Risky business

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    « Abbiamo perduto nascendo quanto perderemo morendo. Tutto. » C'è questo modo di dire, estremamente abusato e ormai nauseante per la sua scontatezza, secondo il quale, nel momento in cui stai per morire, tutta la vita ti passi davanti agli occhi come una sorta di pellicola velocizzata. Una stronzata, ovviamente. O magari non lo è, ma lo si sente dire così tanto che non puoi trattenerti dall'alzare gli occhi al cielo quando ti viene ripetuto per l'ennesima volta. In quel momento, però, quando Albus uscì insieme a Mun da quel bagno che ormai sembrava aver assunto i tratti di un sordido alcova, capì esattamente cosa quel detto volesse dare a intendere, e non aveva nulla a che fare con la morte..non nel senso stretto, almeno. E' come un salto nel vuoto: lo percepisci nello stomaco, è una sensazione abbastanza netta. Quella - appunto - del vuoto. Chiudi gli occhi e salti, mentre la caduta pone il tuo corpo a un tipo di pressione sconosciuta, facendoti sentire il cuore in gola e il respiro mozzato. Ti sei tuffato a tutta velocità e adesso sei in acqua, dove le leggi fisiche mutano e l'affondare del tuo corpo è decisamente più lento che nell'aria; lo sguardo si volge verso la luce, cercando di afferrarla con movimenti spasmodici delle mani, ma per quanto ci provi, continui sempre a cadere. Lo sai, in quel momento, che sei sul punto di perdere tutto quanto. Lo realizzi nella frazione di un secondo, e non c'è nulla che possa pareggiare il panico che ne deriva automaticamente. E' naturale, a quel punto, volgere il proprio sguardo in maniera retrospettiva, come se nell'annegare stessi agitando le braccia nel vuoto, alla ricerca di una qualsiasi superficie a cui aggrapparti per tornare a galla. Lì, solo lì, si realizza quel piccolo grande cliché: tutta la vita che ti passa davanti. Ti rendi improvvisamente conto di aver dato importanza a cose e momenti che non ne avevano, togliendone ad altri che invece avresti dovuto apprezzare di più. Si era dimenticato, Albus, di quelle corse a perdifiato insieme a Fred nei campi dietro la Tana: quando le risate isteriche di un "non mi prendi" sforzavano le loro corde vocali sopra al fiato corto. Aveva completamente rimosso gli scappellotti di nonna Molly quando, da quelle corse, ritornavano tutti infangati, con le ginocchia sbucciate e ben oltre l'orario prestabilito; "Delinquenti! Stavamo per mandare nonno Arthur - con tutti i problemi che ha alle ossa, pover'uomo - a cercarvi. Volete che mi prenda un infarto?" Aveva scordato tutte le confessioni a cuore aperto, stesi sull'erba, durante le interminabili notti estive in cui il frastuono delle cicale in sottofondo ti impediva di dormire: tutte le cotte che si erano confessati, le risate di cuore che ti facevano star male fino alle lacrime, le ingegnose tecniche per nascondere il palese odore d'erba che - era chiaro - i genitori facevano solo finta di non cogliere, i commenti da comari di paese sui compagni di scuola, le lamentele sui professori più infami, i racconti imbarazzanti delle colossali figure di merda che facevano un giorno sì e l'altro pure. Albus svoltava un angolo di quei corridoi, e improvvisamente quel punto altrimenti anonimo gli riportava alla memoria l'ansia delle corse che facevano per non arrivare tardi a lezione dopo essersi abbioccati per quella che doveva essere solo una pausa di cinque minuti. Il suo sguardo si posava su una delle mille finestre del castello, e riconosceva che quella, proprio quella nel particolare, era stata la finestra dal quale aveva incautamente gettato il borsone di quidditch di Fred al diretto interessato quando si era dimenticato delle selezioni e non aveva tempo per tornare indietro a prenderlo. Uno scalino scheggiato era quello su cui Betty era inciampata, aggrappandosi al suo braccio e facendo cadere pure lui nella mossa. Quell'armatura posizionata malauguratamente dietro un angolo era la stessa che avevano fatto cadere a terra nell'impeto di un bacio, attirando le teste di tre professori fuori dalle aule. Tutte quelle cose, Albus, credeva di averle rimosse, nell'anestetico di una quotidianità che appare scontata fino a quando non sei sul punto di perderla. Quotidiani, per lui, erano stati anche quei lunghi pomeriggi ai Tre Manici di Scopa quando tutti e quattro stavano insieme. Uscivano di pomeriggio, ai tempi. Ai loro occhi il massimo della trasgressione era stata quella sera durante le vacanze di Natale, quando Fred e Albus avevano trovato il modo di far uscire le rispettive ragazze dalle loro finestre senza che i genitori di loro se ne accorgessero: il tutto solo per mandare giù una burrobirra analcolica con lo stomaco pieno d'ansia per la possibilità di venire scoperti. Poi, a un certo punto, tutte quelle cose avevano cominciato improvvisamente a sbiadire. Prima Albus aveva scoperto di aspettare un figlio, poi Fred e Mun si erano lasciati, in seguito lui era andato al riformatorio chiudendo la sua storia con Betty. Un anno dopo, le cose erano già cambiate. I colori pastello di quei tramonti che avevano guardato con occhi ingenui si erano intrisi di tinte più forti. La tenerezza di quelle piccole azioni si era sciolta nel grigiore di una quotidianità più matura, più improntata ad affrontare problemi che a focalizzarsi su tutto ciò che un problema non lo era. Lentamente, da lì, Albus aveva iniziato a dimenticare, un dettaglio dopo l'altro, quelle persone che per lui erano il mondo. Paradossale, direte voi, dimenticare qualcuno che si ha sempre davanti. Ma così era andata: insieme, ma ognuno per sé, con le proprie ragioni per avvitarsi in se stessi, nei propri problemi, nei propri affari. E una parte di lui, ora, avrebbe voluto disperatamente tornare a cantare canzoni a squarciagola insieme