Winter has come

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    Gli aveva dato tempo. Tempo per abituarsi a quella casa che non era più sembrata tale per molto tempo. Gli aveva dato tempo per riprendersi la sua vita. Ma più di tutto Beatrice aveva dato a Holden spazio, una cosa che nessuno gli aveva mai permesso prima di allora e di cui il fratello era certa avesse bisogno. Beatrice conosceva il sentimento delle prime boccate di libertà. Si ha voglia di fare tutto e niente, di scoprire e immagazzinare tutte quelle informazioni estrenee al loro modo di vivere. Ma ormai il tempo stringeva, o meglio, sembrava essersi fermata. Ci aveva rimuginato molto sulle sue prossime mosse, sulle mosse che tutti loro avrebbero dovuto portare avanti, ma alla fine, si rendeva conto, la più giovane dei Morgenstern che non aveva più spazio nella sua testa per restare fuori e dentro alla stessa maniera. Le cose tra le mura del castello si erano man mano complicate, erano sempre meno e sopravvivere era sempre più complicato. Quell'ultima mossa del Natale poi, l'aveva resa più che mai irrequieta. Non aveva idea di quanto sarebbe rimasti chiusi nella Torre Corvonero, e non aveva la più pallida idea si cosa sarebbe successo dopo. Di cosa avrebbero trovato oltre quelle porte. Essere colta di sorpresa e alla sprovvista era una cosa che proprio non riusciva a sopportare. La rendeva decisamente approssimativa e più nervosa che mai. Riusciva a mantenere la calma grazie alla vicinanza degli altri, ma anche così, ultimamente era sempre meno incline a comunicazioni altre. Per lo più cercava la solitudine; lei e Percy erano finalmente riusciti a vedere la gioia di un letto e quattro mura ad accogliere la loro intimità, e lì se ne stavano a fare ipotesi e ragionamenti ingarbugliati per tentare di indovinare cosa li aspettava. I momenti di pace erano effettivamente pochi. Qualche suicidio aveva scosso ulteriormente l'irrequieto spirito generale; c'era sempre qualche rissa da sedare, qualche ferito da accudire e qualche nuova situazione oltremondo disparata da fronteggiare. Anche lì, lontani dalle trappole, quei pochi sopravvissuti rimasti avevano ormai perso qualunque lume della ragione, e i pochi ancora sani fisicamente e psicologicamente, erano insufficienti per tenere le cose a bada. Per questo, Beatrice sapeva di non potersi permettere ulteriormente di tenere tutto sotto controllo. Non tanto dentro quanto fuori e per quanto non fosse sola, sapeva che una bussola era loro strettamente necessaria. A Inverness deve sempre esserci un Morgenstern, non solo un detto che collocasse un suo conseguineo fisicamente nella Città Santa, ma una metafora che lasciava intendere fosse sempre necessaria la guida dei discendenti dei primi alfa. Ed eccola quindi Beatrice scivolare da una mente all'altra tra le mura di casa sua, lasciandosi salutare con deferenza, e corrispondendo quel naturale riguardo con sorrisi colmi di affetto e saluti ghermiti di intrinseca gioia. Salta da un tetto all'altro della città fortificata, da una guardia all'altra, girandosela tutta, un po' per nostalgia, un po' per puro maniacale bisogno di controllo. Suo nonno è un uomo che ben conosce le strategie militari. Non c'era da stupirsi che la loro roccaforte fosse letteralmente blindata e pronta a tutto. Maghi e guerrieri si alternavano a intervalli regolari sui tetti, alle porte vi aveva messo soldati scelti. Arcieri arroccati sulle mura. E poi, in mezzo a quelle strade, bambini sorridenti e dame dalle armi celate, pronte a sguazzare chiunque provasse a minacciare i propri cuccioli. Inverness era ormai come l'ha sempre sognanta; una dicotomia tra amore e dovere, un poetico Eden fatto di anime pure e altrettanto letali. E infine eccola, in mezzo al cortile del loro maniero, di fronte al fratello. Gli sorride seppur il suo sorriso risulti ormai stanco e ben poco vigoroso. Anche Beatrice inizia ad avvertire il peso di quella situazione. Si sente stufa di quanto ha dovuto affrontare e combattere. È stanca di quelle giornate buie tutte uguali, e adesso, privata anche degli spazi aperti è più stanca che mai, come se fosse imprigionata nel in una casa per bambole. Hogwarts lo era diventata - in un certo modo - una casa er bambole.
