My tears are becoming a sea

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    Si stringe nel suo maglioncino rosso, quello che ha trovato sotto l'albero di Natale neppure qualche istante prima, mentre si attorciglia una ciocca di capelli scuri, la novità dell'ultimo momento, con una scatola di tinta babbana che ha trovato qualche giorno prima, dentro la stanza di un Tassorosso. Si è fatta la tinta senza pensarci troppo, desiderosa di dare un taglio al passato, per provare ad esorcizzarlo almeno un po' e deve essere sincera con se stessa: si sente dannatamente bene con quel nuovo colore aggressivo. Getta nuovamente un'occhiata verso di esso, per constatare che no, Alaric non è presente perché il suo pacchetto è ancora lì, come lì è ancora la sua calza appesa al camino. Cerca di non pensarci, cerca di non cercare il suo odore tra i mille che ha intorno, e per fortuna qualcosa le arriva tra capo e collo, distraendola. O meglio, qualcuno. « Ciao Pervy. » Sobbalza sul posto, prima di voltarsi per poter incontrare il volto di Holden. E' un misto di felicità ed euforia quello che la prende, mentre si ritrova a specchiarsi nei suoi grandi occhioni ambrati. Lo vorrebbe abbracciare, ma si rende conto, almeno in quel frangente, che sarebbe un comportamento oltremodo curioso, alla vista di coloro che ha intorno, vederla abbracciare il nulla. Così, confusa ma felice ben più di quanto può davvero esprimere, lo guarda e lascia scivolare la sua mano sopra quella di lui. «Ciao straniero. Cominciavi a mancarmi.» Si interrompe immediatamente, quando i suoi occhi captano qualcosa di nuovo addosso al giovane cacciatore. Un cappello con le corna da renna e un improbabile boa natalizio. Joaquin pensa immediatamente la strega, mentre tenta di camuffare un sorriso. « Joaquìn. Zitta, non dire nulla. » Ridacchia, sotto i baffi, mentre davanti ai suoi occhi si dipinge l'immagine di Holden costretto da Joaquin ad indossare tutto quell'armamentario. Pervinca non si stupirebbe se venisse a sapere che Jo non ha più una mano, per aver osato anche solo pensato di agghindarlo in questo modo. «Beh, che dire, ti dona la gioia di vivere. Sei anche più bello, se possibile.» Un complimento sincero, mentre si scioglie nella dolcezza che quel momento riesce ad infonderle. E' bello averlo vicino, sentirlo vicino. Se non a Natale, quando si può godere della presenza calda di una persona alla quale si vuole bene? « E' dura, lo so.. non so neppure come si festeggia il Natale....mi servirebbe proprio la tua guida, anche oggi. » E' bello sentirsi così connessa ad una persona, seppur non l'abbia mai effettivamente vista. Tris le ha raccontato di com'è Holden dal vivo, di com'è vivere con lui ogni giorno, di come sono cresciuti e un po' l'ha invidiata nell'ascoltare quei racconti. Lo ha fatto, ma anche trattenuto per sé tutti quei piccoli particolari che hanno arricchito l'immagine che ha di lui Pervinca, rendendola più vivida e reale di quanto non sia averlo nella propria testa. «E a me manca il giorno in cui riuscirò ad abbracciarti davvero, non solo qui dentro.» Si carezza piano la tempia, sorridendogli. « Però questa tradizione dei doni la conosco! e.. ho una sorpresa per te! » Confusa, si lascia guidare da lui in quello che appare ai suoi occhi come un salone di una residenza sconosciuta. Si guarda intorno, girando sui propri piedi, ammirata di fronte all'imponenza di tutto ciò che la circonda. Torna a guardarlo, con sguardo interrogativo. «Siamo ad Inverness?» Gli domanda, la voce più acuta del solito, mentre tenta di non sembrare una fangirl sovreccitata. Ma ha sognato quel posto più del dovuto e ora si ritrova a camminarvi dentro, senza effettivamente farlo, ma è bello, davvero bello tornare a casa. Per un attimo i suoi occhi azzurri si posano sull'alberello che giace poco più lontano, addobbato alla bell'e meglio e Pervinca riesce a percepire il tocco di Holden in tutto quello cge vede e il saperlo così impegnato in qualcosa riesce a renderla molto più felice di quanto si sarebbe mai immaginata. Finalmente libero, dal viso sereno e non più tormentato. « Questo è per te! » Pervinca si avvicina al tavolo, cercando di captare qualche indizio dallo sguardo euforico di Holden, ma alla fine decide di scartare il suo regalo, rimanendo per qualche istante in silenzio, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime silenziose, così, senza volerlo. Guarda fissa l'arco e la faretra già piena di quelle frecce di cui Holden le sta decantando la qualità, ma lei non sente nemmeno una parola, non quando il suo unico pensiero è quel calore conciliante che ha nel petto. Non festeggia un Natale come si deve da anni. Non riceve un regalo da anni. Non si ricorda nemmeno i passati Natali, forse perché fin troppo ubriaca, in qualche pub malfamato di Londra. E quello è il suo primo anno, quello dove non è sola, sì certo, è sempre pronta a morire in quel castello divenuto una trappola mortale, ma ha una famiglia, ha amore, ha affetto. Alza lo sguardo verso Holden, arricciando il naso mentre una lacrima alla fine le sfugge dagli occhi per seguire la sua traiettoria lungo la guancia. «Io non ti ho fatto un regalo» si ritrova a dire, mentre realizza quel pensiero. Lei non ha niente per lui, se non se stessa. Così si lancia, lo abbraccia, lo stringe forte a sé, pur sapendo che quel contatto non riuscirà a trasmettergli tutta la sua totale e incondizionata gratitudine. «Ti voglio davvero bene, lo sai?» Gli sussurra all'orecchio, socchiudendo gli occhi. E' in quel momento che il suo pensiero torna ad Alaric e al suo essere stata una completa stronza. Lui è solo, come lo è sempre stata lei, fin da quando ne ha ricordo, pur avendo una miriade di persone intorno. Non è giusto. «Oggi non mi hai fatto solo un regalo fisico che non vedo l'ora di poter usare con te.» Prende a dire, staccandosi quel tanto che le permette di guardarlo in volto. «Oggi mi hai donato anche la possibilità di avere una presa di coscienza. So essere davvero una stronza alle volte, non è così? No, non rispondermi, lo so da sola e purtroppo non posso dare nemmeno tutta la colpa alla testa che mi ritrovo.» Continua a parlare, guardando prima altrove e poi di nuovo lui. «Non ti ho fatto un regalo tangibile, perdonami, ma posso regalarti un pensiero. Prendilo un po' come vuoi: come un consiglio, come una frase buttata lì per caso, come quello che vuoi. Fai sempre quello che ti va di fare, quello che ti costringa a mettere un sorriso su questo bel faccino che ti ritrovi. Sii felice, talmente tanto da sentire dolore alle guance per quanto tirano i muscoli.» Alza le sopracciglia, come a voler alludere ad altro, che va ben oltre quelle parole. «E ora, se non ti dispiace, devo assentarmi per un po', ma tu non allontanarti troppo che dobbiamo scambiarci gli auguri a mezzanotte Passa una mano sopra la scatola contenente il suo regalo, sorridendo. «Mi raccomando, preparati, perché quando andremo a caccia insieme, sul serio, ti farò talmente il culo che la sconfitta brucerà. Tanto

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    Torna alla sua di realtà, mentre vede Holden avviarsi verso i piccioncini innamorati. Lei, dal canto suo, adocchia quattro delle cose che ha deciso di agguantare: la propria borsa da terra, una calza dal caminetto, una bottiglia di vino rosso dalla tavola imbandita a festa e la testolina bionda di Peter, poco lontano dai divanetti. Si abbassa alla sua altezza, mentre lo costringe a voltarsi per guardarla, con la mano stretta intorno alle sue tempie. «Signorino, è tardi, molto tardi. Quando quella candela arriverà alla base e sarà completamente sciolta, ti voglio a letto. Siamo intesi?» Peter le sorride, con quei suoi occhioni azzurri che le fanno stringere sempre un po' il cuore, lasciandola lì, ad ammirarlo ad occhi aperti, come fosse l'opera d'arte più bella di tutte. «Okay. Passi a darmi la buonanotte?» Lei gli dà un bacio sulla fronte, annuendo, sinceramente felice di sentire che qualcuno ha bisogno veramente di lei, prima di rialzarsi e lasciarlo andare dai suoi amichetti. Ed è allora che prende a seguire l'istinto, annusa l'aria, per riuscire a seguire la sua pista. L'odore la conduce su per le scale, sempre più su, quasi in cima alla torre di Corvonero. Alaric sembra essersi rintanato lontano dal mondo, forse perché nemmeno a lui il Natale ricorda belle cose. Alle persone che vivono da sole da una vita non può piacere quella festività, non quando la maggiore gioia che ne consegue è sperare di bere talmente tanto da scivolare sotto il tavolo, addormentandosi per poi finire a risvegliarsi