Knocking on heaven's door

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    Slytherin pride

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    the void of metamorphoses

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    La verità è che la cosa da cui Amunet Carrow ha sempre tratto maggiore piacere, un piacere masochistico per l'esattezza, è contraddirsi da sola; una coerente forma di incoerenza, di cui a dirla tutta non andava particolarmente fiera, ma che, rientrava nella sua indole. Nella sua regolata vita perfettamente messa a punto, coesisteva un impulso istintivo sfrenato, che si estrinsecava nelle maniere più insospettabili. L'arte dell'amore era una di queste. Le piaceva autoimporsi dei limiti solo per poi valicarli. Nell'amore, alla Carrow piaceva perdere, le piaceva farsi vedere vinta, vulnerabile, bisognosa, prettamente femmina. Non si vergognava di quel profondo dissidio tra la necessità di subordinare ed essere subordinata. Non c'erano le mezze misure; non c'era il concetto di uguaglianza. Noi due non siamo uguali. Siamo schiavi o padroni. Ed entrambe le prospettive la facevano impazzire; l'idea di sottostare era eccitante tanto quanto l'avere il controllo della situazione. Estremi. Sempre estremi, perché come ha avuto modo di appurare più di una volta la Carrow, la vita è troppo breve per le mezze misure. Certo è che, i limiti ci sono sempre stati, se li è sempre prefigurati, a loro volta come una specie di doloroso piacere autoindotto. Cosa c'era di più eccitante del proibito? Cosa c'è di più stimolante di una situazione che non dovrebbe semplicemente avvenire? Tanto nell'amore quanto in qualunque altro ambito, il proibito smuove ponti apparentemente inesistenti, crea nuove canzoni, nuove poesie. Per quanto insomma, Mun, provasse in tutti i modi di considerarsi una persona onestà e corretta tanto nei confronti degli altri, quanto nei propri, la verità è che a raccontare le bugie era una maestra. Questa cosa non la farò. Questa non posso permettermi di farla. Questa è sbagliata. Quest'altra, se anche avesse senso, mi condannerà all'infelicità. In quel momento, varcato il mondo di Albus Potter, Amunet Carrow era consapevole di aver superato tutti i limiti, di essersi spinta oltre tutti i limiti che avrebbe dovuto imporsi, e che forse, a livello inconscio si è che posta. E i limiti erano ad ogni passo. C'erano limiti tra loro nei confronti del resto del mondo, e anche limiti taciutamente imposti tra di loro. Noi non faremo questo, non faremo quest'altro. Tante volte Mun si è detta, questa cosa non la farò. Se lo è detta anche nei confronti di Albus. Non sarò gelosa, perché non ne ho diritto. Lui non è mio. Lui non è nessuno, e quindi io non avanzerò pretese. Eppure lo aveva fatto, più e più volte quella sera, e sapeva che quella sarebbe stata solo la punta dell'iceberg, perché sfiorato con un dito il proibito, volerselo accaparrare diventa non solo una sfida, ma anche e soprattutto una specie di droga. Sfidando tutte le leggi e i limiti di Amunet Carrow, Albus Potter stava risvegliando nella Caposcuola, quel bisogno di affermare quel lato di sé prettamente ossessivo, a tratti malato, forse insano. Hai visto solo uno squarcio, ma resteresti davvero se riuscissi a vedere l'interno panorama? Staresti ancora qui a rimproverarmi di non averti fermato? Un'incertezza quella che volente o nolente attanaglia questa Mun, colta al solito dalla sua tremenda insicurezza, e inaspettatamente da quel bisogno di prendersi tutto, di avere tutto, di essere al di sopra di tutto. Ed ecco perché più che dal suo stesso piacere, la ragazza traeva piacere dalle reazioni di lui, dalla vivida luce che brillava nei suoi occhi, dai suoi respiri, dal suo continuo flettere i muscoli sotto il tocco di lei. Era gratificante, terribilmente piacevole, rendersi protagonisti di reazioni così intense nell'altro, qualcosa che Mun aveva sempre trovato eccitante. Sentirsi a tratti schiava di lui, a tratti la sua padrona, vedersi assecondare e paradossalmente soffocare con così tanta morbosità, la portava in uno stato di estasi per al di sopra del semplice culmine del piacere. Più del punto d'arrivo, a Mun piaceva il viaggio, il modo in cui una strada veniva percorsa, perché lungo il viaggio si scoprono tante cose, s'impara a conoscere l'altro. E Mun, stava imparando a conoscere in quel momento Albus sotto una luce completamente diversa, tanto quanto inaspettata. Tutto il contrario di tutto, il giovane Potter, non tanto nelle parole o nelle azioni, quanto nel substrato del suo esistere. E quando il primo gemito di lui arrivò inaspettatamente, ebbe la conferma di essere la sua principessa, colto da una debolezza che le aveva mostrato con così tanto candore da strofinare il nasino contro il suo in una mossa di pura tenerezza. « Oh, Mun..dritta al cuore, senza pietà. » Scivola fuori e lei soffia frustrata sulle sue labbra chiudendo per un istante gli occhi. Un'agonia che sembra ormai protrarsi da troppo tempo. « Ma certo che apprezzo le tue gentilezze. » Le sue attenzioni su di lei la obbligano a mordersi il labbro inferiore cercando di distrarsi concentrandosi su di lui, andandogli inoltre ancora una volta incontro nel chiaro intento di fargli intendere di andare oltre. Man mano che il suo mortificante ritmo va avanti e le loro fronti s'incollano, il respiro di lei si fa più pesante, quasi acuto e l'espressione muta verso una semplice più limpida dolce sofferenza. Ed è quando scopre il seno, colta alla sprovvista dal cambio di rotta che stimola malvagiamente la sua sensibilità che un gemito più pronunciato fuoriesce dalle sue labbra, controllato solo dal lungo sospiro che lo accompagna. « Le apprezzo così tanto che davvero mi sentirei un mostro a non ricambiarle. » Si sente colta dalla palese piacevole promessa della tortura che l'aspetta. Qualcosa che non nasconde, mostrandogli un'espressione a metà impaziente a metà quasi implorante. Le sue mani iniziano allora a seguire movimenti sincronizzate. Un occhio per occhio che le fa martellare il cuore nel petto e che capisce soltanto quando alle dita sostituisce le propria bocca. Cedono appena le gambe di Mun, obbligata sempre di più a sorreggersi al corpo di lui. Sottrae la mano dai suoi boxer, costretta a stringere la presa contro le sue braccia, mentre piano piano perdere il contatto visivo. Ma non resiste, e continua a guardarlo, mentre volutamente, le mostra alla stessa maniera in cui ha fatto lei, cosa potrebbe essere. E per un istante si maledice; quel pensiero, l'idea, il concetto, immaginarlo, lì, mentre la guarda di rimando con la bocca incollata al suo petto, la fa letteralmente impazzire. Intreccia le dita attorno ai suoi capelli mentre uno ad uno i respiri si fanno sempre più affannati e le sue espressioni sempre più palesemente divise tra dolore e un piacere sempre più inebriante. Non è quello che fa; è quello che potrebbe fare, quello che volutamente non fa, ma decide di lasciarle intendere. La forma più alta di tortura che la porta a inarcare la schiena e spingersi contro la sua bocca con più decisione assecondandolo come farebbe.