al cugino, in una macchina scassata che, da bravo neopatentato, avrebbe scassato ancora di più; a rantolare parole incomprensibili contro l'asfalto di un marciapiede durante una sbronza colossale e a risvegliarsi il giorno dopo all'ora di pranzo solo per accorgersi di avere un gigantesco pene disegnato in faccia e risposte a messaggi imbarazzanti mandati alle persone sbagliate. Sarebbe stato bello, ora, guardarsi allo specchio e avere il disegno di un pene come unica preoccupazione e quegli sms come unica vergogna; la sola ansia la voce di tua madre che ti dice che puzzi di fumo. Sarebbe stato facile. Ma è questo il punto dei ricordi: più tempo trascorre da essi, più tendi a rimembrare solo ciò che quei momenti li ha resi belli. Non pensi a quanto ti sentivi in colpa per le rappresaglie di nonna Molly, all'umiliazione di essere interrogato impreparato come punizione per essere arrivato in ritardo, alla paura di essere scoperto per tutte quelle piccole trasgressioni, a quanto stessi uno schifo dopo una sbronza, al panico e ai pianti per la prima multa e per la macchina sfasciata. Tutti problemi che sicuramente, in confronto a ciò che doveva affrontare adesso, non erano nulla. Ma il punto è proprio quello: che quando affrontiamo qualcosa, qualsiasi cosa sia, fa male, sempre. E forse non tutto quanto finisce per essere ricordato con un sorriso nostalgico. Forse non tutto è destinato ad un lieto fine. Forse a volte abbiamo bisogno di sbattere la faccia su quel marciapiede, di vomitare l'anima nel vicolo dietro a una discoteca, di prenderci un meritatissimo Troll dal professore di turno, di andare a sbattere con la macchina contro quel maledetto palo che "lo giuro, è sbucato dal nulla". Ne abbiamo bisogno perché forse, un giorno, quando l'ennesimo scoglio si presenterà di fronte ai nostri occhi, ricorderemo questo particolare momento come il giorno in cui abbiamo pagato un prezzo decisamente alto, ma lo abbiamo fatto per qualcosa che un prezzo non ce l'ha. « Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato. »
    Quando varcò la soglia dell'aula di Trasfigurazione, quella in cui Mun aveva dato appuntamento tramite un biglietto magico a Fred e Betty, Albus aveva paura. No, non paura. Aveva un terrore folle di perdere tutto quanto. E a livello cosciente sapeva che sarebbe successo, se lo sentiva nelle vene come un veleno strisciante. Era il ghiaccio puro, e il fatto che entrambi i loro invitati fossero già lì
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    lo sferzò come un colpo di frusta in pieno viso. Quel senso di colpa attanagliante, quella consapevolezza di avere le mani legate, di non aver alcuno straccio di ragione dalla propria parte. Non si rendeva conto, Albus, che lui, quelle persone, le aveva già in parte perse. E non era successo oggi, ne' un mese prima, ne' quando aveva ripreso i contatti con Mun. Era successo molto tempo prima, quando aveva dimenticato quella finestra, quell'armatura, quello scalino scheggiato. Li aveva persi perché non ce l'aveva più, quell'ingenua fedeltà delle promesse che fai da bambino, quando ai tuoi occhi le scelte difficili non sono altro che l'altrui racconto di un qualcosa che è già stato superato. C'è un distacco tra ciò che crediamo sarà la nostra vita e la nostra persona quando abbiamo dieci anni, e quello che veramente troveremo quando ne saranno passati nove. Si sarebbe mai immaginato, il piccolo Albus dai capelli biondi, di avere un figlio a sedici anni? No. Potrebbe immaginare, adesso, la sua vita senza Jay - anche solo senza il suo pensiero? No. Si voltò dunque a chiudersi la porta alle spalle. A palpebre basse, non visto, prese un profondo respiro. « And I’m on my way, I still remember those old country lanes when we did not know the answers » Rivolto un veloce sguardo di incoraggiamento a Mun, si voltò. "Dobbiamo dirvi delle cose. Tante. E andrà per le lunghe."
    [...]
    E per le lunghe ci andò sul serio. Una storia raccontata a due voci: ciascuno dei due incriminati aveva qualcosa da aggiungere, o sapeva un punto chiave in più dell'altro. Avevano iniziato da Settembre, quando Mun gli era stata assegnata come tutor - sebbene lui avesse poi deciso di cambiare già dalla volta seguente. Gli dissero del libro di pozioni che lei gli aveva dato, dello strano incontro ad Hogsmeade dove Mun aveva confessato l'omicidio di Judas Leroy, del veloce testa a testa nell'aula di pozioni dopo che lui aveva rivomitato quel peccato senza saperlo, di quando lui l'aveva affrontata al lago nero su ciò che aveva scoperto di lei solo per poi offrirle il suo aiuto, dei motivi dietro alla latitanza nella foresta proibita e del fatto che lei lo aveva aiutato a sopravviverci standogli accanto, della sera di Natale in cui aveva rischiato di rimetterci la pelle e lei era rimasta cieca, di quando aveva scoperto di essere sin eater.. "E poi oggi." disse quelle parole ingoiando una boccata di saliva amara "Abbiamo avuto.." rivolse lo sguardo a Mun, come in cerca di aiuto "..l'ennesimo scontro." Fece una pausa, lo sguardo spaventato che vagava dal viso di Fred a quello di Betty. "Ma i motivi sono stati altri. Il problema non era un nemico comune, o la sopravvivenza, ne' tutte queste strane storie mistiche senza senso. Il problema era che..qualcosa, nel tempo, tra noi, è cambiato senza che ce ne accorgessimo. E un po' come aria compressa è esploso quando le ragioni del nostro litigio si sono fatte più personali." Tanto vago quanto soggetto a svariate interpretazioni. Si interruppe, cosciente di non poter rimanere per sempre nella culla di parole confuse e inconcludenti. "Abbiamo avuto un momento." pausa. Sono ancora in tempo per dire che la Carrow mi ha stuprato contro la mia volontà. "Intimo." altra pausa "Ma ha significato più di un semplice momento."