l'indomani, quando tutto è finito. Il suo odore proviene da dentro una camera. Pervinca arresta i suoi passi davanti ad essa, per poi battere due leggeri colpetti contro la porta, abbastanza forti da essere uditi dal suo interno e poi, senza troppe cerimonie, entra. Prova a sorridergli, per cercare di sembrare lì assolutamente per caso, come è sempre stata così brava a fare. "Sai, mi trovavo qui per caso e ho pensato di venire a vedere come stavi, a controllare che non ti fossi buttato di sotto nella terza notte all'anno in cui si registrano più suicidi nel mondo." No okay, magari questo non glielo dico. «Ehilà.» Oh beh, che bell'inizio del cazzo, Pervinca, lasciatelo dire. Scuote la testa avanzando nella stanza con cautela, lasciando dondolare la bottiglia davanti a sé, per lasciargliela vedere. «Non ti ho visto di sotto e ho pensato di portarti qualcosa» riprende. «E sì, ti ho portato del vino invece che prenderti da mangiare, lo so, questo dice molto su di me.» Come darle torto? I loro occhi si incontrano per qualche istante e Pervinca lo sente quell'emozione strana dentro il proprio cuore. I portoghesi la chiamano saudade. Sentimento di nostalgico rimpianto, di malinconia, di gusto romantico della solitudine, accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente. E seppure lo abbia tangibilmente di fronte a sé, è anche un po' come se fosse assente, come ad essere in grado di lasciarle una voragine fastidiosa nell'anima. Storce le labbra, un po' imbarazzata nel rimanere lì, impalata, in mezzo alla stanza. Perciò tira fuori dalla borsa la calza e gliela lancia. E' quella con su scritto il suo nome. «Non so davvero a cosa possa servire completamente vuota, ma beh, questo ha passato il convento di sotto.» Si guarda intorno qualche istante, prima di scegliere un letto per sedersi contro l'asse verticale del suo baldacchino. «Se te lo stai chiedendo, la risposta alla domanda "Perché sei qui?" è perché non volevo stare da sola.» In un posto pieno zeppo di gente, già. E' coincisa, mentre cerca di fare la sostenuta. Già, di sto cazzo. Cos'è che hai appena detto ad Holden? Che sei una stronza patentata qualche volta? Giusto. «E perché non volevo che lo fossi tu. E' Natale dopotutto, nessuno può stare solo a Natale. Nessuno deve stare da solo a Natale.» Gli sorride, prendendo un sorso di vino, ricordandosi dell'ennesima cosa che ha dentro quella borsa da giorni ormai. Così vi infila nuovamente una mano dentro, prima di estrarne un calice. Il suo calice, quello con lo stemma dei Targaryen. Vi versa dentro un po' di vino, prima di lasciarlo scivolare verso di lui, strisciando sul pavimento. «Sono riuscita a recuperarlo prima che la signora cicciottela di quel quadro inquietante che avevi sopra la scrivania facesse a pezzi l'intero studio.» Si giustifica, stringendosi nelle spalle. «Passavo lì per purissimo caso, ovviamente, se ti stai chiedendo anche questo. Sì.» Ma falla finita, Pervinca, dai. «Suppongo che sia doveroso dirlo, perciò..buon Natale, Alaric!»
     
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    Le lucine natalizie illuminano l'atmosfera buia di quel monolocale, filtrando dai vetri delle finestre. Un posto piuttosto angusto, stretto, dai muri da riverniciare, la carta da parati decisamente usurata, e l'aria che sa di chiuso. E di fumo. Eccoli lì, quei due ragazzetti, stretti l'uno contro l'altra in quel divano sfasciato, di quell'orribile color sabbia slavato. Non hanno più di vent'anni l'uno, l'espressione stanca ed annoiata. E' la vigilia di Natale, e loro sono lì, seduti su quel divano, la camera completamente oscurata, a fumare erba in silenzio. « Hai dimenticato di pagare la luce. Di nuovo. » Borbotta lei, la testolina bionda poggiata sul petto dell'altro. Questi annuisce, lo sguardo cristallino perso nel vuoto. Non l'ho dimenticato, non avevo i soldi e basta. Evita di dirlo, rimanendo in silenzio. Non è una gran bella situazione economica, la loro. ..Okay diciamocelo, fa proprio schifo. Ha trovato un lavoro come commesso in un autogrill scadente sulla ventiquattresima strada. E con commesso intendiamo schiavetto personale del capo. Lo paga poco, non l'ha messo in regola, lo sfrutta praticamente dalla mattina alla sera ma..Beh, è comunque qualcosa, in qualche modo. « Perchè cazzo ti dimentichi di pagare sempre la cazzo di luce, me lo spieghi? » Si stringe nelle spalle, scuotendo la testa leggermente. Non lo fa apposta, è solo che..E' fatto così. Si dimenticherebbe persino dove ha messo la testa, se non ce l'avesse attaccata al collo. E poi, negli ultimi mesi, i soldi li ha messi da parte per altro. Certo, non è stato facile. Ha dovuto fare degli straordinari oltre agli straordinari che, di base, Hank gli appioppava un giorno si e l'altro pure, ma in qualche modo ce l'aveva fatta. « Mi dispiace. » Mormora, facendo altri due o tre tiri dallo spinello, per poi passarglielo. « Vacci piano okay? Il dottore ha detto che... » « Che si fotta il dottore, sono incinta, non malata terminale. » La fissa per qualche istante, poi annuisce, senza ribattere. Ebbene sì, Pervinca è incinta. Assieme a tutte le loro immense gioie, tra cui un monolocale di merda che puzza di morte, un lavoro sottopagato, una dipendenza non indifferente da psicofarmaci e droghe pesanti..Pervinca è incinta. « Devo andare in bagno. Oh questo il dottore non l'ha mica detto: diventerai un distributore automatico di pipì. » Per l'ennesima volta, il ragazzo non risponde, limitandosi a scostarsi da lei, allungando le braccia per aiutarla a rialzarsi. Si mette in piedi, Pervinca, e riesce ad intravederla dalla penombra che filtra attraverso le finestre. E' incinta. Cazzo è incintissima. Ma sempre così bella. I lunghi capelli biondi le ricadono sulle spalle, il viso struccato ed un lungo maglione bordeaux a coprirla fino alle cosce. Dio quanto la ama. « Vuoi aiuto? » Le domanda, una volta giunti alla porta del bagno (dopo circa..otto passi, forse dieci, dal divano). « Hai già fatto abbastanza guai lì sotto, tu. » Si indica la pancia con un gesto eloquente « Grazie, faccio da sola. » Non ribatte, il biondino, limitandosi a poggiarsi contro la porta appena chiusa dalla ragazza. Respira profondamente, guardandosi attorno, fin quando la sua attenzione non viene catturata da qualcosa, alla sua destra. Un piccolo calendarietto, di quelli coi giorni scritti sui fogli da staccare. 24 Dicembre. Si stacca dalla porta, cominciando a tastarsi i pantaloni alla ricerca del cellulare (un nokia vecchio di almeno una decina d'anni) e non appena lo trova, aspettati quei buoni cinque minuti per sbloccare lo schermo con quei tasti sfasciati, adocchia l'orario. Dieci minuti a mezzanotte. « Cazzo Pervy, è Natale! » Asserisce allora, bussando alla porta. « E alloraaa? » Continua a bussare, insistentemente. « Bussa ancora e giuro che te la stacco quella mano, porca troia! » « Andiamo muoviti, non puoi stare sul cesso appena scatta Natale! » Sente il rumore dello sciacquone, e la porta si apre con così tanta violenza, che per poco non precipita in avanti. « Perchè, c'è una fottuta legge che lo vieta? » Non la ascolta, ma la prende per mano, trascinandosela dietro verso il salone (di nuovo, una decina di passi più in là). « Ma che ti è preso? Ti sei fatto di anfetamine mentre ero al cesso? Mi incazzo come una bestia eh. » Scuote la testa, ridacchiando. Si sente euforico, Alaric. Non sa se qualcuna delle sue personalità ha appena preso il sopravvento sulle altre, ma poco gli importa. E' Natale, cazzo è Natale. Non l'ha mai considerata più di tanto, quella festa. A casa sua, inutile dirlo, non si è mai festeggiata nella maniera più tradizionale. Sua madre, fanatica religiosa fino alla morte, si limitava a trascinarselo in Chiesa, per poi ricacciarlo dentro la sua stanza, una volta tornati a casa. Niente regali, niente lucine natalizie, niente di tutto ciò che vedeva sempre nelle altre case, o in tv, quando la madre gli permetteva di guardarla. « E' il nostro primo Natale da marito e moglie. Ed anche il nostro primo natale con Frodino...O Vaniglia. Non possiamo passarlo su quel fottuto divano. » Asserisce, con una decisione che poco gli appartiene. Si gira su sè stesso, prima di abbassarsi a terra. « Quindi come regalo ti stai mettendo a novanta? Beh apprezziamo l'originalità... » Pervinca ride, mentre lui allunga un braccio sotto al divano, per estrarne un piccolo pacchetto. « L'ho incartato io, per questo è una merda. Però la scatola sotto è davvero carina, giuro. » Mormora, porgendole il regalo. Aspetta qualche istante, piegando la testa di lato. Pervinca, dal canto