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    E quando torna dentro di lei, la stretta sui capelli di lui si intensifica e i gemiti diventano due, poi tre, all'inizio sospirati e leggeri, ma mano sempre meno discreti. Ma il tutto si ferma, e a quel punto, di fronte al sorriso infantile del beffardo angelo, la giovane non può fare a meno di scuotere la testa in segno di finta disapprovazione. « Animale. » Si ritrova a sussurrare con una parvenza di frustrante non ritegno. A quel punto di mostrarsi in pena non le interessa più. Ha ceduto ogni cellula di se stessa all'essere mostruosa che ha di fronte a sé, e mostrarglielo, mostrargli quella dipendenza che riesce a istigarle, è tutto fuorché mancanza di orgoglio o superiorità. Ma inaspettatamente Albus Potter la contraddice ancora una volta, e dell'animale in cerca dell'autocompiacimento personale non ha nulla. Carezze dolci spezzano quello sfiancante spettacolo lui. E lei acconsente, appoggia la testa contro la sua spalla, prendendo fiato, lasciandosi inebriare da quei gesti teneri che sembrano ricordarle ancora una volta di trovarsi in un luogo protetto, accanto a una persona di cui volente o nolente ha imparato a fidarsi più di quanto sia pronta ad ammettere. C'è confidenza e chimica, e un desderio che non lascia spazio a fraintendimenti. « Già..pensa se solo potessi baciarti. Scommetto che sarebbe delizioso. Ma la tua immaginazione può bastarmi..per il momento. » Colta alla sprovvista dal suo riprendere con più vigore, arpiona le dita attorno alle sue spalle, mantenendosi saldamente aggrappata a lui, mentre la pressione nel suo petto si fa sempre più opprimente. I momenti in cui trattiene il respiro vengono alternati a gemiti che rasentano l'indecenza. Le giuste parole al momento giusto. Così le chiamerebbe se la sua mente funzionerebbe in maniera prettamente lucida. Soffia contro il suo collo, mentre l'istinto la porta a intrecciare nuovamente le dita tra i suoi capelli, tirandoli questa volta con molta meno delicatezza. Le cosce tremano sotto il suo tocco, mentre l'espressioni si fanno sempre più evidenti, evidenziando quel climax che le provoca impunemente. Glielo lascia fare, si abbandona, lo brama mentre sussurra nel suo orecchio, ancora e ancora preghiere alternate a gemiti che non si esauriscono. E alla fine, Amunet Carrow, abbandona la stretta sui suoi capelli, buttando la testa all'indietro ma senza chiudere gli occhi mantenendo quel contatto visivo che rende il punto massimo ancor più violento. Non si vergogna nemmeno di quel sto venendo che preanuncia il momento massimo portandola a contrarre i muscoli all'estremo, mentre le gambe cedono, obbligandola ad abbandonarsi completamente al corpo di lui. Resta in quella posizione per un tempo infinito, mentre gli ultimi gemiti si appiattiscono lasciando spazio a un respiro affannato. E a quel punto alza la testa e il volto di lui è lì, angelico e colmo di quella beffarda espressione da schiaffi che riesce a farle valicare ogni limite che conosca. Limiti. Tutti infranti. E allora uno in più non farà la differenza. Quindi attira il suo volto a sé e ne ingloba per la prima volta le labbra sentendo il piacevole sapore del tabacco di prima mischiato al suo sapore. Il sapore; l'ultimo pezzo mancante. Scava nella sua bocca con veemenza mentre compie un passo avanti, leggermente barcollante. Una mano lo spinge a indietreggiare, colta in quel bacio che non lascia spazio al respiro; lo voleva, così tanto e non se ne era mai accorta, e ora che lo sta facendo si rende conto che quello è l'ultimo passo sulla via della perdizione. Ed è un bacio colmo di dolore e piacere, di tormento, è morboso, colmo di pathos; un intrinseco modo per fargli comprendere che lei lì, così, non è triste. Lei in quel limbo potrebbe rimanerci. E continua a indietreggiare, ancora e ancora, finché il ragazzo non incontra il primo ostacolo utile. La superficie in marmo nero che contorna e unisce la fila di lavandini. A quel punto sorride sulle sue labbra e si stacca appena per cercare il suo sguardo. Ride appena, con la leggiadria di una bambina colta con le mani nel barattolo dei biscotti prima di cena. Di scatto le sue dita si fermano sul limitare dei suoi jeans, facendoli scendere sotto il fondo schiena con un gesto netto. Poi si allontana appena battendo tre colpi netti col palmo della mano, invitandolo a sedersi. Un sorriso malizioso si insinua nelle pieghe del suo volto mentre indietreggia di qualche passo. « Non muoverti. » Asserisce di scatto con un tono autoritario prima di girare l'angolo sparendo oltre il muro che divide la zona dei gabinetti dalla sala centrale dei lavandini. Ritorna da lui poco dopo. Si riserva l'occasione di guardarlo, tutto, chiedendosi con sempre maggiore curiosità cosa ci sia oltre. Il desiderio di valicare ogni confine si fa sempre più forte, ma resiste a quella tentazione mordendosi il labbro inferiore. Gli fa cenno di darle una mano per aiutarla a salire e sedutasi comodamente a cavalcioni sopra le sue gambe, le labbra di lei tornano a toccare le sue in un bacio prettamente innocente. « Non avrai mica pensato che mi sono scordata di te. » Asserisce con una nota fintamente dispiaciuta, ben consapevole di averlo tenuto in tensione per sin troppo tempo, concentrata su se stessa com'era stata. Per la prima volta Amunet Carrow ha il privilegio di guardarlo da quella posizione dall'alto. Percorre con i polpastrelli di entrambe le mani il suo volto. Gli accarezza i capelli, soffia morbidamente sul suo volto. Azioni di una dolcezza infinita, morbidi momenti che si concludono col suo riprendere possesso delle sue labbra. Di scatto si allontana, lo guarda dritto negli occhi mentre le dita di lei sbottonano i primi due bottini utili della camicia, scoprendogli il petto. Vi posa un bacio, due, tre, fino a scendere verso l'ombelico dove si ferma. Troppo vicina in un gesto di pura provocazione. Gli afferra quindi i polsi e senza troppi complimenti, guida le sue mani sotto la propria maglietta, obbligando il reggiseno a salire appena per scoprire completamente i seni ora avvolti dalle mani di lui. E solo allora lascia scivolare una mano su di lui, iniziando a muoversi lenta guardandolo con uno sguardo colmo di sfida. La bocca cerca nuovamente la sua lasciando che la punta della lingua percorra le sue labbra. E alla fine ferma a qualche millimetro dalle sue labbra soffia poche parole mentre la mano rimasta libera si dirige verso la tasca anteriore dei propri pantaloni. Apri la bocca, Albus. Un tono mellifluo eppure colmo di autorità. Ed è quello il momento in cui il suo intimo viene incastrato nella bocca di lui. « Tu parli troppo. E' tempo di sentire. » Sentire il suo sapore. Sentire cosa lei ha da dire. Il busto quasi incollato a quello di lui, mentre si muove con sempre più decisione, accarezzandogli contemporaneamente i capelli in un gesto affettuoso. Gli occhi di lei sono a tratti ardenti, a tratti colmi di una tenerezza che si riversa tutta su di lui. Qualcosa di infinitamente complicato quello che la Carrow prova nel compiacerlo. Improvvisamente cambia rotta in quel gioco, afferrandogli dolcemente il mento, guidando lo sguardo di lui lontano da lei, alla sua destra, in uno degli specchi che li ritrae entrambi. « Guardati. » Sussurra al suo orecchio. « Guardami. » Continua, mentre incolla la tempia contro la sua senza perdere il contatto visivo con la sua loro immagine nello specchio, continuando a stimolarlo con movimenti sempre più veloci. « Guardaci. » Quest'ultimo sussurro ha un tono decisamente meno autoritario, meno intriso di malizia. Quasi una specie di consapevolezza personale su quanto questo luogo sbagliato sia così perfetto. Gli morde il lobo dell'orecchio con una certa intensità prima di lasciare che la punta della lingua assapori la pelle del suo collo. E allora torna a soffiare dolcemente nel suo orecchio. Voglio che tu ci guardi molto bene, Albus Potter. Perché arriverà il giorno in cui io ti scoperò così forte da farti star male. E nel dire ciò i movimenti presero a intensificarsi. E io non avrò mai abbastanza, e ti pregherò di spingere sempre di più, sempre più dentro. E tu impazzirai. E io impazzirò con te. E vorremmo morire, ma non moriremmo solo perché sarebbe un estremo peccato non fotterci ancora la testa a vicenda. Parole quelle che si accompagnano a un sempre più crescente ritmo. Parole dolci eppure violenti, combinate ad affondi sempre più sistematici e il tenero gesto di accarezzargli la nuca. Io ho bisogno di te. Altri sussurri più sensuali, mentre continua a guardare quelle belve allo specchio. Il ritmo continua, sempre più pesante, sempre più calcolato, sempre più intriso di un desiderio che volente o nolente coinvolge anche lei. Vieni per me, bimbo. Bimbo, una parola che nasconde così tanti significanti, che la mette di fronte a quel profondo affetto che volente o nolente prova; è lì. Senso di protezione, desiderio, un morboso affetto che sembra farle esplodere il cuore in petto, possessività. E' tutto lì, contenuto in quello specchio. Le ultime parole, queste mentre torna a guardarlo dritto negli occhi, hanno tutta l'aria di una provocazione bella è buona. E' la tua principessa a ordinartelo.


     
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    « The greatest thing you'll ever learn is just to love and be loved in return ». Quando siamo piccoli, tutto quanto ci indirizza a credere che nella vita avremo una sola grande opportunità e poi fine. Una persona, una a testa, una sola, che sconvolgerà la nostra vita dal giorno alla notte. Un unico grande amore: la tanto decantata anima gemella. Forse un po' abbiamo bisogno di crederci, a quella predestinazione, ma presto o tardi l'incanto svanisce e ci ritroviamo a fare i conti col cinismo della realtà: che nel mondo siamo 7 miliardi di persone e non è possibile che una sola sia quella giusta, e anche se fosse, trovarla sarebbe estremamente improbabile. Cresciamo e, pian piano, tutte quelle storie finiscono inevitabilmente per sbiadire. Le relazioni si susseguono, le persone cambiano, i rapporti mutano. E allora arriviamo a capire che forse, in realtà, quel grande amore di cui si parla non è altro se non la persona con cui finisci per stare insieme quando la musica si ferma al gioco delle sedie. Albus, in quel senso, era stato estremamente fortunato, perché ai suoi occhi il primo colpo era stato quello vincente. La prima fidanzata, il primo amore, la persona giusta. Per lui non c'era stato il via vai delle acerbe relazioni adolescenziali: aveva fatto jackpot, e nel farlo aveva sperimentato un sentimento così grande e potente da influenzare ogni sua decisione per ormai quasi tre anni. E forse sì, era arrivato a prezzo di un gran dolore, trovando la propria chiusura in uno ancora peggiore, ma la verità che si era palesata di fronte agli occhi del ragazzo era che lui, quel dolore, non lo avrebbe barattato per nient'altro al mondo. Tramite quel dolore aveva scoperto se stesso e gli altri, aveva visto in età così giovane una parte della realtà che molti ci mettono una vita a trovare e che forse nemmeno troveranno mai. E ciò che provava, quel misto di agonia e delizia nostalgiche, erano come il biglietto che conservava a ricordo di quel magnifico viaggio di esplorazione. Aveva imparato, Albus, che una persona non ne sostituisce un'altra, che i sentimenti non sono intercambiabili e non vengono trasferiti da un conto all'altro come una transazione bancaria: le persone che amiamo, in qualsiasi maniera le amiamo, continueremo sempre ad amarle, e rimarranno in eterno una parte di noi. Troppo a lungo il giovane Potter aveva guardato a quel proprio bagaglio sentimentale con amarezza, credendo che da quel punto in poi fosse tutto irrecuperabile, tutto destinato ad essere niente più che un tentativo di ricalcare un già visto. E ogni momento di quegli ultimi mesi era stato una tortura necessaria a mutare in lui quella convinzione, a scomporlo e ricomporlo in una persona nuova. La crescita, di per sé, è uno strappo, e come ogni strappo fa male, ma solo dopo averla compiuta possiamo realmente capire la sua importanza. Nel crescere inciampiamo, compiamo così tanti errori, imbocchiamo così tanti vicoli ciechi e strade accidentate da sentirci come destinati al fallimento. Quante volte, guardandoci alle spalle, abbiamo provato vergogna per anche una sola delle nostre azioni sbagliate? Quante volte avremmo desiderato tornare indietro e rifare tutto d'accapo? Ma il punto è che di sbagliare non smetteremo mai, come non smetteremo mai di soffrire, di singhiozzare ogni qualvolta la strada di fronte a noi si riveli l'ennesimo vicolo buio. Continueremo a cadere e rialzarci in continuazione, perderemo le speranze e le ritroveremo, assaggeremo la solitudine fino all'arrivo di una nuova compagnia, piangeremo tutte le nostre lacrime e rideremo fino a sentirci male. Non c'è nulla, nella vita, che sia davvero per sempre se non quel piccolo grande miracolo donato all'umanità: l'amore. L'amore è l'unica cosa che davvero duri in eterno, perché anche quando finisce, non muore mai, e continua a vivere dentro di noi per farne sbocciare dell'altro, diverso, ne' migliore ne' peggiore. Capirlo è tanto semplice quanto intrinsecamente complesso, perché non puoi semplicemente ragionarci sopra e arrivare a una conclusione, puoi solo lasciare che quel segreto ti venga mostrato, e solitamente accade nel momento in cui meno te lo aspetti. Accade nella più discreta e pacifica delle maniere: quando a un tratto, guardando qualcuno negli occhi - fosse anche la millesima volta che lo fai -, senti dentro di te che tutto andrà per il meglio, non importa quanto complicate e tragiche siano le circostanze..quella pace arriverà, di nuovo. « È necessario che l'anima continui ad amare a vuoto, o per lo meno a voler amare, anche soltanto con una parte infinitamente piccola di se stessa ». E forse aveva ragione chi aveva detto che, un giorno, tutto quel dolore gli sarebbe tornato utile.