     
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    Slytherin pride

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    Non tirarmi su, no lasciami al fondo come sempre che se fallisco devo scuse a un tot di gente
    Ma quando vinco non si sente non tirarmi su, no lasciami al fondo come sempre
    Che se fallisco ho già una scusa intelligente ma quando vinco, vinco niente

    « Un giorno mi dirai com'è successo, Amunet, o ho perso la tua fiducia per sempre? » « Hai così tanta della mia fiducia che ti confesso che se fossi abbastanza saggia, nessuno godrebbe di un solo briciolo di quest'ultima. Nessuno.. nemmeno tu. Ma evidentemente non sono sufficientemente saggia per permettermelo. » E alla fine Mun aveva vuotato il sacco, ma non senza doverci mettere di mezzo quella odiosa postilla che le piaceva aggiungere necessariamente in ogni discorso. Ti sto degnando della mia fiducia, dovresti esserne onorato. Sei un privilegiato. Attorno a sé le è sempre piaciuto creare quell'aura di esclusività. Rientri nella cerchia, sei parte di un universo estremamente prezioso e occulto. Non sei fortunato, anzi, se possibile, stai più nella merda di molti altri, ma ti sto coinvolgendo in qualcosa di estremamente importante. In realtà l'universo di Amunet Carrow non avrebbe avuto nulla di speciale se solo un dio della morte non la seguisse a ogni passo, dettando legge nella sua vita, manipolandola giorno e notte, tanto nelle parole, quanto nelle azioni. Mun ha sempre avuto quella parvenza di controllo, di poter gestire qualunque situazione, di avere diritto di vita e di morte su tutto, ma in realtà, non ce l'aveva mai avuto. La scelta più oculata che avesse fatto - si era detta per molto, sin troppo tempo - era stata quella di tenere le persone più care a lei lontane da quel suo mondo fatto di bugie e ingegnose macchinazioni. Ma alla fine, lì dentro ce le aveva comunque risucchiate; per vie traverse, le aveva comunque coinvolte, indirettamente, rendendole parte integranti di quel grande scempio che era la sua vita, con l'unica differenza che non ne erano a conoscenza. Prendiamo Freddie Weasley per esempio; aveva sempre avuto un intuito ferreo nei confronti della Carrow. Le aveva chiesto più di una volta in quale brutto guaio si fosse cacciata, e lei, con l'ostinazione di una bambina capricciosa, aveva sempre virato il discorso altrove, rigettando le proprie colpe su di lui. Pensava Mun ai tempi, che tenerlo all'oscuro, fosse il modo migliore per tenerlo al sicuro. Ed era stato così; non coinvolgerlo nella faccenda di Ryuk era stata la migliore e paradossalmente la peggiore delle sue decisioni. Aveva lasciato modo a entrambi di vedere le crepe l'uno nell'altro, di realizzare quanto poco di quei bambini sperduti tra le coperte dello stesso dormitorio Grifondoro fosse rimasto in queste nuove versioni di loro stessi. Ma nonostante ciò, Fred, dalle fandonie di Mun era stato comunque toccato. Abigail Green era stato l'anello di congiuntura di quella terrificante faccenda che aveva tenuto il suo cuore in una morsa ferrea sin dalla morte del padre. Fred, Mun, lo aveva comunque distrutto. Anche Betty era stata toccata da quella sua oscurità; dalla sua spietatezza, da quella ostentata superiorità che Mun non aveva mai avuto. L'aveva ferita, con parole colme di veleno, mettendo in piazza tutto il suo odio, lasciando riemergere in entrambe vecchie ferite che non si erano mai del tutto rimarginate. Mun il suo dolore lo rifletteva sempre su qualcun altro. Lo aveva fatto con Betty, lo aveva fatto in misura molto maggiore con Fred e lo aveva fatto anche con Albus. Lo aveva fatto con molti altri, trattandoli con sufficienza e immenso disprezzo, ma come ben si confà a una Carrow, lo aveva fatto con la leggerezza dello spirito di chi sentiva di avere una qualche forma di di più rispetto agli altri. Tutte bugie perfettamente calibrate da raccontarsi al posto delle favolette della buonanotte. Perché nessuno è in grado di sorreggere la solitudine e il peso di determinate catastrofi da solo. Nessuno può semplicemente ripetere ancora e ancora sto bene senza che quel profondo disagio e disperazione non facciano alla fine capolino. Si implode, e il più delle volte nelle maniere più inaspettate. E quando il danno è ormai fatto, si può solo che piegare il capo e aspettare le conseguenze. Ha vuotato molte volte il sacco in quest'ultimo mese. Da Natale non ha fatto altro che dare spiegazioni, per lo più colme di sufficienza, imperlate delle sue solite metafore pretenziose e riferimenti letterari o artistici che la maggior parte delle persone non aveva nemmeno ragione di conoscere. Ed era proprio questo il suo forte. Non dire niente pur dicendo tanto. Dire tanto, non dicendo niente. Tutto il contrario di tutto la Carrow, apparentemente prevedibile e calcolata, eppure così terrificantemente impulsiva e fuori controllo. ..se fossi abbastanza saggia, nessuno godrebbe di un solo briciolo della mia fiducia. Tornando al punto di partenza, Mun è sempre stata gelosa di tante cose; della propria privacy e diritto di pensiero, del suo modo di dipingere il mondo, dei suoi silenzi, dei suoi vestiti e dei suoi libri, di tutti quei cimeli di famiglia e ricordi che conservava e custodiva maniacalmente, del suo carattere intrattabile, ma più di tutto è sempre stata gelosa della propria fiducia. Dell'assenza di fiducia che desse agli altri, tanto quanto di quella poca che - oseremo dire, ingiustamente - riceveva da altri. Ed ora, era tempo di rispondere di tutte le sue azioni, appunto, piegando il capo, perché erano finiti i tempi in cui poteva ostentare superiorità. Non di fronte a quegli errori. Non di fronte a quelle persone che per prime l'hanno fatta sentire voluta e apprezzata. Se solo i suoi fratelli potessero sentirla e vederla adesso, come minimo si vergognerebbero di lei, perché un Carrow non piega mai il capo, non di fronte a nessuno. Ma Mun, a dirla tutta, a quelle credenze si era da tempo scostata, e se anche un briciolo di orgoglio della sua nobile casata ce l'aveva ancora prima che il castello si blindasse, quel luogo, quel costante essere messa sotto pressione, aveva spazzato via tutto. Non solo il suo orgoglio era stato mortificato e messo in un angolo, ma anche il suo intero sistema nervoso, il suo modo di ragionare, di reagire, di provare, era mutato. Si era appiattito a lungo sul culto della paura. Poi era arrivata la cecità, un morbo psicologico con cui tutt'ora combatteva istante dopo istante, assorbendo volontariamente dolore, per non privarsi della vista di quel grigio perenne. Una magra consolazione che tuttavia l'aveva portata a riconsiderare le sue priorità e anche la sua posizione rispetto all'essere che per più di due anni e mezzo l'aveva spietatamente accompagnata passo dopo passo. Questo posto ci ha cambiato, tutti, di nuovo. Non siamo gli stessi che eravamo due anni fa e non siamo nemmeno gli stessi che eravamo due mesi fa. Ci stiamo aggrappando a qualcosa che non esiste più. Ci dà questo la scusa di essere spietati? No. Ci dà il pretesto per virare e decidere deliberatamente di essere diversi? Sì.