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    « Ora so cosa si prova. » Asserisce di scatto sedendosi a terra iniziando a osservare con un certo languore tutte le armi distese su un tavolo di legno poco distante. L'ultima volta che è stata lì ha quasi sgozzato Percy Watson; si stava sfogando lanciando frecce contro i bersagli, dopo aver scoperto che Holden era stato venduto al Ministero. « A essere chiusi, soffocati. » Quella sensazione di prigionia Beatrice non l'aveva mai provata. Era stata imprigionata nella mente, un tempo, vittima di un essere maligno che le guidava i passi, ma nessuno l'ha mai privata dell'aria, del sole, della sua amata natura. Di quelle piccole cose genuine in cui volente o nolente riusciva sempre a trovare una bellezza sovraumana. « Sono stanca, ho bisogno di un lungo bagno e una bella bistecca al sangue. Una vera, da mettere sotto i miei denti. » Perchè in fin dei conti aveva provato qualunque forma di appagamento in quei mesi, grazie agli altri. Ma ora, sembrava tutto ciò non bastasse più. Seppur potesse andare ovunque, Beatrice aveva bisogno di andarci davvero, di esserci davvero. Quel surrogato prettamente mentale sembrava non bastarle più a forza di restare confinata tra le stesse mura. « Ci sono momenti in cui vorrei chiudere gli occhi e non svegliarmi più. Non credo di aver mai odiato così tanto svegliarmi ogni giorno presumibilmente alla stessa ora. » Stare al letto fino a tardi, dormire fino a essere stanca di dormire, restare a letto un giorno intero e mangiare schifezze erano sogni lontani. Le mancava persino andare al lavoro. Qualunque cosa sembrava una prospettiva migliore di quel maledetto loop in cui viveva. Non aveva mai modo di lamentarsene. Mostrarsi fuori posto mentre era con gli altri, era oltremondo controproducente. Ma con Holden, aveva solo voglia di abbandonarsi e lagnarsi per una vita intera al momento. Tuttavia, sapeva non fosse quello lo scopo della sua visita e sapeva anche che tutti loro, Holden compreso, non avevano tempo per darsi a passatempi così sciocchi come l'autocommiserazione. Se aveva deciso di interrompere quella totale libertà del fratello, era perché ormai si era reso necessario. « In ogni caso non sono qui per questo. Per quanto mi piacerebbe piangermi addosso qui per tutta la giornata, temo che a breve qualcuno entrerà da quella porta e mi chiamerà a menare l'ennesimo stronzo che ha rubato le caramelle al compagno. » Vita infame, cercare di non lasciar ribollire gli animi di adolescenti con gli ormoni alle stelle. Non era così che si profilava i prossimi mesi. Ha lasciato tutto scoperto nel momento di maggior bisogno, proprio quando tutti loro avrebbero dovuto tentare di trovare un equilibrio insieme. Ogni giorno quell'angoscia sembrava gravarle addosso con maggiore forza, come un peso sullo stomaco che non voleva sapere di andarsene. Lì, tra quelle mura, aveva visto cose che non si sarebbe mai immaginata di vedere, cose in grado di sconvolgere persino un animo saldo come quello di Beatrice. Prende a guardarsi intorno, osserva quei bersagli posti a qualche metro di distanza con una certa nostalgia. Nessuno si sarebbe immaginato un paio di mesi fa che questa sarebbe stata la loro vita. Ai tempi in cui Beatrice si era trovata l'ultima volta tra le mura di Inverness per un tempo prolungato, lei e Percy erano ancora intenti a farsi silenziosamente la guerra, e ora invece, dormiva tutto fuorché beato accanto a lei, in quella stanza spoglia che era stata nei giorni precedenti pesantemente saccheggiata ancora una volta da tutte quelle cavallette con cui era stata costretta a dividere le proprie giornate. « Le mura di Hogwarts sussurrano cose che non siamo in grado di comprendere appieno. » Inizia, quindi, ripensando soprattutto all'esperienza passata nella foresta proibita. Quel luogo le aveva messo i brividi. Era un luogo al di là di ogni limite in cui era persino riuscita a perdere il contatto