    Nel sentire il corpo di Mun rispondere al suo tocco, un piacere più grande del piacere stesso cominciò a irradiarsi in lui, sfociando tutto in quell'apparente contrasto tra ciò che viene ritenuto tenero e ciò che invece viene etichettato come sporco. In una qualche maniera siamo sempre stati portati a credere che le due cose si escludano vicendevolmente, e si potrebbe stare qui a dibattere per giorni interi sui motivi di questo pensiero, sulle basi sociali e storiche che lo hanno plasmato; ma sviscerarlo in questa maniera non farebbe altro che sciupare l'incanto di quella improbabile convivenza di estremi. Chi aveva detto che il più basso desiderio carnale non potesse contenere in sé la più alta forma di dolcezza? Chi era stato a dire per primo che l'eccitazione vicendevole dei corpi fosse un atto animale, guidato da nient'altro che l'istinto? Perché Albus, nel suscitare quelle reazioni in Mun, non avvertiva il distacco della spudoratezza. Voleva eccitarla perché desiderava in maniera genuina darle piacere piuttosto che godere di se stesso per rimbalzo. Nei suoi gemiti tanto quanto nei suoi sussurri trovava il bisogno di spingersi oltre, la gioia nella duplicità del proprio corpo, tanto fautore di quei tremiti quanto roccia a cui aggrapparsi per affrontarli. La guarda e sa, la vede con precisione quella consapevolezza, quel voler essere entrambe le cose al tempo stesso. E dunque la lascia aggrapparsi, stringendole la vita per sorreggerla ulteriormente. La strinse e portò le labbra al suo orecchio, aspirando il profumo dei suoi capelli nel veloce intensificarsi dei propri movimenti. E' bellissimo starti dentro quando sei così bagnata per me: ci sei così vicina..lasciati andare, piccola. Voglio sentirti venire su di me. Fammi sentire che sei mia. Parole sussurrate al suo orecchio così piano da accarezzarla come un soffio appena accennato, non tanto perché qualcuno potesse rubargliele, ma piuttosto per lasciare che rimanessero esclusivamente in quello spazio quasi inesistente tra loro due, esclusivamente loro da udire e sentire. I respiri di Albus si fecero man mano più affannati nel sentirla contrarsi intorno alle sue dita, raggiungendo il climax del rapporto nel riversare su di lui le scariche elettriche che percorrevano il suo corpo fino a far toccare al ragazzo la più alta sublimazione sensoriale. Lentamente, nel sentirla sciogliersi pian piano e accasciarsi stancamente sul suo petto, estrasse le dita da lei in un'ultima carezza alla sua intimità, lasciando trapelare dal proprio una sorriso una piccola risata cristallina di pura delizia, accompagnata dal lento cullarla a sé. « Oh, oh whoa whoa is me. The first time that you touched me. Oh, will wonders ever cease? Blessed be the mystery of love » Ma inaspettatamente, quella risata priva di malizia non andò tanto a morire in maniera spontanea, quanto piuttosto venne interrotta dall'irrompere di un impeto che portò finalmente le loro labbra a incollarsi, lasciandolo sorpreso solo per una frazione di secondo prima di ricambiare quel bacio con crescente passione, intrufolando le dita tra i suoi capelli e spingendo la lingua alla ricerca morbosa di quella di lei. La ingloba, la attira così tanto a sé da sentirsi comprimere la cassa toracica al contatto col corpo di lei. Perché la vuole, la vuole così tanto e così disperatamente da desiderare il completo annullamento. Se solo potessi ti prenderei qui, contro questo muro. Parole che si ritrovò a formulare nella propria mente con una chiarezza angosciata, e al contempo traboccante di un desiderio cieco. « Oh, to see without my eyes. The first time that you kissed me. Boundless by the time I cried. I built your walls around me » Si lasciò spingere all'indietro senza protestare, lasciando anima e corpo in quel bacio fin quando non incontrò l'ostacolo di una superficie fredda dietro di sé, quella su cui lei lo invitò a mettersi seduto dopo aver abbassato ulteriormente il confine dei suoi indumenti. "Non muoverti." rimase interdetto per un istante, ma non disse nulla, rimanendo in trepidante attesa fino a quando lei non tornò da lui, fermandosi a guardarlo in una maniera che smosse ogni cellula del corpo di lui dalla consapevolezza di voler essere guardato, di bramare tanto il suo sguardo quanto il suo tocco come fossero l'ultimo bicchiere d'acqua nel deserto. Voleva leggere negli occhi di Mun lo stesso piacere adorante che sentiva lui nel guardarla, nel seguire con gli occhi le morbide linee del suo corpo. Con un sorriso dolce dipinto sulle labbra, le stese una mano per aiutarla a salire sulle sue gambe, fermando le mani ad accarezzarle le cosce nel mentre di tornare nuovamente sulle sue labbra, leggero, come - appunto - in un moto di adorazione per la più importante divinità. "Non avrai mica pensato che mi sono scordata di te." Ridacchiò appena, lasciando che quel suono si tingesse di una nota di eccitazione. Un'eccitazione che, tuttavia, non era scevra della più alta tenerezza, quella con cui il suo sguardo rimaneva fermo negli occhi di Mun, mentre il viso si spingeva delicatamente ad assecondare le carezze che lei vi lasciava. Era questo il momento. Il momento in cui, guardando qualcuno negli occhi, senti quella promessa: tutto andrà bene. Tutto andrà bene, non so come, non so perché, non so in quale strana maniera. Ma lo so. Ma quelle parole non ha bisogno di dirle. Gli basta guardarla, con un sorriso, e lasciarle una tenera carezza sul volto. Per quanto malato, stupido e ingiusto sia tutto ciò che ci ha fatti arrivare qui, andrà tutto bene. Farò in modo che sia così. Una promessa, una che avrebbe mantenuto anche a costo di essere trascinato all'inferno nel mentre. Un forte sospiro risalì dal suo petto nel momento in cui lei vi posò le labbra. Uno dietro l'altro, in un crescendo di piacere che sottolineava tramite gentili carezze ai suoi capelli corvini. Leggerezza contro pathos. Una linea sottile che valicò facilmente nel momento in cui Mun condusse le mani di lui sui propri seni, portandolo a respirare pesantemente nella ricerca di quel contatto profondo. Si ritrovò a spingersi con più vigore verso di lei, stringendo le dita morbose sulla sua carne, passando i pollici sulle punte di lei, saggiando con incredibile bramosia la consistenza della sua pelle come fosse un tossicodipendente alla ricerca della sua dose. Un forte gemito risalì dalla sua gola quando la mora tornò a toccarlo, facendogli scivolare dalle labbra un affannoso Ti prego contro le sue labbra. Le stesse che lo lasciarono ancora una volta trepidante d'attesa, chiedendogli di aprire la bocca. E non appena lo fece, il mistero di poco prima andò a svelarsi col semplice gesto di ritrovarsi l'intimo di lei a bloccargli qualsiasi parola. "Tu parli troppo. E' tempo di sentire." Una scintilla di eccitazione guizzò nuovamente nei suoi occhi, tingendo quel verde smeraldo di un colore - se possibile - ancora più brillante di prima. La guardava, la guardava con bramosia, beandosi del suo tocco e dei brividi di piacere che gli provocava. E quella bramosia, lui, voleva fargliela vedere tutta: motivo per cui non abbassò mai lo sguardo dai suoi occhi, lasciando a lei il controllo. La guardava, la lasciava fare, e allo stesso tempo non riusciva a togliere le mani dal suo corpo, facendone scendere una tremante lungo il suo busto, ruotando sul suo fianco fino a stringerle una natica e, di improvviso, nell'atto di stringere i denti sulla stoffa che aveva in bocca, darle un colpo con il palmo della mano. Uno schiocco sonoro che terminò con l'ennesima stretta

