nightmare before christmas

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    « Mi dispiace tesoro, è che ti sei trovata al momento sbagliato nel posto sbagliato, sì. » Si passa una mano fra i capelli ormai spettinati, Lux, alzandosi dal letto. Si guarda attorno, individuando i suoi pantaloni abbandonati in un angolo della camera, poco distanti dal letto a baldacchino. « Non sono cattivo, davvero. » Mormora, abbassandosi per agguantare i jeans ed infilandoseli velocemente, con qualche saltello di circostanza per farli salire. Okay la silhouette, ma forse sono fin troppo aderenti. « Come dici? ...Sì okay magari ti ho dato una brutta impressione di me. Ma ecco, cioè, dai. Non è stato tanto male no? » Alza la cerniera ed incastra il bottone solitario nell'asola, prima di rigirarsi verso la sua interlocutrice. O meglio..Ciò che ne resta. Il corpo smembrato di colei che un tempo era stata una studentessa di Grifondoro, ricambia il suo sguardo, con i grandi occhi spalancati, vitrei. Ebbene, eccoci di fronte ad uno scenario piuttosto classico, per uno come Lucien. Mezzo nudo, sigaretta in una mano, mutande finite chissà dove e una ragazza morta sul letto. Tutto regolare! Intendiamoci, non voleva ucciderla. Non inizialmente, per lo meno. « Capiscimi, io c'ho provato. A Natale non si uccide, lo sanno tutti. » Scuote la testa, individuando la sua camicia sotto il cuscino sporco di sangue. La sfila, la spiega un po', e se la infila, cominciando ad abbottonarla. « E' solo che..Mi ha fatto incazzare. » Sì, l'ha fatto decisamente incazzare. Maze Greengrass, alias il motivo principale per il quale lui, dall'alto della sua onnipotenza, si trova in quel fottutissimo castello. L'ha sentita, diavolo se l'ha sentita, per tutta la notte. La sente ancora adesso, seppur ormai è quasi del tutto certo stiano dormendo. Sfrutta il tuo ottimo udito. Sono sicura che apprezzerai i vocalizzi. Ti piacciono tanto, no? Buon Natale. « Lo so, è ciò che dico anch'io. Che cazzo di regalo è? » Scuote la testa e serra la mascella, un fremito di quella rabbia ormai scemata che gli percorre appena la schiena. Ebbene, quella notte, Lux ha perso la pazienza. Strano a dirsi, e ancora più strano a crederci, ma Lucien Kai Parker è sempre stato un tipo piuttosto tranquillo. A modo suo. Insomma, uccidere la gente lo fa comunque, ma con un certo criterio, ecco. Quella notte, è stato diverso. L'ha sentita di nuovo, la sua donna assieme a qualcun'altro. La sua donna farsi qualcun'altro. E non gli è piaciuto, decisamente non gli è piaciuto. Jennifer -o forse era Veronica?- ha semplicemente avuto la brutta sorte di ritrovarselo davanti nel posto sbagliato, decisamente al momento sbagliato. E beh, che dire, il resto è storia. Una storia triste, ma per il nostro piccolo Lux, decisamente divertente. Si avvicina al letto, poggiandosi due dita sotto al mento mentre osserva l'orribile scenario. Deve trovare un modo per sbarrazzarsene, possibilmente senza farsi notare troppo. Che non sia propriamente uno stinco di Santo, è quasi del tutto certo se ne siano accorti in parecchi ormai al castello -sarà forse per la piccola ed insignificante propensione a mangiare sangue umano? Chissà!-, ma non ha voglia di incappare in spiacevoli tanto quanto oltremodo noiosi guai con chissà chi -e con chissà chi intendiamo la banda della Morgenstern e dei suoi simpatici cuccioli cerca amici-. Quindi, passato qualche istante a pensare, si china sul corpo della ragazza. Le dita vanno ad arpionare il lenzuolo, sino a tirarlo. « Ci copriamo adesso eh, che dici? Le signorine per bene non vanno certo in giro nude. » Tira la coperta sino ad avvolgerla interamente, mentre si guarda intorno. La scena non è particolarmente incriminante, dopotutto. Di sangue ce n'è ben poco, considerato il dissanguamento avvenuto ancor prima di farla a pezzi: sempre previdente, questo Lux. E a parte qualche organo qua e là... « Questo