suo, sembra piuttosto..bloccata. « Avanti, aprilo! » La convince dopo qualche minuto, fino a quando tra le dita affusolate della ragazza non si materializza un walkman. Di quelli classici, anni '90 in tutto e per tutto, con le cuffie, i tasti rialzati e lo spazio per inserire la cassetta. « Potrai aggiungerci le cassette che vuoi, quella che c'è già ha solo una canzone. La nostra canzone, quella della prima uscita in macchina, ricordi? » La invita a mettersi le cuffie, scostandole i capelli dalle orecchie, poi trotterella per la stanza. Afferra la bacchetta, illuminando con la magia tutti quegli addobbi e quelle lucine Natalizie che, in mancanza della luce elettrica, erano praticamente morti. Torna da lei, a quel punto, prendendole entrambe le mani, per poi salire sul divano. Quindi inizia a ballare, a cantare. Si allontana da lei, poi si riavvicina, poi si riallontana per riavvicinarsi. Si ferma poi per riprendere fiato, piegandosi su sè stesso per arrivare allo stesso livello di lei. La guarda, prima di scorgere una leggera patina lucida attraverso i suoi occhi chiari. « Ehi, che c'è? Se non ti piace... » Lacrime iniziano a sgorgare sul viso di Pervinca, ed è allora che entra nel panico più totale. « Nooooo dai dai dai! Lo faccio cambiare! Ce lo rivendiamo! Lo butto, giuro lo butto! » « Non mi lascerai, vero? Anche se sono una balena, ho qualcosa che non va in testa e piscio più di una vecchia di novantanni. » Tira su col nasino, Pervinca, e Ric rimane immobile per qualche istante. Poi si avvicina a lei, rimanendo in ginocchio sul divano, e le braccia la vanno ad avvolgere interamente. « Mai, capito? Non vi lascerò mai. Ti amo, vi amo, tutti e due. Anche se mi hai quasi rotto il bacino ieri notte facendolo all'amazzone... » Gli molla uno schiaffetto, Pervinca, stringendosi al suo petto. « Sei un coglione, lo sai? » « Lo so, ma sono il tuo coglione. » Le sorride, prima di chinarsi a baciarla. La bacia come fosse il primo bacio, perchè è così che si sente, ogni volta che lo fa. « Ric...Posso dirtela una cosa? » Mormora Pervinca, una volta scostatasi per poterlo guardare in faccia, mentre Alaric annuisce. « ...Fai davvero schifo a cantare. »



    She had a face straight out a magazine
    God only knows but you'll never leave her
    ...
    I'll give you one more time
    We'll give you one more fight
    Said one more line
    Will I know?

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    Si sveglia di soprassalto, non appena qualcosa di viscido ed appiccicoso si posa sulle sue labbra. « ...Rhaegar che cazzo! » Si mette a sedere di scatto, facendo letteralmente volare il cagnetto, che ruzzola sul pavimento, poi ritorna in piedi e scodinzolante. Torre di Corvonero, vigilia di Natale. Quella festa gli fa schifo. Il Natale, gli fa schifo. Uniamola alla situazione di merda del castello, e otterremo uno schifo ancora più grande. Non è un gran bel periodo quello, per Alaric Irvin Wilde. Tutto quel caos, tutte quelle trappole, tutta quella morte, non gli hanno fatto e non gli fanno granchè bene. E' sempre vissuto in un mondo tutto suo, Ric, fatto principalmente di sogni, supereroi e droga, tanta droga. Ah, e il suo cane. Gli lancia un'occhiata, allungando poi un braccio per accarezzargli la testolina spelacchiata. « Beh, almeno ho te. Vero? » Rhaegar lo guarda per qualche attimo, poi, come attirato da qualcosa, si allontana, trotterellando verso la porta della stanza e rimanendo lì. « ...Come non detto. Grazie tante. » Borbotta, prima di ridere, da solo, come ormai è solito fare. E' sempre solo, Alaric. Lo è sempre stato, dopotutto. Ma ultimamente..Gli manca qualcosa. Ci sono le voci, e poi ci sono i sogni. Quel sogno ricorrente. Quei due ragazzi stretti sul divano, a baciarsi in mezzo alle luci di Natale. Qualcosa attira la sua attenzione, impedendogli di starci a pensare ulteriormente. Dei rintocchi sulla porta, seguiti dall'abbaiare di Rhaegar. Si scopre, lanciando la coperta fino ai piedi del letto, facendo per alzarsi, quando la porta non lascia spazio alla nuova compagnia. Lei. «Ehilà.» Il cuore perde qualche battito. « Ehi. » Hey, ma davvero? Si morde il labbro inferiore, a disagio. Non la vede da parecchio, non da così vicino, per lo meno. L'ha adocchiata assieme agli altri delle volte, ma non ha mai avuto il coraggio di avvicinarsi. Da ciò che ricorda, la verità è che lei probabilmente lo odia, e lui dal suo canto è troppo cagasotto per impedirlo. Ordinaria amministrazione. Si è abituato, dopotutto. Infondo Pervinca è Pervinca, e lui è lui. Lei è sempre stata troppo per lui. Eppure eccola lì, al momento, ad avanzare con cautela nella sua direzione, agitando quella che comprende dopo qualche istante essere una bottiglia. Non sembra intenzionata ad insultarlo, nè ad ucciderlo.. E' forse un passo avanti? «Non ti ho visto di sotto e ho pensato di portarti qualcosa. E sì, ti ho portato del vino invece che prenderti da mangiare, lo so, questo dice molto su di me.» Una leggera risata gli scuote il petto, mentre alza lo sguardo per guardarla meglio. E' diversa, Pervinca. Il viso sciupato, l'espressione malinconica, e poi..« Ti stanno bene, i capelli. » Sono neri, e lasciano spiccare ancora di più quei grandi occhi verdi, magnetici. E' bella, Pervinca, e lo è anche con la morte nel cuore. « Cioè, insomma..volevo dire, grazie per il pensiero. ..Ma ti stanno anche bene i capelli, ecco. » Sente qualcuno ridere nei meandri del suo cervello, e non può far niente per farlo smettere. E' un disastro e lo sa bene. Il silenzio cala su di loro, interrotto soltanto da qualche guaito di Rhaegar, che a quanto pare vuole attirare l'attenzione di Pervinca. Distoglie lo sguardo, Ric, visibilmente a disagio. C'è imbarazzo, tra loro. C'è sempre quella forma di..Mancanza. E' come se qualcosa di loro fosse sempre..Interrotta. Non sa come, non sa perchè, ma è così. «Non so davvero a cosa possa servire completamente vuota, ma beh, questo ha passato il convento di sotto.» Si rigira tra le mani la calza di lana che lei gli ha appena lanciato, confuso. «Se te lo stai chiedendo, la risposta alla domanda "Perché sei qui?" è perché non volevo stare da sola.» Sa della festa al piano di sotto. Sa del banchetto, sa dei regali, sa persino degli addobbi Natalizi. Sa che lì, Pervinca non era sicuramente da sola. Ma sa anche bene, che talvolta si è più soli in una stanza piena di gente, che in una camera vuota. Quindi annuisce, in silenzio, evitando di farsi domande sul perchè abbia scelto proprio lui, per non stare da sola. Non vuole illudersi. «E perché non volevo che lo fossi tu. E' Natale dopotutto, nessuno può stare solo a Natale. Nessuno deve stare da solo a Natale.» A quel punto, un sorriso si dipinge sul suo viso scavato e stanco. Non ha una gran bella cera, Ric, come tutti d'altra parte ormai, eppure si illumina comunque, in quel sorriso sincero. « Beh, grazie. Direi che a questo punto possiamo stare da soli assieme. E' meno brutto, mh? » La vede frugare nella propria borsa, di nuovo, prima di estrarne qualcosa di familiare. Assottiglia lo sguardo, e lo riconosce. Il calice, il suo calice. Uno degli oggetti più cari che abbia mai avuto, seppur non sappia esattamente perchè. Lo riempie di vino e glielo porge, facendolo scivolare sul pavimento. Si cala appena per raccoglierlo, Alaric, rigirandoselo tra le mani, la stessa espressione di un bambino che ha appena ricevuto in regalo un nuovo giocattolo. « Come hai fatto a recuperarlo? Credevo di aver perso tutto.. » Come sempre. «Sono riuscita a recuperarlo prima che la signora cicciottela di quel quadro inquietante che avevi sopra la scrivania facesse a pezzi l'intero studio. Passavo lì per purissimo caso, ovviamente, se ti stai chiedendo anche questo. Sì.» Ridacchia, senza smettere di sorridere. Dopo mesi di tristezza, non riesce a smettere di sorridere. Beve qualche sorso, per poi poggiare il calice sul comodino adiacente al letto. «Suppongo che sia doveroso dirlo, perciò..buon Natale, Alaric!» « Io..ahm...Grazie. » E' confuso. La gentilezza nei suoi confronti lo confonde, sempre. La sua gentilezza, lo confonde. Ma ciò nonostante, gli piace. Un punto di luce in un mare di tenebra. « E' gentile da parte tua, tutto quanto. E cavolo adesso mi sento in colpa, io.. Io non ho niente da regalarti. » Si passa le mani fra i capelli, prima che l'istinto lo porti a tastarsi le tasche dei jeans. Lo individua allora, e lo estrae. Un vecchio walkman anni '90, di quelli originali. « Ero disperato quando ho perso le cuffie, ma ho scoperto che funziona anche senza. Adesso, dopo anni. » Ride, balzando giù dal letto, mentre