    smaniosa delle dita sull'area colpita. "Guardati. Guardami. Guardaci." Volse lo sguardo colmo di eccitazione verso lo specchio, assorbendo quell'immagine riflessa come una droga, risucchiandola fino alla feccia, nel suo lato più sporco tanto quanto in quello più deliziosamente tenero. Gemeva forte, emettendo suoni attutiti dalla stoffa dell'intimo di lei. Col cuore a mille, le membra tremanti di desiderio e il respiro affannoso, beveva ogni parola che lei riversava diabolicamente nel suo orecchio, facendola sua con un'avidità che aveva del morboso. E tu impazzirai. E io impazzirò con te. E un po', lui lo stava già facendo. Stava già impazzendo, cosciente di quanto i movimenti delle mani sul suo corpo si stessero facendo imprecisi, smaniosi di toccarne ogni centimetro fino a inserire le dita sotto l'orlo dei pantaloni di lei, stringendo la carne della sua natica con forza e mollandovi un altro colpo con il palmo, questa volta più piccolo per via dell'esiguo spazio tra la pelle e la stoffa dei jeans. Il ritmo di Mun cominciò a farsi più pressante, più veloce contro le spinte che egli stesso le assecondava, portandolo a gemere con ancora più forza, buttando la testa appena all'indietro senza voler tuttavia perdere la vista dallo specchio. Vieni per me, bimbo. E' la tua principessa a ordinartelo. Al suono di quelle parole, ogni resistenza fu nulla. Velocemente tolse la mano dal suo seno, sfilandosi di bocca gli slip di lei per darle modo di sentire pienamente il suono del suo piacere che raggiungeva l'apice, esplodendo con il nome di lei sulle labbra prima di annullarsi nel vuoto della mancanza di respiro. Un istante, due, tre. Rimase in silenzio, con l'unico rumore del suo battito cardiaco a scandire quel momento di pace mentre i muscoli del suo corpo iniziavano a rilassarsi, irradiandolo di calore nel tentativo di riprendere pian piano il fiato. Un respiro. Due. Tre. Completamente annullato, estrasse la mano dai suoi jeans, portando entrambi i palmi a incorniciarle le guance per posare un tenero bacio casto sulle sue labbra. Non disse nulla. Lasciò semplicemente che quel momento si dilatasse tra loro in dolci carezze atte ad avvolgerle i fianchi. Non voglio andarmene. Non voglio lasciarti andare. Non lo disse, sebbene fosse piuttosto evidente dal modo in cui non riusciva a lasciare la presa su di lei, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo e stampandovi piccoli baci uno dietro l'altro. Ma come è certo che ogni notte verrà rischiarata dall'alba, così entrambi sapevano che anche quel momento non sarebbe potuto durare per sempre; che un mondo, fuori da quella porta, c'era davvero e li stava aspettando. Sospirò, cominciando a scivolare pian piano in avanti per rimettere i piedi in terra - tanto letteralmente quanto metaforicamente -. La portò con sé, aiutandola a fare altrettanto senza tuttavia lasciare la presa - o almeno farlo quanto bastava a ridare una parvenza di decenza ai propri indumenti. Si scostò appena dal suo viso, guardando i suoi occhi in silenzio, sul fiore di una carezza tenera alla sua guancia. Occhi, quelli di Albus, che persero di luminosità nel venire sommersi da quel brusco ritorno alla realtà. I sogni sono belli, ma non ci puoi vivere dentro. Questo era ciò che le aveva detto, e questo era ciò che si imponeva con prepotente evidenza in quel momento. Ti addormenti, ma poi devi comunque risvegliarti. E in quel momento, nella testa di Albus, tutto il senso di colpa, la frustrazione e l'angoscia tornarono a farsi sentire, imponendo la propria compagnia alla tenerezza e alla delizia di quel momento. E forse sì, avrebbe dovuto dire qualcosa che la preparasse alla tempesta che stava per incombere su di loro: ai cuori infranti, alle liti, alle lacrime, alla solitudine, all'odio. Avrebbe dovuto dirle che, una volta usciti da quella porta, avrebbero pagato il prezzo della loro sconsideratezza. Forse avrebbe anche dovuto dirle che - almeno in quel primo momento - quelle cose le avrebbero dovute affrontare separatamente, pur sottolineando di non avere alcuna intenzione di lasciar perdere. Ma tutto ciò, Albus, decise di non dirlo. Scelse di dire altro, qualcosa di diverso, ma non per questo meno vero..nel suo modo. "Andrà tutto bene. Te lo prometto." E per la prima volta, ci credeva.
     
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    Vorrei dirvi che che questa è una storia che si è conclusa con quella tipica frase fatta del "è stato solo un momento". Vorrei dirvi che in quel momento Amunet Carrow non ha provato un inteso calore esploderle dentro il petto con la stessa intensità di una stella nella sua età più splendente. Non sapeva cosa significasse, ma era certa di cosa non poteva assolutamente essere: un momento, appunto. Il momento è fugace, si consuma con vivacità e poi muore nel, sospeso in presente privo di passato o futuro. Nel momento, Mun avrebbe paura di Albus, di cosa le ha fatto, e di cosa si è fatta fare, perché al ragazzo aveva permesso di vedere una parte di sé sin troppo personale, intima, appunto, qualcosa che andava molto al di là del puro soddisfacimento dei bisogno primari, e che pure veniva mosso appunto da quella necessità. Nello sfamarci, tendiamo a diventare bestie, diamo il peggio di noi. Ma quando l'animaliesco desiderio proviene paradossalmente dal desiderio dell'altro, si è di fronte a qualcosa di diverso. Nel dare piacere, Mun ne ha sempre provato altrettanto di quanto ne provi nel riceverlo, se non addirittura di più, ma rare volte si è ritrovata a condividere lo stesso desiderio col proprio partner, sentire che il suo piacere valesse quanto quello di chi avesse di fronte. Gesti quelli, che non facevano altro che aumentare la sua certezza di non trovarsi in un momento. Albus e Mun si soffocavano a vicenda, si avvelenavano consapevolmente, ma il gran problema è che permettevano con altrettanto ardore, di essere vittime dei loro stessi sotterfugi. Amanti, predatori, amici e nemici. Un'amalgama quella che era cresciuta sotto i loro stessi occhi dando origine a qualcosa che Mun a dirla tutta comprendeva sin troppo bene, e di cui ne conosceva la squisita pericolosità. E' pericoloso esporsi così tanto a uno sconosciuto; conoscerlo bruciando tutte le tappe per esaurimento. Un rischio immane quello che la Carrow aveva corso, uscendone vittoriosa. Si rese conto in quel momento che non avrebbe fatto nulla diversamente. Niente, non avrebbe cambiato nemmeno una virgola di quanto era accaduto, perché erano arrivati lì, a quel punto sospeso tra vita e morte, tra imperativi e preghiere, tra urla e sospiri. Luce e ombra. Sole e Luna. Non vi fu una sola parola che le apparve innaturale, tanto meno scontata. E dunque vorrei dirvi che il loro sia stato un gesto volgare, intriso di parole e movimenti sudici di colpevolezza, ma cosa c'è di volgare nell'essere umano? Dovremmo forse cambiare la nostra natura? Diventare automi, scatole di latta creati per calcolare gli algoritmi più produttivi? Certo resistere sarebbe stato più producente, li avrebbe messo in condizione di continuare a camminare sul filo del rasoio, intrappolati ciascuno nello specifico limbo a cui apparteneva. Stare al proprio posto, lo definiva spesso e volentieri Mun. Conoscere la propria strada. Seguirla diligentemente. Non abbattersene. Non errare. Perché ci abbattiamo dalla nostra specifica strada, non sappiamo in quale crudele destino incorriamo, non sappiamo quali saranno i giudizi e le conseguenze. Nello specifico, quando Mun lo aveva provocato, non aveva la più pallida idea neanche di quale sarebbe stato il suo di giudizio. Eppure, si era ritrovata a lasciarsi andare, più di quanto si sarebbe immaginata. ..ci sei così vicina..lasciati andare, piccola. Voglio sentirti venire su di me. Fammi sentire che sei mia. E queste signore e signore, possono suonare parole così futili, vuote, atte al semplice volersi volgarmente svuotare e prosciugare, sfogare un desiderio prettamente fisico. Di fronte a queste parole, molte sue coetanee e non solo, si sentirebbero forse offese, o peggio ancora proverebbero vergogna, si sentirebbero messe in soggezione. Perché quello è un sentirsi oltre il sentirsi, è un prestarsi in un atto di puro egoismo che si trasforma in altruismo e viceversa. Mun e Albus sono in quel momento tanto altruisti quanto egoisti, e lo sono nel loro modo più estremo. Se non cedo, mento a me stessa e a tutti gli altri. Sono dunque egoista e altruista nel voler risparmiar loro la sofferenza del tradimento. Se cedo, lo sono ugualmente. Se cedo sono sua, ma ho il coraggio di ammetterlo, e permetto agli altri di scegliere di voltarmi le spalle e giudicarmi. E quindi posta di fronte a quella scelta, Mun si abbandona, completamente, immagazzina quelle parole come un imperativo assoluto. Tua, è l'unico sussurro in risposta a quella specifica