lo rimettiamo dentro. » Per l'appunto. La risistema alla meno peggio, perchè ai morti bisogna portare rispetto in fondo, poi si asciuga le mani sui pantaloni e..la scaraventa per terra in un tonfo secco. Ai morti bisogna portare rispetto in fondo, eh? « Andiamo. » Asserisce, trascinandosi dietro quella sottospecie di bozzolo informe. E' certo che nessuno lì al castello abbia un kit di riconoscimento di impronte digitali o chissà cosa, e a dirla tutta sarebbe divertente scoprire chi avrebbe il coraggio di incriminarlo, quindi evita i soliti accorgimenti. Tipo trascinarti un cadavere squartato per tutto il tragitto. E' ben accorto ad imboccare tutti i corridoi deserti ed entro i quali non v'è traccia di presenza alcuna, e per un attimo sembra soffermarsi di fronte alla sua camera. Ma prosegue oltre subito dopo, mordicchiandosi il labbro inferiore. Svolta l'angolo, facendo sbattere accidentalmente la testa di Jennifer -o Veronica- contro una colonna. « Ops scusa, colpa mia. » Squittisce, poco prima di arrestare i suoi passi di fronte alla porta che conduce ad uno dei terrazzi della torre di Corvonero. Vi sguscia attraverso, richiudendosela alle spalle, ed è allora che, sollevato il fagotto, lo lascia precipitare al di là della ringhiera, salutandolo poi con un gesto della mano. Si rigira, a quel punto, e sobbalza. Una sagoma minuta si staglia a qualche passo da lui, e non ha la più pallida idea da quanto sia lì e quanto abbia visto. Distratto per com'è, non si è accorto del suo respiro nè dell'adesso assordante battito del suo cuore. Che tu sia maledetta, Mazikeen.
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    « Heeeeeeeeeilà! » Esordisce, passandosi una mano fra i capelli e piegando la testa di lato per osservarla meglio. Un fremito gli percorre la schiena, improvvisamente. La conosce. Marlee Lockhart. Qualcosa dentro di sè sembra vibrare, ma evita di farci caso. « Marlee, vero? » Domanda retorica. Ricorda alla perfezione chi è. Diciamocelo, Lucien Kai Parker non tiene mai conto delle sue vittime, perchè andiamo..Sarebbe impossibile. Ma Marlee..Sì, decisamente non l'ha dimenticata. Ha sterminato l'intera sua famiglia, e lo stesso destino sarebbe toccato a lei, se non fosse stato per...Vlad. Tu devi sempre farmi incazzare, eh, Dracula? « Ti ricordi di me? » Le domanda, il tono di voce ambiguo ed un sorriso raccapricciante a rendere ancora più inquietante il suo viso scarno. Dai, dai, dai, ricordati di me. Ricordati come ho ucciso tua madre e tuo padre. Urla, spaventati, piangi per me. Divertiamoci. Si stacca dalla ringhiera, mentre si avvicina a lei, saltellando. Quando le è abbastanza vicino, alza un braccio, e per qualche istante sembra in procinto di colpirla, ma infine le avvolge le spalle, stringendola appena a sè. « Sono il tuo professore, ovviamente. Dai, ti ricordavi, sì? » La incalza, lo sguardo bicolore fisso su di lei, mentre gira su sè stesso, trascinandola con sè nel movimento. Ha deciso di concederle qualche minuto per capire quanto effettivamente abbia visto. Dopo, se la situazione lo richiederà, completerà ciò che ha già iniziato. Di nuovo, un brivido gli percorre la schiena, mentre perlustra il suo viso con quel suo sguardo a dir poco indiscreto. Le stesse labbra, lo stesso naso, gli stessi occhi...Ma di chi? Schiocca la lingua al palato, scacciando via quegli strani pensieri. « Allora, tesoro, che stavi facendo? Hai visto cosa è successo al banchetto? Non è raccomandabile girare da sola al momento. Non si sa mai, cosa sia capace di fare la gente in preda al panico. » Annuisce con fare saggio, mentre improvvisa qualche passo, non accennando a lasciarla andare. « O se minacciata. » Una risata gli scuote il petto vuoto. « Dove andavi? Ti accompagno. » E ovviamente, questa non è una domanda. Pressa appena la mano sulla sua spalla. « Ti fidi di me, vero? » Se tenti di scappare, tesoro, sprecheresti solo tempo.