    Fu il tragitto più lungo della sua vita, appunto, quello che li separava dal punto d'incontro. Lei dal canto suo aveva tentato di rallentare il passo il più possibile. Non aveva detto niente, restando profondamente annidata tra tutti i suoi pensieri, riconsiderando tutto il suo tracciato, tanto dell'ultimo periodo che degli ultimi anni. E l'unica conclusione a cui arrivò osservando il volto in pena del compagno di illeciti, fu di essere una persona di merda. E allora perché fingere di non esserlo? Dunque, varcata la soglia dell'aula di Trasfigurazione il suo sguardo sfiorò sia Fred che Betty, solo per un istante, prima di perdersi tra dettagli insignificanti del luogo buio, freddo e grigio, come tutto il resto del castello. L'idea di vuotare il sacco la metteva non poco a disagio, ora più che mai. Dove sono quei cani infernali quando hai bisogno di loro? Persona estremamente egoista e crudele fino all'ultimo. L'istinto di scappare prima ancora di iniziare a parlare è forte. Perché quando dici una cosa ad alta voce, improvvisamente diventa reale, e non puoi semplicemente rinnegarla all'occorrenza. « Dobbiamo dirvi delle cose. Tante. E andrà per le lunghe. » Oh e alla fine lo vuotano quel cazzo di sacco; il bicchiere che si riempie un po' una volta e lei aggiunge quei dettagli che Albus aveva ancora fumosi in testa, perché effettivamente non avevano avuto modo di mettere in chiaro molti di quei dettagli mistici. Dopo gli episodi a Hogsmeade, nell'aula di pozioni e la decisione di spedire Albus nella foresta per tenerlo lontano dagli occhi di Ryuk, è tempo di raccontare loro il pezzo mancante dentro il castello. Di come la sparizione di Maze e Fred è arrivata come una doccia fredda. E' stato in quei giorni passati perennemente nella foresta a urlare di continuo i nomi dei due, alla loro ricerca, che aveva realizzato quanto poco fosse fattibile sopravvivere lì dentro da soli. E lì, la decisione di restargli accanto. E poi, quell'ingenua decisione di portarlo per una notte fuori, di dargli quanto meno la parvenza che per una sera sarebbe potuto restare accanto ai suoi cari, pur non potendocisi rapportare. Perché Ryuk l'avrebbe capito se Albus fosse stato Albus. E così la decisione di appropriarsi delle sembianze del custode. L'ennesima fregatura visto che il dio della morte aveva giocato a nascondino con loro per tutto quel tempo. E quindi, si parte con il racconto sulla resa dei conti. Su come Ryuk l'ha quasi costretta di togliere un'altra vita, e su come rifiutandosi ci aveva rimesso la vista. Si concede anche di spiegar loro come funziona quella scappatoia alla cecità, gentile omaggio della calza di Edmund Kingsley, a un prezzo altissimo che la costringe a diventare dipendente dal dolore. Un dolore che si sente anche ora nelle ossa e di cui sa che ne avrà bisogno ancora tra non molto se volesse continuare a vivere. « E poi oggi. » Se la sono presa con comoda; dettagliati e precisi nel loro racconto. Ma alla fine anche questa resa dei conti è arrivata, e lei si sente stringere il cuore in una morsa violenta, di fronte al senso di colpa che divampa. « Abbiamo avuto.. l'ennesimo scontro. » Abbassa lo sguardo sospirando affondo. « No. Non scontro. Confronto. » La verità blanda non migliorerà questa situazione del cazzo. E quanto avrebbe voluto Mun preconfezionare un'altra delle sue magnifiche bugie. Diamine, sarebbe un sogno, di fronte a questa umiliazione a cui sottopongono tanto se stessi quanto Fred e Betty. « Ma i motivi sono stati altri. Il problema non era un nemico comune, o la sopravvivenza, ne' tutte queste strane storie mistiche senza senso. Il problema era che..qualcosa, nel tempo, tra noi, è cambiato senza che ce ne accorgessimo. E un po' come aria compressa è esploso quando le ragioni del nostro litigio si sono fatte più personali. » Non sta funzionando e la cosa la spazientisce. Tutta quella sincerità la sta mettendo in difficoltà, la mette a disagio. Non è abituata, non sopporta essere così debole, nel torto. « Abbiamo avuto un momento. Intimo. Ma ha significato più di un semplice momento. » Boom. Bomba sganciata. A quel punto gli occhi di ghiaccio saettano prima in quelli di Betty e poi in quelli di Fred. Cerca di studiarne le reazioni. Sa quanto può diventare irascibile e impulsivo in certe circostanze. Stringe i denti mentre si frappone quasi istintivamente tra la figura del Potter e la furia che potrebbe abbattersi contro di lui. La tua cattiva, Fred, sono io. Lo sai. Lo hai sempre saputo. Fai male a me. E per reindirizzare l'odio a quel punto abbassa lo sguardo e un leggero sorriso amaro si staglia sul suo volto.