richiesta che ha bisogno di una presa di posizione. E si abbandona completamente, senza remore, tanto nel mostrarsi quanto nel cedere alla tentazione di possedere le sue labbra con una tale violenza da sentirsene prosciugata. Quando ero più piccola, dentro la scuola circolata questo filmino di una nostra compagna più grande. L'avevano filmata nel suo atto più tenero e poi avevano schiaffeggiato la sua intimità alla mercé di tutti. Una grande umiliazione. Un gesto così subdolo e di cattivo gusto. Ritrarre una persona nel suo atto più naturale, e sbatterlo in piazza per il puro gusto di farsi una risata. "Cosa ci sarà mai da ridere?" ho chiesto a uno dei tanti che mi aveva mostrato con spontaneità il video pur non avendogli chiesto di farlo. Un gesto quello che aveva del malizioso. "Magari prendere esempio Carrow." Ora non ricordo cosa gli ho risposto, non è nemmeno rilevante. Il punto è che ciò che ho visto non era una "troia" come la rossa veniva malamente definita dai più. Non era una ragazza dipinta nei più volgari modi possibili e immaginabili. Se una donna è sgualdrina solo perché ha dei desideri, perché vive il sesso con la stessa naturalezza con cui si vive l'idillio di un amore, allora sono colpevole. Io, per prima sono colpevole di essermi morsa il labbra in quel frangente, inclinando la testa di lato con un che di ammirazione. Perché io nei confronti della rossa e del suo compagno di letto non ho provato l'impulso moralista di distogliere lo sguardo. Non ci ho visto nulla di male, non l'ho trovato eccitante al punto da desiderare di scappare via e rotolarmi da sola da qualche parte pensando a loro due. L'ho trovato.. naturale. E non mio. Non nel mio stile, non personale. Tutto questo per dire che di godere mi vergogno; non mi vergogno di cosa ho tra le gambe o di quanto mi piaccia ciò che gli altri hanno tra le gambe. La società ha deciso di rendere noi donne, grazie anche importanti apporti come quello dell'idiota che ha diffuso quel video a scuola, una specie di oggetto e ci ha tolto persino il piacere di voler essere a tratti oggetto. E' tutto maschilismo, è tutto perversione, è tutto innaturale. Lasciarsi andare per un uomo è pura poesia, invece, se è una donna a farlo, agli occhi dei più è sintomo di chissà quale patologia o disturbo. L'uomo può sognare, può dire e può fare; deve prendere l'iniziativa e condurre i giochi, e non subirà mai giudizi. E invece se è la donna, allora è appunto una sgualdrina. E' sporca, malata, marcia. E allora non ci proviamo più. Reprimiamo e attendiamo come vacche al macello che qualcuno arrivi e ci scelga per qualunque cosa a lui vada bene. Questa volta passo. Questa volta, credo che sorvolerò e godrò come una "cagna in calore". Una promessa che non si esaurì, come stavamo anticipando, con il semplice raggiungere il punto massimo della sopportazione, non si esaurì nemmeno quando quell'ardente bacio colmo di pathos lasciò spazio al concentrare tutte le sue attenzioni su di lui. Lo guardava come fosse un sole splendente in mezzo a tutto quel buio, presa a sua volta da strani spasmi di idilliaco piacere che correvano lentamente lungo la propria schiena. Il tocco di lui sul proprio corpo, colmo di emergenzialità, lascia nascere in lei appunto quel dubbio che il momento era una scusa che non avrebbe mai avuto il coraggio di esalare, nemmeno nel tentativo di subordinare il suo volere al benessere delle persone a cui voleva bene. Reclamava i suoi lucenti occhi, li sfidava e con una punta di malizia non fine a se stessa, sorrideva ad ogni sua preghiera, dandogli sempre di più, dandogli tutta se stessa. Leggeri gemiti accompagnati dal mordersi fervente il labbro inferiore fino a sentire chiaramente sapore di ruggine accompagnavano i suoi gesti, quel improvviso sentirsi stuzzicata all'estremo delle sue mani sul fondoschiena. Ogni suono volto a palesare il suo godimento la inebria, è una vittoria che la fa letteralmente uscire di testa, quasi come se fosse la sua. Albus Potter è lì, completamente, e lei ne ha una sempre più forte consapevolezza del suo totale abbandonarsi a lei. Mio. Sei mio, sussurri decantanti tra tante altre parole, mentre lo accompagna con sempre meno riguardo, con la foga di una furia verso luoghi che insieme non hanno mai conosciuto. E quanto vorrebbe che andasse diversamente, quanto vorrebbe sentirlo contorcersi contro il suo corpo, sentire quel sentimento crescente di lui crescere dentro di lei, goderne fino al punto di sentirsi morire assieme a lui. E vorrebbe persino scacciarlo quel pensiero, non lasciarsene catturare, ma non ci riesce; non riesce a pensare che un certo qual modo quello è uno scendere a compromessi, un distruggersi vicendevolmente di spontanea volontà. Il momento massimo del suo piacere è di una beltà infinita, qualcosa che Mun osserva con ammirazione nei suoi occhi di smeraldo, alzando il mento a mo di sfida, tentando di protrarre quel suo istante il più possibile. E lei lo sente quasi come se fosse il suo, provando un autocompiacimento unico mentre sorride, inebriata dal contorcersi debilitante dei suoi muscoli. C'è qualcosa di infinitamente magnifico nel osservare qualcun altro, qualcuno a cui si vuole così bene, in un momento così vulnerabile. Più del dolore, più del dispiacere, più delle frustrazioni e le liti, più di mille parole e altrettante verità, c'è solo quello. Il momento in cui lo vede in tutta la sua interezza. Un bimbo. Il suo bimbo. Prese ad accarezzare dolcemente i suoi capelli in un abbraccio morbido, mentre a occhi chiusi posava piccoli bacio tra le scure ciocche lucenti. E si bea di ciascun suo respiro, ascoltando in silenzio il rumore sordo del suo core che batte così vicino al proprio. Ma come ogni incantesimo, anche quello, finisce, e smossa dalla forza d'animo di lui che a Mun manca, si lascia trascinare giù rimettendosi in piedi, sistemandosi silenziosamente l'intimo sotto la canottiera e ispirando automaticamente affondo ben consapevole di non aver la più pallida idea di cosa fare a quel punto. Come bloccata, resta lì improvvisamente a sguardo basso, colta in pieno dalla consapevolezza delle sue azioni. Non solo sei una sgualdrina ma sei anche una ladra. Ti sei appropriata di qualcosa che non è mai stato tuo. Hai osato sentirti tradita, proprio tu, la traditrice per eccellenza. Hai accusato per settimane altri di rubare a casa tua, quando tu per prima hai rubato in casa di altri. « Andrà tutto bene. Te lo prometto. » A quelle parole, Mun appoggia la fronte contro il suo petto, circondandogli i fianchi in un tenero abbraccio sentito, quello di una bambina che di staccarsi ormai non voleva più saperne. Sapeva in cuor suo che da quel bagno non potevano uscire insieme. Non puoi uscirtene dal nulla con queste cose, quando sai che le tue azioni non influiscono unicamente su di te. E le loro azioni avrebbero avuto ripercussioni, lo sapeva. « Non promettermelo. » Asserisce di scatto staccandosi solo per poterlo guardare finalmente negli occhi. Non promettermelo perché non sarà così. Gli carezza la guancia, mentre il pollice tasta dolcemente le sue labbra in un gesto colmo di premura. Un sorriso amaro si staglia sul volto di lei mentre si stringe nelle spalle, colta da un improvviso brivido che si propaga in tutto il proprio corpo. Posa le labbra per l'ultima volta sul suo petto, prima di abbottonargli la camicia con un gesto che tutto ha fuorché di malizioso. Ne segue il corso con nostalgia eppure un certo fascino, cosciente che fuori da quel bagno lei tutto ciò non potrà più farlo. Non potrà più fare niente. Né litigarci, né starci a contatto, né tanto meno baciarlo; accidenti, sei compromettente persino se ti guardo. E a quel punto si allontana, con naturalezza e una punta non indifferente di fastidio, solleticando appena il braccio di lui, finché è troppo lontano perché possa fare qualunque cosa. Prende a rinfrescarsi tranquillamente cambiandosi opportunamente la canottiera girandosi di spalle. Riafferra la propria bacchetta, il pacchetto di sigarette e l'accendino riponendoli nella borsa, non prima di averne estratta una ponendosela tra le labbra. Tutte azioni meccaniche, scandite da mani tremanti, frustrazione e nervosismo.