Rhaegar lo segue scodinzolando per tutto il tragitto. « Ho una sola cassetta, con una sola canzone. Non so perchè, ma è sempre stato così, credo. » Si stringe nelle spalle « Lo so, è deprimente, ma questo passa il convento. » La cita, ridacchiando debolmente, prima di armeggiare coi tasti, sino a far partire la canzone. Quella canzone. L'ha sempre canticchiata, in un modo o nell'altro. Sotto la doccia, a squarciagola, persino all'ospedale psichiatrico. E' un motivo che non ha mai abbandonato quella sua memoria generalmente di merda. Non sa perchè. « Promesso, non canterò. Qualcuno mi ha detto che faccio davvero schifo a cantare, una volta » Prova a ricordare chi, ma non ci riesce. « Ma..So ballare. Più o meno. E ti devo un ballo, forse anche due. » Le sorride a quel punto, a disagio. Si aspetta un cuscino lanciato sulla faccia tra non più di dieci secondi, ma almeno potrà dire di averci provato. In fondo domani potrebbe morire, potrebbero morire tutti, cos'ha da perdere? « Non ho mai avuto un'altra accompagnatrice, per quel ballo. Avrei voluto invitare te, sin dall'inizio, ma avevo troppa paura per farlo. Come sempre. » Si stringe nelle spalle, con espressione rassegnata, avvicinandosi a lei quel tanto che basta per poggiare il walkman sul materasso. « E' troppo tardi per rimediare, almeno un po'? Non dico tutto, giusto un po'. » Mi basterebbe anche solo quello, davvero. Porge un braccio verso di lei, chinandosi appena in segno di riverenza. « Mi concedi questo ballo? »
     
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    « Ehi. » Oh ma bene. Di male in peggio qua. Si sente un po' a disagio, perché la cosa tra di loro si è complicata e non si ricorda nemmeno l'ultima volta che si sono ritrovati in una stanza così, senza che lei non gli urli contro le peggio cose e lui, beh, lui che rimane in silenzio e subisce a capo basso, la maggior parte delle volte. E' imbarazzante quanto sia alta la barriera gelida che si è andata creando tra di loro, per colpa sua principalmente. Per colpa del suo orgoglio ferito e sbeffeggiato più e più volte. E quindi è questo al quale ci siamo ridotti. Ehilà ed ehi. Bella merda. Constata amaramente, mentre cerca invano di ignorare il cagnetto che tenta disperatamente di attirare la sua attenzione. Abbaia, emette versi incomprensibili, saltella e prova a piantarle le sue zampette tozze sulle gambe. Abbassa lo sguardo e lo guarda in cagnesco, letteralmente, per qualche istante. Ehi, ascolta cocco, capisco che senti la natura che chiama, ma non siamo fatti per stare insieme io e te. Okay? Ma il cagnetto continua, con quella sua lingua di fuori, penzolante, e i peli del muso uno di qua e uno di là, sparati per aria, a farlo sembrare ancora più spelacchiato. Cielo, quanto sei brutto. Però quello continua, imperterrito e alla fine, esasperata, lei si abbassa al suo livello e lo guarda da vicino, stringendo appena gli occhi, giusto per fargli capire chi è che comanda lì dentro. Chi è l'alfa tra i due. Messe in chiaro le posizioni, chi è chi, lei fa per allungare la mano ad accarezzare il suo umile suddito, ma questo è più veloce, sbalza in avanti e le lecca la faccia, da parte a parte. «Ric, il tuo cane molesto ci sta provando con me. Non è da signorini per bene leccare la faccia ad una ragazza al primo appuntamento, lo sai, cane? Lo puoi fare a partire dal secondo appuntamento, in previsione della terza base, ma mai alla prima. E' la regola, cane Si rivolge direttamente al cosetto peloso, puntandogli contro l'indice, per poi sedersi a terra, vicino a lui. Lo intima a star fermo, cercando di far leva sui suoi fighissimi super poteri da lycan. Ora stai fermo e aspetti che sia io ad avvicinarmi, intesi? Come se il cane potesse effettivamente comprenderla. Eppure, sembra farlo, quando rimane immobile, fin quando la mano di Pervinca non arriva alla sua testa ed è allora ce comincia a guaire tutto contento per quelle attenzioni tanto desiderate che finalmente arrivano, proprio da lei. « Ti stanno bene, i capelli. Cioè, insomma..volevo dire, grazie per il pensiero. ..Ma ti stanno anche bene i capelli, ecco. » Se n'è accorto. Sposta gli occhi dal cane agli occhi di lui, mentre rimane in silenzio quando un principio di rossore le impreziosisce le guance, involontariamente. Le fa piacere. «Oh, beh, grazie. Avevo bisogno di lasciar uscire il cambiamento che è avvenuto all'interno, in qualche modo.» Si ritrova a dire, stringendosi appena nelle spalle. «Probabilmente tra qualche giorno me ne pentirò e tornerò al mio color miele, ma per ora, grazie.» Lo guarda e nota il viso incavato. Chissà da quanti giorni non mangi. Gli occhi mediamente spenti, nella penombra che alcune candele sparse qua e là donano alla stanza. «Ti sei lasciato crescere la barba. Ottima scelta.» Commenta. «Ti dona quell'aria da survivor che tanti ragazzini di sotto farebbero a botte per avere, in previsione del giorno Tutti parlano del giorno X, il giorno della liberazione, quando i cancelli si apriranno e il mondo li vedrà come i sopravvissuti che probabilmente sono davvero. E per avere un'aria da macho, di quello che ha visto di tutto ed è ancora in piedi, sicuramente serve quella barba che Ric ha acquistato, nel tempo e che riesce quasi a nascondere al mondo il suo deperimento generale. Ma non ai suoi occhi. Forse avrei dovuto portarti del cibo invece che del vino. Constata, timidamente, e sta per chiedergli se vuole dell'altro o se magari vuole scendere ai piani inferiori, per cercare di racimolare qualcosa di quell'infinito bacchetto che Edmund ha deciso di mettere su per loro, loro che ancora stanno in piedi, dopo un mese e mezzo di morte continua. « Beh, grazie. Direi che a questo punto possiamo stare da soli assieme. E' meno brutto, mh? » E' presa in contropiede da quell'affermazione e così si ritrova a mordersi l'interno della guancia, annuendo silenziosamente. E' quello che siamo stati sempre tanto bravi a fare insieme, in fondo. Farci compagnia nell'essere soli. Per fortuna il vino la fa da padrone e riesce a mitigare quell'imbarazzo davvero imbarazzante che è presente, tangibile e reale, tra di loro. Butta giù ancora qualche generoso sorso, tenendo la bottiglia con una mano e l'altra sempre intenta a carezzare il cane. « E' gentile da parte tua, tutto quanto. E cavolo adesso mi sento in colpa, io.. Io non ho niente da regalarti. » Scrolla la testa, come a dire che non deve assolutamente prendere quello come regalo di Natale, che non è niente e che non le deve niente, ma lui tira fuori un walkman. Di quelli classici, anni '90 in tutto e per tutto. Rimane a fissarlo, per qualche secondo, mentre un forte deja-vù la colpisce in pieno. Le sembra famigliare quell'aggeggio meraviglioso, che le ricorda così tanto la sua adolescenza e gli anni in cui sembra sempre rimasta intrappolata. Quelli più belli, quelli che avrebbe sempre voluto rivivere, quasi in loop. « Ero disperato quando ho perso le cuffie, ma ho scoperto che funziona anche senza. Adesso, dopo anni. Ho una sola cassetta, con una sola canzone. Non so perchè, ma è sempre stato così, credo. Lo so, è deprimente, ma questo passa il convento. » Lui armeggia con i tasti e parte una canzone. Quella canzone. La conosce bene, è un ritornello ricorrente. Spesso ci si sveglia, di mattina, e l'accompagna fino a sera, quando non si infila nel letto. E a volte la sogna pure. E' una canzone che adora. « Promesso, non canterò. Qualcuno mi ha detto che faccio davvero schifo a cantare, una volta. » «Oh sì, me lo ricordo. Quest'estate, al pub gay, hai dato il peggio e il meglio di te. Sicuro Jimmy ancora racconta ai posteri della performance mozzafiato di Ric Fissatette Un sorriso si palesa sulle sue labbra, mentre si tira in piedi e comincia a seguire la canzone, canticchiandola silenziosamente. « Ma..So ballare. Più o meno. E ti devo un ballo, forse anche due. » Si blocca, subito, quando sente quelle parole. La canzone continua ad andare, ma lei ha smesso di cantare. Lo guarda ed è indecisa se dargli un ceffone o se tentare di soffocarlo con il suo stesso cuscino, così da rendere ancora più drammatica e patetica la cosa. Si porta una mano al fianco, inclinando la testa di lato. «Anche più di due.» Commenta, stringendo la mandibola, lasciando che i denti cozzino tra di loro in un rumore stridente. « Non ho mai avuto un'altra accompagnatrice, per quel ballo. Avrei voluto invitare te, sin dall'inizio, ma avevo troppa paura per farlo. Come sempre. » E ora ti vorrei strozzare. Davvero. Qualcuno mi dia una
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    corda o lo faccio a mani nude.