     
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    Marlee viveva in una bolla, una bolla di silenzi a cui non poteva sottrarsi. Per la prima volta in vita sua era grata di poter sentir meno, di essere imperfetta, in questo modo poteva nascondersi dalle urla di sofferenza. Urla che lei conosceva bene e che l'avevano sempre accompagnata nei suoi incubi, quasi come se quest'ultimi avessero preso vita, liberando i demoni che li popolavano. I suoi incubi erano sempre gli stessi, si ripetevano ogni notte, ricordandole la sofferenza e l'orrore a cui aveva assistito quando erano morti i suoi genitori. Ancora oggi, a distanza di mesi e mesi, si sentiva sporca; ricoperta del sangue caldo e viscoso dei suoi genitori...un orrore che non avrebbe mai dimenticato. Era rimasta immobile per giorni, distesa nel letto dell'ospedale, lo sguardo fisso sulla parete, incapace di emettere qualsiasi suono. Spaventata dal silenzio assordante che la circondava e allo stesso tempo dalle urla che continuava a risentire nella sua mente. Gli auror avevano provato a farle delle domande, a chiederle cosa fosse successo, Marlee vedeva le loro labbra muoversi, ma alcun suono raggiungeva le sue orecchie. Di fronte a quella sordità erano iniziate le crisi di panico, lei stessa urlava per cercare di sentire la propria voce, scagliava gli oggetti per terra nella speranza di uscire da quel mondo ovattato. Ipoacusia percettiva, così l'avevano definita i medici, una sordità parziale dovuta al danneggiamento del timpano, con il passare dei giorni aveva recuperato parte del suo udito, ma i suoni arrivavano ovattati alle sue orecchie; poco chiari e indistinti. Faticava a tenere il passo con i discorsi ed era spesso costretta a chiedere di rallentare e ripetere. Quando era stata dimessa dall'ospedale era stata accolta nella casa famiglia di Miss Peregrine e grazie a lei aveva imparato ad adattarsi a questa sua nuova condizione, le aveva insegnato a leggere il labiale, cosicché non si sentisse esclusa dalle conversazioni. Con il tempo l'aveva spinta a riprendere in mano il violoncello, Marlee non toccava lo strumento da prima che morissero i suoi genitori, loro amavano sentirla suonare e non mancavano mai alle sue esibizioni; lo strumento che aveva tanto amato era un po' il simbolo di tutto ciò che aveva perso in quella notte maledetta. Aveva dovuto rimparare a suonare, senza più basarsi sulla melodia distorta che ora arrivava alle sue orecchie, ma solamente in base alle vibrazioni. Era stato difficile e frustrante, spesso veniva colta dalla rabbia e dal desiderio di rompere il violoncello in mille pezzi, ma ogni volta che stringeva le mani su di esso rivedeva suo padre con in mano quello stesso strumento con un grosso fiocco rosso attaccato. Era stato un regalo del tutto inaspettato, ma che le aveva permesso di esprimere la sua passione per la musica; per lei il violoncello era un mezzo per dar voce ai propri sentimenti. Spesso la notte si alzava in preda agli incubi, sempre vittima della creatura che aveva massacrato i suoi genitori e allora usciva in giardino nel bel mezzo della notte e suonava, suonava fino a sfinire sé stessa; fino a quando sentiva le dita dolere per quanto aveva tenuto stretto lo strumento. Più volte avevano provato a chiederle cosa ricordasse di quella notte, le avevano mostrato foto di uomini che avrebbero potuto commettere quell'omicidio, ma era stata costretta ad ammettere più volte che non ricordava niente; i suoi ricordi erano del tutto confusi e nella sua mente c'era spazio solamente per una grande ombra nera che per qualche motivo aveva deciso di risparmiarla. Forse proprio a causa di tutto ciò che aveva passato non era spaventata da quell'oscurità, per lei era come se il mondo reale avesse iniziato a combaciare con quello in cui si ritrovava ogni volta che chiudeva gli occhi; un mondo fatto di morte e sangue. Gli studenti avevano iniziato a morire come mosche, all'inizio si era chiesta quanti genitori sarebbero stati costretti ad abbracciare il corpo del figlio e aveva pensato che lei non avrebbe ricevuto nessun abbraccio paterno o materno, aveva persone che