrice esterna, posso soltanto dire che ti sei sbagliato così tanto. Non hai centrato il bersaglio nemmeno per sbaglio. Oh sì, hai sbagliato proprio persona, tesoro Ridacchia, mentre gli alza il mento con l'indice e lo costringe a guardarla. «Ricordati questo visino d'angelo...- si indica il proprio volto con la punta della bacchetta, prima di avvicinarsi di qualche altro centimetro a quella faccia tumefatta e livida - quando sentirai il fuoco che ti divamperà dentro le vene e ti corroderà dall'interno.» Gli stampa un bacio sulle labbra. Il bacio di Giuda e con un sorriso si ritira su. Si gira verso Fawn, facendole un occhiolino furbo, per poi tornare a lui, per concludere lo spettacolo in bellezza. «Sectumsempra!» Dalla punta della sua bacchetta esce un fascio di luce scura e il corpo di Oscar viene investito da scariche elettriche che lo costringono ad urlare di dolore. Perché il dolore che sta provando è fin troppo forte per tenerselo dentro. Squarci su squarci cominciano ad aprirsi sulla sua pelle già provata, il sangue comincia a fuoriuscire copiosamente dalle ferite e lui si dimena, mugolante, sotto gli occhi indifferenti di Maze. «Non lo puoi uccidere, Maze!» Le urla Trixie. E perché no? E' quello che si merita, lui l'avrebbe lasciata morire lì dentro. Morirà, io lo maledirò e diventerà un'altra anima che andrà a riempire le fila della Loggia Nera. Vedi che brava? «Ma non è così che funziona sulla Terra. Non lo uccidere!» Rotea gli occhi quando si accorge che Beatrix le ha tolto tutto il vero divertimento di ciò che ha appena fatto. Sei una maledetta guastafeste, per una volta che mi divertivo, sei riuscita a togliermi anche questo. Grazie tante! Muove la bacchetta a mezz'aria e lancia il contro incantesimo che fa smettere la maledizione. Sbuffa, Maze, mentre vede Oscar rilassarsi, per quanto può essere rilassato un mezzo moribondo. Ma respira ancora e gli serve aiuto. Aiuto che di certo non le darà lei. Né tanto meno Fawn. «Expecto Patronum!» Uno scorpione azzurognolo esce dalla sua bacchetta e aspetta i suoi comandi. «Cerca Wilde, digli che abbiamo trovato Dallas mezzo morto che ha bisogno di cure, ma che c'è anche la Byrne che è ferita e io mi occuperò di lei, nel frattempo.» L'animaletto fugge via, alla ricerca del professore, mentre lei si gira verso Fawn, come niente fosse, con un mezzo sorriso celato tra le pieghe delle sue labbra, senza più degnare di uno sguardo Dallas, che deve essere svenuto, visto il suo non emettere più suoni. Smidollato! «Direi che hai ripreso un po' di forze..» valuta guardandola in tutta la sua interezza, da capo a piedi, in maniera avvolgente. «Sfogarti ti ha rinvigorita. Hai ripreso anche un colorito umano e quasi accettabilmente sano.» Le sorride, mentre le si avvicina di qualche passo. «Sempre detto che un po' di sana giustizia porta solo degli ottimi benefici.» Si stringe nelle spalle, prendendosi il merito di quella vendetta privata che si è consumata di fronte ai loro occhi. «Ma hai bisogno di riposo, non so per quanto il tuo corpo reggerà, una volta che l'adrenalina l'avrà abbandonato completamente. Preferenze su quale Sala Comune andarci ad accampare?» Le lancia un'occhiata complice, prima di raccogliere da terra la sua fedele mazza da baseball. «Credo che quella di Corvonero sia la più vicina da raggiungere, senza farti fare chilometri!»

     
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