    «Dopo questa, decisamente più di due.» « E' troppo tardi per rimediare, almeno un po'? Non dico tutto, giusto un po'. Mi concedi questo ballo? » Lui le fa le riverenza e beh, lei rimane senza parole. Lo guarda in silenzio e non sa che fare, né cosa dire. Perché è vero, a Natale tutti si è più buoni e lei è andata a cercarlo perché voleva cercare di trovare un ponte per riconnettersi nuovamente con lui e lui fa così. E vedete, Pervinca è la donna che non perdona, che non te ne fa passare nemmeno mezza liscia, perché insomma, anche una parola messa lì, a caso, può creare dentro di lei un tale scompiglio da generare un uragano devastante. E' vero. Però poi basta un qualcosa, una semplice dimostrazione vera di affetto a far crollare qualsiasi sua certezza. E lì la sua certezza, nel periodo precedente e antecedente al ballo era sempre stata una soltanto. "Tenersi a distanza di sicurezza, tenersi alla larga da Alaric Wilde. Perché è un grandissimo pezzo di merda e se non mi vuole, se non mi vuole nemmeno come accompagnatrice al ballo, allora non si merita di respirare nemmeno la mia stessa aria." Ma poi lui fa una cosa del genere. La invita a ballare, in quella stanzetta semibuia e talmente triste, da riuscire a farla sorridere, per poi scoppiare a ridere, mentre gli occhi chiari si riempiono di lucide lacrime, a metà tra l'ilarità e l'emozione che sinceramente prova in quel momento. Così si abbassa, allargando un fantomatico vestito da sera, tendendo il tessuto largo di quei pantaloni scuri. Poi si avvicina e gli stringe la mano, per poi guardarlo negli occhi. «Non ti basterà fare il carino, mettere due parole in fila per bene e pensare di cavartela con un ballo dentro la stanza di un qualche studente di Grifondoro qualsiasi, che puzza di chiuso e mette una tristezza allucinante che nemmeno io nei miei giorni peggiori. E no, nemmeno quando ho il ciclo sono così tanto disagiata.» Ma nonostante tutto prende ad ondeggiare, fin quando non prende la sua altra mano e se la posiziona sulla schiena, poco sopra il fondo schiena. «Deve stare qui.» Commenta, per poi guardare altrove, mentre si immerge nella canzone, riprendendo a seguirne le parole. Socchiude gli occhi e lascia ondeggiare anche la testa, in quello strano balletto che risulterebbe imbarazzante da vedere ai più, ma non a lei. A lei no. Le risulta quasi familiare stringergli le mani e volteggiare in una stanza che sembra una catapecchia e che puzza di topo morto da minimo due settimane. Tutto quell'intero scenario le dà una sensazione strana, come di già vista. L'ha rivista anche da poco, come una visione. Una delle tante visioni che ha da quando si è trasformata, ad Agosto. Ha sempre creduto fosse colpa dello shock, visioni che non possono essere chiaramente del suo futuro, perché in quelle visioni lei è piccola, è adolescente e con lei c'è sempre lo stesso ragazzino mingherlino, dai profondi occhi azzurri. Torna a guardarlo negli occhi e vi si perde all'interno per qualche istante. Quegli stessi occhi azzurri. Per un attimo ha come l'impressione che quelle non siano visioni dal futuro, ma più dei flashback dimenticati del passato. Ma insomma, è praticamente impossibile. Così scrolla il capo, sorridendo. «Dovresti smettere di avere paura, Alaric» comincia a dire, annuendo alle sue stesse parole. «Persino essere stato ed essere ancora in mezzo alla completa e desolante morte non ti dà quella giusta spinta necessaria per metterti in gioco?» Lo fissa in silenzio, mentre si rende conto che quella è una vera lezioncina da maestrina, fatta e finita. Ma si sente in dovere di fargliela, dopo che ha ammesso che l'unico motivo per il quale non le ha chiesto di andare insieme al ballo è stato proprio per colpa della paura. Una cosa inconcepibile per lei. «Quei ragazzini che sono morti davanti ai tuoi occhi non ti hanno insegnato nulla?» Gli chiede, stringendo appena le labbra. «Non che siano affari miei, ovviamente, ma credo che ognuno di noi debba qualcosa ad ognuno di loro. Dobbiamo onorare le loro morti, in qualche modo e la cosa migliore che possiamo fare è smettere di vivere con la paura. E vivere, ogni istante che ancora ci verrà donato, così da non andarcene con qualche rimpianto.» E alcuni di loro se ne sono andati con dei grossi rimpianti. Lo ricorda ancora, Patrick, un Corvonero del sesto anno, che ha trovato qualche giorno prima, schiacciato dal Platano Picchiatore. Ha provato a salvarlo, ma le condizioni erano troppo critiche e inoltrate per fare qualcosa. Eppure Patrick era imbottito talmente di adrenalina da riuscire ancora a parlare, per qualche altro minuto. "Avrei voluto dire a Christopher che sono sempre stato innamorato di lui. Che lo penso anche ora, che lo penserò sempre. Puoi dirglielo tu?" Si schiarisce la voce, mentre muove il naso, guardando altrove. "Glielo dirai tu, Patrick, vedrai." Gli aveva detto, ma alla fine era stata lei a recapitare il messaggio di Patrick e Christopher ha pianto, convulsamente, per quelle che le erano parse delle ore. «Mi piace questa canzone, è molto carina.» Cambia discorso, per poi tornare a lui, dopo qualche istante. Ed è in quel momento che ha un nuovo flash. Di nuovo lei, da giovane, in una stanza messa male quanto quella, con un ragazzo biondo, come Ric. Le immagini si sovrappongono alla realtà e lei ricorda di avere qualcos'altro nella sua tracolla, come per magia. Vede la se stessa giovane andare verso la borsa e frugarci dentro e allora lei la imita, lasciando le mani di Ric, per scivolare all'indietro. Riapre la tracolla e vi fruga dentro, fin quando non trova quello che cerca. Una cassetta, gemella di quella che è dentro il walkman. La sventola a mezz'aria, così che anche lui possa vederla. "Love compilation, per la luna della mia vita", la dedica sul lato A, con una scrittura improponibile. Ce l'ha da sempre, ma non l'ha mai ascoltata. L'ha sempre creduta essere il regalo di qualche vecchio ex psicopatico con il quale era stata. Si avvia verso il walkman e lo prende tra le dita. Lo maneggia, per qualche secondo. «Ne avevo uno identico.» Commenta, mentre ne riconosce i colori, ne riconosce le sembianze e il troppo familiare diventa troppo reale quando i suoi polpastrelli incontrano il graffio scheggiato che ha in basso, a sinistra. Lo stesso del suo vecchio walkman. Che strano, commenta aggrottando la fronte quel tanto da farla apparire davvero pensierosa. Coincidenza, si spiega infine, infilando la cassetta dentro. La prima canzone parte e solo allora si ricorda dell'altra cosa che ha recuperato da dentro la borsa. Un paio di cuffie, di quelle vecchie, un po' consumate sui bordi gommosi, di quelle con l'asta che collega i due lati, passando sopra la testa. Le ha sempre avute con sé, pur non avendo mai più ritrovato il suo vecchio walkman con il quale usarle. «Le coincidenze della vita. Te hai un walkman senza cuffie, io ho delle cuffie senza un walkman.» Dice, infilando il jack delle cuffie nell'apposito buco. Entra senza problemi. Sono perfette, quasi fossero destinate proprio a quel lettore musicale. Torna verso di lui, alzando appena la musica, prima di mettergli le cuffie sulle orecchie. La se stessa bionda ricompare per qualche istante, oltre la spalla dell'uomo e allora Pervinca recupera la propria bacchetta, come fa la giovane sé, e la punta in aria, fin quando non compaiono file e file di addobbi natalizi, lucine colorate ovunque, che volteggiano a qualche centimetro dalla loro testa. Alcuni si vanno posizionando sui baldacchini, altri ad adornare il bordo delle finestre. E per finire, con un mezzo sorriso perfido sulle labbra, Pervinca ne fa ricadere uno intorno al collo di Ric, che si va ad attorcigliare lungo il suo busto, come un rampicante indesiderato,