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    « E' stata colpa mia. » Imprevedibile. La bugiarda patologica per eccellenza. Lo sguardo incatena quello del rosso per un solo istante, prima di saltare sul volto candido della bionda. Ed è a lei che si rivolge. « Fred sa quanto sono brava ad aizzare le persone. » E negli occhi della bionda che si concentra, non volendo leggere qualunque cosa possa dipingersi negli occhi di Fred. Di quello ha paura. Di quel giudizio, dell'odio. « E' sempre stato rispettoso nei miei confronti. Non c'è stato un solo momento in cui.. » Scuote la testa interrompendosi. « ..Albus Potter ha sempre provato a essere un buon amico. E' solo che ad un certo punto, non glielo permesso più. » Il tono di voce è piatto e remissivo, mentre lo sguardo si vela di una leggera pattina lucida. Si costringe tuttavia a non perdere anche l'ultimo briciolo di dignità facendo la vittima. « Ho deciso che dovesse stare più dalla mia parte che dalla vostra. Mi ero convinta che saremmo stati pari. Voi avevate sottratto qualcosa a me, io ne avevo sottratta un'altra a voi. » Crudele nel declinare quei suoi comportamenti. Crudele nel dipingere se stessa, come era giusto che fosse. Era giusto che la odiassero. « Poi qualcuno mi ha ricordato che l'unica a essere responsabile dei propri mali ero io. Non è colpa di nessuno se a me le cose escono male. » E nel dire ciò lo sguardo si staglia sul volto del giovane Weasley, riferendosi al loro ultimo scontro di qualche settimana prima. « Ma era già troppo tardi. » Si stringe nelle spalle ormai pronta a prendersi qualunque conseguenza. « Non è stato un gesto preso alla leggera. Io non l'ho preso alla leggera. » Non l'istinto di un ormone partito male. Continua quindi deglutendo. Decide di prendersi le responsabilità la Carrow. Qualcosa che non ha nemmeno idea di come si faccia di preciso. Non su questioni su cui normalmente mentirebbe. « E' solo che.. in quel momento.. ho accettato la mia natura. » Traditrice. Maligna. Egoista. Meschina. Crudele. Orribile e disgustosa in ogni modo possibile e immaginabile. « A costo del vostro odio, della vostra delusione e.. di tutte le conseguenze. » Che faranno male. Tanto male. « Mi dispiace solo per il dolore che vi ho arrecato.. con le mie bugie. E il pensare che per qualche motivo il mio dolore valesse più del vostro. » E nel dire ciò lo sguardo passò da Betty a Fred, per poi voltarsi appena anche verso Albus. « Di tutti voi. »

    Abbiamo tutti un'attenuante se lo schifo è consensuale




     
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    Sussurri, voci silenziose che si erano fatte strada nei meandri della sua mente, contagiandola e avvelenandola. Betty si era semplicemente lasciata scivolare, decisa a smettere di combatterle, ad accettarle come parte di lei. L'upside down non aveva solamente cambiato l'aspetto di Hogwarts, si era infiltrato dentro di lei, cambiandola del tutto. Non c'era più traccia di compassione nei suoi grandi occhi azzurri, erano semplicemente vuoti e spenti. La tassorosso aveva sempre dato la precedenza al benessere degli altri, lacerando sé stessa pur di rimanere al loro fianco, incurante di quanto quel prendersi cura delle altre persone la stesse erodendo dall'interno. Aveva messo a tacere la propria voce, ignorandola ogni qual volta la spingesse a pensare a sé; lei si limitava a scuotere la testa e a correre in soccorso dei suoi amici. Ma quanti di quegli amici adesso erano lì per lei?! Quella specie di alter ego aveva ragione: lei era sola e lo sarebbe sempre stata. Aveva abbracciato quella solitudine e con i consigli di Edric stava imparando a trarre forza da essa, rendendola la sua più grande alleata. Si dice che le persone siano il frutto di ciò che era stato fatto loro e Betty ne era la conferma, era stata data per scontata, messa da parte e abbandonata dalle uniche persone che si sarebbero dovute prendere cura di lei. Era diventata debole e l'oscurità l'aveva schiacciata senza pietà, distruggendo quella luce che l'aveva sempre contraddistinta perchè per quanto la luce crede di viaggiare più veloce di ogni altra cosa si sbaglia. Per quanto veloce viaggi, la luce scopre che l'oscurità arriva sempre prima, ed è lì che l'aspetta. I suoi genitori avevano sempre cercato di manovrarla, di muoverla a proprio piacimento come un burattino e lei non si era mai opposta; aveva sempre chinato il capo e accettato i rimproveri, si era fidata di loro e tutto ciò che aveva ottenuto era di essere drogata per essere più mansueta e accondiscendente, per poi scoprire che quelle pastiglie che prendeva ogni mattina non servivano per curarla, ma per mantenere il controllo su di lei. Per assicurarsi che non si ribellasse, che fosse la figlia perfettamente ubbidiente. Tradita da quegli affetti che avrebbero dovuto proteggerla più di ogni altro. Il risveglio la stava aiutando a mettere le cose in chiaro, a capire che per tutti Betty era la persona sacrificabile, nessuno si sarebbe erto in sua difesa; poteva contare solo su sé stessa. Aveva iniziato ad ignorare le urla di aiuto, prima tappandosi le orecchie, poi chiudendo gli occhi e infine escludendoli semplicemente dalla propria mente. Aveva sentito la propria coscienza fare resistenza, urlarle di non diventare un mostro, ma per la prima volta in vita sua era riuscita a metterla a tacere, trasformandola in un lieve ronzio quasi impercettibile. Ricevere quel biglietto da Mun la lasciò perplessa, dopo Natale non l'aveva più vista; i loro rapporti si erano praticamente ridotti all'essere inesistenti. Incenerì il biglietto con la bacchetta, lasciando che la cenere cadesse ai suoi piedi. L'aula non era troppo lontana e Betty non si muoveva più timorosa tra quelle mura, i demoni che avevano popolato Hogwarts non erano peggiori di quelli che lei affrontava ogni giorno nella propria mente, demoni con cui aveva imparato a convivere. Pensava di trovare Mun ad aspettarla, ma l'unica persona presente era Freddie, storse il naso; alla ricerca di una spiegazione sul perchè Mun li volesse li entrambi. Guardò il suo migliore amico e anche