tenevano a lei, ma i suoi genitori non erano lì fuori a chiedersi cosa le fosse successo. Si alzò dal letto che aveva occupato per quella notte, quella notte infinita calata sul castello che impediva loro di capire che ore fossero, ma che importanza aveva il tempo in quel momento? che differenza avrebbe fatto essere in grado di segnare il suo scorrere?! Nessuna perchè erano chiusi in quel castello come topi da laboratorio. Indossò il pesante maglione perchè aveva bisogno di respirare, di sentire il freddo pungente bruciarle la pelle. Si guardava attorno con circospezione, non poteva contare sui rumori e per questo motivo doveva essere sempre attenta, cosciente di cosa la circondasse. Quando arrivò in cima alla torre si accorse che era occupata, qualcuno probabilmente aveva avuto la sua stessa idea. Marlee non era in vena di compagnia, preferiva restare sola perchè non voleva essere un peso, odiava che le persone pensassero di dover badare a lei solo perchè non ci sentiva bene; doveva badare a sé stessa e non avrebbe mai permesso a nessuno di farsi carico della sua responsabilità. «Heeeeeeeeeilà! Marlee, vero?» Annuisce brevemente, ignara di ciò che le abbia chiesto veramente, la lontananza e l'oscurità le impediscono di capire cosa le abbia chiesto. La grifondoro sente un tremito nello stomaco, uno sfarfallio che l'accompagna da tutta la vita e che in qualche modo sembra metterla in guardia. E' un sensazione che sente sempre più spesso da quando Hogwarts si è chiusa, una sorta di allarme che la spinge a rimanere vigile e a non abbassare la guardia. «Ti ricordi di me? Sono il tuo professore, ovviamente. Dai, ti ricordavi, sì?» Lo osserva Marlee, inclinando leggermente la testa. Sono sorda mica stupida. Avrebbe voluto rispondergli, spesso sentiva di essere trattata come un'inetta; come se il suo handicap potesse influire sulle sue capacità cognitive. «Perchè non dovrei ricordarmi di lei? Il Lockdown ha sicuramente cambiato tante cose, ma non ha di certo cancellato
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    la nostra memoria Professor Parker...»
    Stai attenta. Sentii la vocina dentro di sé, quella specie di coscienza che l'accompagnava da tutta la vita, ma di cui non aveva mai parlato con nessuno; se solo avesse iniziato a dire di sentire delle voci l'avrebbero etichettata come pazza. «Allora, tesoro, che stavi facendo? Hai visto cosa è successo al banchetto? Non è raccomandabile girare da sola al momento. Non si sa mai, cosa sia capace di fare la gente in preda al panico.» Il peso del suo braccio sulle sue spalle la infastidisce, quasi come se sapesse di doversi guardare bene da quel professore tanto equivoco. Vorrebbe sottrarsi, ma allo stesso tempo sa che stare al suo gioco è forse il modo più veloce e indolore per poter tornare alla propria solitudine. «Dove andavi? Ti accompagno. Ti fidi di me, vero?» No. E la prima risposta, quella che immediatamente fa capolinea nel suo cervello, ma che allo stesso tempo è tanto furba da non dare. Annuisce a quella domanda, convinta che se solo aprisse bocca capterebbe subito la sua menzogna; dopotutto Marlee non era per niente capace di mentire. «Volevo prendere un po' d'aria in realtà, ma quando l'ho trovata sulla torre ho immaginato che volesse stare da solo e ho fatto subito dietrofront per tornare in camera...» Il suo istinto le suggeriva di allontanarsi, di liberarsi di lui il prima possibile, Marlee era testarda e spesso si limitava semplicemente ad ignorare quella sorta si sesto senso che la natura sembrava averle fornito. «...però dato che si è offerto di accompagnarmi ne approfitterei per recuperare alcune cose dalla mia stanza a grifondoro...» Per quanto il suo sguardo bicolore la mettesse in soggezione Marlee non abbassò mai il proprio, non poteva interrompere il contatto visivo perchè doveva mantenere lo sguardo fisso sul suo volto per non perdere neanche una parola di ciò che diceva. Quella poteva essere anche un'occasione per approfondire quella sensazione di disagio che la colpiva sempre in sua presenza, quasi come se una parte di lei lo conoscesse e si rifiutasse di restare al suo fianco.