con Percy al suo fianco e con tutto il resto del mondo. Si era sentita sola, abbandonata a se stessa, come se improvvisamente si trovasse di nuovo in quella landa desolata che è il mondo senza un effettiva speranza a cui appigliarsi. Non era più brava, a stare da sola. Non le piaceva più quella sensazione, non faceva più al caso suo. Quando il sole splende, all'inizio ti acceca, ti senti più confuso di prima, ma quando i tuoi occhi iniziano ad abituarsi alla luce, tornare al buio risulta non solo estremamente demoralizzante ma anche traumatizzante. Come se avessi perso un pezzo di cui non sapevi neanche di aver così maledettamente bisogno. « Cose maligne abitano questo luogo. » Continua quindi guardandosi attorno con un moto di melanconia. Non pensava mai che quella casa le sarebbe mancata così tanto, che avrebbe bramato con così tanta insistenza l'appartenenza alle sue terre. Il sangue degli antichi scozzesi le scorreva nelle vene, ma Tris si era sempre sentita un po' appartenente al mondo e a nessun posto in particolare. Ora comprendeva ciò che significasse casa, cosa s'intendeva con l'idea di volerne costruire una, qualcosa di solido che vada al di là dei patti, delle convenzioni. Qualcosa che rientrava unicamente nelle anguste quanto - da lei considerate un tempo - futili scelte di cuore. « Ed io non riesco a essere in due posti contemporaneamente. » Continua quindi sospirando lungamente. Non posso essere a Hogwarts e a Hogsmeade senza perdere la presa su un posto. « Non ti chiederei mai di lasciare ancora questo posto, se non lo volessi. Ma devi. » Compie una leggera pausa mentre poggia una mano sulla sua spalla. Non è lì, ma è come se lo fosse. « A Hogsmeade hanno bisogno di un leader. Hanno bisogno di te. » E so che tu sei pronto. E' il tuo destino. Tu tanto quanto me sei un Morgenstern. Io sarò alfa ma potrebbe arrivare un giorno in cui potrei semplicemente non esserci più. E loro hanno bisogno di noi. Il nostro sangue è in qualche modo.. il motore. Lo sento, lo so. « A Inverness ci ha sempre pensato il nonno. La Città Santa può restare sotto la custodia di un anziano, ma i nostri fratelli, hanno bisogno di un vero leader sul campo. E quel luogo, che non è casa, ha bisogno di te. Noi non siamo ribelli, non siamo loro. » Siamo altro. Siamo destinati ad altro. « E l'unico motivo per cui siamo al loro fianco è perché le nostre battaglie si sono ricongiunte. Ma.. del loro leader non mi fido. Non voglio che sia lui a guidare i nostri cari, non permetto a nessuno di fare da padrone a casa nostra. » Perché noi di padroni non ne abbiamo. E non siamo schiavi di nessuno. « Ce l'hai nel sangue. Saprai che cosa fare. E per qualunque cosa.. finché potrò.. io sono qui. Potrai cercarmi quando vuoi. » Ma quella battaglia ormai, quella là fuori, finché non potrò affiancarti, semmai riuscirò a farlo di nuovo, è tua. « E se mi chiedi come si fa, non lo so. Segui solo il tuo cuore, resta te stesso e fedele a ciò in cui credi. Ascolta, ascoltali tutti, proteggili, consigliali, lascia che diventino completamente parte di te. Amali. » Di scatto il battito del suo cuore aumenta, presa da quella morsa di infinito affetto che prova nei confronti di ciascuno di loro. « Tienili insieme, uniti. E tutto andrà bene. Finché restiamo insieme, andrà tutto bene. » Si morde appena il labbro in un moto di piena frustrazione prima di lasciarsi preda a un leggero sorriso amaro. « Mi manchi. E' ridicolo che non ci siamo ancora riabbracciati. Ma io, Holden, ti prometto che farò di tutto per tornare da te. Al più presto. » Infine poggia un leggero bacio sulla sua guancia, mentre una e una sola lacrima scaturisce dagli occhi color nocciola di lei. Una pacca sulla spalla di lui, prima di stringersi nelle spalle gettandosi un'ultima occhiata attorno. E' quasi come se se lo sentisse che qualcosa di brutto sta per iniziare. No. Anzi. Ne ha la certezza. Tutto sta per cambiare. E potrebbe diventare peggio.