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    Uscita da quella bolla di sapone, è come se fosse nuovamente sola, immersa in quella totale assenza di speranza. Sospira più e più volte, mentre tenta inutilmente di non seguirlo nell'ambiente. Non ci riesce. I suoi occhi sono su di lui, anche a distanza. E a quel punto, dopo un tiro o due, si rimette la camicia, leggermente infreddolita, non prima di averla opportunamente asciugata con l'ausilio della bacchetta. Posa gli occhi da vista sul naso ed estrae dalla borsa il suo taccuino. Quello del cuore, su cui ricopia e custodisce gelosamente i suoi versi preferiti. Prende a sfogliarlo con una certa smania fino a fermarsi su una pagina in particolare. E a quel punto torna di fronte a lui, fa un'altro tiro dalla sigaretta, prima di passargliela con una genuinità che appare quasi ridicola. Questa confidenza l'abbiamo creata senza accorgercene o è scattata ora? Temeva darsi una risposta, perché significava ammettere di non essere mai stata inconsapevolmente ladra. Si appoggia a uno dei lavandini e si schiarisce la voce. « Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. | Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. | Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, | la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante. » Si interrompe alzando gli occhi da sopra gli occhiali posandoli in quelli di lui. Paolo e Francesca. Un sorriso eloquente seppur amaro prese a dipingersi sul suo volto mentre incrociava le braccia al petto, squadrandolo dalla testa ai piedi. « Ti ricordi che fine hanno fatto loro, vero? » Ecco, non promettermelo. Non c'è rimprovero, non c'è malizia o provocazione, non c'è cattiveria o accusa in quella domanda. C'è paradossalmente dolcezza e consapevolezza. La consapevolezza di trovarsi su una zattera rovinosamente mal costruita dalle fondamenta, che sfida le acque di una tempesta. Paolo e Francesca sono finiti nel girone dei lussuriosi; non cercavano Amore, perché quando lo cerchi non arriva. Ma Paolo e Francesca l'hanno trovato nel posto sbagliato. Scuote di scatto la testa abbassando lo sguardo, mentre un pensiero ben più profondo di quanto pensasse, s'insinua nella sua testa. « Quanto sarebbe sbagliato, crudele, malato, condannarti alla dannazione dopo che tu mi hai assolto? » Sapevano entrambi di cosa parlasse. Albus le ha tolto un macigno dal petto, l'ha liberata di una serie infinita di colpe, che ora erano state raddrizzate, a rischio di lasciarci lui stesso la vita. Mun, paradossalmente, con i suoi gesti lo attirava verso il basso, lo tentava, lo nutriva con dolore, odio e frustrazione. E le faceva male. Si odiava per questo. Eppure non riusciva a staccarsene. « Io ti ho toccato e ti ho distrutto. » Continua mentre la voce trema. Quella distanza la uccide, ma non osa avvicinarsi oltre. « In ogni modo possibile, ti ho fatto appassire. Perché è questo ciò che faccio.. distruggo ogni cosa che tocco. » Si morde l'interno della bocca mentre quei brividi si trasformano in veri e propri spasmi lungo la sua schiena. « E so che là fuori, c'è chi può darti molto di più. » Perché io ti consumo. Ti anniento. Ogni parola è un sussurro colmo di dolore. « C'è chi può farti sorridere.. e sei bello quando sorridi. » Compie un'altra leggera pausa inumidendosi appena le labbra. « So anche che se non dovessi allontanarti, arriverà un momento - non oggi, non domani, ma un giorno - in cui di quanto ti abbia distrutto te ne accorgerai. E mi odierai.. » E vedrai tutte le crepe che altri hanno visto e vedranno a maggior ragione ora. Un cane che si morde la coda. Per quelli come noi non c'è un lieto fine. « Sono una persona orribile, ingrata, egoista.. e mi odio per questo. Ma nonostante ciò non riesco a smettere di renderti infelice. » Avanza un passo, e poi un altro, e un'altra ancora. Passi piccoli, timidi, mentre si stringe nelle spalle allargando appena le braccia a mo di arresa. Prendere o lasciare. « Se non lo vedi, non ho altri strumenti per fermarti. E non ho nemmeno più la volontà per obbligarti di uscire da quella porta prima o dopo di me. »




    Edited by danse macabre - 6/2/2018, 20:40
     
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    Animale. Una parola che Amunet Carrow aveva rivolto a lui poco prima. Una parola volta a sottolineare una sorta di vena selvaggia, indomita, fuori dalle norme del buon costume e del vivere sociale. Quando diamo a qualcuno dell'animale, implicitamente gli stiamo dicendo che è disdicevole, che è un qualcosa di altro dall'uomo. L'uomo ha ragionamento, mentre la bestia ha solo l'istinto. E' dall'alba dei tempi che la razza umana si concentra su quello: sulle differenze tra se stessa e ciò che è altro, talmente smaniosa di proteggere la propria presunta superiorità da dividersi e classificarsi persino al proprio stesso interno. L'uomo è esso stesso animale, ma si definisce diverso da quel mondo oscuro di pulsioni tramite il contrasto. E dunque la parola animale, se rivolta a una persona, ha accezione di insulto - ironico o meno che sia. E' un termine dispregiativo, volto a sottolineare la presunta bassezza di chi si ha di fronte. Ma il problema è proprio quello citato in precedenza: che quella definizione non nasce da altro se non dal puntare la luce sui punti di discontinuità. Basti pensare alla maternità, connotata da sempre nella donna da un istinto alla nidificazione, alla creazione di uno spazio sicuro per il cucciolo. Oppure si può pensare al concetto di branco, visto come impulso sociale e organizzativo che si ripropone in diverse specie animali. Ma più nel particolare, pensiamo a ciò che crediamo più vicino a noi, a ciò che cataloghiamo come più specificamente umano: l'istinto di protezione. E' un errore credere che il mondo animale sia la culla di ciò che, in quello degli uomini, risulterebbe oltraggioso o sconveniente. Non sono poche le specie animali dedite alla monogamia. Vedi i dik-dik e i licaoni, oppure gran parte degli uccelli. Per molti uccelli, come le aquile, la fedeltà è la caratteristica fondamentale della coppia. I cigni selvatici costituiscono delle coppie inseparabili: quando uno dei due muore, l’altro diventa malinconico e rifiuta di scegliersi un nuovo partner. Altri animali monogami sono i pesci, i granchi e tutte le specie che devono dedicare tutta la vita a procacciare il cibo, pulire il nido e allevare i cuccioli. Oppure potremmo parlare della nota locuzione Homo homini lupus; Konrad Lorenz, in contrasto ad essa, sosteneva che nessun lupo fa all'altro lupo ciò che un uomo fa ad un altro uomo. Secondo gli etologi l’aggressività gratuita, distruttiva, è una prerogativa umana, estranea al mondo animale. Tante sono le differenze quanti sono i punti di incontro. Ma c'è quel punto che ci accomuna tutti: quella protezione spasmodica di un qualcosa che viene avvertito come una proprietà. Può essere un territorio, può essere una fonte di cibo, e può essere un partner. Ogni cellula del nostro corpo è biologicamente portata a tenere al sicuro ciò che ci è caro o di cui abbiamo bisogno. Basti pensare alla femmina del lupo, la quale, nel momento in cui il maschio viene minacciato, nasconde il muso sulla gola di lui in un apparente moto di timore che in realtà è un mascherato stratagemma per coprirgli la giugulare e scongiurare l'eventualità che venga sgozzato dall'opponente. E' semplicemente più forte di tutti noi: quando teniamo a qualcosa, improvvisamente la smettiamo di darci scuse e pretesti, e semplicemente facciamo ciò che va fatto per tenercelo stretto. E questa è una cosa profondamente animale, ma è anche una delle più belle di cui siamo capaci, poiché spesso la volontà riesce ad arrivare dove le semplici circostanze non possono portarci.
    "Non promettermelo." due parole che per un istante lo lasciarono interdetto, portandolo ad aggrottare la fronte. No, non chiedeva che lei si abbandonasse completamente alla sua promessa, e non lo chiedeva forse perché era conscio di non averla esplicitata come avrebbe dovuto. Prometterle che ciò che avevano fatto non avrebbe avuto conseguenze, questo non poteva farlo, poiché era pura utopia. Ma prometterle che oltre quelle conseguenze ci sarebbe stato qualcosa di diverso, quello sì, perché quello lui poteva deciderlo, e poteva realizzarlo, se lei glielo avesse lasciato fare. E' quello il clinamen, il principio di massima imprevedibilità: la volontà. Quando non c'è, tendiamo a rimandare, a trovare ragioni dietro le quali nasconderci pur di non metterci quel pizzico di impegno in più che potrebbe fare la differenza. Certezze, no, quelle non le abbiamo mai, non sui risultati quanto meno, oppure non sul lungo termine. Ma la certezza della volontà di agire, quella possiamo sempre darla, se vogliamo. Una punta di amarezza si insinuò nelle iridi di lui al modo in cui lei interruppe lenta e titubante il loro contatto. Avrebbe voluto protestare, avrebbe voluto spiegare la vera natura della sua promessa, ma non lo fece, forse perché per un istante il flebile alito del dubbio andò a strisciare tra i suoi pensieri, portandolo a pensare che forse, quello, era ciò che lei voleva. Forse era davvero stato un momento. Forse si era pentita. Forse voleva solo compiere un passo indietro e trovare una via d'uscita. Forse lui aveva frainteso. Erano così tante le incognite che non avrebbe saputo dire con precisione quale spiccasse maggiormente tra i suoi pensieri. Una doccia fredda. Ma poi lei tornò indietro con in mano un taccuino, porgendogli una sigaretta che accettò con dita tremanti, spaventato da quella possibilità che non aveva considerato: la solitudine. Non ci aveva pensato a quella. Non ci aveva pensato che forse lei, in realtà, stesse cercando in lui qualcosa di diverso. "Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. | Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. | Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, | la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante." Nel solo sentire