     
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    «Perchè non dovrei ricordarmi di lei? Il Lockdown ha sicuramente cambiato tante cose, ma non ha di certo cancellato la nostra memoria Professor Parker...» Le sue labbra sottili si piegano in un leggero sorriso, che gli illumina il viso scarno, mentre inarca un sopracciglio, incuriosito. Ci ha sperato, per qualche attimo, che si ricordasse di lui per ben altri motivi. Perchè Lucien è un sadico, dopotutto, niente di più niente di meno. Giocare con lei è forse la cosa che più preferirebbe, in un momento come quello. Vedere il panico rimontare attraverso quel suo sguardo caldo, nell'assimilare chi si trova davanti, sarebbe qualcosa di decisamente ineguagliabile. Non ricorda nemmeno perchè li abbia fatti fuori, i suoi genitori, a dirla tutta. Ha ucciso così tanta gente in vita sua, che ricordarsi ogni motivo sarebbe piuttosto impossibile. Ha ucciso per noia, ha ucciso per semplice divertimento, il tutto per accaparrarsi tutte quelle anime innocenti e non, ed aumentare le schiere a suo favore in quella guerra imminente. Quella ragazza tuttavia, quella Marlee, è stata risparmiata. Lucien, di pietà, non ne ha mai avuta. Non è mai stato nei suoi canoni concedere la grazia a qualcuno, di chiunque si trattasse, donna, uomo o bambino. Quando la sua personale spada di Damocle decideva di calare sulla testa di qualche prescelto, non c'era scampo. Mai. Eppure quella volta.. « Bene. Mi sarei offeso, se ti fossi dimenticata di me in così poco tempo, perchè andiamo, è impossibile dimenticarsi di uno come me. » Sempre modesto, questo Lux. Si stringe nelle spalle, con quel suo solito fare divino. Levate l'autostima ad uno come Lucien Kai Parker, e probabilmente non vi rimarrà più nulla, tra le mani. Continuano a camminare tuttavia, mentre quel suo inquietante sguardo non ne vuole sapere di lasciarla andare. Cos'hai di speciale, tu, per essere sopravvissuta? In fondo, gli sembra una ragazza come tante altre. Carina, decisamente carina. Corpo minuto, sorriso gentile, viso di porcellana. Ne ha fatte fuori tante, di giovani fanciulle simili, anzi probabilmente le sue vittime preferite. Ma ricorda ogni cosa di quella sera. Ricorda come abbia massacrato senza scrupolo alcuno i suoi genitori, nutrendosi del loro sangue e riducendoli a pezzi, ma poi, giunto a lei, giunto a quella piccola, insulsa bambina che niente di significante avrebbe dovuto rappresentare per lui, aveva deciso di lasciarla andare. E allora torna quella domanda: cos'hai di speciale, Marlee? Cerca di individuarlo, forse nel suo aspetto fisico. Forse quello sguardo caldo, forse la forma delle sue labbra, o forse il suo sorriso. Il tutto così dannatamente familiare. Non sa perchè, ma è come se chissà, forse un tempo, abbia conosciuto tutto di lei. Impossibile, si dice, perchè lui lì sulla Terra c'è giunto da qualche mese, e Vlad, il suo ospite, l'ha mandato a dormire da quando ha deciso di possederne il corpo. Eppure rimane comunque, quel senso di..Dubbio. «Volevo prendere un po' d'aria in realtà, ma quando l'ho trovata sulla torre ho immaginato che volesse stare da solo e ho fatto subito dietrofront per tornare in camera....però dato che si è offerto di accompagnarmi ne approfitterei per recuperare alcune cose dalla mia stanza a grifondoro... » D'accordo, questo non se l'aspettava. Sorregge il suo sguardo, Marlee, e non sembra avere paura di lui. Prova a percepire anche solo un battito differente, un sussulto nel suo respiro, ma niente. E questo non gli piace. Questo non fa parte del gioco. Il suo solito gioco in cui lui è il mostro, e la sfortunata di turno la damigella con cui divertirsi, in un modo o nell'altro, spesso nella maniera più violenta e mostruosa possibile. Rimane dunque in silenzio per qualche momento, spiazzato, poi decide di annuire, avviandosi fino ad allontanarsi completamente da quel terrazzo, il braccio poggiato sulle sue spalle per tutto il tempo del loro tragitto. « Cosa devi recuperare di tanto importante nella tua camera, tesoro, da rischiare l'ignoto per farlo? » Le domanda, a pochi centimetri di distanza da lei, lo sguardo bicolore che adesso va a poggiarsi sulla grande porta che dà sull'esterno. E' chiusa, sembra..serrata. Si concentra allora su quel cumulo di voci lontane e non, e non appena riesce a trarre le giuste informazioni, una risata gutturale gli scuote il petto. Sono chiusi lì dentro. Oh Eddy, tu non smetti mai di riservarci mille sorprese. Quanto gli manca, quel piccolo bastardo. « Temo che il giro turistico finisca quì, per adesso. » Mormora « Siamo in trappola. Ti consiglio di trovare una camera al più presto, se non vuoi dormire per terra. » La guarda, assottigliando lo sguardo. Sono soli, e in lei, c'è qualcosa. Qualcosa che gli intima di doversene sbarazzare, ma al tempo stesso tutto il contrario. Non sa di cosa si tratti, e ciò che non sa, a Lucien non piace. « Buonanotte, Marlee, e mi raccomando, attenta ai mostri nell'armadio. » Le si avvicina al viso, e per qualche momento, un alone scarlatto aleggia in quel suo sguardo. « Potrebbero mangiarti, senza risparmiarti, questa volta. » [...]