     
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    Immobile, alto, ritto e terribile come una statua di qualche antico Dio della Guerra. Erano ormai due ore buone che Holden Morgenstern aveva lasciato le mura di casa per uscire all'aperto, malgrado il freddo gelido dell'inverno scozzese sferzasse contro la pelle del viso. Quel giorno, un barlume di luce rischiarava il cielo terso sotto il quale se ne stava il cacciatore, pietrificato col naso appena sollevato per inspirare a pieni polmoni l'aria del mattino. Aveva bisogno di quell'aria, in una maniera che inizialmente non era riuscito neppure a metabolizzare, come pure mai era riuscito veramente a metabolizzare l'anno passato sotto le cure del sire della Corte dei Miracoli. Alek Marchand aveva fatto così tanto per rendere la permanenza del giovane cacciatore il meno traumatica possibile, eppure in un certo qual modo lo era stata comunque. A tal punto che, inconsciamente, Holden aveva iniziato ad uscire dal maniero di famiglia ogni mattina per farvi ritorno solo in tarda sera, ogni giorno con una scusa diversa. Vagava per un fantasma per i vicoli e le strade di Inverness, corrucciandosi e arrovellandosi il cervello per pensare ad una soluzione che potesse far fronte al problema "Hogwarts", e solo là fuori riusciva a placare il proprio animo tormentato; solo la brezza del vento invernale riusciva a cullarlo, quasi le mura del palazzo riuscissero ad infondergli un senso di claustrofobia. Era una sensazione che dopo la sera di Natale era andata via via accentuandosi ora dopo ora, come se in qualche modo una parte di sé che già provava quelle sensazioni fosse amplificata dai sentimenti dei propri fratelli intrappolati dentro il castello di Hogwarts prima e dentro una delle torri poi. Sempre più stretti. Se c'era una cosa che Holden sperava, era che quel canale di comunicazione emotivo fosse a doppio senso: se io sento il vostro tormento, che è anche mio, spero che voi sentiate il mio senso di liberazione, che vorrei fosse vostro. Ecco allora come ogni passeggiata, ogni attività all'aria aperta, ogni carezza lenitiva alle proprie scottature divenivano perfino dei doveri, un modo come un altro per aiutare i suoi cari a resistere, infondendo loro speranza come avevano fatto con lui nei periodi più bui alla Corte dei Miracoli. Come quella mattina di fine Dicembre, immobile al centro del giardino interno della magione. Inspirò ancora, prima di alzare l'arco che teneva stretto nella mano sinistra. Con la destra, recuperò una freccia dalla faretra sulle spalle e la incoccò, tendendo l'arco con una lentezza che aveva del solenne, del purificatorio. I muscoli si tesero insieme all'arco, secondo dopo secondo, ma Holden non fece niente per placare la fatica. Nel freddo dell'inverno, con la fatica in corpo, sto bene, starò bene, voi starete bene. « Ora so cosa si prova. » Gli occhi del cacciatore erano fissi sul bersaglio, lontano decine di metri, ma non era necessario qualcosa di superficiale come la vista per sentire la presenza di sua sorella accanto a sé. Ne sentiva il profumo, sentiva il battito del suo cuore e, ancor di più, sentiva i suoi sentimenti pulsargli nelle vene. « A essere chiusi, soffocati. » Lo so. So che lo sai. E in fondo l'avevano sempre saputo, loro, cosa si prova. Rinchiusi nei rispettivi monasteri, non avevano forse passato la loro intera infanzia chiusi, soffocati? Eppure la clausura a cui erano stati costretti dal sangue del loro sangue aveva avuto tutto l'aspetto di un compito voluto dal cielo - per Holden senz'altro. Le loro rispettive prigionie, al