l'incipit di quei versi, la tensione dei dubbi andò in parte a sciogliersi in un lungo sospiro, seguito da un tiro di sigaretta. Scosse appena il capo, impercettibile, senza nemmeno farsi notare, come a voler negare a se stesso un qualche pensiero che solo lui poteva udire. "Ti ricordi che fine hanno fatto loro, vero?" Annuì, svelto, noncurante, sbuffando un secondo tiro dalla sigaretta. "Quanto sarebbe sbagliato, crudele, malato, condannarti alla dannazione dopo che tu mi hai assolto? Io ti ho toccato e ti ho distrutto. In ogni modo possibile, ti ho fatto appassire. Perché è questo ciò che faccio.. distruggo ogni cosa che tocco. E so che là fuori, c'è chi può darti molto di più. C'è chi può farti sorridere.. e sei bello quando sorridi. So anche che se non dovessi allontanarti, arriverà un momento - non oggi, non domani, ma un giorno - in cui di quanto ti abbia distrutto te ne accorgerai. E mi odierai..Sono una persona orribile, ingrata, egoista.. e mi odio per questo. Ma nonostante ciò non riesco a smettere di renderti infelice. Se non lo vedi, non ho altri strumenti per fermarti. E non ho nemmeno più la volontà per obbligarti di uscire da quella porta prima o dopo di me." Non disse nulla, non mosse un muscolo ne' esternò alcuna espressione durante tutto il suo discorso. Si limitò semplicemente ad aspirare boccate di nicotina, ritrovandosi alla fine di quelle parole con la bocca amara e una sigaretta finita. Lasciò dunque che il silenzio si dilatasse, senza fretta, voltandosi verso i lavandini per spegnere il mozzicone e buttarlo nel cestino più prossimo. Colse l'occasione per lavarsi velocemente le mani, asciugandosele alla bell'e meglio con pacche sui pantaloni. Solo allora si voltò nuovamente verso di lei, fissandola dritta negli occhi come a volerne carpire un qualche segreto fondamentale. Di punto in bianco, poi, dopo un
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    tempo che parve interminabile, schioccò la lingua sul palato. "Le storie non accadono, Mun. C'è sempre qualcuno che le scrive. C'è sempre una qualche forma di volontà in tutto." E sì, possiamo citare un sacco di libri, ma per ognuno di essi che scomodiamo a farci da esempio per la nostra arringa, ce ne stanno almeno altri mille che di storia ne raccontano tutt'altra, andando a smentire la nostra. E ciò non accade perché una sia vera e l'altra falsa, uno bugiardo e l'altro onesto, uno ingenuo e l'altro realistico, ma perché nella vita non ci sono i topos letterari. La vita è tanto caso quanto volontà. L'ineluttabile è ineluttabile fino a quando non ci mettiamo lo zampino. La stessa storia con personaggi diversi può avere diversi finali e non esaurirsi mai in una certezza. Perché la certezza non ce l'abbiamo, e non ce l'avremo mai. Già il semplice fatto che non viviamo nella stessa società in cui vivevano Paolo e Francesca cambia tutte le carte in tavola. "Io non voglio che tu mi dia una scelta, una qualche via d'uscita in virtù di torti disparati, perché io la mia scelta l'ho già fatta." « Yes, there were times, I'm sure you knew when I bit off more than I could chew. But through it all, when there was doubt, I ate it up and spit it out. I faced it all and I stood tall and did it my way » "E non voglio fingere che sarà facile, o che non ci saranno conseguenze. Perché ci saranno eccome. Ingoieremo una quantità di merda incredibile, e tu questo lo devi sapere. Devi sapere che, qualsiasi direzione intraprenderemo, non sarà bello ciò che ci aspetta dietro quella porta." fece un passo avanti, e poi un altro, fronteggiando Mun con fermezza. Non c'era rabbia, ne' risentimento, non c'era la volontà di forzarla a fare qualcosa che non sentiva, ma piuttosto quella di farle capire che l'unica maniera che lei aveva per fargli imboccare una strada opposta alla sua - una che gli avrebbe chiesto di mettere una pietra sopra a tutto quanto - era dicendogli esplicitamente che quello era ciò che lei voleva. "No, Mun. Io non voglio uscire ne' prima ne' dopo di te. Perché mi sono stancato, sono profondamente stanco di mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo." Scosse veementemente il capo, avvicinandosi di ancora un altro passo. "Questa volta farò a modo mio. Quando uscirò da quella porta, a prescindere da tutto, andrò da chi di dovere e mi prenderò le mie responsabilità. La ingoierò tutta, la merda, perché so di meritarmelo. E per quanto possa apparire egoistico chiedertelo, vorrei che tu fossi lì con me." « For what is a man, what has he got? If not himself, then he has naught. To say the things he truly feels and not the words of one who kneels. The record shows I took the blows and did it my way » Sospirò, forte, nell'ennesimo tentativo di spingersi oltre, di chiederle un qualcosa che non era certo lei potesse dargli. "Basta, Mun, ti prego." si ritrovò a implorarla veementemente, stringendo le mani attorno ai suoi polsi in una presa tanto salda quanto leggera. "Basta con le cazzate, non ce la faccio più. E' da anni che affogo nelle mie stesse bugie e omissioni. E' tempo di chiuderla, una volta per tutte. E' tempo di vuotare il sacco: e non solo su questo, ma su tutto quanto. Su tutto ciò che è successo da ottobre a questa parte." Ci abbiamo provato, ci abbiamo provato con tutte le nostre forze a tenere le persone all'oscuro per quello che ci spiegavamo come un gesto di affetto e protezione nei loro confronti. Ma non funziona così. Non proteggi gli altri mettendoli sotto una campana di vetro, escludendoli, togliendogli la possibilità di fare qualsiasi cosa. E guarda tutte queste belle idee geniali dove ci hanno portato. Il problema non è oggi, il problema c'è sempre stato, solo che adesso sulla pila di cazzate ce ne sta una di troppo e dunque bisogna per forza confessare. Ma scoprire solo una carta..quella è una vigliaccata, e non fa altro che portarci ancora di più a impantanarci. Bisogna azzerare tutto. Si avvicinò di un ulteriore passo, facendosi abbastanza vicino da poter percepire il suo respiro. "Lo sai anche tu che è l'unica maniera. Sarà brutto, farà un male cane e non potremo nemmeno ribattere, ma non c'è altro modo. E quando la tempesta sarà passata, allora te lo prometto, te lo prometto ancora, e te lo prometterò ogni giorno.." fece una breve pausa, fissandola negli occhi "..tutto andrà bene." « Yes, it was my way »
     
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    E quindi questo è davvero ciò che vuoi. Amunet Haelena Carrow. Per spiegare la sua vita basta una sola parola: gabbia. Sempre gelosa dei suoi spazi, della sua ostentata libertà, del suo voler a tutti i costi dimostrare a tutti di poter vivere da sola, di non aver bisogno di nulla e di nessuno. Gli ultimi anni li ha condotti così, pensando di essere padrona del suo universo e di poter possedere l'universo di chiunque per tutto il tempo che le piacesse, senza tuttavia restarne coinvolta. Aveva sorriso con quei tratti di sufficienza e di disgusto dipinti in volto, ed era stata orribile, più di una volta, con più di una persona, come se i trattamenti che avesse subito le dessero davvero la scusa ideale per poter trattare chiunque come meglio credesse. Si era svincolata da qualunque situazione più e più volte, lasciando soffrire deliberatamente più di una persona. Perché vedi, se io soffro, non capisco per quale ragione tu non dovresti provare lo stesso dolore che provo e ho provato io. Le colpe le aveva sempre addossato a qualcun altro; oh, nell'arte di raccontarsi bugie e raccontarle malignamente a qualcun altro era una maestra. Bugiarda patologica, ha mentito incessantemente per ottenere qualcosa, e lo ha fatto per sfuggire a qualunque forma di conseguenza emotiva. L'arte manipolativa l'aveva così profondamente nel sangue che si rendeva conto, qualunque svolta avesse mai preso, quell'abitudine di sfuggire alle proprie responsabilità l'avrebbe frenata. Si potrebbe pensare a questo punto che tutte le menzogne siano state messe in atto per restare libera, per sfuggire a qualunque giudizio, per darle la possibilità di continuare quel suo percorso su una strada sempre più sterrata e desolata. Ma ogni bugia era paradossalmente un vincolo, perché sapeva Mun che prima o poi, in un modo o nell'altro tutte quelle verità sarebbero venute a galla. Contro quella prospettiva si era sbattuta ancora e ancora, lottando come una forsennata per mantenersi la faccia pulita. Non sarebbe durato; nemmeno il suo iniziare ormai a credere alle proprie bugie era sufficiente. Se abbastanza gente ci crede, una bugia non è più una bugia; ma era bastata una sola persona a scoperchiare il vaso di Pandora, perché tutto andasse in malora. La più insospettabile delle creature, la sua immagine speculare per natura e abitudini. Caratterialmente così simili, eppure l'esatto contrario dell'altro. Lei maestra del falso, lui amante del vero. Lei diligente, calcolata e precisa, lui confusionario, disordinato e approssimativo. Lei impeccabile, tanto nell'aspetto quanto nelle parole, nei comportamenti di tutti i giorni, sempre apparentemente corretta e giusta. Lui tutto il contrario, trasandato, perennemente intento a mostrarsi odioso al cospetto di chiunque, ingiusto nel trattare con così tanta infamia chiunque gli stesse attorno eppure fede e leale fino al midollo. Lei sola, circondata da una serie infinita di persone false tanto quanto falsa era lei, che non bramava affatto, ma nelle cui grazie desiderava entrare a tutti i costi. Lui, circondato da sin troppe persone, colme del più puro affetto per lui, che in cuor suo bramava, ma s'impegnava a denigrare in ogni modo umano possibile. Comportamenti diversi, approcci diversi che davano origine a un'immagine così simile eppure così contrapposta. E Mun non se ne era mai accorta, di tutto ciò non se ne era mai accorta, finché non si erano costretti a vicenda a smettere con le stronzate, a smettere di dirsi altre bugie ancora. Non le era ancora chiaro quando si era fregati a vicenda, quando tutto quell'astio si era trasformato in