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    Sin eater. Ecco cos'era quel qualcosa. Alla fine c'era arrivato, Marlee era una di loro. Una di quei dannati soldatini che, a quanto pare, avevano il compito di metter loro i bastoni tra le ruote. Non sapeva quanti ce ne fossero, lì al castello, ma sapeva che c'erano. E per quanto innocui potessero sembrare, non lo erano affatto. Erano anzi a tratti persino più pericolosi di loro, il branco. Si nutrivano dei peccati, dell'oscurità che ogni animo umano, volente o nolente, recava dentro di sè. Tutta quell'oscurità che, a creature come Lux, serviva a dare potere, rimpinguando le schiere di quella loro fazione. E proprio quella, la sua preziosa fazione, era una delle cose a cui Lucien teneva di più. Il suo schieramento, la sua casa, il suo principio base. Principio per il quale lo si vede attraversare quei corridoi, al momento, a grandi falcate, il passo veloce. Non sa quanti siano, ma sa che deve distruggerli, prima che sia troppo tardi. Gli altri, i doppi, gliene hanno già parlato. Alcuni di loro si stanno ricongiungendo con le loro controparti, la mano di Dio. E la guerra è imminente, lo sa, lo sente, e non sarà facile vincere. Quindi svolta l'angolo, e la vede. Ovviamente sapeva dove trovarla, e sapeva pure che l'avrebbe trovata da sola. Non aspetta oltre, mentre le si scaglia contro, senza preavviso alcuno, le dita che le si arpionano alle spalle per sbatterla con forza contro il muro in pietra. Una presa ferrea, mentre il suo sguardo è piantato sul suo viso. « Sei una di loro. » Sibila, il tono di voce simile ad un ringhio sommesso. Dovrebbe ucciderla, e potrebbe farlo tranquillamente. Completare ciò che ha già iniziato. Quindi la solleva di qualche centimetro da terra, mentre alza un braccio, pronto a colpirla. « No! » Lo sente urlare, in un angolo recondito del suo cervello. La coscienza di Vlad si fonde alla propria, spingendo per sovrastarla. Scuote la testa, socchiudendo gli occhi per qualche momento. Che cazzo Vlad, un premio al tempismo. « Non puoi farlo. » Indietreggia di qualche passo, in un gesto che non gli appartiene. Oh no no no, non ci provare a prendere il controllo. Ma questa volta, Vlad è più forte. Lo sovrasta, spinto da una forza interna che mai finora è mai riuscito a percepire. La guarda, allora, e per qualche momento la vede coi suoi occhi, ed una miriade di flashback inonda la mente di entrambi. La riconosce, il vampiro, mentre un debole sorriso si dipinge sul suo viso scarno. Allunga il braccio verso di lei, le dita gelide che le sfiorano il viso con delicatezza. Tempi diversi, epoche diverse, ma stesso aspetto, stessi occhi, stesso sorriso. Stessa paura. L'ha già vista così. L'ha già vista in pericolo. E allora scuote la testa, scostandosi immediatamente ed indietreggiando di svariati passi. Lo sai che vincerò, come sempre, e mi incazzerò tantissimo, sì? « Devi andartene. » Non voglio dire questo, smettila. « Mi dispiace Marlee, mi dispiace per non esser riuscito a fermarlo. I tuoi genitori, sono stato io. » E c'è pentimento, nel tono della sua voce. Non gli appartiene, sa che non gli appartiene. Vlad è lì, lo sovrasta con le sue sensazioni, e Lucien non riesce a scrollarselo di dosso. « Sono riuscito a salvare te, almeno te, ma io..Lui..E' complicato. » Si passa le mani tra i capelli, in un gesto carico di nervosismo. « Devi andartene, il più lontano possibile, devi nasconderti. Perchè voglio ucciderti, vuole ucciderti. Hai qualcosa che a lui non piace, ti trova pericolosa. Un ostacolo, e a me..A lui..Non piacciono gli ostacoli. » Sei un coglione. « Vattene, ti prego. »
     