contrario, un tormento ingiustificato. Continuò a fissare il bersaglio, continuò a tenere teso l'arco. « Sono stanca, ho bisogno di un lungo bagno e una bella bistecca al sangue. Una vera, da mettere sotto i miei denti. » Sospirò, lasciando che una rada nube di condensa fuggisse dalle sue labbra pallide. Nelle parole di Tris rivide la propria ingratitudine, nel non aver apprezzato abbastanza le attenzioni che Alek gli aveva rivolto per mesi e le cure che gli aveva concesso. Io un bagno e delle vere bistecche le ho sempre avute. Ma rivide anche la pulsione al ricercare una soluzione, e in fretta, al sigillo che bloccava sua sorella in un luogo a lei non congeniale. Nessun Morgenstern è fatto per vivere dietro una porta chiusa a chiave. « Ci sono momenti in cui vorrei chiudere gli occhi e non svegliarmi più. Non credo di aver mai odiato così tanto svegliarmi ogni giorno presumibilmente alla stessa ora. » Solo allora aprì le dita di scatto, lasciando che la freccia incoccata spiccasse il volo verso il centro esatto del bersaglio. Solo allora si concesse di voltarsi e guardarla. Abbandonò l'arco sul tavolo, per avvicinarsi a lei, piegandosi sulle ginocchia per arrivare più o meno all'altezza del suo viso. « Lo so. » Credimi, lo so. Alla fine aveva smesso di contare le volte in cui aveva sentito la necessità di urlare di rabbia e dimenarsi in preda alla frustrazione. Aveva smesso perché i momenti di sconforto avevano preso il sopravvento. « Ma non c'è croce sopra le nostre spalle che non possiamo sopportare. » E le nostre spalle sono forti Tris, molto più degli altri. « Non pensare neanche per un secondo di cedere. Anche quando ti sembrerà l'unica cosa razionale da fare. » E succederà. Le sfiorò la mano, stringendola appena, nel tentativo di infonderle un po' di forza, un po' di libertà. Una boccata d'aria invernale. Sebbene non lo desse a vedere, più tempo durava la segregazione di Tris e più Holden si riscopriva preoccupato: conosceva la forza della sorella ma al tempo stesso conosceva l'impetuosità del suo animo, impossibile da domare. Se Holden aveva avuto la meditazione a tenere a bada i propri più profondi istinti, cos'avrebbe aiutato Beatrice? Anche per questo, senza esprimere esplicitamente le proprie preoccupazioni, giorno dopo giorno Holden si era manifestato all'interno del castello per sorvegliare, come un angelo custode, il procedere della vita di sua sorella; a lei dedicava intimamente le profonde boccate d'aria nel cielo di Inverness, perché le arrivasse in qualche modo un sollievo capace di addolcire una lupa in cattività. « In ogni caso non sono qui per questo. Per quanto mi piacerebbe piangermi addosso qui per tutta la giornata, temo che a breve qualcuno entrerà da quella porta e mi chiamerà a menare l'ennesimo stronzo che ha rubato le caramelle al compagno. » Se non sei qui per questo, significa che c'è qualcosa di più urgente. Qualcosa di grave. Il cuore di Holden riuscì quasi ad avvertire la tensione provenire dalla sorella, che fece immediatamente propria. Non gli piacque: tra i pericoli e i tormenti, Beatrice aveva affrontato da vera Morgenstern le prove che le si erano presentate di fronte, superandole con l'audacia di una cacciatrice e la ferocia di una lupa eppure qualcosa di inedito riusciva a provocarle vibrazioni che lo stesso Holden avvertiva come estremamente negative. « Le mura di Hogwarts sussurrano cose che non siamo in grado di comprendere appieno. Cose maligne abitano questo luogo. » Aggrottò la fronte, soppesando attentamente le parole di Tris, senza riuscire a non soffermarsi sulle