lui sembrava più che perplesso di fronte alla sua presenza. Dentro di sé sentì la vecchia Betty fremere per la vicinanza del grifondoro, ma la rimise subito al suo posto impedendole di prendere il sopravvento. Si limitò ad aspettare, del tutto ignara del motivo per cui erano lì. Corrucciò la fronte quando vide entrare Mun e Albus dalla porta, certa che quella situazione stava prendendo una piega fin troppo strana addirittura per loro. Non vedeva più il serpeverde dall'ultimo chiarimento che avevano avuto, ma nonostante ciò aveva sentivo le voci riguardo a lui e a Fawn; voci che in qualche modo l'avevano aiutata ad andare avanti e a completare quella sorta di transizione. «Dobbiamo dirvi delle cose. Tante. E andrà per le lunghe.» Avevano entrambi l'espressione di chi ha ingoiato qualcosa di repellente e che non vede l'ora di sputarlo fuori per sciacquarsi finalmente la bocca. Ascoltò ogni parola, osservò ogni espressione del viso, i movimenti dei loro corpi e percepì ogni variazione tonale nelle loro voci e analizzò ogni cosa. Tutto ciò che Albus diceva veniva ripetuto nella sua mente, quasi come se stesse riguardando un film. Assimilando tutto ciò che entrambi avevano taciuto loro, estromettendoli ancora una volta dalle loro vite, prendendo decisioni che avrebbero influito anche su di loro; ancora una volta senza pensare di prendere in considerazione la loro posizione. Privandola per l'ennesima volta di prendere le proprie decisioni. «Abbiamo avuto un momento. Intimo. Ma ha significato più di un semplice momento.» Un dolore sordo e lancinante la colpì al petto, costringendola a portarsi una mano al cuore per controllare che battesse ancora. Betty aveva scelto di allontanarsi da lui per non arrivare ad odiarlo, per impedire che le decisioni del ragazzo la portassero al detestarlo, così da salvaguardare sé stessa e i propri sentimenti, ma ancora una volta il serpeverde l'aveva colta di sorpresa. Quelle parole furono come una palla demolitrice, rase al suolo quella piccola luce che ancora albergava dentro di lei; la ridusse in polvere spazzandola via, lasciando che l'oscurità la inghiottisse per sempre. «E' stata colpa mia. Fred sa quanto sono brava ad aizzare le persone.» Quasi rise di fronte a quelle parole, una bugia talmente falsa che nemmeno la Carrow stessa riusciva a crederci. La bugiarda per eccellenza incapace di essere convincente per la prima volta in vita sua. Non si perse neanche una parola e non fuggì di fronte allo sguardo della ragazza, Betty cercava in quegli occhi scuri la verità pura, quella priva di tutte quelle banali giustificazioni di cui loro stessi probabilmente si vergognavano. Non perse di vista neanche Albus perchè per
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    quanto potesse mostrarsi contrito c'era una parte di lui che godeva in mezzo a tutto quel dolore, mai in vita sua aveva conosciuto qualcuno che, come Mun e Albus, scappasse così velocemente da ogni barlume di felicità. Ogni volta che vi si avvicinavano la schiacciavano senza pietà, per tornare nelle ombre in cui amavano sguazzare. «Mi dispiace solo per il dolore che vi ho arrecato.. con le mie bugie. E il pensare che per qualche motivo il mio dolore valesse più del vostro. Di tutti voi.» Amunet Carrow non aveva idea di cosa fosse il dispiacere, ma preso se ne sarebbe resa conto. Spostò lo sguardo su Freddie sicura che quel tradimento avrebbe scosso le sue fondamenta più di ogni altra cosa al mondo. «Oh non perdere tempo a dispiacerti per Albus, sono sicura che ti è più che grato per avergli dato modo di interpretare ancora la parte di principe tenebroso no?» Era sprezzante la sua voce, priva di qualsiasi calore. Odiava quel teatrino e si sentiva offesa perchè entrambi per la prima volta stavano cercando di lavarsi la coscienza a spese delle uniche due persone che avrebbero fatto di tutto per loro. Avevano raso al suolo tutto e non era stato un semplice momento, erano stati tanti momenti in cui avevano scelto di tenerli all'oscuro; di allontanarli. Fronteggiò la serpeverde, alla ricerca di qualcosa che la inducesse ad avere pietà, ma tutto ciò che riuscì a fare fu sferzare il suo volto di porcellana con una sberla a mano aperta. Si sentiva in dovere di restituirle un po' di quel dolore che avevano causato loro con tanta indifferenza. «Siete così allergici alla felicità che preferite sguazzare nell'autocommiserazione. Così impegnati a rendervi infelici che non avete nemmeno la decenza di vergognarvi molto probabilmente.» Per quanto la riguardava si meritavano entrambi. «L'unica cosa che potreste fare è scomparire, allontarvi da tutti così da smettere di rendere tutti miserabili come voi. Ogni volta che prendete una decisione per gli altri non fate altro che peggiorare la loro vita.» Il suo sguardo si concentrò su Albus, alla ricerca di un confronto, decisa a fargli capire come di lei non fosse rimasto niente. «Forse la cosa migliore che potresti fare per tuo figlio è stargli lontano...finiresti per distruggere anche lui.» Parole crudeli di cui non si riuscì a pentire, la vecchia Betty si sarebbe limitata ad abbassare la testa, a scappare via, ma la vecchia Betty era morta e sepolta; di lei rimaneva soltanto un guscio vuoto. «Ora spiegatemi cosa volevate ottenere confessando tutto. Vi state scusando? State solo cercando di essere sinceri? Strano farci questa cortesia proprio adesso.» Gli avevano sempre mentito, li avevano raggirati, fuggendo dalla luce che lei e Freddie avevano sempre rappresentato. Dopo l'ultimo confronto con Mun aveva creduto che ci fosse qualcosa in lei, un lato di lei che valesse la pena conoscere, ma era solamente un abbaglio. «Siete così limpidi belli e fuori quanto siete marci dentro, ma dovreste essere fieri di voi...» Si allontanò dalla ragazza spostandosi verso Albus. «...ci avete trascinato a fondo con voi.» Mi avete lasciata annegare, uccidendo tutto ciò che di buono c'era.

    "Maybe I'll become a beautiful monster. A heartless creature.
    A goddess of pain. Maybe then the emptiness of this bullet hole,
    they left in my chest, will finally make some sense."