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    «Bene. Mi sarei offeso, se ti fossi dimenticata di me in così poco tempo, perchè andiamo, è impossibile dimenticarsi di uno come me.» Voleva ridere Marlee, ridere perchè Parker era il professore più inusuale che una persona potesse immaginare di trovare ad Hogwarts. Non era neanche lontanamente paragonabile al resto del corpo docenti eppure gli studenti sembravano apprezzarlo prima della chiusura; quasi come se avessero ritrovato in lui una sorta amico. Marlee dal canto suo faticava a fidarsi delle persone, tendeva sempre a restare un passo indietro agli altri. Anche in quel momento avrebbe voluto sottrarsi dal peso di quel braccio sulle sue spalle, ma il sesto senso che non l'abbandonava mai le suggeriva di assecondarlo di stare al suo gioco e di non contraddirlo. «Cosa devi recuperare di tanto importante nella tua camera, tesoro, da rischiare l'ignoto per farlo?» Sente su di sé il peso di quello sguardo inusuale, di quelle intense iridi di due colori diversi, e non vorrebbe fare altro che sottrarsi ad esso. Ma Marlee non può farlo, il contatto visivo è per lei fondamentale, solo grazie a quello è in grado di capire appieno ciò che gli altri dicono. «Vo-vorrei recuperare il mio violoncello...l'ho lasciato al sicuro nel mio armadio, ma mi manca suonarlo.» La musica era per lei fondamentale, parte integrante di lei, ogni volta che strofinava l'archetto sulle corde era in grado di sentire il proprio cuore battere in perfetta sintonia con le note; assecondando le tristi melodie che la caratterizzavano. Dopo la morte dei suoi genitori non è più riuscita a suonare pezzi felici, ogni volta che ci provava le note ne uscivano straziate; perfettamente in linea con quello che era il suo animo. «Temo che il giro turistico finisca quì, per adesso. Siamo in trappola. Ti consiglio di trovare una camera al più presto, se non vuoi dormire per terra.» Lo ha visto avvicinarsi alla porta e poi allontanarsi, tornando sui proprio passi; come se varcarla non fosse più la scelta migliore. Se non lo avesse incontrato probabilmente sarebbe uscita incurante da quella porta, senza sapere quale orrore l'attendesse dall'altra parte. E ancora una volta si ritrova a maledire l'essere che l'ha danneggiata, che la privata dei suoi genitori prima e del suo udito dopo. Sopravvivere all'interno di quelle mura era difficile e Marlee si muoveva lentamente e con circospezione, spaventata dall'idea di ritrovarsi di fronte ai famelici mostri che tenevano in scacco tutto il castello. «Buonanotte, Marlee, e mi raccomando, attenta ai mostri nell'armadio. Potrebbero mangiarti, senza risparmiarti, questa volta.» Piccoli brividi le salgono lungo la spina dorsale, quasi come se quell'avvertimento avesse fatto scattare dentro di lei un sensore di pericolo. La giovane grifondoro aveva già guardato in faccia alla morte, ma la sua mente aveva semplicemente deciso di cancellarne il volto, di lasciarle un'ombra oscura e ignota come peggior incubo. Molti l'avevano definita fortunata per essere sopravvissuta, ma lei non si era mai sentita così, aveva capito che qualcosa era scattato in quella creatura e che per qualche motivo lei era stata graziata. «Terrò gli occhi aperti non si preoccupi...» Lo osservò allontanarsi nell'ombra, diventando quasi parte integrante di essa, quasi come se le ombre fossero sotto il suo controllo; assoggettate al suo volere. Stai attenta. Per l'ennesima volta la voce riecheggiò dentro di lei,
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    mettendola in guardia; Marlee non aveva idea di cosa fosse, con il tempo aveva imparato ad accettarla come sua coscienza, ma dentro di sé sapeva che era qualcosa di molto più profondo. Qualcosa che ancora non riusciva a spiegarsi, sapeva solamente che seguire le sue indicazioni la teneva al sicuro; lontana dai pericoli. [...] Sopravvivere era sempre più difficile, scappare era diventata un'abitudine e il riposo un lusso che non si permetteva da troppo tempo. Quando si concedeva di chiudere gli occhi non riposava mai veramente, si limitava a sciogliere i nervi; permettendo ai muscoli stanchi di ristorarsi. Aveva consumato due dei tre desideri che avevano a disposizione, nel momento in cui la fama si era fatta sentire con prepotenza non aveva resistito e aveva chiesto qualcosa da mettere sotto i denti per acquietare i crampi dello stomaco. Spesso era stata colta da momenti di breve disperazione che l'avevano portata a chiedersi per quale motivo il vecchio preside avesse deciso di