due parole che la sorella aveva accentuato con particolare enfasi. Cose maligne. Non pericolose, non cattive, non malvagie o crudeli. Maligne. Sapeva che non era stata una scelta di parole casuale, non per due come loro cresciuti sotto una rigida educazione religiosa. L'intero corpo di Holden si irrigidì, di fronte all'eventualità che la sua sorellina potesse trovarsi faccia a faccia con delle entità a cui Holden aveva sempre creduto e che per lungo tempo aveva perfino deciso di combattere. Ironico: erano passati solo pochi mesi da quando le aveva confidato di aver sognato un futuro da esorcista ed ora era proprio Tris a doversi scontrare con le entità dietro il velo. Se possibile, la preoccupazione di Holden crebbe. Non fece neppure in tempo a fiatare che Tris continuò, rivelandogli come neanche quello fosse il vero punto della sua visita. « Ed io non riesco a essere in due posti contemporaneamente. Non ti chiederei mai di lasciare ancora questo posto, se non lo volessi. Ma devi. » Gli occhi d'ambra del ragazzo corsero alla mano di lui sulla sua spalla. « A Hogsmeade hanno bisogno di un leader. Hanno bisogno di te. » La fissò intensamente, quasi volesse ricercare all'interno delle sue iridi scure e profonde il senso esatto del suo ordine. Perché Holden sarebbe partito in qualunque momento e verso qualunque luogo se Tris glielo avesse ordinato - mai avrebbe disatteso gli ordini della sua Matriarca, del suo alfa - eppure non era un banale ordine ciò che gli era stato impartito, no. Mi stai ordinando di essere un alfa, il Patriarca che non sarei mai dovuto diventare. Un moto di confusione e un sentimento ben simile alla paura fece capolino nell'animo di Holden. La mente ritornò all'incoronazione di Beatrice, dalla quale quasi un anno era passato, e alle parole che lei gli aveva riservato. Questi libri, le armi, quelle strade là fuori, le stanze, le case, i soldi, quanto di materiale e non appartenga a me, appartiene anche a te. Eppure Holden aveva continuato a comportarsi da gregario, non da principe ma da cavaliere. Il Campione della Matriarca, per la quale avrebbe duellato fino all'ultimo respiro. Aveva accettato già da tempo il fatto che mai avrebbe ricoperto una posizione di guida nella Gilda, perché come una creatura impura avrebbe potuto guidare qualcosa di tanto perfetto come l'esercito voluto dal Signore? La Gilda non esisteva più però, non nelle fattezze che entrambi avevano conosciuto. Siamo diversi e in quel nuovo mondo diverso perfino una creatura impura come Holden aveva saputo fare qualcosa di tanto puro come tentare di tenere coese le persone durante il Natale. Era stato istintivo, un regalo che aveva voluto fare a sua sorella ma che di certo non aveva pensato avrebbe potuto portare ad altro. « Tris.. » riuscì a mormorare appena, quasi una parte di sé - quella spaventata come il bambino gettato sul fondo di un pozzo - cercasse una scusa per districarsi dal compito affidatogli. E' troppo, non lo merito, non ne sono degno. Non ne ho le capacità, non sono te. Non ho il tuo cuore. Ho soltanto la mia forza e la mia fede. Sono un crociato, non un Patriarca. Fu come se Tris avesse percepito le paure del fratello, allo stesso modo in cui lui aveva percepito la sua tensione solo pochi minuti prima. « Ce l'hai nel sangue. Saprai che cosa fare. E per qualunque cosa.. finché potrò.. io sono qui. Potrai cercarmi quando vuoi. » Abbassò lo sguardo, sotto il peso della responsabilità. Non aveva mai veramente pensato a ciò che il suo sangue conservava, all'eredità che era stata loro tramandata. Come mai, in effetti, aveva