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    stringendolo forte nella sua stretta. «Questo è per non avermi invitata al ballo.» Per non esserci stato. E' la prima della lista delle tue punizioni da scontare. Ma questa volta è sorridente, mentre lo dice, non più adirata o arrabbiata, tanto che la stretta del filo di luci si fa sempre meno asfissiante e alla fine lei lo guarda, ridacchiando. «Sembri un albero di Natale» considera ad alta voce, mentre abbassa gli occhi sul walkman. Pigia il pulsantino per mandare avanti e si lascia cullare da quel suono piacevole che sente arrivarle dalle cuffie che ha lui, fin quando non arriva alla canzone successiva. Shut up and dance with me. E sa che sarebbe stata quella. E' come se l'avesse sempre saputo, come se quella cassetta, in passato, l'avesse ascoltata e riascoltata, fino quasi a consumarla. Si mette l'aggeggio in tasca e alza gli occhi, per incontrare quelli di lui. Porta le braccia sopra le sue spalle. «Sai? Se ti avessi conosciuto da giovane e mi avessi fatto una cosa del genere, a questo punto mi sarei già innamorata.» Gli dice, ridacchiando. «La musica, le paroline giuste, lo sguardo da cucciolo bastonato, un po' sfigato, che preferisce starsene da solo che in mezzo alla gente, con il suo cane spelacchiato che non è capace nemmeno a guaire per bene. Saresti stato il candidato perfetto. E io, in questo preciso istante, la me giovane, avrebbe già cominciato a fare piani su come inserire tuo zio Tony, quello strano e che sta un po' sulle palle a tutti, persino a te, nel tavolo con i miei genitori, solo per il gusto di rovinare il pranzo del mio matrimonio a mia madre. Ti assicuro, sarebbe stato divertente vedere mia madre sclerare per le storie strampalate di tuo zio Tony che viaggia per il mondo senza un soldo in tasca e principalmente a piedi nudi. A lei, che con le banconote da 50 ci si pulisce il sedere, tanto sono inutili. Un vero spasso.» Le racconta come sarebbe andata la loro vita, fosse stato diverso. Se solo si fossero incontrati prima. Lentamente le mani, intrecciate dietro il suo collo, scivolano, fino ad incontrare il suo viso. Lo carezza, sorridendogli. «Io al ballo del mio ultimo anno, quello più importante e speciale per ogni ragazzina di quell'età, non ci sono potuta andare.» Non si ricorda perché, ma non ha potuto farlo. «E' una tappa che mi sono sempre persa, per un motivo o per un altro. E quando l'ho potuta davvero vivere, non è stata come avrei voluto. Per questo ho dato di matto. Perché certe cose mi mandano fuori di testa, anche le più stupide, lo so, non è normale. Mi dispiace.» Si sofferma ad osservare il gioco di luci che l'addobbo intorno al suo collo forma nei suoi occhi. «Questo non è un vero ballo studentesco, io non ho un abito adeguato, non sono bella come lo ero quella sera, tu sembri un albero di Natale e il tuo cane ci sta provando con la mia gamba da circa cinque minuti, ma..- fa una smorfia - è per me, lo sente mio ed è qualcosa di speciale. Grazie, ne avevo bisogno.» Ondeggia di lato, prima di fare una piroetta, per poi tornare da lui. «Oh, non ti azzardare a guardare indietro. tieni gli occhi solo su di me Solo su di me, per qualche altro minuto.

     
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    «Oh, beh, grazie. Avevo bisogno di lasciar uscire il cambiamento che è avvenuto all'interno, in qualche modo. Probabilmente tra qualche giorno me ne pentirò e tornerò al mio color miele, ma per ora, grazie.» Annuisce, Ric, sorridendo. E' vero, in quegli ultimi mesi non hanno avuto particolari contatti, loro due. Si è sempre limitato a guardarla da lontano, tutte quelle volte in cui si trovavano nei paraggi assieme. Eppure, nonostante tutto, un cambiamento l'ha notato. Persino lui, con quella sua testa perennemente tra le nuvole e più droga che sangue nelle vene, ha notato come Pervinca sia cambiata, in quei mesi di prigionia. La guerra l'ha temprata, l'ha mutata, l'ha resa più forte e, se possibile, ancora più bella. Il suo viso è scavato ed il suo sguardo stanco, è ammaccata, come tutti loro lì al castello, ma la trova comunque bellissima. Con quei capelli scuri e quei magnifici occhi verdi, l'espressione fiera nonostante tutto, ed una forza nascosta in quel connubio perfetto che è il suo corpo, Pervinca Branwell si staglia ai suoi occhi come una vera e propria guerriera Persiana. Una donna soldato d'altri tempi, una dea, una valchiria. «Ti sei lasciato crescere la barba. Ottima scelta. Ti dona quell'aria da survivor che tanti ragazzini di sotto farebbero a botte per avere, in previsione del giorno La guarda, e si riscopre appena imbarazzato, mentre istintivamente si accarezza la barba con una mano, quasi come se si accorgesse soltanto in quel momento, della sua effettiva presenza. « Diciamo che sono stato costretto, i rasoi sono parecchio difficili da trovare di sti tempi. E l'ultima volta che ho provato con un coltellino stavo per diventare Joker. Ma sì, facciamo finta che me la sono lasciata crescere per sembrare un duro. » Ridacchia delle sue stesse sventure, mentre si stringe nelle spalle. « Comunque, grazie. » Si sente le guance avvampare appena, ma per sua fortuna dura poco. Non è abituato ai complimenti, Ric. Appartiene a quella rara categoria di persone che ti ci riempie, di complimenti e lodi, ma che dal canto suo, non ne pretende nemmeno uno in cambio. A lui, in fondo, sono sempre bastate le più piccole cose, per esser ricambiato. Un sorriso, una carezza, a volte persino una semplice occhiata. Gli è sempre bastato poco, per riuscire a trovare quel minimo di felicità. E la trova in quel momento, per esempio, mentre osserva Pervinca alzarsi dal letto, e canticchiare quella canzone. E' bella mentre lo fa, pensa. Che la Branwell sia sempre stata bellissima, non c'è mai stata ombra di dubbio. E' di quelle donne che, anche se sei gay, uno sguardo ce lo butteresti comunque (come il buon Jimmy, ad esempio, del quale deve ancora avere il numero di cellulare memorizzato da qualche parte). «Oh sì, me lo ricordo. Quest'estate, al pub gay, hai dato il peggio e il meglio di te. Sicuro Jimmy ancora racconta ai posteri della performance mozzafiato di Ric Fissatette « Ti prego. Ha postato i miei video su youtube, sai? Tempo fa al supermercato un ragazzino mi ha fermato chiedendomi se ero quel coglione che si è lanciato contro la parete urlando binario nove e tre quarti arrivo. Mi ha chiesto anche se potevo fargli una performance live, sono famoso ormai. »« E parli decisamente troppo. » « Lasciatelo stare, è così carino. » « E qui è ancora in atto la scommessa entro quando lei lo zittirà con una testata. » Si morde il labbro inferiore e si stringe nelle spalle, distogliendo immediatamente lo sguardo. E' vero, parla troppo. Ma non lo fa nemmeno apposta. Potremmo dire che sia una reazione dettata dall'imbarazzo, il che è in parte vero, ma non è del tutto così. La verità è che con lei, Ric, si è sempre sentito a proprio agio. Nonostante la sua memoria di merda ricorda come fosse ieri il loro primo effettivo incontro, e come le abbia raccontato praticamente quasi ogni cosa della sua vita dopo nemmeno venti minuti di conoscenza. Non sa perchè, probabilmente è così e basta e, ancora più probabilmente, la cosa non sarà nemmeno ricambiata. Ma gli sta bene comunque, dopotutto. Infine, il silenzio sopraggiunge. E' ancora piegato appena in avanti, in quella riverenza piuttosto goffa e