giocar loro uno scherzo tanto meschino. Marlee sta cercando l'ennesimo luogo sicuro in cui riposarsi quando si sente afferrare con forza per poi essere sbattuta con violenza contro il muro. In una frazione di secondo torna indietro nel tempo, alla notte maledetta in cui ha perso tutto e di nuovo sente quella paura soffocante invaderle il corpo. «Sei una di loro.» Un ringhio crudele che la spaventa, che la costringe a tremare con sotto quella presa ferrea che si stringe intorno alla sua gola. Quando punta lo sguardo in quello del professore non può fare a meno di pensare quanto la sua coscienza avesse ragione, lui era pericoloso e per qualche strano motivo lei era diventata il suo bersaglio. Cerca di supplicarlo, ma la sua stretta le impedisce di parlare. Quando si sente sollevare da terra non può fare a meno di scalciare, quasi come cercasse di aggrapparsi al terreno con tutte le sue forze. «Ti prego...» Un sussurro appena accennato al suo, più simile ad un esile sospiro. Non c'era pietà nei suoi occhi, niente che potesse salvarla; niente a cui potesse aggrapparsi. Chiuse gli occhi quando lo vide sollevare il braccio per colpirla, voleva semplicemente che tutto finisse al più presto. Quando si ritrovò a scivolare sul pavimento fu scossa da una violenta tosse. Si portò la mano alla gola per cercare di lenire il dolore derivante dalla stretta, mentre si raggomitolata su sé stessa per proteggersi.Quando sentì le sue gelide dita scivolarle sul volto non si scostò, non scappò, ma si beò della dolcezza di quel tocco. Un tocco che risvegliò quella parte di sé con cui aveva imparato a convivere. Vlad. Un nome, un richiamo, una serie di ricordi confusi che affollarono la sua mente; ricordi di un tempo di cui non aveva memoria. «Devi andartene. Mi dispiace Marlee, mi dispiace per non esser riuscito a fermarlo. I tuoi genitori, sono stato io.» E all'improvviso l'ombra che ha sempre tormentato i suoi incubi prende forma e rivede il volto del professor Parker quella notte, la bocca, il mento, gli abiti e le mani sporchi di sangue; il sangue dei suoi genitori. E all'improvviso è come se non potesse muoversi, raggelata da quella confessione, sente crescere qualcosa nel petto che non può fermare; qualcosa scatenato dal pentimento che ha percepito nella sua voce. Si piega su sé stessa e vomita una specie di bile nera, un comporto vischioso e dal sapore amaro che le impasta la bocca. «C-chi sei tu? Perchè mi sembra di conoscerti?» Marlee striscia lontano perchè non si fida di lui, ancora troppo sconvolta dall'idea di essere faccia a faccia con con l'assassino dei suoi genitori. Un volto che ha cercato con tutta sé stessa di ricordare per poter dar loro un po' di giustizia, ma che nella sua mente non era mai distinguibile. Marlee sguaina la bacchetta davanti a sé mentre la melmose sostanza nera la spinge nuovamente a rigettare sul pavimento. «Devi andartene, il più lontano possibile, devi nasconderti. Perchè voglio ucciderti, vuole ucciderti. Hai qualcosa che a lui non piace, ti trova pericolosa. Un ostacolo, e a me..A lui..Non piacciono gli ostacoli. Vattene, ti prego.» Vorrebbe dargli retta, ma lei non può semplicemente scappare, vuole finalmente affrontare la causa di tutto il suo dolore e dei suoi problemi, la creatura che in qualche modo ha deciso di risparmiarla. «Prima hai detto che sono una di loro...loro chi? Cosa intendevi?» Non può proteggerti all'infinito, devi scappare Marlee. Scosse la testa cercando di ignorare quella voce che era diventata parte di lei, ma era ostinata e cercava in tutti i modi di farla desistere; bombardando la sua testa di ricordi dell'uomo davanti a lei. Ricordi colmi di dolcezza e di amore, che in qualche modo riuscirono a turbarla ulteriormente. «Perchè sei nella mia testa? Perchè lei continua a mostrarmi immagini di te?» Si prese la testa tra le mani, spaventata da tutto ciò che le stava accadendo. Si passò il polso vicino alle labbra, cancellando l'ultima traccia di quella sostanza nera viscosa, chiedendosi da cosa dipendesse.
     
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