     
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    Esistono quelle giornate, in cui sai che qualcosa andrà storto. Esistono quegli indizi, mediante i quali capisci di avere ragione. Esiste quel brutto presentimento, che volente o nolente, non ti abbandonerà fino alla fine. Ed eccolo quì, Fred Weasley Jr, la schiena poggiata alla parete dell'aula, le braccia incrociate al petto, in attesa. Qualcosa non va. Lo sa, lo sente, eppure fa finta di nulla. In un mondo come quello in cui si sono ormai cacciati, cosa potrebbe andar peggio, dopotutto? L'ha conosciuto, il livello massimo della sofferenza, la paura della morte, la perdita delle persone care. L'ha conosciuta la disperazione, l'impotenza e l'angoscia. Ha appreso così tante cose in questi ultimi tempi probabilmente che in tutta la sua vita intera e chissà, forse un giorno, semmai usciranno di lì, sarà una persona migliore. Al momento, però, è solo e semplicemente Freddie, un ragazzino con un biglietto ancora stretto nel pugno e le braccia conserte. L'espressione nervosa, le gambe appena tremanti in un chiaro gesto di nervosismo. Sa che qualcosa andrà storto, ma non sa esattamente cosa, nè come, nè quando. E questo lo rende irrequieto, un leone in gabbia. Presagire una minaccia ma non conoscerne l'entità, è il modo migliore per farlo impazzire. Ciò che non conosci, non puoi combatterlo. E' suo, quel bigliettino. L'ha trovato per caso e non sa esattamente perchè abbia deciso di dar fede a quelle parole trascritte in quell'elegante quanto familiare calligrafia. Forse perchè gli manca. Forse perchè gli manca. Forse tutto il contrario. Non si è fatto domande, Weasley, ha semplicemente seguito il suo istinto, ed adesso eccolo lì, i grandi occhioni d'ambra fissi sulla porta semichiusa dell'aula. Ha sempre odiato aspettare. Ha sempre detestato qualsiasi forma d'attesa. Sin troppo iperattivo, sin troppo fuoco vivo per riuscire a rimanere fermo in un posto per più di cinque minuti. Eppure eccolo lì al momento, immobile come una statua di sale, a respirare profondamente affinchè quel suo nervosismo di base non possa assalirlo. Chissà, forse non andrà poi così male, pensa per qualche minuto, in un ultimo sprazzo di quell'ottimismo quasi completamente scemato, negli ultimi tempi. Una leggera quanto flebile e morente scintilla di una speranza dilaniata. Forse le cose si chiariranno, forse è uno scherzo, forse semplicemente ha immaginato tutto. Forse niente di tutto questo. Una forma embrionale di consapevolezza sopraggiunge non appena una sagoma conosciuta si palesa di fronte ai suoi occhi. Assottiglia appena lo sguardo, e la riconosce. « Betty...? » Ha giusto il tempo di domandare, prima di realizzare quanto effettivamente anche lei sia confusa da tutto questo. Le si avvicina, non sapendo esattamente nè cosa dire nè cosa fare, ma è allora che qualcos'altro o meglio, qualcun'altro, attira la sua attenzione. Gira su sè stesso, e lo sguardo d'ambra si posiziona sulle due nuove figure. Albus e Mun. Gli occhi vagano da lui a lei, poi da lei a lui e di nuovo si soffermano su di lei. Non la vede da giorni, perchè hanno deciso così. Non la vede da giorni perchè avrebbe fatto meno male così. Eppure lo sente, quel leggero brivido che gli percorre la schiena tutte quelle volte che si trova in sua presenza. Lei ricambia il suo sguardo, ed un sussulto gli scuote il petto. Lo vede, riesce a vederlo. Un sorriso si dipinge spontaneo sul suo viso, mentre la tensione si abbassa leggermente. Dev'essere questo, sì, dev'essere questo! Albus ha trovato un modo per guarire gli occhi di Amunet ed adesso, assieme, glielo stanno annunciando. Ma tu, piccolo Weasley, non impari proprio mai eh? L'ottimismo non esiste, la speranza è una puttana, la fiducia è relativa. « Dobbiamo dirvi delle cose. Tante. E andrà per le lunghe. » E per le lunghe, ci va sul serio. E più parlano, più quelle parole aleggiano nell'atmosfera silenziosa che li circonda, più quel sorriso innocente sul volto del rosso si dissolve. Gli raccontano ogni cosa, per filo e per segno. Verità nascoste, realtà non dette, segreti condivisi. La condivisione, appunto, è ciò che a Fred fa più male. Prendete Albus ed Amunet. Da un lato suo cugino, nonchè migliore amico, dall'altro..Beh, la donna della sua vita, o qualcosa di simile. Il fatto che gli abbiano tenuto nascosto tante di quelle cose, e che lo abbiano fatto insieme, gli fa male. Rimane impassibile, lo sguardo fisso prima su uno, poi sull'altra. Si dimentica persino di Betty alle sue spalle, e per quei minuti che sembrano ore, in quell'aula, esistono solo Fred e quelle parole. Quelle fottutissime parole. « [...] Abbiamo avuto un momento. Intimo. Ma ha significato più di un semplice momento. » E allora sopraggiunge, il momento di massima consapevolezza. Ciò di cui ha avuto paura sin dall'inizio. Quel brutto presentimento ormai presagito. Il tradimento. Spalanca gli occhi, serra la mascella ed istintivamente stringe i pugni, lo sguardo d'ambra che si scaglia prima su di Amunet, poi sul cugino. « Tu... » Ringhia. Fuoco vivo scorre nelle sue vene, mentre fa qualche passo in avanti. E' pronto a picchiarlo, in un gesto dettato dal più cieco e naturale istinto. Tradito. Pugnalato alle spalle dalla persona che meno di tutte avrebbe mai sospettato. Albus, suo cugino, il suo migliore amico..Tutto crolla. Il suo mondo già di per sè dilaniato cade a pezzi, lui cade a pezzi, e non ha idea di come raccoglierli. L'unica cosa che vuole fare è scagliare un pugno contro la sua faccia. Spaccargli il naso, fargli male. Restituirgli tutto quel dolore che sente crescere dentro di sè, minuto dopo minuto. « E' stata colpa mia. » Ma si blocca. Arresta i suoi passi non appena Amunet si contrappone tra loro. E allora piega la testa di lato, quello sguardo di fuoco fisso sul suo viso di porcellana. Quel viso l'ha amato per così tanto tempo. Per così tanto tempo l'ha sognato. Vi ha visto un mondo, dietro quei suoi occhi chiari. Vi ha visto il loro mondo. Un mondo che adesso non gli appartiene più così come, a quanto pare, non gli appartiene più lei. Non la riconosce più dietro quei lineamenti bellissimi, non sa più chi sta guardando. Chi sei, Amunet? Chi sei sempre stata? Quel viso bellissimo che per così tanto tempo ha amato, ora gli fa ribrezzo. Indietreggia di qualche passo, mentre scuote la testa, una leggera risata a scuotergli il petto. Dev'essere uno scherzo. Senza ombra di dubbio, non può essere altro che un fottutissimo scherzo. Aspetta il momento in cui Albus scoppierà a ridere e lo prenderà per il culo per