decisamente inesperta, in attesa di una qualche sua reazione. Ti prego parla. Insultami pure ma parla. Si concede di guardarla ad un certo punto, con espressione implorante, ed è allora che Pervinca scoppia a ridere. « Sta ridendo, positivo, no? » « Oh sì, tu la inviti a ballare e lei ride. Positivissimo. » « E gli occhi lucidi? » « Occazzo. » La osserva, nel panico più completo. «Non ti basterà fare il carino, mettere due parole in fila per bene e pensare di cavartela con un ballo dentro la stanza di un qualche studente di Grifondoro qualsiasi, che puzza di chiuso e mette una tristezza allucinante che nemmeno io nei miei giorni peggiori. E no, nemmeno quando ho il ciclo sono così tanto disagiata.» A quel punto annuisce. « Hai ragione, mi dispia- » «Deve stare qui.» ma non ha nemmeno il tempo per completare la frase, che la vede ondeggiare, per poi posizionarsi la sua mano sulla schiena. Tutto il contrario di tutto. E' sempre stato questo, Pervinca, o quanto meno da quando l'ha conosciuta. Ed un tal modo di fare dovrebbe forse sconvolgerlo, ma non lo fa. Gli piace, anzi, e ne è abituato, non sa perchè. In fondo, è questo che fa di lei..Beh, lei. E lei a lui piace tanto. Quindi si ritrova a ridacchiare, le dita che si stringono appena contro di lei. Quindi prendono a seguire le note di quella canzone tanto familiare, e nel farlo, nel tenerla stretta a sè e vederla canticchiare ed ondeggiare assieme a lui, Ric si sente a casa. Non gli succede spesso, anzi diremmo mai. Solo al mondo, dopo la morte di sua madre, Ric non ha mai avuto una casa. L'aveva trovata in parte ad Hogwarts, coi suoi alunni, ma gli era sempre mancato qualcosa. Non se n'era mai andato, quel senso di vuoto. Ma adesso, proprio adesso, proprio lì, in quella stanza che puzza di topo morto ed il suo cane che continua a guaire come un idiota, stretto a lei in quella danza che ha ben poco di convenzionale ed elegante..Ric quel vuoto non lo sente. «Dovresti smettere di avere paura, Alaric. Persino essere stato ed essere ancora in mezzo alla completa e desolante morte non ti dà quella giusta spinta necessaria per metterti in gioco? Quei ragazzini che sono morti davanti ai tuoi occhi non ti hanno insegnato nulla?» La guarda, mentre si mordicchia l'interno della guancia sinistra. Ha ragione, Pervinca. In quel castello sono loro, gli adulti, a dover badare ai ragazzi. Contano su di loro, vi ripongono la loro fiducia e le loro speranze. Contano persino su di lui. Quello psicopatico di Wilde, che nella sua vita non è mai riuscito a badare neanche a sè stesso in primis, si è ritrovato a dover dare aiuto e curare decine e decine di ragazzi. Chi l'avrebbe mai detto. «Non che siano affari miei, ovviamente, ma credo che ognuno di noi debba qualcosa ad ognuno di loro. Dobbiamo onorare le loro morti, in qualche modo e la cosa migliore che possiamo fare è smettere di vivere con la paura. E vivere, ogni istante che ancora ci verrà donato, così da non andarcene con qualche rimpianto.» Annuisce, distogliendo appena lo sguardo oltre la sua figura. Lui, di rimpianti, se morisse, ne avrebbe davvero tanti. Ha sempre avuto così tanta paura di vivere, così tanta paura di fare ciò che più di ogni altra cosa avrebbe voluto fare nelle più disparate situazioni, che se il destino decidesse di esser crudele, di sè in quel mondo lascerebbe soltanto rimpianti. Uno dei suoi più grandi, almeno fino ad ora, ce l'ha davanti agli occhi in quel momento. Sta rimediando, o quanto meno ci sta provando, ma diamine, avrebbe proprio dovuta invitarla a quel dannatissimo ballo. Perchè gli piace. Perchè non avrebbero litigato. Perchè non sarebbe stata costretta a vedersi morire sotto gli occhi il proprio accompagnatore. Sospira, allora, tornando a guardarla, sorridendo appena. Lei però, nonostante tutto, è ancora lì. Lei, nonostante tutto, continua a vivere e combattere. « Hai ragione. Dovrei essere un po' più come te e un po' meno come me. » Mormora. « Senza paura. Loro contano tanto, su di te. Li vedo, i ragazzi, sono orgogliosi di te, si fidano, ti ammirano. E anche io lo faccio. » L'ho sempre fatto, sin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati. Sin da quando eravamo soltanto due pazzi con il solo obiettivo nella vita di sballarsi. «Mi piace questa canzone, è molto carina.» Sorride, Alaric, piacevolmente sorpreso da quelle parole. Quella canzone è come se facesse parte di lui, in un certo senso. L'ha sempre accompagnato, praticamente ovunque, in ogni momento. Condividerla con lei, è qualcosa di..intimo. Ed è come se, in un certo qual modo, sappia che lei era e sarebbe stata la persona più adatta con cui farlo. « La canto da sempre. Non so perchè, ma è un motivo che proprio non vuole lasciarmi il cervello. Persino al manicomio la cantavo. Quante spazzole mi hanno lanciato addosso, mentre la cantavo. » Ridacchia, continuando ad ondeggiare assieme a lei. Non l'ha mai ascoltata quella canzone, prima di cantarla. E' un motivetto che gli è sempre rimasto in testa, persino dopo quell'amnesia che i dottori gli hanno accertato, i primi tempi. Un ricordo del suo passato. Una resistenza della sua mente contro l'oblio più totale. Non voglio lasciarti. Non voglio dimenticarti. Quella vocina sussurrata gli aleggia nella mente per qualche attimo. Vi si riconosce, nota lo stesso timbro di quando è disperato e spaventato. E quasi si rivede, ad opporre resistenza contro una strana luce azzurrognola. «Ne avevo uno identico.» Torna alla realtà. La luce scompare, quella voce lo abbandona, e lui torna a guardarla. Lo so, risponderebbe d'istinto. Ma si morde la lingua, confuso. Come diavolo potrebbe saperlo? Oh Ric, due sorsi di vino e stai già fuso? La vede sventolare una cassetta, appena estratta dalla borsa. Piega appena la testa di lato per poter decifrare quella scrittura improponibile. Love compilation, per la luna della mia vita. E' familiare, è così da lui. Ed è strano, e ancora più strano lo diventa non appena lei infila la cassetta dentro il lettore musicale, e dal canto suo, Ric non è sorpreso della prima canzone che parte immediatamente. Come se lo sapesse già. Nonostante la confusione tuttavia, un sorriso si staglia sul suo volto scavato, mentre le note vivaci di quel classico anni '80 irrompono nell'atmosfera. Ridacchia, cominciando a saltellare sul posto, come animato da quel ritmo inarrestabile. E avrebbe voglia di acchiapparla, sollevarla ed iniziare a volteggiare per tutta la stanza. Ma Pervinca si allontana, per poi tornare con delle cuffie tra le mani. Di quelle vecchie, con un'asta a collegare i due lati. «Le coincidenze della vita. Te hai un walkman senza cuffie, io ho delle cuffie senza un walkman.» « Ci completiamo. » Commenta, ironico, prima che lei torni da lui, per riporgli le cuffie sulle orecchie. Le note di quella canzone, adesso ancora più forti, lo investono in pieno, e lui inizia a ridere come un idiota, mentre gli occhi glaciali gli si illuminano. Felicità. « La conosco questa canzone! » Commenta, squittendo quasi. Poi alza il capo, nel vederla armeggiare con la bacchetta. Decine e decine di luci natalizie appaiono a volteggiare sulle loro teste, illuminando la stanza semibuia. Alza il capo, Alaric, quel sorriso sincero e genuino che proprio non ne vuole sapere di abbandonarlo, la bocca appena spalancata per la sorpresa. Sembra un bambino, con la stessa innocenza negli occhi e la stessa serenità nel cuore. Il Natale gli ha sempre fatto schifo, da quando ne ha memoria. Ma adesso, con lei..Forse inizia a piacergli. Forse inizia a sentirla davvero, quella fantomatica magia del Natale.