altro, ma era certa che oltre la pattina dell'inconsapevolezza quanto in meno in lei c'era il bisogno di sentirsi così. Di sentirsi costretta a restare, di provare il brivido dell'ostinazione di qualcuno che la desiderava a tal punto, da obbligarla con gentilezza di restare. E' sempre stata accontentata, le hanno sempre dato ragione, semplicemente perché molti non erano in grado di contrastarla sul suo terreno più fertile: le parole. Ma di quell'accondiscendenza Mun era stanca, era stanca di sentirsi dare ragione tanto a parole quanto nei gesti. Era stanca di veder le persone far un passo indietro ogni qual volta lei ostentasse in ogni modo possibile la volontà di allontanarle. E' tutta una prova, una sfida. Con Mun e Albus è sempre così. Adesso ti do la possibilità di andartene, ti convinco che voglio che tu te ne vada, te lo dimostro, ti sfido a farlo. Ma se nonostante ciò resti, se nonostante il tuo orgoglio ferito sei ancora qui, io non ti fermerò dal restare. Se nonostante le mie continue umiliazioni hai ancora la faccia tosta di umiliarmi a tua volta, io da te non voglio privarmi. Tutto il tempo trascorso in quell'ambiente sudicio si era basato su quello. Un gioco che avevano portato avanti per mesi e al quale erano stati dannatamente bravi. Finché non lo sono più stati. « Le storie non accadono, Mun. C'è sempre qualcuno che le scrive. C'è sempre una qualche forma di volontà in tutto. Io non voglio che tu mi dia una scelta, una qualche via d'uscita in virtù di torti disparati, perché io la mia scelta l'ho già fatta. » Ed eccola, la scintilla, l'intuizione ultima. Sbattere la testa contro quel muro di persona che era la Carrow, finché o si rompeva il muro o ci si rompeva la testa. Restò quasi intimorita da quelle parole, lasciando che fluissero una ad una dentro di sé. Perché quel tipo di volontà Mun non l'aveva mai letto in nessuno, non nei suoi confronti. Nessuno è talmente masochista da voler a tutti i costi qualcosa che fa così male, facendone di rimando altrettanto di male. « E non voglio fingere che sarà facile, o che non ci saranno conseguenze. Perché ci saranno eccome. Ingoieremo una quantità di merda incredibile, e tu questo lo devi sapere. Devi sapere che, qualsiasi direzione intraprenderemo, non sarà bello ciò che ci aspetta dietro quella porta. » Gettò lo sguardo in quello di lui di fronte a quelle parole. E realizzò ancora una volta di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo, qualcosa di inedito, qualcosa per cui era disposta ad affrontare tutto. Lei, che dell'orgoglio ne aveva fatto una corazza d'acciaio, indossandola con fierezza in ogni occasione; Mun che era arrivata a urlare e disperarsi per il modo infame in cui la sua immagine veniva calpestata di fronte a tutta la scuola, schiaffeggiando ogni sua azione illecita sulla bacheca, era arrivata a disinteressarsi completamente di quanto il suo amor proprio potesse essere inficiato. « No, Mun. Io non voglio uscire ne' prima ne' dopo di te. Perché mi sono stancato, sono profondamente stanco di mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Questa volta farò a modo mio. Quando uscirò da quella porta, a prescindere da tutto, andrò da chi di dovere e mi prenderò le mie responsabilità. La ingoierò tutta, la merda, perché so di meritarmelo. E per quanto possa apparire egoistico chiedertelo, vorrei che tu fossi lì con me. » E la luce nei suoi occhi era talmente sincera, talmente pura, che Mun si sentì ancora una volta intimorita dalla creatura che aveva di fronte. Si sentiva morire dentro scossa da un calore infame, che torturava ogni sua terminazione nervosa. Quando la ragione urlava loro contro di scappare, l'irragionevole muta dichiarazione che le stava facendo, la frenava ancora una volta dal seguire il solito triste cammino. E diamine se aveva voglia di scappare! Perché tutto ciò le faceva una paura folle. Nell'intento di metterlo con le spalle al muro dall'alto della sua superiorità, non aveva considerato il fatto che lei per prima sarebbe stata altrettanto intrappolata nelle sue stesse meschine macchinazioni. « Basta, Mun, ti prego. Basta con le cazzate, non ce la faccio più. E' da anni che affogo nelle mie stesse bugie e omissioni. E' tempo di chiuderla, una volta per tutte. E' tempo di vuotare il sacco: e non solo su questo, ma su tutto quanto. Su tutto ciò che è successo da ottobre a questa parte. » Volevo che smettesse.. il dolore. Lo aveva voluto a lungo, e con un'intensità che l'aveva portata a comportarsi in maniera scorretta tanto con gli altri quanto con se stessa. Ed era riuscita a sfuggire a tante trappole, e tante gabbie, e lo aveva fatto sgusciando tra un pericolo e l'altro con grande maestria. Non hai nemmeno lontanamente idea di quanto mi fai paura. Di quanto questo mi fa paura. Ed è una paura irrazionale, dettata non certo dalla paura delle catene, che pure ha rifiutato a lungo, ma dal fatto stesso che le desidera così intensamente, al punto di spogliarsi di tutta la sua superiorità, abbassando lo sguardo di fronte ai giudizi. « Lo sai anche tu che è l'unica maniera. Sarà brutto, farà un male cane e non potremo nemmeno ribattere, ma non c'è altro modo. E quando la tempesta sarà passata, allora te lo prometto, te lo prometto ancora, e te lo prometterò ogni giorno.. tutto andrà bene. » E quindi questo è davvero ciò che vuoi. E io ho tentato davvero in tutti i modi di convincerti di dire il contrario. Tu vuoi me. Si lascia travolgere da quella consapevolezza, cosciente di non poter negare la corrispondenza biunivoca di quel desiderio. Le parole Mun le ha perse tutte. Colpita in pieno dall'improvvisa quanto inaspettata luce di una nuova alba. Sfruttando quindi la vicinanza del volto di lui accarezza la punta del suo naso col proprio sciogliendo le strette dei suoi polsi per intrecciare le dita a quelle di lui. Una stretta atta a dimostrargli quanto incline sia a lasciarlo andare. Sa che a quel punto i giochi sono fatti e le decisioni sono state prese; sa che è tempo di tagliare la testa al toro, ma la Carrow decide comunque deliberatamente di ritagliarsi quel momento, soffiando dolcemente sul suo volto, mentre ne osserva ogni minimo dettaglio con la meraviglia di una bimba posta di fronte al suo giocatolo preferito, al dono più bello che potesse ricevere. Ora ti vedo, ti vedo davvero. E più ti guardo e più ho paura di quanto sia difficile smettere di fissarti. Gli stampa un leggero bacio all'angolo della bocca, prima di sciogliersi riprendendo il proprio taccuino. Dandogli le spalle, senza perderlo di vista nel riflesso dello specchio, inizia a sfogliarlo fino alla prima pagina libera. Sfila la matita che lo accompagna e scrivere due messaggi uguali identici sulle due meta della stessa pagina. Un appuntamento. Un punto di incontro. Niente di più. Ti aspetto lì tra mezz'ora. Mun. E in tutta risposta alle parole che Albus le ha rivolto, la Carrow strappa quel foglio, lo divide a metà, piegando svariate volte entrambi i biglietti. Sa che di giudizi ne riceveranno tanti, da tante persone; ma ce ne sono solo due in particolare a cui devono una serie infinita di spiegazioni. Perché dietro a tutta la scia di errori e bugie, c'era un affetto indiscusso nei loro confronti e c'era anche la nostalgia di quei tempi che non sarebbero mai potuti esistere. Tocca entrambi i biglietti con la bacchetta, lasciandoli prendere il volo, uscendo fuori da una delle finestre, per raggiungere i rispettivi destinatari. Un brivido scorre lungo la sua schiena nel realizzare che quell'amaro in bocca lo proverà sempre. Quel senso di colpa di aver distrutto tutto. « Eravamo belli.. » Asserisce di scatto mentre segue la sua immagine nello specchio, con un tormento indescrivibile negli occhi. « Tutto quello non ci sarà più.. » Continua mentre gli occhi si velano di una leggera pattina lucida. E lei ci ha provato, più di una volta, a rimettere i pezzi insieme. Seppur negasse la possibilità di un ritorno a quei tempi, c'erano stati giorni in cui nulla le sarebbe piaciuto di più del vedersi tornare attorno allo stesso tavolo. Loro quattro. Sempre loro quattro.
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    Chiude gli occhi e ancora una volta si sente colta dal dubbio dell'incertezza. Mi sto gettando in una situazione all'opposto di tutto ciò che conosco. Qualcosa che non so e non posso controllare. Ne vale la pena? L'unica risposta di cui aveva bisogno la ritrovò di fronte ai suoi occhi non appena decise di voltarsi nuovamente verso Albus. Il cuore le si strinse in una morsa che la obbligò a sospirare profondamente. Ve la ricordate la parola? Saturazione. Questa storia si consuma per saturazione. E Mun era satura tanto quanto Albus di vivere perennemente nell'incertezza delle sue certezze. Voglio qualcosa di vero. Qualcosa che non sia stato costruito su fondamenta di sotterfugi.E loro due di macchinazioni ne hanno usate, diamine se ne hanno usate. Con se stessi, con gli altri e anche tra loro. Ma alla fine tutto era stato inutile, perché alla saturazione ci erano arrivati comunque. E quindi alla fine, decide di sciogliersi in un leggero sorriso colmo di dolcezza e premura. Gli lascia una leggera carezza sul braccio prima di afferrare la propria borsa sistemandosela sulla spalla, dirigendosi quindi verso la porta, dove resta ferma in attesa che lui la raggiunga. E nel gesto ultimo di premere la mano sulla maniglia, la mano sinistra intreccia le dita a quelle di lui in una stretta ferrea alla ricerca di una sicurezza che riesce a trovare solo in quel gesto. Gli occhi di ghiaccio cercando i suoi e con una leggera spinta lascia che il velo cada completamente spalancando la porta. Sei pronto? Non c'è bisogno che glielo chieda. A questo non siamo mai stati pronti. Ma lo siamo diventati. E fu il tragitto più lungo della loro vita..

    I never knew daylight could be so violent
    A revelation in the light of day
    You can't choose what stays and what fades away




     
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