mai pensato al fatto di essere stato per vent'anni un membro del Branco senza neppure saperlo, un lupo prima ancora che tutti gli altri ne fossero al corrente. Holden aveva avuto modo di metabolizzare, in vent'anni, quel senso di novità inattesa e folle spavento nell'essere costretti a sentire le proprie ossa spezzarsi, una ad una, nel corso della trasformazione che li avrebbe portati a rivelare i loro veri sé. Sentiva un dovere morale nei confronti di tutti loro. « E se mi chiedi come si fa, non lo so. Segui solo il tuo cuore, resta te stesso e fedele a ciò in cui credi. Ascolta, ascoltali tutti, proteggili, consigliali, lascia che diventino completamente parte di te. Amali. Tienili insieme, uniti. E tutto andrà bene. Finché restiamo insieme, andrà tutto bene. » L'aveva già fatto inconsapevolmente, a Natale. Ce l'ho nel sangue. Annuì, con l'espressione severa di un crociato pronto a partire per la Terra Santa. Sentiva però che Tris gli aveva chiesto molto più che trovare il Santo Graal. « Quando sei diventata Matriarca eri spaventata, non volevi portare questo fardello e io ti dissi che dovevi, che era tuo compito guidare i cacciatori. Ora tu mi chiedi lo stesso e io finalmente capisco le tue paure. » Non ci siamo mai capiti così tanto come ora, immersi nel buio, nel sangue e nel dramma.
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    « Mi chiedi molto.. ma allo stesso tempo, mi rendi un grande onore.. » Nessuno mai aveva creduto così tanto in me. « Farò del mio meglio. Farò tutto quanto in mio potere per riuscirci. » Si alzò, tendendole una mano perché facesse altrettanto, e accettò allora il bacio che Tris volle lasciargli sulla guancia. Un bacio capace di farlo sorridere della stessa amarezza che le aveva letto addosso. « Mi manchi. E' ridicolo che non ci siamo ancora riabbracciati. Ma io, Holden, ti prometto che farò di tutto per tornare da te. Al più presto. » Tris era dovuta partire per Hogwarts, quasi un anno prima, come mille altre volte aveva fatto e aveva salutato suo fratello come altrettante volte, inconsapevoli entrambi che quello sarebbe stato l'ultimo vero abbraccio per troppo tempo. Erano stati educati affinché diventassero letali dispensatori di morte per i portatori di una maledizione infame, era stato inculcato in testa loro che le emozioni non sono altro che una distrazione lungo il sentiero della Caccia, ma l'amore fraterno sbocciato anche nel cuore del più duro dei cacciatori di Inverness era riuscito a germogliare anche su una tanto ruvida terra: Holden sentiva una mancanza disperata di Beatrice, l'unica persona al mondo che sentiva di amare veramente sopra ogni cosa, sopra di sé e sopra il proprio compito. Forse perfino sopra Dio. « Prometto che farò di tutto per farti tornare da me. » E sai quanto mantenga sempre le mie promesse. La cacciatrice posò una pacca sulla spalla del fratello ed egli le prese la mano, facendola attardare un secondo in più. Un'ultima cosa. « Stai attenta, Tris. Ti prego. » Rimase là, con la mano sopra la propria spalla, solo nel giardino interno del maniero di Inverness. Immobile, alto, ritto e terribile come una statua di qualche antico Dio della Guerra. Ispirò a pieni polmoni l'aria di un mattino gelido, nell'inverno scozzese, e la buttò fuori caricandola di preoccupazioni, di paure, di aspettative. Se le lasciò alle spalle, prima di riafferrare il proprio arco e rincasare. Quella sera stessa, partì per il villaggio magico di Hogsmeade, con una nuova missione negli occhi e una nuova promessa nel cuore.
     
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