    «Questo è per non avermi invitata al ballo.» Un filo di lucine gli si attorciglia lungo tutto il corpo, come un tentacolo inaspettato. Si muove appena, Alaric, ma quello continua a stringere e ad attorcigliarsi contro di lui, così alza il capo d'istinto per guardarla. L'espressione è sconvolta, per qualche momento, poi scoppia a ridere. « Non sono morto con il Kraken e morirò soffocato da delle lucine di Natale. Eroico! » Squittisce, scuotendo la testa. Decisamente una morte così da lui, questa, dopotutto. «Sembri un albero di Natale» Ridacchia, stringendosi nelle spalle, poi cala lo sguardo per guardarsi. Sì, decisamente un albero di Natale. La prima canzone lascia spazio alla seconda, e quando quel ritmo così dannatamente familiare esplode nei suoi timpani, trapelandogli fin sotto la pelle, Ric si ritrova catapultato in uno dei suoi soliti flashback. Stessa canzone, stessa atmosfera, stesso profumo. Il suo profumo. La guarda, sovrappensiero, e fa per dire qualcosa, ma non appena le sue corde vocali vibrano, tutti quei ricordi svaniscono all'improvviso, lasciandolo con quella solita voragine di vuoto cosmico all'interno. Allora sospira, mordicchiandosi l'interno della guancia. «Sai? Se ti avessi conosciuto da giovane e mi avessi fatto una cosa del genere, a questo punto mi sarei già innamorata. La musica, le paroline giuste, lo sguardo da cucciolo bastonato, un po' sfigato, che preferisce starsene da solo che in mezzo alla gente, con il suo cane spelacchiato che non è capace nemmeno a guaire per bene. Saresti stato il candidato perfetto. E io, in questo preciso istante, la me giovane, avrebbe già cominciato a fare piani su come inserire tuo zio Tony, quello strano e che sta un po' sulle palle a tutti, persino a te, nel tavolo con i miei genitori, solo per il gusto di rovinare il pranzo del mio matrimonio a mia madre. Ti assicuro, sarebbe stato divertente vedere mia madre sclerare per le storie strampalate di tuo zio Tony che viaggia per il mondo senza un soldo in tasca e principalmente a piedi nudi. A lei, che con le banconote da 50 ci si pulisce il sedere, tanto sono inutili. Un vero spasso.» Ridacchia, ripensando in un primo momento a quel pazzo di suo zio Tony. Cazzo, gli manca. Uno dei pochi rimasti, della sua famiglia. Poi però, la sua mente si ritrova a pensare altro. Inizia a vagare in ben altre direzioni, suggestionata dalle parole di lei. Sai? Se ti avessi conosciuto da giovane e mi avessi fatto una cosa del genere, a questo punto mi sarei già innamorata. Chissà come sarebbe un mondo in cui Pervinca Branwell sarebbe capace di amare Alaric Wilde. Un mondo probabilmente inconcepibile, ma non per questo meno bello. Lui, dopotutto, l'ha sempre trovata perfetta. Persino quando non si conoscevano chissà quanto, persino tutte quelle volte in cui si è ritrovato a spiarla col viso per metà nascosto da una grossa tazza di succo di zucca che, per la cronaca, gli fa pure abbastanza schifo. E' pazza, si è sempre detto di lei in giro. Ma forse proprio per questo, a lui è sempre piaciuta. Suo zio Tony glielo diceva ogni giorno. I pazzi arrivano dove gli angeli hanno paura di andare. E lei, quella pazza, c'è arrivata davvero. Ha sfidato il destino, ha mutato la propria forma, ha affrontato tanti di quei guai e quelle prove che lui, dal canto suo, probabilmente no sarebbe mai riuscito a sopportare. Si sarebbe arreso alla prima, come ha sempre fatto. « E' proprio così tanto antipatica, Diana? » Le domanda, ridacchiando, mentre il nome di quella donna sconosciuta trapela dalle sue labbra con naturalezza. E tu come fai a saperlo? Batte numerose volte le palpebre, poi scrolla le spalle. « Probabilmente me ne avevi già parlato. » Taglia corto alla fine, senza farci troppo caso. «Io al ballo del mio ultimo anno, quello più importante e speciale per ogni ragazzina di quell'età, non ci sono potuta andare.» Lo accarezza lei, a quel punto, e Alaric si piega sotto il suo tocco, come un micio desideroso di coccole. «E' una tappa che mi sono sempre persa, per un motivo o per un altro. E quando l'ho potuta davvero vivere, non è stata come avrei voluto. Per questo ho dato di matto. Perché certe cose mi mandano fuori di testa, anche le più stupide, lo so, non è normale. Mi dispiace.» La guarda negli occhi, e nonostante l'istinto di distogliere lo sguardo sia forte, visto il suo solito imbarazzo, si costringe a non farlo. « Non devi scusarti, davvero. E poi stai parlando con uno schizofrenico, ciò che ritieni anormale, per me è normale. » Le sorride, sincero. «Questo non è un vero ballo studentesco, io non ho un abito adeguato, non sono bella come lo ero quella sera, tu sembri un albero di Natale e il tuo cane ci sta provando con la mia gamba da circa cinque minuti, ma..- Cala lo sguardo. « Eh no cazzo Rhaegar un po' di contegno! » - è per me, lo sente mio ed è qualcosa di speciale. Grazie, ne avevo bisogno.» La vede volteggiare in una piroetta improvvisata, e lui si trova pronto a riaccoglierla tra le proprie braccia, non appena torna da lui. «Oh, non ti azzardare a guardare indietro. tieni gli occhi solo su di me Sorride, a quel punto, lo sguardo glaciale che cerca quello smeraldino di lei, fino a perdervisi all'interno. Ha sempre trovato magnetici, quei suoi occhi. Li ha sempre trovati bellissimi. Sospira, dunque, poggiando la fronte contro la sua ed ondeggiando, cercando di mantenere il ritmo della musica. « Mi dispiace che tu non abbia potuto partecipare al ballo del tuo ultimo anno. Se ti può consolare, neanche io l'ho fatto. Ma questa non è una novità, visto che sono sfigato e da piccolo lo ero ancora di più. » Severo ma giusto. « Ma sono sicuro che ti avrebbero fatto reginetta, se ci fossi andata. Avresti fatto piangere persino le più popolari della scuola. Persino Patricia, perchè si chiamano sempre Patricia, le stronze, vero? » Ridacchia, riprendendo a farla volteggiare, chiudendo il tutto con un saltello. Poi la tira a sè di nuovo, sbattendo col suo petto contro quello di lei, seppur piano. A quel punto si ritrova tremendamente vicino a lei ed al suo viso, e suo malgrado, rimane ad osservarla in silenzio per minuti che sembrano ore intere. « Tu saresti stata più bella di lei. Sì, persino di Patricia e le sue estensions gialle, un'imitazione riuscita malissimo del tuo biondo naturalissimo e bellissimo. » Sorride, e sta per aggiungere altro, quando un rumore attira la sua attenzione. Botti. Si guarda attorno, scostandosi le cuffie dalle orecchie, poi le lancia uno sguardo interrogativo, e si avvicina alla parete con la finestra. Sale sul letto, per poterla raggiungere, ed è allora che li vede. Un milione di lucine in cielo, fuochi d'artificio. « Merlino, ci sono i fuochi d'artificio Pervy, guarda! » Si gira verso di lei, porgendole una mano per aiutarla a salire sul materasso. E con la mano ancora stretta contro la sua continua a guardare quello spettacolo, con l'innocenza e la sorpresa di un bambino, stampate sul viso.
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    « Aspetta ho un'idea. » Mormora, lasciandosi cadere contro il materasso, la testa sul cuscino. Le fa cenno di stendersi accanto a lui, poi estrae la bacchetta dai pantaloni. La punta contro il soffitto, e mentre spera con tutto sè stesso di riuscire nell'incantesimo, una luce biancastra esplode nell'atmosfera. Il soffitto della stanza diventa invisibile, lasciando spazio a quel cielo illuminato dai fuochi d'artificio. Uno spettacolo pirotecnico fantastico, unito alle mille lucine natalizie svolazzanti per la camera. « Se ti dico una cosa, giuri di non arrabbiarti con me? » Se ne esce poi, all'improvviso. La guarda per qualche momento, prima di tornare a fissare il soffitto. « Ho sempre avuto un..vuoto, nella mia vita. Un vuoto pieno di qualsiasi cosa. Di ricordi, di emozioni, di tutto. Questo vuoto mi manca, e pure tanto. Fa parte di me, anche se non riesco a decifrarlo. Con il tempo, l'ho identificato con..una donna. No, giuro, non ho un'altra, e non ti sto parlando di un'altra. E' solo che c'è questa ragazza..O donna..nella mia testa. Probabilmente frutto della mia immaginazione, giusto per sentirmi meno sfigato. Forse è mia madre, non ne ho idea. Fatto sta, che lei rappresenta tutto ciò che sento che mi manca. E la vorrei indietro, ogni giorno della mia vita. So che sarei felice con lei, so che il vuoto smetterebbe di esistere. » Sospira, poi si gira verso di lei. « Ecco, quando sono con te, io smetto di sentire la sua mancanza. Me ne dimentico completamente, perchè tu la sostituisci, interamente. E' come se..Tu fossi lei. Sì, ogni volta che ti vedo, riconosco la donna della mia testa. Quel vuoto incolmabile. » Si stringe nelle spalle, scuotendo appena la testa. « Lo so, sto blaterando. Forse il vino che mi hai portato era più forte di quanto non credevamo. E' solo che...Sentivo il bisogno di dirtelo. » Si mordicchia il labbro inferiore, e si avvicina un po' di più a lei, cercando la sua mano con la propria. La stringe, lo sguardo fisso sulle sue labbra, e per qualche istante, per qualche breve momento, l'istinto di baciarla è forte. E lo farebbe anche, mentre si avvicina, se non fosse che.... « Ouch! » Rhaegar gli salta addosso. Sui gioielli. Ovviamente. Si raggomitola su sè stesso, le mani sul pacco, squittendo per il dolore e piagnucolando. « Beh se volevi menarmi per averti parlato di un'altra, ci ha pensato lui... » Annaspa, mentre cerca di riprendersi, col cagnetto che trotterella qua e là sul letto. « Però... » Se ne esce poi, dopo un po'. « So che è pressochè impossibile, ma in un mondo dove tu mi ami, e siamo sposati, forse addirittura con qualche figlio -mi ci vedi padre? Aiuto.- a me..Piacerebbe viverci. » Forse, dopotutto, sarebbe il posto giusto in cui stare, finalmente.

    Whenever I'm alone with you
    You make me feel like I am home again
    Whenever I'm alone with you
    You make me feel like I am whole again

     
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