averci creduto. Lo aspetta, lo aspetta davvero, ma quel momento non arriva e non arriverà mai. E allora continua ad indietreggiare, mentre un dolore lancinante al petto lo costringe a tossire. E' qualcosa di anomalo, ma decide di ignorarlo. « [...] A costo del vostro odio, della vostra delusione e.. di tutte le conseguenze. Mi dispiace solo per il dolore che vi ho arrecato.. con le mie bugie. E il pensare che per qualche motivo il mio dolore valesse più del vostro. Di tutti voi.» Non crede più alle sue parole. Non può più farlo. Non credeva sarebbe mai successo, ma così è. L'ha pugnalato alle spalle. L'ha fatto una prima, una seconda ed una terza volta. L'ha fatto senza alcuna pietà ed ha continuato a farlo nonostante tutto. Per quanto ancora dovrai farmela pagare per averti lasciato? Si passa entrambe le mani tremanti tra i capelli, stingendovi le dita attraverso. Respira profondamente, distogliendo lo sguardo per piantarlo in un punto non ben definito dell'aula. Non vuole guardarli, nessuno di loro. Non riesce a guardare nemmeno Betty, conscio del fatto che nei suoi occhi vi troverebbe una sofferenza che non gli sarebbe possibile contrastare in alcun modo. Sono distrutti, lo sono entrambi, e tutto ciò fa tremendamente schifo. Kingsley c'è riuscito. Li ha resi bestie. Li ha messi l'uno contro l'altro. Amici contro amici. Parenti contro parenti. Amanti contro amanti. Per quanto ancora dovrà continuare? Non lo sa, non vuole saperlo. Non può più reggere a tutto questo. Il suo mondo sta cadendo a pezzi e a distruggerlo sono proprio le fondamenta. Quindi cerca di mantenere il respiro regolare, piuttosto inutilmente. La rabbia continua a rimontargli dentro, facendo crescere la sua voglia di urlare e distruggere ogni cosa a portata di mano. Ma assieme a quella, uno stato di malessere non indifferente lo costringe sempre di più rabbuiarsi, più di quanto la situazione non lo richieda. Non ha idea di cosa si tratti, ma fa male. Gli scorre dentro, cresce sempre di più. Ha la nausea, e si convince che forse è colpa di tutto quello schifo al quale è costretto ad assistere, in quegli ultimi tempi. Un rumore sordo attira la sua attenzione, distraendolo da quelle fitte che inizia ad avvertire all'altezza dello stomaco. Volta il capo verso i tre, e nota come Betty abbia appena mollato una sberla in pieno sul volto di Amunet. In un primo momento, l'istinto lo conduce a sobbalzare, a scattare appena in avanti. Ma si blocca poi, ed un sorriso amaro gli dipinge il viso sofferente. E' troppo tardi. Il tempo in cui Fred Weasley proteggeva Amunet Carrow, sembra giunto al termine. Adesso lei ha altri demoni contro cui combattere, che gli ha tenuto nascosti per tutti quegli anni. Ha altri protettori, ha altre braccia pronte a difenderla. E allora sospira, e lo sguardo si rivolge adesso al cugino. Hai visto cosa hai combinato? Hai visto come hai reso colei che dicevi di amare? E' deluso, Fred. Si legge nei suoi occhi, si legge nella sua espressione tremendamente seria. Non v'è traccia di quel solito sorriso che l'ha sempre caratterizzato. Non v'è traccia di quella risata squillante tipica di Freddie Weasley, il coglione di Grifondoro. «Siete così limpidi belli e fuori quanto siete marci dentro, ma dovreste essere fieri di voi...ci avete trascinato a fondo con voi.» L'ennesima fitta, l'ennesimo dolore che lo costringe a tossire. Respira profondamente. E' il suo turno?
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    « Siete...Impossibili. Davvero, siete fottutamente impossibili. Ho cercato di comprendervi, ho passato l'intera mia esistenza provando a farlo, ma evidentemente io non vi ho mai capiti. Ed è triste, davvero, e fa male, perchè ci tenevo a voi. Probabilmente ci tengo ancora nonostante tutto, perchè sono un coglione e non smetterò mai di esserlo. Tornerò da voi quando avrete bisogno di me, passerò sopra a tutta la merda che mi avete dedicato fino ad ora e tutto cadrà in secondo piano. Perchè è quello che faccio, appoggiarvi. L'ho sempre fatto, con entrambi, in un modo o nell'altro. » Sospira « E questo è il ringraziamento. E probabilmente lo sarà sempre, perchè io tornerò, e voi non cambierete mai. Il gatto che si morde la coda, un circolo continuo e senza fine. Ma mi sta bene, è okay. E' ciò che mi merito, dopotutto, per tutta la fiducia malriposta che vi ho sempre dato , e probabilmente continuerò a darvi. E in fondo, la vita fa schifo, dopotutto, bisogna soltanto abituarsi. » Si stringe nelle spalle, mentre con lo sguardo setaccia tutti e tre. Guarda Betty, e non riesce a sostenere il suo sguardo ferito. Allora torna da Albus, e sorride. « Vorrei picchiarti. Seriamente, vorrei spaccarti la faccia e potrei farlo. Perchè da te io questo non me l'aspettavo. A te, io questo non l'avrei mai fatto. Mi hai deluso. » Una fitta allo stomaco lo costringe ad esitare per qualche momento, prima di riprendere. Guarda lei, adesso, ed il sorriso smette di esistere. « E tu..Quale sarà la tua prossima mossa? Qual'è il prossimo stratagemma nell'agendina di Amunet Carrow per distruggere quello stronzo di Fred Weasley? Mi hai strappato via tutto. Abigail, la mia innocenza, il mio cuore, il mio migliore amico e la mia famiglia. Cos'altro vuoi ancora da me? Dimmelo, che cazzo vuoi adesso? Non mi è rimasto nulla da darti. Alla prossima, magari pugnalami direttamente. Alle spalle, come avete fatto entrambi. Forse farebbe anche meno male rispetto a tutto questo. » Pausa. « Sapete che c'è? Vorrei farvi e dirvi tante di quelle cose. Ma..Sono stanco. Mi avete stancato. Mi avete rotto. » Scuote la testa ed indietreggia ancora, avvicinandosi alla porta d'ingresso dell'aula. Un sapore amaro gli inonda la bocca, ed adesso la nausea è così forte da costringerlo a deglutire forzatamente. Aria, ha bisogno d'aria. « Mi fate schifo, e non meritate neanche un minuto in più del mio tempo. » Tossisce, e quando lo sguardo si posa sulla mano davanti alla bocca, vi scorge qualcosa di prettamente anomalo. Sangue, pensa in un primo momento. Ma no, non è sangue. Si ripulisce la bocca con la manica della maglietta, e apre la porta velocemente. Lancia un ultimo sguardo verso Betty. Scusa, sembra volerle dire. Scusa se non sono riuscito a impedirti tutto questo. Scusa se non ci sto riuscendo nemmeno adesso. « Vi auguro tutta quella felicità che a noi, invece, siete riusciti ad estirpare. » E con quelle ultime parole, si dilegua nel nulla più totale.

    Mi sarei preso una pallottola per loro,
    e furono loro i primi a spararmi.

     
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